Mica facile liberarci dei nostri Ben Ali
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Quante lezioni anche per noi dalla rivolta tunisina.

La prima: ci ha colto di sorpresa, perchè non rientra nello schema propagandistico impostoci (sappiamo da chi) su qualunque realtà islamica. Dov’è, dov’è Al Qaeda? Ogni sommossa non può essere che manifestazione di jihadismo, o ispirata dall’integralismo. Invece ci si è accorti che in Tunisia (e dovunque nel Nordafrica) esiste un grave problema sociale: quello di una demografia impetuosa che ha riempito i Paesi di giovani senza lavoro, anche quando sono istruiti. E che ne hanno le tasche piene dei regimi disonesti, che richiamano la loro legittimità a lotte di liberazione che non hanno alcun significato per chi ha meno di 20 anni.

In Tunisia nulla è cominciato dal grido dei minareti. Tutto, a quanto pare, dal suicidio di un giovane diplomato a cui la Polizia aveva sequestrato la bancarella abusiva che gli serviva per vivere; e ovviamente dal rincaro del pane e del cuscus, lontana conseguenza delle migliaia di miliardi di dollari con cui la Federal Reserve ha inondato il mondo per salvare le sue banche.

Già messa così, la questione sociale del Maghreb ha qualche somiglianza con quella, poniamo, dei nostri giovani meridionali: di meno, ma con tassi di disoccupazione maghrebini e ben poche prospettive. Il che invita a considerarne gli insegnamenti più da vicino.

Ben Alì
   Ben Ali
La rivoluzione dei gelsomini – lo dico con trepidazione – costata alla piazza molti morti, non ha avuto successo. Da quel che si può capire fino ad oggi, è accaduto semplicemente questo: che la dittatura ha cacciato il dittatore.

Qualunque cosa sia avvenuta nei palazzi del potere – un rifiuto di obbedienza dei generali o dei poliziotti? – colpisce tuttavia come la detronizzazione di Ben Ali sia avvenuto secondo un’indefettibile legalità istituzionale. Preso atto della vacatio presidenziale, in base all’articolo 57 della Costituzione – e sentita la Corte costituzionale – il presidente della Camera ha assunto i poteri (tutti) che erano di Ben Ali. Non suscita alcuno stupore apprendere che il presidente della Camera, Fouad M’bazza, 76 anni, ha tutta una vita spesa ai vertici del potere: ministro sotto Bourghiba prima di esserlo sotto Ben Ali, sindaco di Tunisi, sindaco di Cartage (il sobborgo chic del potere tunisimo).


Fouad M’bazza


Dovrebbe invece stupire – e vi invito a farlo – che la dittatura tunisina disponga di un parlamento, con relativo presidente della Camera. Di una Corte costituzionale. Addirittura, di una costituzione. Esattamente come la nostra repubblica italiana, che come sappiamo è democratica e pluralista.

Primo pensiero: evidentemente, in Tunisia si tratta di pseudo-istituzioni, che usurpano i nomi di istituzioni democratiche. Là si dice Corte Costituzionale, ma si intende qualcosa d’altro. Il parlamento non è un vero parlamento, il presidente della Camera non corrisponde al nostro presidente della Camera.

Secondo pensiero: ma siamo proprio sicuri? Siamo certi che le nostre istituzioni siano diverse dalle tunisine in modo identificabile e riconoscibile? Quelle istituzioni si son rivelate l’impalcatura legale grazie alla quale il sistema di potere parassitario e poliziesco ha una robustezzza tale, da potersi permettere il lusso di espellere il dittatore personale ormai detestato, restando uguale a se stesso. Le dittature si sono molto perfezionate, negli ultimi anni: sia sul piano legalitario che su quello repressivo. Siamo sicuri che la nostra costituzione, la nostra Corte Costituzionale, siano la garanzia ultima contro la dittatura sofisticata e impersonale del terzo millennio, o ne siano invece la madrepora su cui essa attecchisce e prolifera come una colonia di insaziabili vermi marini?

Ecco perchè è così piena di lezioni anche per noi la rivolta dei giovani tunisini, disoccupati che chiedono pane e lavoro, contro signori in doppiopetto che rubano a manbassa da mezzo secolo. I moti popolari, nonostante l’antica agiografia che li circonda, non hanno mai preso d’assalto la libertà. Ora sappiamo che è ancor più difficile di quanto s’immagini la nostra ingenuità. Teniamone conto se, nei prossimi mesi, la rivolta del pane si estenderà a tutto il Maghreb o all’Egitto, non accendiamoci di troppe speranze.

Anche da noi è gran tempo di liberarci del nostro ridicolo Ben Ali con le sue mignottine, ma non si creda che basti. Direte: ciò che distingue la Tunisia dall’Italia è che là c’era il partito unico, da noi no; da noi, la politica vive di una vivacissima polemica continua. Abbiamo passato settimane a polemizzare pro o contro Marchionne; abbiamo visto (come dicono i giornali) la sinistra spaccarsi sul voto a Mirafiori, consigliando chi sì e chi no ai 5.500 di Mirafiori a rischio di perdere il loro 1.200 euro mensili; abbiamo odiato più intensamente il Salame e trovato definitivamente insopportabile il suo harem di puttanelle a Milano 2. Il PD tifa per i magistrati, come l’IDV. La Lega è preoccupata che per questa nuova crisi vada a remengo il federalismo.

Ma al di là di tutta questa viva pluralità, di sigle e di grida, ci sono dei momenti, in Italia, dove maggioranza e opposizione votano unite, in perfetta concordia. Momenti in cui maggioranza e opposizione appaiono come Partito Unico, monolitico.

Qualche settimana fa, lo ha rivelato l’Espresso, il Parlamento ha votato all’unanimità, e senza una sola astensione, un ulteriore aumento di 1.135,00 euro mensili (oltre ai 15 mila), ossia quanto deve bastare per un mese ad ogni operaio di Mirafiori. E non solo all’unanimità, non solo senza un astenuto; la mozione è stata camuffata in modo da non risultare nei verbali. appaiono come Partito Unico, monolitico.

Insomma, di colpo la situazione di noi italiani tartassati e perseguitati dalla democrazia parassitaria, non mi sembra tanto diversa da quella della dittatura di Ben Ali in Tunisia. Del resto, anche là, come credete che si chiami il partito unico che continua a governare dopo Ben Ali? Non pensate a un nome altisonante proveniente da un passato eroico, tipo Fronte di Liberazione Nazionale o Partito Comunista Combattente. Il partito unico tunisimo si chiama in un modo che non si può immaginare più anodino e istituzionale: Rassemblement constitutionnel démocratique (RCD). La traduzione Coalizione costituzionale democratica non rende piena giustizia. La parola rassemblement indica qualcosa di più occasionale, di meno strutturato di una coalizione. Meglio sarebbe assembramento, o se vogliamo ammucchiata. Ecco: Ammucchiata Costituzionale Demoratica.

Inequivocabilmente, è lo stesso partito unico dei parassiti che domina anche a Roma. E che pochi giorni fa, unanime, s’è votato in segreto un aumento di 1.135 euro al mese, che pagheremo con le nostre tasse: operai Mirafiori compresi.



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