Putin manda un segnale a Washington. Molto serio
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Il 19 ottobre le forze armate russe hanno condotto una grande esercitazione che non ha precedenti dalla fine dell’URSS. Lo scenario, simulazione di una guerra nucleare strategica (ossia non limitata), con prove dal vivo: il lancio di un missile intercontinentale a testata multipla (ICBM) dalla zona di Plesetsk nel nord della Russia, il lancio di un missile simile ad un sommergibile nucleare immerso nel mare di Okhotsk, e il contemporaneo levarsi di bombardieri strategici Tu-95 e Tu-160 – quelli che nei tempi della guerra fredda stavano perennemente in volo, onde rispondere in ogni momento ad un attacco americano portando la morte atomica sul territorio nemico secondo il concetto di Mutua Distruzione Assicurata (MAD) – che hanno sparato quattro missili guidati che hanno colpito i bersagli previsti nella regione di Komi.

Insomma la famosa «triade strategica» (lanci intercontinentali simultanei da terra, aria ed acqua) degli anni in cui le due superpotenze si affrontavano nella prospettiva dell’olocausto nucleare reciproco: se mi attacchi prima tu, io comunque ti incenerisco. Esercitazioni del genere non si tenevano più dagli anni ‘90. Questa, è stato comunicato dai comandi di Mosca, è servita a testare nuove procedure ed algoritmi di comando-controllo e comunicazione.

Ma il fatto senza precedenti è che Vladimir Putin ha diretto personalmente le grandi manovre atomiche in veste di comandante supremo, e la sua presenza nel quartiere operativo è stata pubblicizzata.

«Vladimir Putin ha dato un voto alto alle unità di combattimento (…) e allo Stato Maggiore delle forze armate, che ha confermato l’affidabilità e l’efficacia delle forze nucleari russe», secondo il comunicato ufficiale.

L’evento ne segue altri non meno importanti. È stata espulsa dalla Russia l’agenzia del governo americano per lo sviluppo (US Agency for International Development o USAID) in quanto riconosciuto «agente straniero che influenza i processi politici in Russia» (non è un segreto che l’USAID è una longa manus della CIA); è stato chiesto di sloggiare entro metà dicembre anche all’UNICEF, l’agenzia ONU per l’Infanzia, con la spiegazione che la Russia non ha più bisogno di aiuti, essendo diventato un Paese donatore (secondo i media occidentali, «si teme che i bambini soffriranno per questa uscita di UNICEF e USAID dal Paese»: teneri cuori, i media).

Ma soprattutto – ed è una vera notizia-bomba, anche se nascosta nelle pagine interne dei giornali – Mosca ha reso noto che metterà fine alla collaborazione con Washington, durata un ventennio, per la «ripulitura» e «messa in sicurezza» degli arsenali atomici, chimici e batteriologici dell’ex-URSS, che erano rimasti vulnerabili, senza sorveglianza e (secondo gli americani) esposti alle voglie di eventuali terroristi atomici dopo il crollo dell’impero sovietico.

«L’America perde lo strumento più efficace e di basso costo per ridurre i pericoli nucleari», ha strillato un furente New York Times. (Mr. Putin’s Gift to Terrorists)

Spira dunque quel trattato che diplomazie occidentali conoscono come «Nunn-Lugar Cooperative Threat Reduction Partnership», dal nome dei due senatori Sam Nunn (democratico) e Richard Lugar (repubblicano, ebreo) che – dopo colloqui con Michail Gorbacev – convinsero la Casa Bianca a finanziare un vasto programma per smantellare e distruggere l’enorme armamento sovietico atomico, chimico e batteriologico. Lo smembramento del territorio sovietico aveva creato tre inopinate e involontarie potenze nucleari: Ucraina, Bielorussia e Kazakstan avevano ereditato testate lasciate sul loro territorio dalll’Armata Rossa. A corto di mezzi, desiderosi di ingraziarsi gli occidentali, questi nuovi Sati avevano ben volentieri accettato di consegnare gli arsenali ad esperti occidentali. Più tardi anche la Russia di Eltsin aveva acceduto al programma. Da allora, il la «partnership» ha condotto esperti occidentali ed americani in lungo e in largo sulle un tempo segretissime basi sovietiche, che hanno disattivato 7.659 testate nucleari, distrutto 902 missili balistici intercontinentali e 498 silos missilistici, 191 lanciamissili mobili, 684 missili lanciabili da sottomarini, 155 bombardieri strategici, 906 missili aria-terra a testata atomica, 194 sotterranei di prova delle armi nucleari, e neutralizzato oltre 3 mila tonnellate di armi chimiche. Il plutonio delle testate è stato trasformato, con opportune mescole, in uranio meno ricco usabile nelle centrali energetiche. Tutta la vasta operazione è costata al contribuente americano, in 20 anni, 15 miliardi di dollari: molto conveniente, per un’azione di disarmo del nemico di ieri e per avere una precisa mappa della ubicazione delle forze nucleari russe rimanenti.

Oggi il Cremlino ha annunciato che non rinnoverà il trattato Nunn-Lugar, che scade a giugno dell’anno prossimo ed è stato rinnovato per 20 anni. Putin pensa che oggi la Russia può far da sé questo genere di pulizia, senza il concorso di contractors americani, e senza occhi stranieri indiscreti a curiosare dove i generali russi non vogliono.

«Un regalo di Putin ai terroristi», ha titolato un editoriale non firmato del New York Times; s’intende, i famosi «terroristi di Al Qaeda» che – secondo la vulgata propagandistica – ardono dal desiderio di impossessarsi di una testata atomica ex-sovietica, per farla esplodere magari a New York. Anzitutto, l’arsenale atomico russo non è più così mal sorvegliato, Mosca avendo ripreso il pieno controllo. E poi ci si può chiedere come potrebbe, Al Qaeda, detonare una testata atomica rubata: con quali conoscenze delle chiavi multiple di sicurezza che di solito rendono ermetiche tali armi ai primi venuti; e con quali vettori le lanciano? Basterà nasconderle in un container, come si vede in certi film di Hollywood? Ma ogni scetticismo smuore di fronte ai fatti: Al Qaeda è riuscita a far pilotare quattro Boeing passeggeri a 17 giovanotti arabi che a malapena stavano imparando a guidare un Cessna, fino a distruggere le Twin Tower e colpire il Pentagono, senza essere intercettati dalla più potente caccia aerea della storia umana. Al Qaeda può far questo e ben altro.

Fuor di ironia, è bene valutare la serietà del segnale che Putin ha voluto mandare agli USA e alla NATO. Il Cremlino interpreta tutto quel che accade ed è accaduto in Medio Oriente – la guerra in Libia e la caduta di Gheddafi, la «liberazione» della Siria in corso da parte di «forze d’opposizione» finanziate ed armate dai sauditi e dagli occidentali (1), la stretta sempre più feroce che le sanzioni occidentali fanno subire al regime di Teheran, destabilizzandolo con lo scopo di «cambiare il regime», come atti coerenti di aggressione contro gli interessi russi nella vasta area euro-asiatica. Alla stregua del posizionamento di missili a ridosso del territorio russo, nonostante le proteste di Mosca. Alla stregua delle sovversioni e provocazioni di «oppositori russi» o «attivisti dei diritti umani» finanziate dall’ambasciata USA a Mosca e dalle ONG occidentali, con un successo modesto (se ci si deve accontentare di piangere mediaticamente sulla «libertà di espressione» delle Pussy Riots repressa da Putin, si vede proprio che non c’è nulla di più serio da imputare al nuovo Zar): tutte manifestazioni di una «soft agression», con lo scopo di delegittimare il governo, accerchiare e indebolire, e negare alla Russia il suo posto come potenza mondiale, e provocare un «regime change». L’Occidente (gli Stati Uniti e i suoi servitori europei) ha preso sottogamba i segni dell’irritazione e dell’inquietudine russa, considerandola ormai una entità di poco peso strategico e politico, pretenziosa ma trascurabile.

Il 18 maggio scorso, poco prima della riunione del G-8 a Camp David, dove ci si aspettava che l’Occidente decidesse l’intervento armato «per la democrazia» in Siria come già in Libia, il primo ministro Medvedev aveva detto esplicitamente che: «affrettate operazioni militari in Paesi esteri di solito portano al potere degli estremisti fanatici... accade che azioni del genere, che minano la sovranità dello Stato, possano portare a una guerra regionale in piena regola anche – non voglio spaventare nessuno – con l’uso di armi nucleari» (2). (Russia says action on Syria, Iran may go nuclear)

Ancora una volta, l’avvertimento di Mosca è stato tenuto in non cale dalla presunta unica superpotenza rimasta e dai suoi servitorelli in Europa. Di fronte a tanta presuntuosa noncuranza dei legittimi interessi russi, il Cremlino ha dovuto per forza mostrare la serietà delle sue intenzioni. Il 17 ottobre ha fatto sapere che sta per posizionare i suoi temuti missili supersonici terra-aria S-400 (gittata 400 chilometri) alla frontiera con la Turchia, divenuta un bersaglio dopo l’intromissione aggressiva di Ankara nella guerra civile in Siria contro il regime di Assad, e ovvia contromisura dopo lo spiegamento in territorio turco della rete di radar antimissile della NATO; nè si dimentichi che lo scorso 10 ottobre il governo turco ha fermato un aereo russo diretto in Siria accusandolo di portare carichi di munizioni, cosa poi comprovata falsa. (Russia installing S-400 anti-aircraft missiles to target Turkey)

Solo il sito israeliano DEBKA File (organo non ufficiale del Mossad) ha interpretato l’evento come il segno «che ogni altra intercezione di un aereo russo diretto in Siria porterà una risposta militare dalla Russia; e che Mosca non tollererà alcuna intrusione aerea nel conflitto siriano da parte della Turchia o di ogni membro della NATO. Si tratta di un avvertimento contro la ventilata creazione di una no-fly zone che la Turchia vorrebbe imporre sulla Siria». (Russian S-400s relocated near Turkey. Hizballah shifts units, rockets into Syria)

A precipitare la decisione russa di mostrare i muscoli nucleari è probabilmente un altro dato: la previsione che Barak Obama perderà le elezioni presidenziali. Obama ha ripetutamente fatto giungere a Putin l’esortazione a pazientare, perché dopo la vittoria elettorale il presidente, all’ultimo mandato, avrebbe avuto le mani libere per una politica estera più conciliante – quale Obama ha sempre abbozzato e mai condotto a termine, verso Mosca come verso l’Iran. Adesso, i sondaggi (e probabilmente altre informazioni d’intelligence) hanno fatto capire a Putin che, da novembre, quasi certamente si troverà davanti Mitt Romney: uno che ha già definito la Russia «il nostro primo nemico strategico» (3). È come reazione a tale asserzione che le ONG americane sono state espulse dalla Russia. Le manovre atomiche ne sono una ovvia conseguenza.




1) Come noto, la Russia mantiene una parte della Flotta del Mar Nero nel porto siriano di Tartous; posizionamento indispensabile, per scongiurare che in caso di conflitto la flotta venga bloccata a Sebastopoli, nel chiuso Mar Nero, per un semplice blocco dello stretto del Bosforo da parte della Turchia. Nel giugno scorso il Dipartimento di Stato, ossia Hillary Clinton, ha falsamente gettato l’allarme secondo cui una grossa nave da sbarco russa, la Nikolay Filchenko, era diretta verso la base di Tartous carica di armamenti e di un gruppo di commandos anfibi. La notizia era falsa; i giornalisti di RIA Novosti hanno potuto constatare e documentare al mondo che la ‘Filchenko stava nel porto di Sebastopoli, persino priva di carico. Sempre il Dipartimento di Stato aveva suonato l’allarme a proposito di una spedizione di elicotteri russi da combattimento in Siria, a sostegno del dittatore Assad, smentita nel giorno stesso... al Pentagono. Come a Mosca devono essere state interpretate queste confuse falsificazioni e l’evidente conflitto tra Esteri e Difesa americani?
2) Un mese dopo, al G-20 in Messico, Obama e Putin si sono incontrati faccia a faccia in un colloquio durato due ore, a porte chiuse. S’è saputo che Obama ha cercato di convincere Putin a togliere il suo appoggio al regime siriano di Assad, senza riuscirci. Alla fine, il comunicato ufficiale sosteneva che i due leader «si sono detti d’accordo» nel volere «la cessazione della violenza» in Siria.
3) Ciò, in istruttiva coincidenza con lo sceicco Al Qaradawi che, dagli schermi di Al Jazeera, ha ululato: «La Russia è il nemico numero uno dell’Islam e dei musulmani», incitando alla rivolta dei musulmani interni. È lo stesso shayk che gridò: «Gheddafi deve essere ucciso», cosa che non dispiacque a Sarkozy. E che ha invitato i pellegrini alla Mecca a pregare «contro l’Iran» per il sostegno che dà al regime siriano. Un certo tipo di religioso sobrio e moderato, al servizio dei wahabiti miliardari dell’Arabia Saudita, satelliti degli USA, che vogliono incancrenire la «fitna» (frattura fra sunniti e sciiti) per mutarla in conflitto sanguinoso; ciò che certo non dispiace a Netanyahu. (AL-QARADAWI: “LA RUSSIA È IL NEMICO NUMERO UNO DELL’ISLAM E DEI MUSULMANI”. MA CHI SONO I LORO… “AMICI”?)


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