I dementi non eletti ci portano davvero in guerra
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Padre Paul Karam è il direttore della Caritas-Libano. Ha sulle spalle il disperato peso di fornire un minimo di aiuto a oltre 1,6 milioni di profughi scappati dai jihadisti e dai massacri dalla vicina Siria, il cui numero aumenta di giorno in giorno, coi profughi provenienti dall’Iraq. Padre Karam ha recentemente chiesto alle potenze occidentali di smettere di armare ed addestrare gli insorti della Siria. Agli europei in particolare, chiede di far cessare il flusso di cittadini di stati membri della UE che continuano a convergere in Siria per unirsi ai guerriglieri salafisti e partecipare alla cacciata delle tormentate popolazioni civili. Sono già parecchie migliaia gli europei che combattono coi salafiti, spargendo morte e distruzione e costringendo alla fuga migliaia di profughi.

Il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael I Sako, ha scritto a papa Francesco una lettera aperta in cui invita «le superpotenze» a smettere di «sostenere a livello economico e militare» i terroristi dello Stato Islamico (il preteso Califfato che ha conquistato la vallata di Ninive obbligando alla fuga le antiche comunità cristiane), per così «tagliare alla radice le fonti di violenza e di radicalizzazione».

Veramente strano: gli esponenti delle chiese orientali sanno che sono gli occidentali e le «superpotenze» in particolare, ossia cristiane, ad alimentare la guerriglia salafita islamista che li devasta. Non sembrano credere alla narrativa ufficiale secondo cui il presidente Obama, benché a malincuore, è costretto a mandare di nuovo i bombardieri in Iraq (due F-16 due) per proteggere i cristiani e gli yazidi in fuga e per scongiurare un disastro umanitario. Probabilmente ricordano quello che i nostri media, nel libero Occidente, non ci hanno mai detto: che ancora nel giugno scorso il presidente Obama ha voluto stanziare mezzo miliardo di dollari «per addestrare ed equipaggiare» gli insorgenti siriani, perseguendo così il disegno di rovesciare il regime di Assad, a dispetto che tale regime oggi appaia una luce di civiltà in confronto ai tagliagole che stanno avanzando in tutta l’area. E ciò, nonostante già fosse noto che le armi finiscono in mano ai peggiori jihadisti, senza dimenticare i grandi e moderni armamenti Made in USA e lasciati al Governo iracheno era caduti nelle mani dello Stato Islamico, che oggi ha una potenza di fuoco mai vista, e tutta americana. Sembra quasi che i jihadisti siano favoriti dai «crociati», anziché contrastati (1).

Anche Berlino contro Assad

  
L’ostinato rifiuto americano (ed europeo) di cessare la guerra contro Assad nonostante l’avanzata travolgente dello Stato Islamico, che ora minaccia anche i kurdi autonomisti (coccolati fino a ieri da Israele ed USA) non sembra spiegabile in termini razionali. Nel dicembre 2013 Michael Hayden, ex capo della CIA, riconosceva che la vittoria di Assad era l’ipotesi preferibile. Invece, ora, anche a Berlino si alzano voci che esigono un intervento militare occidentale contro il regime siriano, come quello che fu sventato da Vladimir Putin con l’offerta delle armi chimiche di Assad alla «comunità internazionale» : bisogna «stabilire una no-fly zone sulla Siria e fornire sistematicamente armi agli insorti», ha scritto una tal Petra Becker, dell’Istituto Tedesco per gli Affari Internazionali e di Sicurezza (SWP) — ed il bello è che questa richiesta è stata ospitata dal giornale dei Verdi. Del resto la stessa Becker aveva scritto la stessa cosa sul moderato Suddeutsche Zeitung agli inizi di luglio: «Non si può aggirare la necessità di un impegno militare» diretto da parte di «USA ed altri» – per intanto «o si crea una fly-zone» che impedisca all’aviazione siriana di partecipare al conflitto, oppure occorre fornire ai ribelli «missili anti-aerei portatili». Una proposta massimamente irresponsabile.

Il Ministro degli Esteri germanico, Frank-Walter Steinmeier, il febbraio scorso ha ricevuto il fantomatico presidente del preteso Governo siriano in esilio e l’ha proclamato «legittimo rappresentante del popolo siriano», proclamando simultaneamente che Assad deve essere rimosso, «assolutamente». Dopo gli indubbi successi dei «regime changes» euro-americani imposti in Libia, Egitto e Iraq, è bella questa ostinazione germanica. Ciò mentre quasi l’intera grande stampa tedesca, col pretesto dell’abbattimento dell’aereo MH17 sui cieli ucraini, s’è lanciata in simultanei, rabbiosi, insensati attacchi contro Vladimir Putin, che ricalcano sinistramente il lugubre, irrazionale entusiasmo bellicista con cui, 100 anni fa, la stampa salutava l’entrata nella Grande Guerra. Letteralmente: invocazioni di guerra tali, da evocare una sorta di insanità mentale. Suddeutsche Zeitung: «Adesso o mai più». La FAZ: «Mostrare la forza». Tagesspiegel: «Basta parole!». Der Spiegel, il primo settimanale germanico, s’è distinto in ostilità delirante e preventiva. Il 27 luglio metteva in copertina un mosaico di foto dei morti nell’aereo malaysiano con la scritta cubitale: «Stop a Putin, adesso!».

Ovviamente dando per scontato che erano stati i ribelli del Donbass ad abbattere l’aereo, e che Putin aveva dato l’ordine: «Le tracce a carico sono chiare», proclamava il magazine: «la ragnatela di menzogne, propaganda e inganni di Putin sono state messe a nudo. Il relitto del MH17 è anche il relitto di una diplomazia rovinosa», per poi finire con l’esortazione: «Basta con la viltà».

Ovviamente, centinaia di lettori hanno bersagliato di insulti il sito di Spiegel il più lieve dei quali era «guerrafondai». Il direttore del primo giornale economico, Handelsblatt, ha paragonato questo stile a «teppismo da tifoserie calcistiche», e s’è proposto di «pulire la bava alla bocca» di questi «forsennati agitatori» che sembrano diventati i direttori dei media germanici, invitando al realismo. «Non ha senso seguire come sonnambuli un Obama strategicamente sub-dotato», ha scritto , ricordando che «la tendenza americana di escalation prima verbale poi militare, isolamento, demonizzazione e aggressione dei nemici non s’è mai dimostrata efficace. L’ultima grande azione militare di successo USA è stato lo sbarco in Normandia ...».

Handelsblatt ha pubblicato il suo editoriale, rara voce ragionevole, oltre che in tedesco, in inglese e in russo, giusto per farsi capire da tutte le parti. D’altra parte, gli articoli di Spiegel sono troppo simili a simili articoli pubblicati simultaneamente da Time Magazine (Usa) ed Economist (Gran Bretagna) per non far capire che vengono dalla stessa centrale.

Secondo l’analista Dmitri Trenin del Moscow’s Carnegie Center, una filiale del pensatoio americano US Carnegie Endowment for International Peace, nell’estate 2013, quando Mosca è riuscita ad offrire la distruzione delle armi chimiche siriane sventando l’intervento armato occidentale contro Damasco, «ha riconquistato la parità diplomatica con gli Stati Uniti» che aveva perduto dal crollo dell’URSS, «benché le risorse della Russia siano una frazione di quelle dell’America». La conseguente «irritazione è montata nei circoli politici USA» ed ha condotto alla schiacciante offensiva contro Vladimir Putin – di cui l’armamento dei «ribelli» salafiti anti-siriani fa parte.

Annientare Putin

Una volontà di annientamento anche verbale, che Obama ha confermato in un’intervista all’Economist: «Il presidente ha minimizzato il ruolo di Mosca nel mondo, archiviando il presidente Putin come un leader che fa guai di breve respiro per vantaggi politici che danneggeranno la Russia nel lungo termine... Non importa. La Russia non produce niente (Russia doesn’t make anything), gli immigrati non corrono a Mosca in cerca di opportunità. L’aspettativa di vita del maschio russo è 60 anni. La sua popolazione cala»...

Sono falsità – dal 2009 la popolazione russa, crollata durante la gestione Eltsin per il «passaggio istantaneo al mercato» sperimentato dalla Scuola di Chicago, sta crescendo di nuovo, con sorpresa dei demografi: sotto la gestione Putin l’indice di fecondità è cresciuto come la speranza di vita, è calato il tasso dei suicidi e delle malattie cardiache; e sì, la gente accorre a Mosca in cerca di opportunità. Ciò che rivela Obama con queste frasi è solo ignoranza, oltre che un grossolano disprezzo e diffamazione che non ha alcun precedente nel linguaggio diplomatico, e che si situa nella campagna di annientamento che l’America ha sferrato contro Putin (rivelatore quel «La Russia non fa niente», dunque può essere cancellata). I giornalisti americani seguono il dettato fino al ridicolo: come ha raccontato la Itar-Tass, il 6 agosto il ministero degli esteri russo ha organizzato un volo per portare i corrispondenti esteri a parlare coi 400 soldati ucraini passati in Russia a chiedere asilo e cibo: dei corrispondenti americani, è andato solo quello di Bloomberg. CNN, New York Times, Washington Post si sono rifiutati di fare il servizio. Il più comico è stato il corrispondente della Reuters, che aveva dapprima accettato; poi nel tragitto per l’aeroporto ha cambiato idea e non si è imbarcato. Piuttosto che dover raccontare la verità, ossia che gli ucraini si sono salvati andando in Russia, e sono stati accolti bene dai russi. «Russia does’nt make anything», è commercialmente inesistente – e dunque ontologicamente nulla; ha osato sfidare la superpotenza avendo solo «una frazione» delle sue risorse, dunque eliminabile.

Per gli europei, dovrebbe essere diverso. La Russia ci è vicina, è un grande mercato, è il terzo produttore mondiale di petrolio e il secondo di gas, e noi dipendiamo strettamente dalle sue forniture energetiche. Si pensa che questo induca a un certo buonsenso? No; la Commissione Europea, dopo aver ordinato sanzioni gravi contro Mosca (che danneggiano noi come loro), s’è indignata perché Putin ha risposto con contro-sanzioni, un anno di sospensione nelle importazioni di alimenti e prodotti agricoli europei.

Come osa, Putin, rispondere con le sue sanzioni alle virtuose, belle e giuste sanzioni eurocratiche? La Commissione ha emessso un comunicato fremente di offesa, quasi soffocato dall’indignazione: «L’Unione Europea si duole dell’annuncio della Federazione Russa di prendere di mira l’importazione di alimenti e prodotti agricoli. È, chiaramente, una misura politicamente motivata» (e le sanzioni UE ed USA invece no? ndr) Si sottolinea che le misure restrittive assunte dall’Unione Europea sono la risposta diretta all’illegale annessione della Crimea e alla destabilizzazione dell’Ucraina (...). Ci riserviamo il diritto di adottare le azioni appropriate».

È il cruccio della virtù offesa.

Quei lecchini degli americani che abbiamo lasciato insediare a Bruxelles, mai avendoli votati, hanno adottato evidentemente i principi del neo-diritto globale americanista: ho il diritto di fare a te il danno che tu non hai il diritto di fare a me. La «comunità occidentale», con le sue sanzioni, sta tagliando fuori la Russia dai mercati internazionali, usando tutto lo strapotere delle sue mega-banche e la sua pressione sui satelliti per ottenere lo scopo. Ha attaccato le maggiori banche russe, bloccato le sue istituzioni finanziarie e linee aeree; accusa la Russia falsamente di aver abbattuto l’aereo malaysiano; appoggia militarmente il Governo di Kiev (la cui legittimità è più che dubbia) nella sanguinosa repressione armata contro i russofoni, minaccia ogni giorno l’intervento Nato a fianco di Kiev, nega ogni ragione alle posizioni russe. E appena Mosca risponde con la sospensione dell’import alimentare – un fatto senza paragone minore alla serqua di gravissime sanzioni decretate da Washington – questi si indignano. Secondo loro, Mosca deve stare ai loro piedi di burocrati come una Grecia o una Croazia. Un diplomatico euripoide ha persino dichiarato alla Itar-Tass che «l’embargo russo sui beni agricoli europei è una misura irresponsabile che farà perdere miliardi di euro agli europei e ai consumatori russi»... Sì. Invece l’insieme di sanzioni comminate, per compiacere Washington, al nostro fornitore energetico principale ed amico, non sono «misure irresponsabili».

C’è qualcosa di patologico in tanta stupidità, cecità e presunzione. Chiaramente, è ispirata da una non si sa quale demenziale spocchia, una boriosa convinzione che «la Russia deve stare al suo posto», non pretenda «di essere alla pari» con le nostre sane, belle e virtuose «democrazie» (di non eletti) . Viene in mente il detto: «a chi vuol mandare in perdizione, Dio toglie la ragione».

Davvero tremendo pensare che abbiamo ceduto sovranità, e ancor più dovremo cedere, a questa cosca di tracotanti imbecilli, servi-padroni per conto USA.

Il regime di Kiev è un regime pericolante, una coalizione fra oligarchi corrotti e neonazisti assassini, senza base popolare, che ha bisogno di una «fuga in avanti», di trascinare gli europei ad integrarlo nel loro sistema di difesa. E UE ed USA sostengono militarmente questo regime disperato, gli forniscono mercenari ed armi; di più, il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen è andato il 6 agosto a Kiev, a strillare che le truppe russe al confine ucraino sono il segno di un’invasione imminente, e che l’alleanza atlantica sicuramente interverrà a fianco del regime… insomma istigano ed eccitano gli istinti di quei disperati, consci che possono avere un futuro solo se scoppia la guerra. Ecco il risultato:

«L’Ucraina farà la bomba atomica»

Almeno, questa è l’aspirazione del partito estremista Svoboda, che ha presentato un disegno di legge per «sviluppare con urgenza un programma statale di rinnovo dello status di potenza nucleare per l’Ucraina e d’iniziare a lavorare sullo sviluppo di armi nucleari». Ovviamente, è un delirio. Ma incontra altri deliranti a Bruxelles e a Washington . Dimitri Yarosh, leader del Pravi Sektor, ha incitato i suoi militanti a far esplodere centrali nucleari in Ucraina, ed effettivamente questi dementi hanno cercato d’impossessarsi della centrale nucleare di Rivne, situata a 100 chilometri dal confine con la Polonia.

Si vorrebbe sperare che in Occidente, questi forsennati trovassero dei moderatori, dei ragionevoli. È il contrario: elementi dell’esercito USA hanno compiuto misteriosi «lavori» nella centrale nucleare di Zaporozhye – da far temere la preparazione di un qualche false flag con materiali nucleari. E ciò, nei giorni stessi in cui il «governo» ucraino è spaccato da una guerriglia fra componenti del putsch: la polizia del sindaco di Kiev (Klitsko, il favorito dai tedeschi) e del presidente Poroscenko hanno mandato la polizia a smontare le barricate e le tende degli occupanti permanenti di piazza Maidan, stipendiati a 400 euro al mese dal Dipartimento di Stato: la polizia è stata respinta, si sono riviste le scene dello scorso inverno, lanci di molotov, abbruciamenti di pneumatici, , ma stavolta contro il «governo» uscito dalla «rivoluzione». Si ricordi che il partito neonazi Svoboda è uscito dal «governo», dove aveva nientemeno che il «ministero della difesa», mettendolo in crisi. Il capo del «battaglione Aidar», un reparto paramilitare di 400 neonazisti mandati a combattere contro il Donbass ( dove s’è macchiato di omicidi di civili, fra cui due giornalisti russi) ha dichiarato alla stampa: «Oggi l’Ucraina ha un nemico esterno. Dei nemici interni ci occuperemo dopo».

Questo è il solido Governo filo-occidentale e «democratico» a cui i nostri eurocrati tengono bordone. E che cosa si propone questo Governo a cui l’Europa dà corda?

Bloccare il transito del gas russo…

…quello che la Russia manda all’Europa, e in particolare all’Italia. Il Primo Ministro Arseni Yatsenyuk l’ha annunciato nel quadro delle sanzioni che Kiev, ad imitazione degli USA ed EU, ha elevato contro Mosca: una lista di 172 cittadini russi e 65 aziende da colpire con ritorsioni e sequestri di beni, divieto di sorvolo di aerei di linea, e appunto, il blocco del gas che la Russia manda all’Europa meridionale attraverso il territorio ucraino, al ritmo di 175 milioni di metri cubi al giorno (il resto, 95 milioni/giorno, passa nel Nord Stream in fondo al Baltico, ad alimentare la Germania).

Lo stesso Yatsenyuk, da demente, ha valutato in 7 miliardi di dollari il danno che le sanzioni da lui ordinate infliggeranno non a Mosca, ma alla sua stessa, fallita, disperata economia ucraina. Ed ha detto che userà parte del prestito del Fondo Monetario, 17 miliardi, per «conseguire l’indipendenza energetica da Mosca»: chiaramente, qualche altra potente centrale di dementi occidentali gli deve aver promesso di coprire le perdite e scongiurargli il suicidio economico prodotto dalle sue azioni anti-russe. La stessa centrale di dementi occidentalisti sta facendo irresistibili pressioni sulla Bulgaria, da cui passa il SouthStream, canale alternativo per farci giungere il gas: cari italiani, se questo inverno tremerete, sapete chi ringraziare? No. Vi diranno che è colpa di Putin.

I russi, sondati dalla Gallup, la pensano diversamente: la loro fiducia ed approvazione alle azioni nel capo è salita all’83%, un aumento di 29 punti rispetto al tempo delle Olimpiadi di Soci. Insomma, il popolo russo ha capito che l’Occidente gli ha sferrato la guerra, e fa quadrato.

Interessante quel che ha detto un consigliere di Putin, Sergei Glaziev – consigliere per l’integrazione è il suo titolo – a Bloomberg: «Il senso di questa serie di guerre regionali organizzate dagli americani, specie la catastrofe odierna in Ucraina, riguarda la necessità USA di assicurarsi il controllo di tutto il nord Eurasia, per rafforzare le sue posizioni contro la Cina».

E dunque, «il compito numero uno per noi è bloccare le minacce alla sicurezza economica che arrivano dagli USA, neutralizzarle riducendo la dipendenza della nostra attività economica estera dalla mercé dei politici americani, la cui aggressività minaccia oggi l’intero mondo». Per difendersi, la Russia diversificherà le sue riserve monetarie (le quinte al mondo): meno dollari e «più yuan, più rupie, più real brasiliani. Se un Paese aspira per la sua valuta allo status di moneta di riserva per la sua valuta, deve comportarsi bene, e non è il caso oggi».

Delle sanzioni imposte dagli americani, ha detto Glaziev, «la UE pagherà il prezzo più salato. Il blocco commerciale europeo perderà 1300 miliardi di euro, una stima che comprende il possibile fallimento di diverse banche e aziende europee dopo il taglio dei legami con noi. Una crisi energetica in Europa porterà un netto aumento di prezzi e perdita di competitività per i produttori europei. Mentre i turchi, i cinesi e le nazioni dell’Est-Asia riempiranno il vuoto lasciato dagli europei nel mercato russo. Per la sola Germania il costo del contraccolpo sarà di 250 miliardi di euro; per i tre Stati baltici sarà una catastrofe: Lettonia e Lituania perderanno l’intero loro prodotto economico, l’Estonia il 50% del suo Pil...».

Glaziev ha anche detto che «La Russia non può fare da sola», e sta cercando di mettere insieme «una coalizione anti-guerra per tenere a bada l’aggressore».

L’aggressore. Anti-guerra. Finalmente, non la solita demenza.




1) Ovviamente, tutto il terrore scatenato dal Califfato contro i cristiani di Siria ed Iraq serve a creare le basi per lo «scontro di civiltà», e trascinare l’Occidente «giudaico-cristiano» (soprattutto giudaico) nello scontro «religioso» contro l’Islam. Israele non può tollerare l’esistenza di Stati come la Siria (o il Libano), modelli di pluralismo religioso e convivenza storica tra fedi diverse, e deve ridurli a disintegrati stati settari, feroci con le minoranze – come è Israele stesso. (Cancellare i Cristiani da Siria ed Iraq: prerequisito per uno scontro di Civiltà)




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