Lo Stato anti-educatore
Stampa
  Text size
Diciamolo: il NO degli svizzeri all’immigrazione è un’ottima notizia. Si sono ripresi la sovranità nazionale. È una vittoria democrazia diretta, e un bel segno della libertà di spirito di un popolo. Tutti i poteri più o meno forti, partiti, sindacati imprenditori avevano consigliato agli svizzeri di bocciare il referendum; gli svizzeri non hanno ascoltato nemmeno le convenienze economiche (o economiciste), ultima istanza indiscutibile per gli Stati post-moderni, e per i «mercati» di cui sono servi sciocchi. Esser padroni a casa propria, vale più del profitto: inaudito.

Soprattutto, gli svizzeri hanno mostrato il coraggio di emanciparsi dalla gabbia del «politicamente corretto»: non hanno avuto paura di farsi bollare da «xenofobi», di egoisti retrivi e «razzisti», e di mandare all’aria un trattato imposto dalla Unione Europea che non metteva limiti all’immigrazione.

Per gli svizzeri non è la prima volta che sfidano le gabbie dei tabù perbene. Per gli altri europei, speriamo sia un’ispirazione alle prossime elezioni europee, per esprimere con coraggio il «populismo» e la «xenofobia» che l’eurocrazia demonizza e di cui ha paura. «La Svizzera non può scegliere ciò che le piace», aveva appena detto la boriosa e insolente Viviane Reding, la Commissaria al Mercato Interno: se conosco un po’ gli svizzeri, questa altezzosa insolenza può avere avuto un ruolo nel far tracollare la bilancia al referendum. Adesso, il presidente della Commissione Barroso non può che ringhiare: «Ci saranno conseguenze», minacciando sanzioni, embargo, contromisure, magari un «trattamento-Putin». Bruxelles si straccia le vesti: «Il referendum svizzero va contro il principio del libero movimento di persone», uno dei dogmi fondamentali del mondialismo. Ebbene sì. Come commenta sarcastico Zero Hedge, il referendum «va anche contro il principio europeo di ignorare ciò che vuole il popolo, perché nelle nazioni insolventi, controllate dai banchieri e a pianificazione centrale della Europa, solo un gruppetto di burocrati non eletti sanno che cosa è bene per tutti».

C’è in questa nota una verità più profonda. Gli svizzeri sogliono esser derisi dai «furbi» italiani per la loro presunta limitatezza, piccineria, attaccamento al guadagno, omertà coi loro banchieri, gli gnomi di Zurigo. Ovviamente, i furbi italiani non riescono a cogliere quella che è – invece – la fredda, dura, inflessibile molla che fa il nerbo dell’elvetico. Solo chi abbia letto il maggior scrittore nazionale, Friedrich Durrenmat, ne può avere un’idea: è una algebrica, tagliente ossessione per la giustizia (1).

Non si tratta di giustizia nel senso oggi corrente, ossia delle leggi approvate a maggioranza, di «diritto» positivo, creato ad hoc, o di potere dei tribunali. Si tratta di quella che si chiama «assiologia»: qualunque sia la realtà «di fatto», i «valori» egemoni e correnti, se essi contraddicono una certa gerarchia fissa di valori – quella che è «iscritta nel cuore umano» – lo svizzero, in un modo o nell’altro, si metterà contro «i fatti», e militerà – anche con le armi – per l’assiologia. Cercherà di raddrizzare l’Ordine Giusto. O almeno, non berrà l’ingiusto senza voltastomaco.

Ora, è fin troppo evidente che l’obbligo eurocratico-mondialista di «libera circolazione di uomini» (e merci e capitali), senza alcun limite né «discriminazione» (la parola stessa è demonizzata), senza che il popolo-ospite possa dire alcunché, è sentito come contrario all’Ordine Giusto. Come tale, è parte di quella gigantesca imposizione di «valori invertiti», nichilisti, che è propria delle «libertà» obbligatorie promesse del capitalismo terminale, transumano ed anti-umano. La politica di promozione come «normale» dell’omosessualità, del trans e del pedofilo, sono parte plateale di una strategia dei poteri forti transnazionali per imporre il consumatore-standard, senza identità, né morale né decenza personale, in cui – cancellata nel suo cuore ameboide il senso dell’Ordine – non ponga più alcun ostacolo al suo sfruttamento totale da parte del Profitto. Su questo processo e quali banche d’affari lo promuovano, gli amici Perucchietti e Marletta hanno dato una documentazione definitiva nel loro ultimo saggio «Unisex – la creazione dell’uomo ‘senza identità’».

Altri popoli si piegano, o godono di questo rovesciamento, che gli viene gabellato come «progresso», liberazione (dai tabù), modernità. Gli svizzeri, molto meno. Ci resta una flebile speranza: hanno detto Stop agli immigrati, magari sapranno dire Stop agli invertiti.

Perché noi italiani, a forza di dire o di tacere (che significa consentire), ci siamo messi sopra il collo uno Stato sempre più apertamente criminale, che per arraffare i soldi dalle nostre tasche onde pagare le molteplici Caste dei ricchi pubblici, non esita a rovinare il popolo fin dalle radici, ad avvelenarne il cuore. Esagero?

Lo Stato biscazziere


Quale altro Stato al mondo – anche il peggiore – ha sparso nel suo territorio 400 mila slot machines? Il gioco d’azzardo è vietato dovunque, salvo deroghe particolari: La Vegas perché è in mezzo a un deserto, eccetera. Solo in Italia le «deroghe» sono diventate la regola.

Il giro d’affari è sugli 87 miliardi, gli addetti a questo business sono 120 mila, è la terza «industria» del Paese. Un’industria del male, che ha già rovinato la vita e le sostanze di 800 mila italioti-amebe che, educati dall’infanzia ad obbedire ai loro impulsi primari, non hanno la forza di carattere per resistere a questa tossicodipendenza. Questa industria sterile vale il 4% del Pil, e non produce che devastazione umana e sociale. La spesa pro-capite è di 1260 euro l’anno, siamo i primi in Europa per il dilapidare in azzardo: ecco un primato finalmente.

Ma lo Stato ci guadagna. O piuttosto, contava di guadagnarci e manco ci riesce per inefficienza e corruzione: da quei quasi 90 miliardi ne estrae appena 8. Cosa volete che sia, un paio di «aiuti» a un Montepaschi, e sono evaporati. Per di più, ci rimette i costi sociali del vizio, 5-6 miliardi l’anno per «curare» i malati, le amebe morali divenute dipendenti.

Più dello Stato diseducatore, ci guadagna la malavita, i 40 clan mafiosi inseriti nell’affare vi estraggono15 miliardi l’anno; e mica hanno abbandonato il business delle bische clandestine, che vale un’altra decina di miliardi. Sono tutti finanziamenti che noi italiani «onesti» facciamo loro; forniamo loro capitali immensi che i delinquenti «devono» poi investire in altre imprese criminali.

E molti soldi con cui pagano i nostri cosiddetti politici. Come si ricorderà, vaghi tentativi parlamentari di frenare questo scandalo, limitando le licenze date dovunque e a chiunque, sono stati bocciati da complici insediati nel parlamento stesso su ordine dei Monopoli di Stato: lo Stato ha bisogno di quel cespite, scherziamo? Non ci può rinunciare, mica può ridurre gli sprechi. La contro-legge ha mirato a «punire» i comuni che, a contatto con la rovina delle classi sociali provocata dal gioco, hanno tentato di limitare la presenza delle macchinette sul loro territorio. Ciò significa né più né meno che questo: la complicità operante del potere pubblico con la delinquenza organizzata; uniti insieme a fare danno ai cittadini. Senza nemmeno un po’ di vergogna. Incallito criminale, lo Stato «di diritto» (Italia d'azzardo)

Lo Stato narcotrafficante

È il prossimo passo. Luigi Manconi, senatore del Pd e convivente della Berlinguera (Telekabul), ha depositato un disegno di legge per depenalizzare la coltivazione e la cessione di cannabis e affini. Esultanza delle sinistre «intelligenti»: spinello libero, finalmente! L’Espresso di De Benedetti, spiega che, oltretutto, «legalizzare conviene – lo Stato potrebbe incassare dalla legalizzazione fino a 8 miliardi di euro e risparmiare somme enormi investite per la repressione del fenomeno». Il Manifesto è ancora più contento: «La Corte costituzionale il pros¬simo 11 febbraio potrebbe rendere la legge sulle droghe Fini-Giovanardi solo un incubo del passato», a dà notizia di «uno studio di Palazzo Chigi» che ha fatto il conto di quanto ci guadagnerebbe lo Stato mettendo in vendita col bollo la droga: cifre enormi. Basta questo per drogare i milioni di italiani, amebe morali, i quali non aspettano altro che ciò sia permesso dalla Legge... sorvolando su «gli studi scientifici», dice L’Espresso, comprovanti «gli effetti negativi a lungo termine» fra chi comincia a farsi da giovane «la sostanza aumenta la probabilità di sviluppare depressione o sintomi psicotici, come la schizofrenia e il disturbo bipolare. Mentre altre ricerche evidenziano problemi per la memoria e un rapporto stretto tra l’uso di droghe leggere e quello di sostanze pesanti». (Cannabis: la porta verso altre droghe)

Ma i parlamentari sono d’accordo, lo è anche un leghista, tale Fava. Onore a Salvini, segretario Lega, il quale ha detto: «Se la Lega accetterà di legalizzare una cosa, sarà la prostituzione». Non a caso è un varesotto, vicino alla Svizzera: non si capisce in quale ipocrita morale e falsa assiologia lo stato delinquenziale, mentre legalizza le droghe, non debba legalizzare la prostituzione. (I politici che vogliono legalizzare la cannabis in Italia)

Lo Stato faccia infine il gran passo, faccia anche lo Stato-mezzano ed estragga la sua parte come lenone. Perché non sfruttare le donne? Dopotutto, già sfrutta e pela i cittadini con le due attività sopra riportate, provocandone il vizio, rovinandone la salute e le famiglie.

M’è già capitato di enunciare il motivo profondo per cui lo Stato post-moderno ci usa così. Ci sta dicendo: non ci servite più come lavoratori, men che meno come soldati, né le donne come fattrici di figli alla patria. Siete diventati inutili, quindi non ci interessa tenervi forti, sani, educati, istruiti: fatevi pure di marijuana, debosciatevi a sazietà con le macchinette mangiasoldi, degenerate quanto vi pare diventando terzo, quarto quinto sesso; concupite i bambini (2); ormai, siete «liberi». Basta che lasciate qui i quattrini.

Lo Stato schiavista

Come mi ha fatto notare un lettore, il fisco italiano ha inventato l’ultima taglia sui cittadini. Chi, disperando, decide di trasferirsi all’estero cambiando residenza fiscale, per salvare l’azienda dalla corruzione, inefficienza pubbliche , dai costi di elettricità più alti d’Europa, dalle tasse strangolatrici, dalla burocrazia idiota e dalla magistratura dispotico-ottomana, ha l’obbligo di lasciare un riscatto: come per chi è vittima di sequestro di persona, per tornare libero. Il riscatto, la taglia, chiama «exit tax». (Agenzia delle Entrate)

A tutta prima, mi sono detto: è il modo in cui il Terzo Reich trattava gli ebrei che volevano emigrare, un segno inequivocabile di disprezzo per la razza inferiore... Devo correggermi. I rapporti fra nazismo e sionismo furono più che cordiali («Anche noi siamo contro il matrimonio misto e per la purezza del gruppo ebraico», diceva un loro memorandum al regime appena insediato, giugno 1933), e cordialmente il nazismo agevolò l’emigrazione sionista. Sì, l’ebreo tedesco che emigrava in Palestina doveva lasciare una parte dei suoi beni in Germania – laddove li aveva lucrati – ma un’altra parte dei suoi capitali poteva portarli con sé. Sotto questa forma: i fondi erano depositati in un fondo speciale tedesco, e «utilizzati per comprare materiali da costruzione, attrezzi agricoli, fertilizzanti ed altri beni di fabbricazione tedesca, che venivano esportato in Palestina. (...) Il ricavato di queste vendite veniva consegnato all’emigrante ebreo una volta arrivato in Palestina per un ammontare corrispondente al deposito fatto in Germania» (3). Un patto onesto, alla pari, non una spoliazione.

Se ne deduce che il nostro Stato ci considera e tratta peggio di quanto gli ebrei furono trattati allora. La exit tax, la taglia d’uscita, evoca piuttosto il mancipium, la taglia con cui gli schiavi, a Roma, potevano comprare la loro libertà diventando liberti. Che siamo in regime di schiavitù, non lo scopriamo adesso… però siete liberi di fumare canapa, rovinarvi con le macchinette, inchiappettarvi quanto volete. E la maggior parte degli italiani, crede davvero di avere più libertà, di entrare finalmente nella modernità progressista.

Lo Stato baro


Siete «liberi»? Ma da alcuni anni vivete sotto un colpo di Stato dov’è il presidente della Repubblica a fare e disfare i governi – cosa che non si trova scritta nella Costituzione più bella del mondo – e adesso, i farabutti di governo e di Camere si mettono d’accordo per un sistema elettorale cucinato da loro, e fatto apposta per cercare di escludere dalle elezioni qualunque terzo incomodo. Qui non ho che da citare le parole di Enrico Galoppini:

«Che gioco è mai quello in cui cambiano le regole di continuo e a seconda dei partecipanti? Cambiate da alcuni, preventivamente, in combutta, per svantaggiarne altri ai quali, però, così come ai loro sostenitori, si assicura che tutto quanto è, per l’appunto, «regolare (...) Qualsiasi competizione, ogni gioco, deve avere delle regole certe e stabili, altrimenti ne usciranno risultati falsati, che non rispecchiano le potenzialità di ciascun partecipante.

Immaginiamo il caos che si creerebbe se, prima dell’inizio di ogni olimpiade eccetera, si dovesse riunire un ente per riscrivere daccapo le regole! Parecchi atleti, intere squadre, si troverebbero a dover praticamente rinunciare all’idea di competere, e qualora non lo facessero parteciperebbero per esprimere una pura testimonianza, consapevoli – sia loro che le relative tifoserie – che il vincitore, cioè quello che si era fatto fare le regole apposta per sé, ha truffato fin dall’inizio.

Che cosa sono allora delle «elezioni» che puntualmente, prima di essere indette, hanno bisogno di una «nuova» legge elettorale? Sono per l’appunto un’ipocrita truffa. Una truffa cercata metodicamente, con tutti gli artifici, i sofismi e i raggiri di cui sono capaci quei politici che sono stati messi lì col preciso scopo di occupare uno spazio che non deve finire in mano ad altri «pericolosi».

Che soppesano in ogni modo, col bilancino di precisione, la questione del «doppio turno» coi suoi pro e contro, il tipo di preferenze che sarà concesso di esprimere all’elettore, i vantaggi o meno di un «premio di maggioranza», lo «sbarramento» sotto una certa percentuale di voti, e via gabellando questo mercimonio per il momento più «sacro» della vita delle moderne democrazie».

Ultimo dato. Sto facendo qualche ripetizione ad un ragazzino delle medie, sicché vedo la sua antologia – consigliata ovviamente dalle professoresse. La volta scorsa doveva legge un racconto intitolato «La tortura della speranza». Orripilante narrazione de crimini dei Domenicani, che «nelle segrete di Saragozza» detengono «prigioniero Rabbi Aser Abarbanel, ebreo aragonese, sottomesso per no voler abiurare , alla tortura da oltre un anno». Ho dovuto spiegare al ragazzi che quello era, semplicemente, un falso storico. L’Inquisizione non torturava gli ebrei per convertirli (al contrario: inquisiva i falsi convertiti), non torturava nessuno ogni giorno «per oltre un anno», non li teneva in «un giaciglio di letame» con «un anello di ferro al collo» com’era scritto lì. Gli ho dovuto spiegare che quella è vecchia e vieta propaganda anti-cattolica.

Ma chi è l’autore che gli estensori della antologia confezionata da «esperti insegnanti» per la scuole italiane hanno ritenuto degno di apparire in tanto libro di testo, che dovrebbe insegnare la nostra lingua? Era un racconto inventato da Villiers de l’Isle Adam: uno scrittore di quart’ordine della letteratura francese (1833-1889: basti dire che fu contemporaneo di Baudelaire, di Flaubert, di Dumas), il cui unico titolo di merito per i nostri professori era che fu un comunardo, partecipò alle insurrezioni di Parigi nel 1870-71, era ateo, progressista ed ottusamente anti-cattolico, come dimostra il falso storico (che tra l’altro scopiazza i Racconti del Terrore di Edgar Allan Poe).

Questi sono i modelli che il professorame dello Stato delinquente, anti-educativo, lenone e baro, offre a ragazzini dodicenni. Riempiendoli di panzane di propaganda, ed odi militanti da attivisti di centri sociali.




1) Ai lettori che sicuramente protesteranno esprimendo la loro pancia anti-elvetica: me ne infischio della vostra opinione, non ne avete diritto. Leggete Durrenmat: almeno «La Panne», «La promessa», e «Il giudice e il suo boia».
2) Sui «grandi giornali» di lunedì 10 febbraio, appariva in grande evidenza il dato di «un sondaggio fra mille persone», di cui il Corriere dava notizia così: per un italiano su tre è accettabile il sesso tra adulti ed adolescenti. Lo scopo promozionale è evidente. Come fa’ notare Il Fatto Quotidiano (ed è tutto dire) la cosiddetta indagine và letta al contrario: dice che due italiani su 3, quasi il 70%, sono contrari al sesso fra adulti e ragazzi. Insomma sono «omofobi» e ostili al «man-boy love»...
3) Andrea Giacobazzi, «Anche se non sembra», Edizioni Radio Spada, pagina 43. «The Zionist Federation of Germany adresses the new German State», in Zwei Welten, Tel Aviv 1962. L. Brenner, «51 documents, Zionist collaboration with the Nazis», Barricade Books, 2002.




L'associazione culturale editoriale EFFEDIEFFE, diffida dal copiare su altri siti, blog, forum e mailing list i suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il copyright.