Lotta al contante: dove porta
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Il governo della Corea del Sud ha deciso la «lotta all’uso del contante» nel 1997: erano gli anni della crisi finanziaria asiatica, e la promozione dell’uso di carte di credito aveva lo scopo primario di aumentare i consumi, favorendo gli acquisti a debito; impresa non facile in un popolo, reso sparagnino dalla recente miseria, che risparmiava ogni won. Certo, c’era anche la volontà di ridurre i pagamenti in contanti, più difficili da scoprire per il fisco, ma era inteso come vantaggio collaterale.

E come fece Seul a indurre i suoi cittadini ad usare la plastica invece delle banconote? Qui si nota la differente «cultura di stato» rispetto a Roma. Da noi, la sinistra apertamente (e la destra sotto sotto) vuol vietare per legge le transazioni sotto una certa cifra: sotto i 500 – anzi sotto i 100 euro, secondo gli ideologi più puri – un pagamento in contanti va punito per legge. Per adesso, chi paga in contanti oltre i 999 euro e 99 cents, è passibile di multa «minimo da tremila euro». La Gabanelli, l’ideologa di questa sinistra, ha proposto addirittura una tassa punitiva su ogni prelievo di contanti (il che avrebbe l’effetto contrario a quello sperato: tutti sarebbero incentivati a tenere più contante a casa). Comunque sia, questi non pensano che a leggi ferocemente punitive, e multe draconiane. Secondo il principio filosofico che domina il nostro settore pubblico parassitario e il suo partito di riferimento (il Pd): il cittadino va represso. Deve essere guidato esclusivamente terrorizzandolo coi rigori della Legge: più galera per tutti! Morte all’Evasore!

E la Corea del Sud? Il governo ricompensò con agevolazioni fiscali chi usava la carta di credito anziché il contante; anzi, ogni volta che «strisciava» la sua plastica, il cittadino partecipava ad una lotteria tipo Gratta e Vinci.

Due culture pubbliche opposte, decisamente. E chiunque può constatare gli esiti opposti che le due filosofie ottengono. Confrontando, per esempio, il numero e la qualità di multinazionali di rinomanza mondiale che la Corea possiede , e il numero di quelle italiane.

Ma torniamo al tema. Così incoraggiati dal governo, i coreani hanno preso ad usare con entusiasmo carte di credito, ampiamente emesse da banche ed aziende di ogni genere (la più prestigiosa si chiama Hyundai Card, e sono solo 2 mila i privilegiati che possono estrarre dal portafoglio «la Nera» – tale è il colore – palesandosi così immediatamente come veri VIP).

Un successone? Così così. La crescita dell’uso della plastica, e ancor più la fiducia in questo mezzo di pagamento, fu gravemente scossa nel 2003 da catene di fallimenti di enti emettitori, e da ondate di frodi e falsificazioni. E se ciò è avvenuto nella limpida e ben governata, autoritaria Corea, figuratevi cosa può accadere in Italia.

Acqua passata a Seul. Perché le pronte punizioni giudiziarie dei truffatori (si chiama «certezza del diritto», non so se sapete..) ed altre misure hanno riportato in auge le carte di credito. I negozianti sono obbligati ad accettarle in pagamento per quanto piccolo sia il prezzo della transazione; il fabbricante di tofu casalingo e il macellaio hanno l’apparecchio apposito, ovviamente wi-fi (la Corea è il Paese più elettronico della storia). Le aziende e banche emettitrici della carte di credito attraggono i clienti con continue promozioni e promettendo (e poi mantenendo) una quantità di vantaggi.

Risultato, ogni sud-coreano ha nel portafoglio una quantità di plastiche dei più vari colori: qualunque operaio o membro delle classi lavoratrici, per dire, ne ha fra 4 e 5. E le usa a manetta: il coreano ha superato anche gli americani nell’uso della plastica per i pagamenti. Nel 2011, secondo l’agenzia di stampa Yon-hap, ogni coreano ha fatto con la card 129,7 transazioni… quasi il doppio dell’americano (che ne ha fatte 77,9) e molto più dello spenditore che più usa la carte di credito nel mondo occidentale, il canadese (89,6).

Che ve ne pare? 130 acquisti l’anno con carta di credito, benché sia un numero spropositato nel suo genere, è pur sempre piccolissimo: le compravendite che ogni persona opera in un anno sono sicuramente molto, molto più numerose. Da ciò mi pare di poter dedurre che anche i coreani, entusiasti della plastica, usano parecchio il contante; e che dunque l’imposizione voluta dai nostri Torquemada per renderci «tracciabili» ossia visibili ad Equitalia, è – come quasi tutte le cosiddette «idee» della sinistra manettara – inefficace, oltreché odiosa. Imporre limiti bassi al contante non serve allo scopo preteso, ossia «caccia all’evasore». È un atto persecutorio gratuito, espressione della pura volontà liberticida: la sinistra continua a intendere il governare esclusivamente come la distruzione del «nemico di classe» – qualunque cosa voglia dire nel mondo d’oggi.

Anche in Corea, i vincenti della lotta al contante sono le banche e gli enti emettitori della plastica che per anni – per l’esattezza fino al 2008 – hanno estratto più del 5% dalle transazioni. Però il profitto è ultimamente calato: oggi è al 2,5% in media (profitti dimezzati), e la prestigiosa e carissima Hyundai Card rende solo il 2% al conglomerato (chaebol) Hyundai. Nel settembre scorso, inoltre, il valore medio degli acquisti con credit cards è calato di un altro 1,7%.

A limare i grassi profitti è la severa regolamentazione che il governo ha imposto agli emettitori (un concetto ignoto ai politici italiani: si chiama «governare»). Esempio: nel 2012, il governo di Seul ha vietato agli emettitori di imporre le spese più alte ai negozianti e alle botteghe più piccole, taglieggiandoli. Con apposite leggi, ha inoltre reso più facile ai clienti comparare i costi reali – ossia il vero peso degli interessi sul debito contratto – con le diverse card; ha reso più difficile per i cittadini con poco rilievo economico di indebitarsi oltre i loro mezzi. Inoltre, ha passato le agevolazioni fiscali con cui nel 1998 aveva lanciato la plastica, dalle carte di credito alle «carte di debito», ossia ai normali bancomat – dove il prelievo avviene da un conto corrente capiente, non a debito. Nel 2010, il valore dei pagamenti con Bancomat era l’11% del valore degli acquisti con carte di credito; oggi ha superato il 15%.

Siamo qui di fronte a uno strano fenomeno del tutto sconosciuto a noi italiani: si chiama, se ben ricordo, «legiferare nell’interesse generale» (1). È evidente che il governo oggi mira a diminuire l’uso delle carte di credito e ci sta riuscendo. Per questo relativo tramonto molto hanno fatto, senza volere, anche gli enti emettitori: hanno creato carte per speciali categorie di consumatori – chi mangia sempre fuori, gli appassionati di auto, i fanatici dello shopping – ma così facendo, si son dati la zappa sui piedi: «La gente ha cinque carte di credito ma ne usa solo una o due», dice Kim Jung-in, un dirigente della Hyundai Card.

Non c’è da temere che l’esperienza coreana faccia riflettere i militanti della «lotta al contante»: essa è un corollario ideologico dell’ideologica «caccia all’evasione», e quest’ultima serve alla casta parassitaria pubblica – ed al suo partito, il blocco delle sinistre – come risposta illusoria alle misure che non vuole prendere: «caccia all’evasore» invece della caccia al parassita, «lotta al contante» al posto della lotta agli sprechi e malversazioni.

Si tratta della loro lotta di classe: mantenersi i loro emolumenti e stipendi, con tanta più ferocia persecutoria determinazione ad estrarre i soldi dalle tasche di contribuenti e produttori, quanto più sentono che la torta si restringe: di quella torta sempre più piccola, loro continuano a volere la fetta invariabilmente grossa. Non si creda che il Parassita pubblico accetti il limite della realtà: già oggi estrae tributi su profitti che il contribuente non ha realizzati, su guadagni mancati. Si arriverà alla situazione della Grecia, dove è stata introdotta «una tassa che ti stacca l’energia elettrica se non paghi la patrimoniale sulla casa, e per farlo ti devi indebitare con le banche , dove il parlamento sta discutendo una legge che prevede il carcere per i cittadini che violassero i regolamenti dell’Unione Europea, dove recentemente è stata approvata una legge che PROIBISCE di accendere un fuoco (tutto vero) per scaldarsi, pratica che ammorba l’aria di Atene ogni anno a causa delle centinaia di migliaia di famiglie che non hanno i soldi per il gas o per l’olio da riscaldamento». (Greek gov’t to ban operation of fireplaces e wood burning stoves and fine wrongdoers)

Tanto più che presto, l’ideologia della «lotta al contante» potrà contare su avanzamenti tecnologici di ausilio alla volontà persecutrice e di dominio assoluto sulla libertà privata. Leggo il titolo:

Motorola brevetta il tatuaggio elettronico che comunica con lo smartphone

Si tratta di un tatuaggio che vi inserirà sottopelle un circuito elettronico, il quale sarà in grado di «comunicare con uno smartphone». Concepito come sostituto del microfono del cellulare (se viene posizionato sul collo, il tatuaggio consente di parlare senza avvicinare il cellulare alla bocca), può benissimo servire per caricare e scaricare moneta (elettronica) dal nostro conto a quello del negoziante munito dell’apposito apparecchio; e naturalmente, ci rende tracciabili da Equitalia e dal Persecutore collettivo in ogni momento e spostamento della nostra vita.

Inutile ricordare che è qualcosa di molto vicino al «segno della Bestia» del passo più letto dell’Apocalisse. Che è sempre istruttivo ripetere: «Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome» (Apocalisse 13:16-18)




1) La dizione completa sarebbe «Legiferare nell’interesse generale e in base ad un progetto complessivo, anziché distribuire il denaro dei cittadini ad amici, complici, portatori d’interesse privati che su fingono pubblici, e gruppi privilegiati in quanti hanno accesso al potere ed ai governanti, al contrario della maggioranza dei cittadini».



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