La Bestia da affamare è il parlamento. Ma come?
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Volevo scrivere di spiritualità a consolazione delle anime nostre, ma non ci riesco. Ho ascoltato Oscar Giannino che a Radio 24 parlava dello scandalo - della rapina - che i partiti commettono da anni contro noi contribuenti. Rapina legale, alla voce Rimborsi Elettorali, sancita da varie leggi (da loro votate in massa).

In breve, dal 1994 ad oggi, i partiti si sono dati da sette a dieci volte più di quanto hanno realmente speso per spese di votazione. Sui 579 di spese (più o meno) reali sostenute, si sono regalati 2 miliardi e 250 milioni di euro. A spese di noi contribuenti.




Come vedete nella tabella qui sopra, riferita ai rimborsi per le sole elezioni del 2008, ci sono tutti, anche i partiti moralizzatori, i partiti che lottano per la legalità con la più forsennata sicumera. La Lega s’è presa 14 volte di più di quanto realmente speso e accertato dalla Corte dei Conti. Il PD, circa il decuplo. L’Italia dei Valori (cosiddetta), ossia Di Pietro, il sestuplo. Il Pdl il quadruplo. L’UDC, una volta e mezza Persino La Destra di Storace, il triplo. Anzi, persino l’Udeur di Mastella che non è nella tabella perchè non esiste più, continua a prendere i rimborsi elettorali sovra-dimensionati per le votazioni del 2006, e continuerà a prenderli fino al 2011, perchè, con la Legge 5122/2006, «lerogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva». Basta che una formazione politica abbia preso l’1% in qualche elezione, e riceve il contributo moltiplicato per due, per 6 o per 14. I rimborsi elettorali si cumulano da una votazione all’altra, e in caso di elezioni anticipate, non è che i partiti debbano farcela con i milioni di euro già presi per cinque anni; riparte un nuovo contributo quinquennale. Se come sembra i governo cadrà e si andrà di nuovo alle urne, noi italiani dovremo pagare i partiti per ben tre legislature parziali, 2006, 2008, 2010.

Dove finiscano i soldi in sovrappiù, e per esempio quelli dati a Mastella e al suo partito inesistente, è un mistero fiscale, perchè i partiti sono evasori fiscali totali, essendosi dati il diritto legale di non esibire rendiconto alcuno del denaro pubblico che divorano. Il mistero però è chiarito da un qualunque talk-show televisivo: i soldi in più servono all’arricchimento dei caporioni e alla lotta di potere quale la vediamo. I caporioni sopravvivono sempre, anche se l’elettorato non li vuole più - se ne sono dati i mezzi - e compaiono eternamente nei talk-show. Se Gianfranco Fini può operare la sua rivolta di palazzo contro il Salame, è perchè ha dei tesoretti miliardari da parte, scatole nere su cui nessuno può vedere. E se poi si va alle elezioni anticipate da lui provocate, anche se perde politicamente, avrà comunque rimborsi quadrupli o decupli per i prossimi cinque anni: potrà dunque sopravvivere ed apparire e tramare a suo agio. Ma questo vale anche per Casini, per Veltroni e D’Alema, come per la Trota ereditaria.

Rimando, per i particolari, alla lettura di un testo esplicativo (1), lo stesso da cui ho tratto le tabelle(Scandalo rimborsi elettorali. Così i partiti derubano il Paese) perchè m’importa qui sottolineare il dato essenziale, che nemmeno Oscar Giannino ha colto: che questo scandalo e rapina è l’esito di una distorsione profonda del processo democratico.

L’ho già detto, ma lo ripeto: storicamente, i parlamenti sono nati per controllare le spese del sovrano (il potere esecutivo), ed opporsi alle tassazioni esose dei governi monarchici. Adesso, non solo il meccanismo di controllo non funziona più; ma funziona a rovescio. Sono i parlamenti - i partiti - ad accrescere la spesa pubblica direttamente a loro vantaggio (come si vede) e indirettamente per mantenere clientele di elettori e parassiti (gonfiando il debito pubblico al livello astronomico che sappiamo), mentre è il governo che - quando può - cerca di limitare la spesa pubblica, come oggi Tremonti.

Ma anche quando, raramente, ci prova, il governo non ci riesce bene, e il motivo è chiaro: non è più il monarca dell’ancien régime, bensì un’espressione di partiti o coalizione di partiti, interessati al proprio arricchimento e all’aumento della spesa pubblica per coltivare le proprie clientele (con le briciole) e moltiplicare i posti di sottogoverno e le poltrone per i compari e i trombati.

Tremonti ha operato i famigerati tagli lineari su parte del settore pubblico. Ma non ha operato i necessari e sacrosanti tagli ai partiti, per esempio imponendo loro di contentarsi del rimborso delle spese accertate dalla Corte dei Conti (misura che, da sola, consentirebbe di reperire 1,6 miliardi di euro), e il motivo è parimenti chiaro: non avrà mai in Parlamento una maggioranza a favore dei tagli sul grasso che cola sopra la politica demokratica.

I partiti sono tanti, anzi si moltiplicano (e si capisce perché: basta l’1% dei voti, e lo Stato ti rende miliardario); esiste in teoria una opposizione, ma sui propri privilegi i partiti sono un Partito Unico, un blocco d’acciaio massicciamente votante per la perpetuità del furto ai danni dello Stato, e dei contribuenti. Quando si tratta di tagliare  il proprio grasso, nelle due Camere pletoriche non si manifesta nemmeno una microscopica minoranza a favore. Non a caso Tremonti sta sulle scatole a tutti, a cominciare da Berlusconi e dai suoi colleghi ministri, della sua stessa parte.

Guardate che questa è la causa di tutti i problemi della cosiddetta politica e dei suoi mali; il debito pubblico inarrestabile, la torchia fiscale sanguinosa, persino la scuola che non funziona, la spazzatura a Napoli, persino le infiltrazioni malavitose, e tutte le inefficienze, sprechi, ritardi che strangolano le (scarse) fonti economiche e imprese produttive, tutta la corruzione e lo spreco nasce da qui. Da questa distorsione maligna della democrazia, che nessuno denuncia.

Per ripeterlo più chiaro: il parlamento, nato per rappresentare i cittadini contribuenti, non ci rappresenta più. I partiti non sono più l’espressione dei loro elettori, ma delle aziende create per il proprio esclusivo vantaggio. Anzi, in piena crisi dell’economia reale e produttiva - le sole aziende che prosperano. Le sole che, con un investimento elettorale complessivo di 580 milioni di euro, ne ricavano 2,5 miliardi, un profitto di circa il 400%. E quale furbastro non si butterebbe in un così lucroso business? Tanto più che sono le sole aziende che non pagano le tasse, ed hanno il diritto di accusare di evasione fiscale i contribuenti che provano a sfuggire alla loro torchia, spesso solo per far sopravvivere le loro attività. Infatti ci si buttano tutti i furbastri, parassiti, camorristi, gestori - per qualunque motivo, anche delinquenziale - di voti e di clientele; sono loro i «politici di professione», da quando la politica è un mestiere strapagato ed esente da controlli della Finanza. E naturalmente, questa gente non ha il minimo interesse a spalare la rumenta di Napoli, nè costruire infrastrutture, nè far rendere Pompei o gli altri siti archeologici. Anzi; ogni crisi, è un aumento del profitto, se porta alle elezioni anticipate.

Il peggio è che si sentono sicuri. Hanno le leggi dalla loro (se le fanno), e non solo: i cittadini li votano. E’ questo il problema: i nostri rappresentanti hanno smesso di rappresentarci, ma noi continuiamo - bene o male - a votarli. Viviamo ancora in un mondo mentale delle ideologie politiche, crediamo di votare destra contro sinistra, Berlusconi o contro Berlusconi, pro o contro gli inceneritori o le pale eoliche. Un mondo illusorio, in cui ci tengono i media, con le loro pseudo-polemiche e i loro dibattiti, ma soprattutto con i loro silenzi. Ci hanno fatto dimenticare - e noi abbiamo dimenticato - che questi nostri rappresentanti hanno tradito noi tutti, nel modo più plateale e illegittimo. E’ stato nel ‘93, quando con referendum il 90,3% dei cittadini votò per abolire il finanziamento pubblico dei partiti.

Era l’espressione più diretta e legittima della volontà popolare costituzionalmente sancita. E per una volta, i cittadini non si divisero fra destra e sinistra, fra proporzionalisti e maggioritari. Questo miracolo non si è più ripetuto.

E’questo il problema politico fondamentale del nostro tempo, ed è il più taciuto e misconosciuto.

La rivoluzione necessaria è contro il Parlamento. Ma come si fa a ribellarsi contro i propri rappresentanti? Come si fonda un partito contro i partiti? La contraddizione in termini significa impossibilità? Si attendono suggerimenti.




1) Il finanziamento pubblico ai partiti è introdotto dalla Legge Piccoli numero 195/1974, che interpreta il sostegno all’iniziativa politica come puro finanziamento alle strutture dei partiti presenti in Parlamento, con l’effetto di penalizzare le nuove formazioni politiche. Dopo una serie di referendum falliti per vari motivi, il referendum abrogativo dell’aprile 1993 vede il 90,3% dei voti espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel clima di sfiducia che succede allo scandalo di Tangentopoli. L’Italia però si libera di questa gabella incivile e medioevale che mira solo a consolidare le posizioni e mantenere per sempre lo status quo parlamentare solo per pochissimi mesi. Con quello che può moralmente definirsi come uno dei più grandi tradimenti del volere popolare nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna (con la Legge 515/1993) la già esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti contributo per le spese elettorali, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo 1994. Per l’intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47 milioni di euro. Vi sembrano tanti? Leggete avanti e rimarrete di stucco! In pratica, aggirando il referendum e modificando un paio di definizioni i partiti tornano a appropriarsi impunemente e legalmente del denaro dei cittadini. Ma la storia prosegue: con la Legge 2/1997, intitolata Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici, si reintroduce di fatto il finanziamento pubblico ai partiti. Il provvedimento prevede la possibilità per i contribuenti, al momento della dichiarazione dei redditi, di destinare il 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (pur senza poter indicare a quale partito), per un totale massimo di 56.810.000 euro, da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. Per il solo anno 1997 viene introdotta una norma transitoria che fissa un fondo di 82.633.000 euro per l’anno in corso (nonostante le adesioni siano minime). Da 47 a 82,6 milioni di euro in 3 anni. Vi sembrano tanti? Leggete avanti. La Legge 157/1999, dietro il titolo Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie reintroduce un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevede cinque fondi: per elezioni alla Camera, al Senato, al Parlamento Europeo, Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l’erogazione viene interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). Da 47 a 82,6 a 193,7 milioni di euro! Vi sembrano tanti? Leggete avanti. La normativa viene modificata dalla Legge 156/2002, Disposizioni in materia di rimborsi elettorali, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4% all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa più che raddoppia, passando da 193.713.000 euro a 468.853.675 euro. Infine, con la Legge 5.122/2006, l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è esponenziale. Con la crisi del governo Prodi del 2006, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV e alla XVI Legislatura. Cioè se non fosse chiaro: fino al 2011 anche l’Udeur di Mastella continuerà a percepire i rimborsi elettorali per la tornata del 2006, mentre i partiti che hanno raccolto almeno l’1% dei consensi stanno prendendo i rimborsi sia relativamente al 2006 che alle elezioni 2008 e sono sistemati fino al 2013. In questo senso una crisi di governo prima del 2011 porterebbe gli italiani a dover pagare i contributi ai partiti per ben 3 legislature (seppure non terminate): 2006, 2008 e 2010/2011. Un furto alla luce del sole. Nelle tabelle che accompagnano questo articolo vi proponiamo, stando ai dati della Corte dei Conti, i soldi che i partiti stanno percependo in virtù delle ultime tornate elettorali. Secondo l’ultima norma, infatti, per ogni elettore i partiti si autoassegnano 1 euro e poi si distribuiscono i denari in base ai risultati elettorali senza praticamente dover dimostrare nulla. Non esiste praticamente distinzione politica tra centro, destra e sinistra: tutti si adoperano alla grande per far sparire dalle tasche dei cittadini quanti più soldi possibili. Per tutti basta un dato: a fronte di spese dimostrate di 579 milioni di euro, dal 1994 al 2008 i partiti si sono spartiti nientepopodimeno che 2,25 miliardi di euro, con un utile di ben 1,67 miliardi di euro.


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