Salvano l’euro distruggendo gli europei. E forse nemmeno l’euro
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Per soccorrere l’Irlanda, la European Financial Stability Facility (EFSF), la società creata appositamente per questo genere di salvataggi (1), carica un interesse del 5,7%; ciò, nonostante l’EFSF raccolga denaro al tasso del 2,6%. Il preteso salvatore europeo sta facendo profitti dalla rovina europea, approfittando ad usura del fatto che per certi titoli pubblici europei non c’è mercato, se non quello del salvatore? O lo anima il moralismo tedesco, secondo cui ai cattivi vanno imposti tassi punitivi (misura che farà affogare definitivamente i candidati al salvataggio)?

Non saprei dire. Ma si capisce ancor meglio perchè l’Irlanda non voleva esser salvata dall’Europa, ed oggi il Portogallo faccia di tutto per evitare simile salvataggio, nonostante le pressioni tedesche e della BCE.

«Comprensibile riluttanza, dopo aver visto che quei pacchetti di salvataggio hanno provocato interessi persino più alti per Grecia e Irlanda», dice ad Evans-Prichard il gestore David Owen (Jefferies Fixed Income), in quanto, dai tassi punitivi praticati dall’EFSF, ricevono il segnale che quei Paesi sono più vicini al default. «Il solo fatto di chiedere soldi peggiora la situazione».

Ciò, si noti, mentre la BCE torna a comprare titoli pubblici greci, irlandesi e portoghesi nel tentativo di abbassarne i tassi. Scopo che l’EFSF otterrebbe facilmente, facendo i suoi prestiti al tasso della sua raccolta, il 2,6%. Ma, in questi giorni di rinnovata allarmante crisi dei debiti europei, sono molti i misteri in cui la mente si perde. La BCE, per esempio, si rifiuta di soccorrere il Belgio (alle prese con crisi di governo insolubile e il 4,27 di interessi da pagare sulle sue emissioni di titoli decennali): scrupoli da demi-vierge (No, a te no) o diktat germanico contro l’allargamento dei soccorsi?

La manfrina comincia a stancare persino certi speculatori internazionali: per Stephen Jen, del fondo Blue Gold Capital (ma è stato economista al FMI, il che la dice lunga), Grecia, Irlanda e Portogallo sono già insolventi; se ne prenda atto, per evitare la «proliferazione cancerosa» nell’intera eurozona. Si dichiari il loro fallimento e si ristrutturi il loro debito, altrimenti, un salvataggio dopo l’altro, persino il debito dei Paesi europei AAA può essere declassato, «più probabilmente la Francia».

Insomma, i mercati speculativi guardano ben oltre Spagna e Italia. E perchè l’Europa fa il contrario di quel che dovrebbe? Tutto «per salvare leuro», dice Jen.

«Il fondo del problema è quello», conferma Philippe Simonnot, economista francese «I dirigenti europei sono con le spalle al muro e fanno di tutto per salvare leuro; è la loro creatura, la difenderanno con le unghie e coi denti», anche se palesemente la moneta unica non ha più alcuno dei vantaggi per cui ci era stata venduta, primo fra tutti quello di indebitarsi a tassi tedeschi. Come esempio di quanto l’eurocrazia sia disposta a tutto, Simonnot cita il tappeto rosso con cui hanno accolto il vice-premier cinese quando ha acquistato 6 miliardi di euro di titoli spagnoli, dopo averne acquistato diversi miliardi di quelli greci, e promettendo investimenti economici in entrambi i Paesi.

«Mettiamo che la Cina rivenda quei titoli sui mercati, e immediatamente i tassi dei debiti pubblici crescerebbero, aggravando la crisi del debito sovrano», ipotizza Simonnot: «Ciò significa che oggi Pechino possiede una leva politica straordinaria in Europa». Leva di ricatto. Abbiamo un socio che può ordinarci cose sgradevolissime («è la sola dittatura di successo», dice Simonnot, dimenticandone un’altra, non a caso definita Male Assoluto), senza contare che «laver rilevato tutto le infrastrutture portuali greche» come ha fatto Pechino, «garantisce che lasceremo entrare tutte le loro mercanzie in Europa. Mi sembra molto pericoloso».

Salvare l’euro a prezzo di interi Paesi? L’Irlanda ha motivo di guardare con invidia all’Islanda, che si è salvata da sè rifiutando di accollarsi il debito delle sue banche (con azionisti inglesi), svalutando del 30% la sua corona e imponendo il controllo sui capitali, tre cose vietate dall’UE all’Irlanda.
Risultato: l’Islanda, dopo una crisi acuta e breve, è in ripresa economica, la sua disoccupazione è scesa notevolmente, e il FMI dice che in pochi anni rientrerà dal suo debito del 115% sul PIL; il tutto, certo, con un po’ d’inflazione. Ma l’Irlanda sta soffocando nella gelida stretta della deflazione-debito europea, non può svalutare, non può ripudiare, non può controllare... e non ha alcuna prospettiva di uscire dalla crisi. (Iceland offers risky temptation for Ireland as recession ends)

L’esempio sembra così convincente da credere che è solo per salvare l’euro che si condannano via via a crisi ineluttabili i Paesi europei l’uno dopo l’altro, a cominciare dai più deboli, ma alla fine anche i più forti. L’eurocrazia ha nell’euro la sua corona e la sua ragion d’essere: e l’ha dichiarato irreversibile per legge. Governi e politici europei hanno fondato troppa della loro legittimità sul «vi abbiamo fatto entrare nella UE», per osar dire ai loro sudditi che si torna alle monete, si svaluta, si imbarca inflazione e crisi tipo di argentino - e sperare di non essere spazzati via per sempre, magari appesi in vari piazzali Loreto.

Insomma siamo portati alla rovina perchè intere classi dirigenti fallite non hanno il coraggio di dire la verità; e fino a quando tali classi non saranno cambiate (giova sperare in varie elezioni europee tra il 2012 e il 2013) continueranno in politiche che sanno sbagliate.

Antonio Martino, economista estremamente ortodosso del monetarismo, è colto dallo stesso sospetto, o meglio da uno simile: notato l’insuccesso palese dei «salvataggi», nonostante la violazione delle ferree norme di ortodossia monetaria che la BCE s’era data (adesso ci si avvicina agli eurobond, che Martino chiama «operazione cosmetica»), se si voleva davvero aiutare Grecia e Portogallo, bastava chieder loro di emettere titoli a lunga scadenza garantiti dai fondi che l’UE offriva e scambiarli con quelli in circolazione che sono a scadenza minore. Così facendo, il valore del debito esistente si sarebbe ridotto, perché lo scambio avrebbe avuto luogo non in base al valore nominale dei titoli esistenti ma a quello che effettivamente hanno sul mercato. E sul mercato – udite udite – «i Titoli di Stato greci vengono scambiati a circa la metà del loro valore nominale». Insomma i mercati hanno già scontato il default, e ci fanno anche buoni affari (finchè Grecia e Portogallo continuano a pagare interessi altissimi su titoli che i detentori detengono a metà prezzo).

Le costose, farraginose e fallimentari manovre europee di sostegno ai debiti sovrani (aggravandoli), secondo Martino, hanno senso in un solo caso: «Che i piani di sostegno mirino più ad accrescere il potere dellUnione Europea nelle scelte di politica economica che non a proteggere la stabilità dell'euro». (Bce, ovvero un esempio lampante di pessima gestione monetaria)

Martino adombra l’antico piano Padoa Schioppa: provocare la crisi dell’euro, in modo che i governi non sapendo che fare implorino Bruxelles di prendersi quel che resta della loro sovranità, e formino – senza l’ombra di una votazione – l’Europa Federale, o quelli che Pannella nel suo delirio senile (ormai incontrollato, dice più di quanto è istruito a dire) proclama «gli Stati Uniti dEuropa uniti agli Stati Uniti dAmerica». Il sogno massonico compiuto.

Ma allora è una lotta di potere che si combatte sulla nostra pelle, sotto il nome di salvataggio dell’euro?

Il già citato Simonnot avanza una terza ipotesi: che la Germania, ben conscia che la zona euro esploderà comunque, stia facendo i passi per uscirne. Ma senza dirlo. E al contrario, facendo in modo che a uscirne – apparendo responsabili davanti alla storia del ridicolo – siano i Paesi mediterranei. La Merkel e Sarkozy hanno avvisato i banchieri che dovranno accollarsi la loro parte nella ristrutturazione dei debiti sovrani; poi, di fronte alle immediate «tensioni dei mercati», mezza marcia indietro: sì, ma dal 2013.

L’osservazione era giusta – i banchieri devono pagare, non i contribuenti, del danno che loro hanno provocato – ma il momento sbagliato, e sbagliatissima l’inazione seguente, fino al 2013: i banchieri, appena dovranno mettere mano al portafoglio, aumenteranno i tassi d’interesse e i Paesi periferici non avranno motivo di restare nell’euro (anzi non l’hanno già adesso, se non la sopravvivenza dei loro attuali governanti): «Dire che i Paesi periferici vanno via, equivale a dire che la Germania esce dalleuro. Sono le due facce della stessa medaglia. Si mira a ricostruire un centro europeo essenzialmente attorno a Germania, Francia, Benelux...».

Se poi continuate a ritenere impossibile che dirigenti e governanti europei, e persino eurocrati, possano applicare deliberatamente soluzioni sbagliate, aggravando i problemi invece di risolverli, per puro interesse di casta, allora abbiate le pazienza di leggere il cablo diWikileaks

Cable 08LONDON797, BANKING CRISIS NOW ONE OF SOLVENCY NOT LIQUIDITY:

Mervyn King
   Mervyn King
l’ambasciatore americano Robert Tuttle riferisce di una colazione d’affari a cui è stato invitato a Londra da Mervyn King, presidente della Banca d’Inghilterra, insieme al sottosegretario al Tesoro USA, Robert Kimmitt (2).

Mervyn King esordisce: la natura della crisi è cambiata. Oggi è una crisi di solvibilità delle banche, non di liquidità. E lo è non da adesso (marzo 2008), ma da sei mesi fa, estate 2007.

Dopo questa diagnosi – giusta – decidono di presentare la crisi (la più grave degli ultimi due secoli) come «una crisi di liquidità, non di solvibilità», gonfiando di triliardi dei contribuenti, del tutto inutilmente, le banche. Applicando insomma la cura sbagliata ed inutile. Mentre tutti i blog economici – e solo loro, molto meno gli economisti cattedratici – si spolmonavano a ripetere che quella era la crisi di solvibilità più grossa della storia, e a chiedersi: sono così incompetenti? Sono così stupidi?

Robert Kimmitt
   Robert Kimmitt
Ora sappiamo che i nostri grandi banchieri e tesorieri anglo-americani non sono incompetenti. Che hanno scelto la diagnosi sbagliata in piena deliberazione. Per un motivo evidente: ammettere l’insolvenza del settore bancario avrebbe reso necessaria – come atto di governo – la sua nazionalizzazione, la messa delle banche sotto tutela dello Stato, con accollo ai banchieri e agli azionisti delle perdite subite dal settore, ossia l’incinerazione finanziaria degli uni e degli altri (ciò che fece l’Italia negli anni ‘30). L’applicazione della diagnosi sbagliata – sbagliata a ragion veduta – ha portato invece allo stato in cui siamo: i contribuenti a regolare il conto anzichè gli investitori, la messa attorno al nostro collo di una macina che durerà generazioni.

E si noti che i media non si sono affatto scaldati per questo spiffero di Wikileaks. Eppure si tratta di un fatto gravissimo, molto più che un crimine, un atto di tradimento: «Questi prenditori di decisioni hanno fatto prevalere linteresse particolare della casta a cui appartengono essi stessi, contro linteresse generale», dice Paul Jorion, e proprio mentre impersonavano i rispettivi Stati, in veste di funzionari pubblici.

Ma forse, si tratta meno di complicità che di «insensibilità»: quale funzionario dovrebbe ancora possedere «senso dello Stato», dopo che da decenni viene educato all’idea che lo Stato è «un confine mentale che non esiste più», qualcosa che è «superato», non solo, ma che «va superato», e che le sue promozioni come pubblico dirigente dipendono dall’entusiasmo con cui «supera» lo Stato che rapppresenta, ossia lo tradisce?

Il punto è che, al momento delle decisioni critiche, la lealtà decisiva va alla lobby. Del resto il capitalismo terminale è un’ideologia nominalista estrema, secondo cui entità come senso dello stato sono flatus vocis, puri suoni, dietro cui non c’è alcuna realtà: è un’idea che ha radici nell’empirirsmo anglosassone, è stata riaffermata dalla scuola di Vienna di Hayeck e Von Mises in senso libertario, e perfezionata a Chicago: l’interesse generale, ammesso che esista, è impossibile da definire, mentre gli interessi particolari – di quelli che hanno i mezzi per farsi sentire (e ricompensare) – sono perfettamente chiari. Quindi, è il governo delle lobby quello che abbiamo.

Non è una novità, direte. Ma è grave in tempo di crisi epocale: questi stanno rovinando l’Occidente nemmeno per salvare l’euro, o il sistema finanziario, ma solo se stessi.





1) Lo European Financial Stability Facility è una società con sede in Lussemburgo fondata dai 16 Stati membri dell’eurozona. È essenzialmente un emittente di obbligazioni. La raccolta tramite il collocamento sui mercati internazionali degli EFSF-bond viene utilizzata unicamente per aiutare temporaeamente gli Stati dell’eurozona in difficoltà. L’aiuto consiste nell’erogazione di un prestito allo Stato che lo richiede: l’obiettivo è preservare la stabilità finanziaria dell’unione monetaria. EFSF da non confondersi con EFSM che è l’European Financial Stabilization Mechanism, che mette a disposizione degli Stati in difficoltà 60 miliardi di euro della Commissione Europea, garantiti dal budget dell’Unione europea.

2
) Ecco qui sotto il calblo: Monday, 17 March 2008, 18:27

C O N F I D E N T I A L LONDON 000797
SIPDIS
NOFORN
SIPDIS
EO 12958 DECL: 03/17/2018
TAGS ECON, EFIN, UK
SUBJECT: BANKING CRISIS NOW ONE OF SOLVENCY NOT LIQUIDITY
SAYS BANK OF ENGLAND GOVERNOR
Classified By: AMB RTUTTLE, reasons 1.4 (b) and (d)

Summary

1. (C/NF) Since last summer, the nature of the crisis in financial markets has changed. The problem is now not liquidity in the system but rather a question of systemic solvency, Bank of England (BOE) Governor Mervyn King said at a lunch meeting with Treasury Deputy Secretary Robert Kimmitt and Ambassador Tuttle. King said there are two imperatives. First to find ways for banks to avoid the stigma of selling unwanted paper at distressed prices or going to a central bank for assistance. Second to ensure there’s a coordinated effort to possibly recapitalize the global banking system. For the first imperative, King suggested developing a pooling and auction process to unblock the large volume of financial investments for which there is currently no market. For the second imperative, King suggested that the U.S., UK, Switzerland, and perhaps Japan might form a temporary new group to jointly develop an effort to bring together sources of capital to recapitalize all major banks. END SUMMARY

Systemic Insolvency Is Now The Problem

2. (C/NF) King said that liquidity is necessary but not sufficient in the current market crisis because the global banking system is undercapitalized due to being over leveraged. He said it is hard to look at the big four UK banks (Royal Bank of Scotland, Barclays, HSBC, and Lloyds TSB) and not think they need more capital. A coordinated effort among central banks and finance ministers may be needed to develop a plan to recapitalize the banking system.

Unblocking Illiquid Mortgage-Backed Securities

3. (C/NF) King said it is also imperative to find a way for banks to sell off unwanted illiquid securities, including mortgage backed securities, without resorting to sales at distressed valuations. He said sales at distressed values only serve to lower the floor to which banks must mark down their assets (mark to market), thereby forcing unwarranted additional write downs. He said we need to find an auction system where banks could move paper they want to sell without fear of stigma that the market views selling at a low price as a sign that a bank is in trouble. King said, however, he did not yet know how to structure such an auction and that further dialogue was needed. Kimmitt acknowledged the need to find ways to unblock these markets and said we should remain in touch bilaterally as well as in the G-7, the Financial Stability Forum, and the central banks.

A Possible Approach To Recapitalization

4. (C/NF) The G-7 is almost dysfunctional on an economic level, said King. Key economies are not included, especially those that have large and growing pools of capital. King said that a new international group was needed to address the issue. It could be a temporary group, and he suggested that perhaps the central banks and finance ministers of the U.S., the UK, and Switzerland could coordinate discussions with other countries that have large pools of capital, including sovereign wealth funds, about recycling dollars to recapitalize banks. King said Japan might not be included because it has little to offer. King noted, though that including the Japanese might force their hand in finally marking to market impaired assets. Kimmitt said that he was cautious about starting new groups in the international financial community because of the inevitable debate around whom to include.

Comment

5. (C) The King proposals were not casual ideas developed in the course of luncheon conversation. It was clear that his principal objective in the meeting was to outline his outside-the-box thinking for Kimmitt. King included very few details about his proposals and was content to present broad concepts, thereby planting the seeds for future discussion. END COMMENT.

6. (U) Participants: USG: Ambassador Robert Tuttle; Deputy Secretary Kimmitt; Eric Meyer, Office Director for Europe;

SIPDIS Robert Saliterman, Spokesman, International Affairs, U.S. Treasury; Warren Chane, ECONOFF. UK: Mervyn King, Governor, Bank of England; Chris Salmon, Private Secretary.

7. (U) Deputy Secretary Kimmitt has cleared this message.

Visit London’s Classified Website: http://www.state.sgov.gov/p/eur/london/index. cfm TUTTLE

Visit London’s Classified Website: http://www.state.sgov.gov/p/eur/london/index. cfm TUTTLE

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