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Pakistan: USA ammazzano i talebani «buoni»
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«La sovranità e l’integrità territoriale del Paese sarà difesa ad ogni costo e nessuna forza straniera ha il permesso di compiere operazioni all’interno del Pakistan»: durissimo altolà del generale Ashfaq Parvez Kayani, il capo supremo delle forze armate pakistane, in risposta all’incursione di commandos americani che il 1 settembre hanno attaccato un villaggio del sud-Waziristan, massacrando almeno 25 persone, apparentemente tutti civili.

Una rarissima dichiarazione; il generale Kayani non ama apparire in TV. Il che dà più forza al suo caveat. E la sua uscita non è solo un segno di irritazione della potente casta militare.

Il primo ministro Yousaf  Raza Gilani ha dichiarato pubblicamente che le parole del generale «riflettono l’opinione e la politica del governo» (1). La promessa che l’integrità territoriale del Pakistan «sarà difesa ad ogni costo» promette dunque una reazione armata a futuri incursori americani. Ora, è certo che altre incursioni avranno luogo.

Lunedì primo settembre, mentre i suoi commandos penetrati dall’Afghanistan ammazzavano gente nel sonno in Pakistan, il presidente Bush dichiarava che il Pakistan è diventato «un campo di battaglia principale nella guerra al terrorismo».

Dunque, un’altra guerra è in programma. Ma perchè?
«Azioni avventate», ha detto il generale Kayani, «non fanno che aiutare gli estremisti, e alimentano la militanza guerrigliera nell’area».

Queste parole hanno un significato preciso: quelli che gli incursori americani hanno cercato di colpire (senza riuscirci) sono le componenti di talebani «buoni», con forti legami con i servizi e i militari del Pakistan, e i più vicini ad un compromesso con il governo collaborazionista di Karzai (2).

I missili lanciati dai droni USA hanno infatti colpito la madrassa (scuola coranica) e l’abitazione del potente comandante talebano Jalaluddin Haqqani, capostipite e leader spirituale della influente e ramificata kabila Haqqani, nonchè eroe della resistenza anti-sovietica in Afghanistan negli anni ’80. Suo figlio Sirajuddin Haqqani è il capo operativo di uno dei più forti gruppi di resistenza in Afghanistan. Nè padre nè figlio si trovavano sul posto al momento dell’attacco. La madrassa è chiusa da tempo, e i capi del clan si sono da tempo allontanati, sapendo di essere un bersaglio per gli americani. Gli uccisi sono per lo più donne e bambini della famiglia Haqqani.

Un errore dovuto a cattiva intelligence, fanno filtrare i servizi del Pakistan, l’ISI. Ma ovviamente non ci credono.

Tre incursioni precedenti in Waziristan hanno cercato di eliminare Haji Nazir, il comandante della rete talebana che opera in Afghanistan nella provincia di Paktika, e che - come gli Haqqani - ha ottimi rapporti e forti legami con le forze armate e politici del Pakistan.

Furono infatti i servizi militari pakistani a convincere Jalaluddin Haqqani ad arrendersi ai talebani del famoso mullah Omar, quando questi, a metà degli anni ’90, presero possesso in Afghanistan di Khost e Paktika, tradizionali zone di influenza del clan Haqqani. Durante il regime talebano, Haqqani non ebbe alcuna carica e fu lasciato da parte, ma non tradì mai quel regime.

Dopo l’invasione USA in Afghanistan seguita all’11 settembre, i militari pakistani proposero a Washington di mettere a capo del nuovo regime afghano proprio Haqqani. Il capo, Jalaluddin, fu anche invitato a Islamabad e - in considerazione delle notevoli forze ai suoi ordini, ma soprattutto del rispetto che riscuoteva come capo spirituale islamico, e quindi come unificatore delle forze islamiste - invitato a strappare il potere al mullah Omar.

Haqqani rifiutò e tornò alle sue montagne, nel centro del suo feudo tra Paktia, Paktika e Khost, e poco dopo organizzò la guerriglia del suo clan contro gli occupanti occidentali in Afghanistan. In cinque anni, il suo gruppo è riconosciuto come la principale componente della resistenza, rivale del gruppo di Omar (una rivalità che Haqqani, unificatore, ha sempre negato).

Tra i militari e i politici pakistani che sono ben al corrente delle alleanze tribali in Waziristan, è dunque tornata la speranza che - dopo l’eventuale sconfitta americana in Afghanistan, o il ritiro occidentale, sotto la nuova presidenza USA – Haqqani possa diventare «il loro uomo» a Kabul.

Dunque c’è un metodo nella follia del Pentagono: cerca di liquidare le componenti guerrigliere «amiche» dei pakistani, anche se con ciò manda all’aria anni di tentativi dei servizi del Pakistan di dividere e fratturare le forze talebane.

La notizia è confermata: anche nel sud-Waziristan le incursioni USA prendono di mira i capi e il feudo del comandante Haji Nazir, il talebano «buono» per i pakistani, anzichè il talebano veramente «cattivo», quello di Baitullah Mehsud, capo del «Tehrik-i-Taliban» e la sua rete di alleati tribali. Mehsud, guarda caso, è anti-pakistano, ed arruola «stranieri», gente che secondo la propaganda USA è etichettabile come «Al Qaeda».

Haji Nazir, su indicazione dei militari pakistani, nel 2007 ha attaccato forze di Mehsud, massacrando in un sol colpo 200 uzbechi del gruppo e obbligando i sopravvissuti alla fuga.

Le incursioni USA, e la percezione da parte dei jihadisti che il governo pakistano sia d’accordo in questo con gli americani, ha per la prima volta creato una frattura fra questi potenti gruppi di talebani «buoni», manovrati dal Pakistan, e il governo di Islamabad. Anni di sforzi dell’intelligence, e relazioni di «amicizia» (le sole veramente utili per battere il «terrorismo») sono mandati all’aria.

Il rischio è ora che i vari gruppi e kabile si uniscano sotto il mullah Omar, ossia per gli americani  sotto «Al Qaeda».

E’ esattamente ciò che vogliono gli strateghi del Pentagono, e questa strategia, se la si può chiamare così, ha «successo».

Per la prima volta, i gruppi che ganno capo ad Haji Nazir hanno compiuto attentati contro le forze di sicurezza pakistane, che considerano complici nelle proditorie incursioni USA.

Il durissimo altolà del generale Kayani, attuale capo di Stato Maggiore dell’esercito del Pakistan, ex capo dell’ISI e già segretario militare nel governo di Benazir Bhutto (3) fra il 1988 e il ’90, è dunque anzitutto un messaggio al talebani «buoni»: non c’entriamo con le incursioni americane, anzi le impediremo.

I santuari sono difesi dall’armata pakistana. Il che, magari, può portare ad un vero conflitto con un Paese di 150 milioni di abitanti, dotato di testate atomiche: per i repubblicani USA, una manna, e non solo perchè può far vincere le elezioni.

Lo scopo finale sembra essere questo: destabilizzare il Pakistan, oggi diretto dal vedovo della Bhutto, uomo corruttibile e debole politicamente, fino al punto da «giustificare» il colpo di mano - da tempo progettato - per impadronirsi delle armi atomiche del Paese, con la scusa che possano cadere nelle mani dei «terroristi islamici». Anche se ciò complica un pochino le cose per le forze NATO in AfGhanistan, già alle corde. E tra cui ci sono i nostri soldati.




1) Nahal Toosi, «Pakistan premier backs army chief’s rebuke  to US», Associated Press, 11 settembre
2) 2008 «Syed Saleem Shahzad, «US’s ‘good’ war hits Pakistan hard», Asia Times, 10 settembre 2008. Syed Saleem Shahzad è lo pseudonimo ben informato  che echeggia le opinion dell’ISI.
3) Il che getta una luce significativa sull’attentato «islamico» che ha ucciso la Bhutto: I «terroristi» hanno evidentemente voluto colpire un gruppo di potere razionale, patriottico e foRse non corruttibile, in Pakistan. Made in USA anche quello?  «Referring to his meeting with United States senior officers on USS Abraham Lincoln on 27th August, he (il generale Kayani)  said that they were informed about the complexity of the issue that requires understanding in depth and more patience for evolving comprehensive solution. He said that own viewpoint was elaborated in detail and it was stressed that in such like situations, military action alone cannot solve the problem. Political reconciliatory effort was required to go along with the military prong to win hearts and minds of the people». Il 27 agosto, Kayani informa gli americani della «complessità della situazione» e li invita ad usare pazienza: Il primo settembre, su ordine diretto della Casa Bianca, gli americani compiono l’incursione in Pakistan. L’atto è dunque una sfida deliberata.  Da parte di Bush che disse: «Nel 21mo secolo, una nazione non aggredisce il territorio di un’altra nazione».  


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