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Psicoanalisi esoterica
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L’influenza delle ideologie esoteriche nelle diverse discipline gnoseologiche e sperimentali ed in particolare in quei settori del sapere che tendono a circoscrivere l’immagine dell’uomo entro processi più meno «globalizzanti» - comunque finalizzati a darne una lettura scientifica il più completa possibile, volta cioè a fornire le risposte ultime dei perché dell’uomo e sull’uomo - appare particolarmente evidente al riscontro delle soluzioni proposte dalle scienze psicologiche.
Se con Freud la psicanalisi mostra il volto scientista e materialista della qabbala, cruciale nel disperato tentativo di arginare il dominante istinto sessuale e di morte, in latenza prevalente e distruttivo fino al nichilismo, con Jung la vita psichica dell’individuo si colloca in una prospettiva gnostica, tipicamente «duoteistica».

Le polarità (coppie di opposti complementari interagenti) che la psiche tenta di superare mediante una composizione interiore dei dissidi, attraverso la creazione di simboli unificatori, una totalità ideale (il Sé, di cui l’ «Io» è solo una parte), è in certo senso riproporre in chiave microcosmica e psicologica la visione monista tipica delle credenze orientali e della medesima qabbala.
L’inconscio collettivo (innato, istintivo, ereditario, impersonale, contenitore psichico universale, parte dell’inconscio umano universale, comune a quello di tutti gli altri esseri umani), insieme di informazioni istintivamente acquisite (definite archetipi), interagendo psicodinamicamente con l’inconscio personale (il quale sorge direttamente dall’esperienza personale dell’individuo), non può essere visto come una sorta di percorso iniziatico volto a realizzare l’«immanifesto» nel manifesto e a ricondurre quest’ultimo nel superamento dell’eterno femminile e dell’eterno maschile in un equilibrio oltre le apparenze di una illusoria contraddizione del reale?

Del resto lo stesso Jung, per propria ammissione, dirà di aver risolto più di un conflitto personale e professionale dopo la lettura de «Il segreto del fiore d’oro» di Richard Wilhelm, ispirato alla tradizione esoterica taoista, ove evidenti assonanze si possono rinvenire circa quella particolare figura archetipica, l’Anima per gli uomini e l’Animus per le donne (la propria controparte sessuale inconscia), individuata dallo stesso Jung.
L’interesse di Jung per le discipline esoteriche (gnosticismo ed alchimia in particolare) è cosa nota  e l’utilizzo delle figure archetipiche che egli individuerà, rendono il medesimo inconscio collettivo, in pratica, coincidente con quel che in linguaggio esoterico viene definito «piano astrale», quel livello della realtà in cui la psiche sarebbe assolutamente reale, perché libera da condizionamenti illusori, ove nello smarrimento/incontro dell’inconscio personale in quello collettivo, l’individuo si apre e si svela autenticamente com’è; per dirla, in altre parole, riscopre il divino latente nella propria natura (cosa che sarebbe confermata dall’idea di sincronicità (principio che mette in connessione due fenomeni che accadono nello stesso tempo ma in spazi diversi; al contrario del principio di causalità: due fenomeni, stesso spazio, tempi diversi).

Il pensiero esoterico di Jung si palesa appieno allorché si vesta di connotazioni teologiche; nel suo «Risposta a Giobbe», appare la visione di un Dio, impersonale essenza, conciliazione degli opposti, dittatore brutale ed onnipotente dell’Antico Testamento, che necessita dell’Incarnazione per assumere l’attributo dell’infinita bontà, come delineato nel Nuovo Testamento; Satana, nemico indispensabile per la «redenzione» dell’individuo, ricorda neanche tanto vagamente l’esperienza del male, come processo evolutivo di appropriazione del divino (concezione tipicamente satanista, che si ripropone in diverse correnti dell’esoterismo); chiaramente questa visione teologica è ridotta da Jung in processo psicoanalitico, ma, lungi dal restare asettica prospettiva psicologica (seppur riduttiva) assurge a dogmatica spiegazione dell’archetipo universale.
La pretesa superba di inscatolare «Dio» e la Verità, soltanto a seguito delle risultanze sperimentali, resterà un vacuo e vuoto tentativo di onniscienza.

La prospettiva cristiana assume il colore della semplicità e della praticità; non nega l’archetipo universale, che essa riconduce alla Volontà di Dio iscritta nella natura e che agisce (non kantianamente) come un imperativo categorico verso il Bene e il Vero, ma ne spiega meglio le dinamiche e le reali limitazioni, additando il vero colpevole delle disarmonie e nevrosi esistenziali: il peccato.
Il percorso redentivo di una prospettiva cristiana verte proprio sulla prima presa di coscienza di una limitazione reale, che è poi il vero incipit di un processo autentico di guarigione; l’illusione di un divino immanente e latente che aspetti il risveglio dell’anima non porta a nulla, se è vero (come è) che dimentica di sanare proprio la radice del male stesso: la pretesa autodivinizzante.

Del resto la psicoanalisi si aggira su terreni molto delicati, la rimozione del cui humus, dovrebbe spettare soltanto a Dio stesso; il vorticoso scuotere ciò che la coscienza giudica per il filtro di una Verità oggettivamente imperante ed universalmente riscontrabile (anche perché rivelata), non necessariamente coincidente con una repressione foriera di patologie, potrebbe far precipitare senza ritorno le situazioni di nevrosi in atto, non lasciando il giusto campo al discernimento del vero, all’ascesi libera, alla preghiera ed all’azione della Grazia, unici elementi davvero in grado di «cambiare dentro».
La ribalta delle istintualità non proprio domate, potrebbero culminare in un agghiacciante dominio delle passioni sull’auriga, una risalita della kundalini, che inesorabilmente avvolge e soffoca la libertà dell’uomo nelle proprie spire.

Se invece siamo liberi, perché tali ci ha resi il Figlio di Dio, non lasciamoci avvinghiare dagli elementi del mondo e dalla carne, ma viviamo dello Spirito, per restare saldi nella luce, nella verità e nella felicità.

Stefano Maria Chiari



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