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Pervicace ostinazione
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«Londra - Qualcuno predice che diventeremo tutti superuomini: più alti, più forti, più belli, più intelligenti, praticamente perfetti. Qualcun altro sostiene che ci trasformeremo in mostricciatoli dalla testa enorme e dal corpo rachitico, tranne le dita delle mani, lunghe e resistenti, per cliccare in continuazione i pulsanti di telefonini, computer, videogiochi, l’unica attività che vorremo fare in futuro (e la sola che alcuni di noi già praticano nel presente). Ma un eminente genetista britannico afferma invece che simili scenari sono entrambi sbagliati: ‘L’evoluzione dell’uomo si è conclusa, è finita, terminata’, annuncia il professor Steve Jones, biologo dell’University College London. ‘Tra un milione di anni o più avremo lo stesso aspetto, le stesse caratteristiche, che abbiamo oggi’. L’uomo (e la donna) che vediamo allo specchio in questo 2008 dopo Cristo sarebbero insomma il modello definitivo, il risultato finale, l’approdo ultimo di quattro miliardi di anni di tenace, paziente, incessante sforzo per migliorare gli organismi viventi. Difficile dire se la notizia può compiacere o rattristare: è consolante sapere che non somiglieremo mai a E. T., l’extraterrestre del film di Spielberg; ma un po’ dispiace apprendere che l’ Homo Sapiens non verrà più migliorato. Il professor Jones è giunto alla sua ipotesi, pronunciata questa settimana durante un simposio scientifico a Londra, sulla base di un semplice ragionamento: le forze che sospingono l’evoluzione della specie, come la selezione naturale e la mutazione genetica, non giocano più un ruolo importante nelle nostre vite, o addirittura sono del tutto scomparse. Tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque milioni di anni, dal momento in cui uno scimmione è sceso da un albero e ha cominciato a camminare faticosamente su due zampe, è stato dettato dalla selezione naturale: camminare eretti, scambiare informazioni con suoni e poi parole, usare utensili e armi, vivere in gruppi organizzati, è accaduto perché farlo creava un vantaggio ai membri della specie (…) Alcuni sottolineano poi che nel Terzo Mondo la vita è ancora dura come svariati secoli fa in Europa, e che la lotta per la sopravvivenza, la fatica quotidiana di trovare da mangiare, bere, ripararsi dalle intemperie, dalle bestie feroci (o da altri uomini ancora più feroci), è tutt’altro che risolta, per cui anche le ragioni che dettano l’evoluzione della specie rimangono perfettamente in piedi. Del resto Jones è il primo ad ammettere che il suo discorso riguarda principalmente l’Occidente sviluppato, con l’ottimismo di chi crede che il progresso sia inarrestabile e che, nonostante le ansie dell’attuale crisi finanziaria, il benessere diventerà sempre più globale. ‘Se avete paura di che cosa ci può riservare il mondo dell’Utopia, non temete’, conclude lo studioso, ‘perché l’Utopia è arrivata, l’Utopia è oggi. Il presente che viviamo è il futuro, un futuro in cui l’uomo fa migliaia di chilometri per trovare la donna che sposerà, mentre i nostri antenati si sposavano nella stessa città, nello stesso villaggio, nello stesso rione» (1).

Non c’è chiaramente unanimità di consensi (2), tuttavia la posizione del professor Jones rivela un malessere evidente: una palese contraddizione in termini della teoria evolutiva e ne svela la profonda falsità: la carenza di una possibile osservazione del fenomeno evolutivo; se c’è stata l’evoluzione, non si comprende per quale motivo oggidì non si assista a nulla di simile o di paragonabile in tutto il mondo della natura.
Questa considerazione toglie ogni valore di scientificità alla teoria.

Una ipotesi scientifica infatti, per essere ritenuta tale, deve essere «sperimentabile», come avrebbe insegnato Galilei (che non sperimentò affatto quel che propose!), replicabile, soggetta all’osservazione; deve trattarsi di un fenomeno in certo modo riproducibile.
Per l’evoluzionismo questo è assolutamente impossibile.

Il tentativo di Jones è quello di prendere atto di tale vacuità ideologica e di porvi rimedio con una teoria forse ancor più ridicola dell’altra che si pretende di salvare: l’uomo non evolve, perché non esistono più le «condizioni per» necessarie allo scopo.

La vera e forte obiezione che può muoversi allo stesso Jones non è quella di criticare il contenuto delle conclusioni a cui, forse suo malgrado, è prevenuto, ma quella di evidenziare che l’assunto che vuole dimostrarsi non tiene conto di un piccolo, ma fondamentale particolare: l’evoluzione non riguarda solo l’uomo!

Quindi - se la causa della mancata attuale evoluzione - è il mutamento della condicio sine qua non, perché gli animali non evolvono più?
Forse si sono civilizzati anche loro?
Perché no?!
Assurdo?!
Non meno del credere alle panzane evoluzioniste!

Stefano Maria Chiari



1) Da "L'umo ha finito di veolversi" , Repubblica.it
2) Obiezioni, differenti, mosse già dagli ambienti scientifici che a spada tratta e ciecamente mirano a difendere sempre e comunque il dogmatismo evoluzionista.


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