Papillon: manuale di evasione fai-da-te
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Pubblichiamo il Manuale di evasione fai-da-te, appendice del libro Ingannati - Fin dai tempi della scuola, del nostro amico e lettore Alberto Medici (www.ingannati.it); siamo sostanzialmente in sintonia con il contenuto del pezzo, tranne che per due aspetti: il primo riguarda una sopravvalutazione, da parte dell’autore, della Nuova Medicina Germanica, del dottor Hamer, recentemente tornata in auge presso il grande pubblico grazie alla sponsorizzazione della Brigliadori, che evidentemente ha abbandonato l’urinoterapia, di cui era prima fervente sostenitrice. Abbiamo organizzato come Effedieffe, anni fa, un affollatissimo incontro sul tema, in viale Argonne, a Milano; abbiamo in seguito approfondito il metodo, leggendo e diffondendo le pubblicazioni dei seguaci italiani di Hamer; oggi concordiamo però con il parere di Giuseppe Di Bella, che definisce la nuova Medicina Germanica «elucubrazioni» (vedi  il suo Quo usque tandem abuteris… patientia nostra); sicuramente è valida la parte diagnostica del metodo (i tumori insorgono a seguito di grandi dolori, di delusioni, di stress, di conflitti interiori non risolti, di paure…); ne siamo fermamente convinti (ma il nostro convincimento non ha nessuna autorità scientifica), così come lo sono la gran parte degli oncologi e così come percepisce il sentire comune. A parte che i diretti interessati si presume conoscano già, a prescindere dall’intervista/indagine prevista dal metodo hammeriano, quello che ha provocato il grave turbamento; non è certo scoprendo quello che ci è successo (che, ripetiamo, i più non possono ignorare) che si guarisce; in sostanza buona la diagnosi; peccato manchi la cura.

Il secondo aspetto riguarda una sottovalutazione della pericolosità della marijuana «che non ha mai ucciso nessuno, molto meno pericolosa per la salute di alcol e sigarette»; l’affermazione ci ricorda il libro La Marijuana fa bene, di Guido Blumir, 1973, Tattilo Editrice (la Adelina Tattilo, editrice di Playman). In realtà, anche se l’argomento merita un approfondimento monografico, la marijuana è una vera e propria droga, già di suo dannosissima per il sistema cerebrale, e battistrada delle droghe cosiddette pesanti (anche la distinzione tra  droghe leggere e pesanti è fasulla).

Siamo comunque soddisfatti del fatto che la nostra comunità di lettori diventi progressivamente una comunità di scrittori.

Fabio de Fina



Papillon Manuale di evasione fai-da-te
Liberarsi delle catene e riconquistare la libertà perduta in semplici passi


Prefazione


Quanto scrivo nelle seguenti pagine è idealmente una continuazione di quello che avevo scritto in IngannatiFin dai tempi della scuola, una raccolta di imbrogli e bugie finalizzati, come dice il sottotitolo (le bugie che vi hanno raccontato per controllarvi meglio), a controllarci e a tenerci costantemente sotto scacco e nella paura. Se mi sono deciso a scrivere questa sorta di appendice è perché mi sono accorto che una delle reazioni comuni (ma in assoluto la meno desiderata) a Ingannati è stata quella del disorientamento e del senso di totale inutilità degli sforzi che ognuno può mettere in campo. Come dire: ma allora, visto l’enormità del complotto cui siamo sottoposti, a che serve fare qualcosa? Siamo destinati a perdere, meglio allora non sapere nulla o perlomeno agire come se non si sapesse nulla. In realtà questa reazione, ampiamente prevista, è solo la prima reazione di chi, una volta caduto il velo, comincia a vedere, ma non è assolutamente (o meglio non dovrebbe essere) un punto di arrivo: il punto di arrivo è quello che indico alla fine del libro, la vita vera, vissuta in piena libertà, la libertà di chi ha conosciuto la Verità, come dice Gesù: «Conoscerete la verità, e la Verità vi farà liberi» (Matteo, 8;32). Ma questo passaggio richiede un po’ di coraggio (abbandonare le certezze) e un po’ di metodo, e, se per il coraggio non posso farci niente, almeno provo nella pagine che seguono a descrivere il metodo.

Introduzione


Un piano di evasione è qualcosa che mette in campo chi sa di essere prigioniero. Se uno è convinto di essere libero, di avere tutte le possibilità di scelta, di appartenere ad una democrazia dove l’informazione è libera; dove chiunque può partecipare attivamente alla vita pubblica, impegnandosi e magari candidandosi a questo o a quel partito (o magari fondandone di nuovi), dove la giustizia garantisce i diritti sanciti e la Polizia tutela i cittadini, probabilmente si domanderà a cosa serva un piano di fuga. Per questo è indispensabile spiegare bene a quale tipo di prigionia si fa riferimento (e quali sono i carcerieri: primo passo per affrontare un nemico è conoscerlo). Cominciamo dall’educazione ricevuta a scuola. L’impressione generale che si ricava studiando la storia, a scuola, è quella di vivere in un’epoca felice grazie alle innumerevoli conquiste di civiltà che, nel corso dei secoli, hanno reso migliore la vita di miliardi di uomini rispetto a quanto era in passato. In effetti, pensando al potere assoluto dei sovrani di un tempo, alla schiavitù, ai sacrifici umani, alla condizione della donna, ecc., risulta difficile contrastare questa posizione. Leggendo la storia di Wilhelm Rieich, però, qualche dubbio sorge legittimo. Wilhelm Reich (1897-1957) è stato un medico e psichiatra austriaco, trasferitosi negli USA prima della Seconda Guerra Mondiale. Le sue teorie spaziano in moltissimi campi ma quello che più irritò se così si può dire l’autorità americana, in particolare la FDA (la potentissima Food and Drug Administration) furono le sue scoperte su una forma di energia allora sconosciuta, l’Orgone. Grazie alle sue teorie riuscì anche a compiere spettacolari esperimenti, come uno in particolare dove riuscì a far piovere e a far ricrescere l’erba in zone aride. Messo sotto processo, si difese sostenendo che la scienza non deve essere giudicata da un tribunale, ma da scienziati: e questo gli valse la condanna per «comportamento irrispettoso nei confronti della corte»; fu imprigionato e morì in carcere due anni dopo, a 60 anni. La civilissima società americana ordinò la distruzione di tutti i suoi libri, e tale distruzione durò per diversi anni, fino ai recenti anni ‘70. Tanto accanimento per una forma di energia che, a dir loro, non esisteva neanche, non solo non si giustifica, ma mi ha fatto pensare, ancora una volta, a quanto la realtà si discosti dall’immagine che se ne vuole dare. Pensate: Galileo sosteneva il moto della terra basandosi sul moto delle maree: conclusione giusta (moto della terra) ma argomentazione scientifica sbagliata (osservazione delle maree). In qualche modo possiamo pur riconoscere alla Chiesa anche una certa dose di ragione, nel contestare la tesi di Galileo: quantomeno, da un punto di vista scientifico, poggiavano su un presupposto errato. Comunque fu costretto a ritrattare, è vero, ma non fu mai imprigionato (nè tantomeno ucciso o torturato, come invece molti credono); fu invitato a ripensare alle sue teorie, continuando a studiare come aveva fatto fino ad allora; in ogni caso non furono bruciate le sue opere. Nella civilissima nazione americana, pochi decenni fa sono state date alle fiamme tutte le opere di un autore che sosteneva una tesi non ufficiale. Da non credere. Forse dovevamo stare un po’ più attenti a scuola quando ci raccontavano degli enormi progressi della nostra civiltà, rispetto a quelle che ci hanno preceduto.

Perchè se è vero che gli antichi greci buttavano dalla rupe Tarpea i neonati storpi, non ci possiamo dimenticare che noi buttiamo nel water ogni anno 100.000 bambini non nati, solo per citare l’Italia, (e tutto a spese dello Stato, paghiamo noi contribuenti); se è vero che abbiamo eliminato la pena di morte dal nostro ordinamento, allora qualcuno mi spiega come mai nella carceri italiane ci sono ogni anno 170 morti (media degli ultimi 10 anni, ufficialmente suicidi o conseguenze di pestaggi); è vero che nella nostra costituzione abbiamo scritto che ripudiamo la guerra come strumento di offesa, ma allora non dimentichiamo che in Irak e Afghanistan, che non ci avevano fatto niente, abbiamo causato oltre un milione di morti, solo fra i civili; è vero che abbiamo il suffragio universale, ma la chiusura del sistema partitocratico, che non reagisce neanche a richieste di milioni di cittadini che vanno a firmare proposte di legge, ha fatto sì che il disinteresse dei cittadini verso la politica porti a percentuali sempre più alte di astensionismo; è vero, non abbiamo più la schiavitù, ma quando in una famiglia entrambi i genitori sono costretti a lavorare per tutta la vita per pagare un mutuo di un buco da 60 metri quadri, costretti a piazzare i figli a nonni, baby-sitter o istituti, siamo meno schiavi? Probabilmente innescare una discussione su questi temi ci porterebbe fuori strada; mi piace però riportare una affermazione di Goethe che disse che «Nessuno è così disperatamente schiavo come colui che, pur essendolo, non sa di esserlo». In effetti, se vi confinano in una prigione, se vi mettono delle manette ai polsi, voi sapete di essere prigionieri, e magari prima o poi cercherete di uscire da questa situazione. Ma se uno non sa di essere prigioniero, non farà mai nulla per liberarsi, e perché mai dovrebbe farlo? La favola I vestiti nuovi del re evidenzia come ad una mente ben addestrata si possa far credere più o meno qualunque cosa. Gli occhi delle persone vedevano che il re era nudo, ma la loro mente gli diceva che non era possibile, e quindi una evidenza fisica (il re è nudo, come visto dagli occhi) veniva cancellata dall’istruzione ricevuta: il re non può essere nudo. Infatti chi se ne accorge e lo dice a gran voce chi è? Un bambino, esempio di mente ancora pura, non ancora addestrata alle categorie del bene e del male secondo i desiderata del potere. Forse per questo Gesù ha detto «Se non ritornerete come bambini, non entrerete mai nel regno dei cieli»?

In buona sostanza: gli occhi, le orecchie, i sensi non mentono, ma la mente… mente! Solo una favola? Pensateci bene: siamo o non siamo arrivati a giustificare tutto, seguendo le astruse concatenazioni logiche di una mente associativa? Contadini che vengono pagati per non coltivare la terra. Lasciano i campi incolti e prendono un incentivo (che perderanno se coltivano). Montagne di frutta che vengono distrutte per tenere alti i prezzi. E intanto c’è chi soffre la fame. In USA è vietato scrivere sulle confezioni di cibi geneticamente modificati… che contengono cibi geneticamente modificati. Facciamo una guerra di aggressione, di invasione (superato il milione di morti, come detto, fra i civili) a due Stati (Iraq e Afghanistan) che non ci hanno fatto nulla, e noi (la nostra mente) lo giustifica col termine di difesa preventiva. Abbiamo accettato una legge che proibisce l’analisi storica: non si può indagare sull’olocausto: è un dogma di fede. Potere non credere in Dio, in Gesù, nella verginità di Maria, e per lo Stato va bene: ma se mettete in discussione la cifra di 6 milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento siete fuorilegge. E nessuno che si ponga la domanda: ma come? Dove sta scritto che la storia non possa essere indagata? Alla faccia della libertà di pensiero. Lavorando sulla mente è possibile, tramite preventivo spegnimento del buon senso, mettere un’arma in mano ad un uomo e dirgli di uccidere un bambino: tutto si potrà giustificare, con una opportuna preparazione. Per questo è indispensabile svegliarsi, uscire dalla caverna e guardare in faccia la realtà.

Ma come siamo tenuti prigionieri in questa falsa realtà, in questa casa a vetri da grande fratello? Perché non possiamo uscirne quando vogliamo? Nel bellissimo film The Truman show Jim Carrey impersona il protagonista di una gigantesca macchinazione dove lui è l’unico a non sapere di essere su un palcoscenico. Tutti intorno sanno che stanno recitando, solo lui è convinto di essere in una vita vera (da qui l’ironia del nome: Truman, uomo vero). E per impedire che lui, apparentemente libero, esca da questo palcoscenico (un’isola artificiale) come hanno fatto? Hanno instillato in lui la paura del mare, facendogli credere che il padre sia morto in un naufragio. Notevole la scena in cui lui decide di andare a fare un viaggio, e in agenzia viaggi le pareti sono tappezzate di manifesti che riportano disastri aerei, navi affondate e cose del genere. Alla fine del film lui riuscirà a liberarsi proprio grazie alla vittoria sulle proprie paure, dopo aver affrontato il suo creatore (ironicamente nel film si chiama Christof) in un’epica battaglia a bordo di una barca sbattuta da una tempesta.

Platone, oltre 2.000 anni fa, aveva descritto molto bene questo fenomeno con il mito della caverna: nessuno, che si sia liberato, sia uscito, abbia visto la realtà coi propri occhi e ritorni dentro a raccontare agli altri quello che si perdono sarà creduto: sarà deriso, non sarà credibile perché, tornato al buio, farà fatica a vedere, sembrerà un paranoico; bisogna che ognuno, singolarmente, faccia lo sforzo di alzarsi in piedi, affronti il bagliore della luce esterna e si renda conto di persona di cosa succede veramente là fuori. Per chi vuol fare questo proviamo a tracciare un percorso d’uscita nelle prossime pagine.

Primo
: liberarsi dalla schiavitù della televisione

Chi ben comincia è a metà dell’opera: per questo ho messo questo semplice e apparentemente impossibile passo al primo posto fra quelli da fare per iniziare un percorso di liberazione.

Semplice perché si tratta di qualcosa di estremamente veloce: va tolta fisicamente e messa in un baule, in garage (meglio ancora sarebbe buttarla come abbiamo fatto noi, ma magari all’inizio può bastare confinarla in uno scantinato). Non va bene spegnerla e basta; non va bene metterla in una stanza dove si va poco spesso; non va bene mettere dei timer per limitarne l’uso; sono tutti palliativi tanto inutili quanto dannosi, che danno l’impressione di aver fatto qualcosa ma di fatto sono una non-decisione. Impossibile (apparentemente) perché si tratta di una decisione che di solito coinvolge altri elementi della famiglia: e su poche cose è difficile essere d’accordo come su questa: magari il marito la guarda per lo sport, al quale non può assolutamente rinunciare; o la moglie per altri programmi, magari mentre stira, per avere un po’ di compagnia. Quindi questo è il passo più difficile, ma secondo me essenziale e oserei dire quasi prerequisito: senza questo, non serve a niente tutto il resto.

Per aiutarvi in questa decisione epocale (analizzando le statistiche credo sia veramente un’impresa che riesce a pochissimi) l’unica cosa che posso fare è raccontarvi la nostra esperienza familiare. Con figli dai 15 ai 10 anni, nonostante ripetuti tentativi di limitarne l’uso, era sempre più difficile controllare l’accesso e misurare le ore di fruizione; nonostante avessimo un solo apparecchio, e l’avessimo confinato in taverna (mai avremmo permesso alla TV di diventare l’altare della casa, né in salotto né - tantomeno - in cucina o in camera da letto, a riempire la nostra giornata di scemenze, volgarità e falsità), cominciammo a renderci conto che era necessario un taglio secco. A onor del vero, giusto per non appropriarci tutto il merito, Dio ci venne incontro con un guasto: lo schermo non si accendeva più. Fu così molto facile per noi decidere di non ripararla ed eliminarla definitivamente. I figli (allora adolescenti) si sentirono immediatamente diversi (ahimè, in peggio): in una fase della vita in cui si cerca un ruolo nel mondo, e il senso di appartenenza è soddisfatto dall’omologazione, essere così tagliati fuori rischiava di diventare un elemento di discriminazione troppo grande da sopportare. Per conto nostro, invece, osservavamo un effetto immediato (che credo potrà osservare chiunque faccia questo passo): la casa diventa subito più grande e le giornate più lunghe. In qualche modo eliminare questo elettrodomestico ebbe quindi l’effetto immediato di regalarci due delle cose più preziose (che ci mancano maggiormente): spazio e tempo. In realtà, come in ogni programma di disintossicazione, gli effetti migliori si vedono col tempo, e stimo in qualche anno il periodo minimo per poter apprezzare il massimo dei benefici. Ci si libera di una visione artefatta del mondo, si riacquista capacità di critica, si ridà peso e valore alle cose secondo una logica che non ha nulla a che vedere con quanto imposto dai programmatori televisivi. I nostri figli ogni tanto hanno avuto qualche uscita, riguardo ai programmi che vedono occasionalmente a casa di amici, che ci hanno confermato nella validità della nostra scelta. Attenzione: abbiamo un proiettore e uno schermo di 2 metri per vedere i film; abbiamo internet su diversi PC in casa, non siamo tagliati fuori: ma è il meccanismo intrinseco di fruizione della TV che la rende così dannosa per il nostro cervello. Tipicamente, infatti, mentre la fruizione del web richiede una attività cosciente e partecipativa, per il programma televisivo l’atteggiamento è quello del divano: totale rilassamento, nessuna necessità di partecipazione attiva, ed è quella la situazione in cui il cervello assorbe di più, soprattutto a livello subcosciente.

Se non siete convinti della pericolosità della TV e se pensate che io stia esagerando, fatevi questa domanda: perché le aziende investono tanto in pubblicità in TV e - al confronto - praticamente niente sul web? Nessuna azienda butterebbe via tanti soldi se non avesse scientificamente e razionalmente stimato il ritorno dell’investimento che - credetemi - c’è, eccome! Riporto quanto scritto all’inizio del capitolo sulla falsa informazione da Ingannati: Quando amici o conoscenti vengono a sapere che in casa siamo senza televisore, solitamente all’espressione stupita segue una domanda: «Ma come fate senza i TG?» come dire: va bene che avete rinunciato a tutti i programmi spazzatura, i varietà, ecc.; ma come fate a rinunciare all’informazione che viene fornita dai telegiornali? E la nostra risposta è sempre la stessa: «Proprio per non vedere i TG abbiamo tolto quella scatola ingombrante dalla nostra casa!». Esagerazione? Non credo proprio, anzi: la patente di ufficialità che ha un telegiornale rende ancora più grave e colpevole l’azione di distrazione e di depistaggio che effettua nei confronti degli ascoltatori. Esempi? Quanti ne volete. Nel 2007 e nel 2008 il comico Beppe Grillo promosse due giornate di raccolta firme: una affluenza epocale; per il secondo Vday, quello che chiedeva Libera informazione in libero Stato, ci furono un milione e mezzo di firme per l’abolizione della legge Gasparri, dell’ordine dei giornalisti e del finanziamento pubblico ai giornali. La sera di entrambe le giornate i telegiornali dedicarono meno di mezzo minuto all’evento, neanche si fosse trattato della sagra dell’ultimo paesino di montagna. Mentre nella stessa edizione del TG quasi tre minuti furono dati per la notizia di un orso che si era perso.

Quando il ministro Scajola rassegnò le dimissioni per lo scandalo del suo appartamento (gli era stato pagato a sua insaputa dall’imprenditore Anemone), per tutta una settimana il TG1 (direttore Minzolini) riuscì a non dare la notizia. In compenso diede notizie interessantissime e assolutamente inedite, come ad esempio è scoppiato il caldo, la gente assedia le gelaterie, ci sono gelaterie che offrono molti gusti diversi, e amenità di questo genere.

Ormai siamo abituati, e ci sembra normale che i telegiornali, inclusi quelli della RAI, dedichino ampio spazio all’ultimo flirt dell’attore del momento: ci raccontano tutto, per filo e per segno, di quello che fa la soubrette alla moda o dell’ultimo litigio fra Clooney e la Canalis, per non parlare degli interessantissimi servizi sulle vacanze degli italiani. Cosa si fa quest’anno sulla spiaggia adriatica? E come si divertono in Sardegna, in Costa Smeralda? E questa viene definita informazione… È evidente che tutto l’insieme delle bugie, delle falsità, degli inganni cui siamo sottoposti quotidianamente non potrebbe sussistere senza una strettissima collaborazione – o meglio complicità – da parte dei mezzi di informazione di massa, in primis TV e giornali. A questo proposito è chiaro che non è tanto importante affermare il falso (cosa che avviene, ogni tanto), quanto il nascondere la verità sotto un mare di elementi che hanno il solo scopo di distrarre l’attenzione: vere e proprie armi di distrAzione di massa, come vengono definite da Robin Williams, candidato presidenziale nel film Luomo dellanno. Questo è più o meno evidente a seconda della sensibilità e dell’allenamento di ognuno, ma in certe situazioni è risultato assolutamente lampante quanto i mass-media fossero strumentali a nascondere la verità o a sviare l’attenzione del pubblico in momenti particolari (condanne di politici eccellenti, guerre, attentati, scandali, ecc.).

A proposito  di come ci educano ho già accennato a come l’informazione, analogamente ad un abile prestigiatore, distolga l’attenzione da quello che conta veramente, per evitare che la gente cominci a capire come gira il mondo. Peggio ancora quando invece vengono lanciate campagne mediatiche tese ad influenzare l’opinione pubblica su un dato argomento o a distruggere un avversario politico. Non serve che la dittatura sia esplicita: controllando i mezzi di informazione si fa quello che si vuole, anche per la naturale pigrizia di chi legge: non entra nel merito, pesa solo il numero di pagine dedicate ad un dato argomento e ricorda sostanzialmente i titoli. del documento). Bene. Se avete deciso di eliminare la TV, in questo vostro percorso di liberazione, avete fatto un ottimo passo. Siete adesso pronti a passare al passo successivo.

Secondo: liberarsi dalla falsa informazione

Se siete arrivati a leggere qui significa che il primo passo – il più importante di tutti, cioè eliminare la televisione – l’avete già fatto. Complimenti. Ho detto che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma in realtà se avete fatto questo siete già a tre quarti. Se invece avete imbrogliato, e state leggendo solo per vedere se trovate altre motivazioni, o per curiosità, dovete interrompere immediatamente e ricominciare dal via. Vi sembro troppo drastico? Purtroppo io non posso che riportare la mia esperienza, e so quanto ha funzionato per noi: questo è quello che posso dare. Esistono altre strade? Probabilmente sì, ma non mi sento in grado di raccomandarle, non facendo parte della mia esperienza vissuta. Perché ce l’ho anche con l’informazione? Se da una parte può sembrare comprensibile l’avversione per un contenitore come quello televisivo, dove notizie (poche) vengono mescolate con (tanta) volgarità, violenza, omicidi, banalità, ecc., forse può risultare più difficile la necessità di staccare la spina anche all’informazione che ci proviene dai giornali. In realtà l’informazione dei giornali è pesantemente drogata dallo strapotere degli inserzionisti che, col loro potere di veto influenzano le linee editoriali, la pubblicazione o meno di certi articoli e inchieste scomode, l’insabbiamento di nomi e riferimenti o la semplice quantità di spazio che viene dato ad un argomento rispetto ad un altro. In particolare pensate all’industria farmaceutica: pare che fra i Fortune 500, cioè le prime 500 società per fatturato, l’ammontare degli utili di Big Pharma (insieme delle industrie del farmaco) superi quello di tutte le altre messe insieme. Una tale quantità di denaro permette di controllare l’informazione che passa sui giornali, tramite una non scritta ma sottintesa arma di ricatto: se pubblichi questo non effettuerò più inserzioni sul tuo giornale. Lo stesso ammontare di denaro, fra l’altro, permette di condizionare la ricerca, sovvenzionare l’università, pagare (più o meno direttamente) tutta la classe medica tramite un vero e proprio esercito di informatori scientifici del farmaco, ma tutto questo lo approfondiremo nel capitolo riservato alla malattia.

Analoghe considerazioni per l’industria del cibo (in particolare le multinazionali, l’agricoltore biologico o il piccolo produttore locale non potranno mai permettersi di pagare le somme proibitive per entrare a pubblicizzare sui giornali): da cui sembra abbastanza evidente che articoli o inchieste che rivelino dannosità di elementi inseriti in più o meno tutti i cibi confezionati (uno per tutti: l’aspartame) non potranno trovare lo spazio che meritano nella cosiddetta informazione ufficiale.

E siccome il denaro compra più della verità, la lista di argomenti tabù che i giornali non possono toccare o fanno solo quando ne sono costretti, diciamo obtorto collo, è lunghissima: dalle terapie alternative per la cura del tumore, alle falsità dell’AIDS; dalla nuova religione del global warming ai falsi attentati che, ad arte, arrivano quando più servono (vedi attentati a Londra nel 2005, quando la popolarità di Blair era ai minimi per l’intervento in Iraq). Credete forse che un giornale potrebbe parlare ad esempio del signoraggio bancario, o della sottomissione della classe politica alla classe finanziaria senza incorrere in gravi forme di boicottaggio, ritiro dei finanziamenti e chiusura delle linee di credito? Oltretutto i giornali sono sotto scacco anche per un’altra forma di finanziamento: i sussidi all’editoria, che permettono di sopravvivere a testate pressoché prive di lettori, secondo una perversione del libero mercato che, chissà perché, anche i cosiddetti imprenditori accettano tranquillamente (senza tali sovvenzioni neanche Il Sole 24Ore, organo della Confindustria, sopravviverebbe). Come già illustrato, non si tratta di negare la verità o dire esplicite bugie: è sufficiente annegare le notizie scomode in un mare di notizie inutili e fuorvianti, un vero e proprio insieme di armi di distrAzione di massa. Si potrebbe obiettare: ma se prendiamo coscienza di questo, abbiamo già fatto un bel salto in avanti, a cosa serve eliminare i giornali? Possiamo continuare a leggerli, solo che con spirito critico, con un po’ di discernimento, no? Probabilmente sì, ma per arrivare ad una nuova consapevolezza serve un periodo prolungato di astinenza: come un alcolizzato che deve prendere le distanze dal suo vizio, per poi poter tornare con mente nuova; anche da questa droga, che ci parla di tutti i particolari del vestito della cognata di non so chi, ma ci nasconde gli effetti dannosi degli additivi chimici nel cibo che assumiamo, va presa una distanza ragguardevole e duratura se si vuole raggiungere una decontaminazione. Anche qui, come nel caso della eliminazione della televisione, vi posso garantire che gli effetti benefici non tardano a farsi notare; si comincia a disintossicarsi da tutti quegli sterili argomenti che, apparentemente, interessano moltissimo a tutti (come la misura del reggiseno della tal velina o l’ultima scappatella di questo o quel politico o le recenti affermazioni di questo o quell’allenatore) e si comincia a vedere la realtà per quello che è, non per quello che vuole sia percepita da chi tira le fila. Bene, un altro tassello è stato aggiunto nella costruzione del percorso di fuga.

Terzo: liberarsi dalla paura della malattia

Una delle paure più forti e più radicate nell’essere umano è la paura della morte; per estensione, anche la paura della malattia è tale da riuscire a condizionare i nostri comportamenti; come ha detto Steve Jobs in un famoso discorso, tenuto ai laureati di Stanford in occasione della loro cerimonia di fine corso, «Tutti hanno paura della morte, anche quelli che pensano di andare in paradiso attraverso di essa, se potessero, la eviterebbero». In effetti, nel piano originale di Dio la morte non aveva posto nel paradiso terrestre, ma vi è entrata a causa del peccato. Ma tant’è. Qui siamo e qui dobbiamo vivere e giocare le nostre carte. La malattia, intesa non soltanto come anticamera della di partenza ma come elemento invalidante, che ci separa dalla comunità, è vista, specie nella nostra cultura definita giudaico-cristiana come un castigo di Dio. A dire il vero c’è un fondo di saggezza in questa definizione: non perché Dio castiga i suoi figli, ma perché l’allontanamento (che l’uomo effettua sua sponte) dall’armonia e dal rispetto della natura che Dio ha creato ci causa una alterazione dall’equilibrio che il corpo cerca di risolvere. In questi termini, e solo in questi, possiamo dire che la malattia è una conseguenza del peccato, non perché Dio, offeso della nostra disubbidienza, si vendica facendoci del male. In ogni caso siamo talmente avversi alla malattia che la saggezza popolare ha coniato un detto: Non te lha mica ordinato il medico! Come dire che esiste solo una categoria che ti può imporre qualcosa, e tu non puoi ribellarti, e questa è la classe medica.

A tutti gli altri puoi dire di no: puoi ribellarti, discutere, obiettare, argomentare: ma al medico no: lui ordina, e tu esegui. Ma se questa paura è così radicata, e la nostra sottomissione al medico è così grande, possiamo liberarci di questa paura? Se siete arrivati fin qui, al terzo passo, siete ormai forti e questo sarà un gioco da ragazzi. Un gioco da ragazzi, se seguite un semplice ragionamento e condividete pochi elementi basilari.

Primo: dove ha messo Dio l’uomo, quando l’ha creato? Nel Paradiso terrestre. Esiste qualche dubbio al riguardo di questa collocazione, che ci faccia dubitare anche per un solo istante del progetto di Dio? Risposta: no. Il progetto di Dio era per l’abbondanza, la pace, l’armonia, la ricchezza. Dio si rimangia la parola? No. È stato l’uomo, con la sua volontà di far di testa propria, a disobbedire al suo Creatore, e voler decidere cosa è bene e cosa è male, a rovinare tutto. Da lì sono cominciati i suoi guai. Cominciamo ad intravvedere una possibile via d’uscita. Altra domanda: cosa distingue inequivocabilmente ciò che è morto da ciò che è vivo? Molte cose, ma, a ben pensarci, esiste una caratteristica delle vita totalmente incompatibile con la morte: e questa è il moto, il movimento. Perciò ogni legame, ogni catena, ogni impedimento al movimento è un passo verso la morte, quindi un processo di avvio alla malattia. E questo non è soltanto vero per ciò che è fisico ma vale anche per i legami di tipo spirituale. I legami, tutti i legami, sono, alla lunga, mortali. E - si badi bene - non si intendono qui soltanto i legami normalmente considerati negativi, come ad esempio l’attaccamento al denaro, o al potere, o a qualche vizio particolare. Su questi possiamo trovare facilmente un accordo generale: sono legami velenosi. Ma anche quelli che vengono normalmente considerati legami buoni (ossimoro: spero che alla fine converrete con me che non esistono legami buoni, tranne uno: il legame con Dio, l’unico legame che, paradossalmente, libera del tutto) sono velenosi, e, alla lunga, mortali. Penso qui al legame coi genitori, al legame coi figli, al legame verso la patria, anche al legame col proprio marito o la propria moglie: in quanto legami, impediscono il movimento, e sono, non mi stancherò mai di dirlo, velenosi e alla lunga mortali. Per questo Gesù disse: «Chi viene a me e non odia il proprio padre o la propria madre…» dove al verbo odiare io sostituirei il termine taglia i legami. Sul discorso dei legami tornerò in un passo più avanti; per il momento mi interessava introdurli nel discorso della salute. È evidente che tutto ciò che ci lega, sia in maniera fisica ma soprattutto spirituale, lentamente ma inesorabilmente avvelena la nostra esistenza e ci conduce alla malattia prima e alla morte poi; per cui, chi non vuole ammalarsi, deve innanzitutto imparare a tagliare ogni legame. Anzi, possiamo vederla in positivo: ogni malattia non è altro che un campanello d’allarme di qualche malfunzionamento, e la prima reazione deve essere l’accettazione della malattia: se impariamo a vederla come un avvertimento cambiamo l’atteggiamento di opposizione e la volontà di combatterla che tanto male fanno al nostro organismo. Il segnale va accettato e assecondato: questo è il primo passo verso la guarigione. Poi va fatta una analisi più approfondita: qual è quel legame che non voglio o non riesco a tagliare, e in seguito del quale mi è venuto proprio quel disturbo?

Esistono sicuramente anche altre concause: i cibi che mangiamo sono essenzialmente impoveriti delle sostanze nutritive e avvelenati da additivi chimici, motivo per cui, come dice la teoria Gerson, agendo sull’alimentazione è possibile ripristinare il sistema immunitario che, autonomamente, combatterà tutti i mali. Ma io sono convinto che l’equilibrio psicofisico che si può ottenere tagliando i legami permette di combattere anche le deficienze del sistema alimentare. Per chi non si accontenta di una visione così spirituale dei meccanismi di guarigione è opportuno introdurre alla Nuova Medicina del dottor Hamer: sintetizzo in poche righe il suo pensiero, anche col rischio di

banalizzare, sperando di suscitare in voi la curiosità ad approfondire. Fra l’altro ricordo che ad una manifestazione in favore dello stesso Hamer, tenuta qualche anno fa a Roma, alcuni manifestanti esibivano un cartello con la scritta: «Grazie al dottor Hamer non ho più paura». Il dottor Hamer era un affermato medico tedesco, forte oltretutto di alcuni brevetti per attrezzi di chirurgia che gli davano un buon reddito, e si era trasferito in Italia con la moglie e i 4 figli a praticare la medicina in forma gratuita. Il figlio, Dirk Hamer, si trovava in Corsica quando uno squilibrato, risentito perché credeva di essere stato oggetto di scherno al ristorante da parte di una compagnia di amici, imbracciò un fucile e sparò sulla barca nella quale Dirk stava dormendo, colpendolo alla gamba. Il ritardo nei soccorsi (oltre 6 ore), unitamente ad altre complicazioni, portò alla morte, qualche mese dopo, il povero giovane. Il padre, profondamente sconvolto da tale perdita, andò incontro ad una serie di malattie fra le quali un tumore al testicolo, dal quale riuscì - quasi miracolosamente e certamente inaspettatamente - a guarire. Questa esperienza personale lo portò a indagare se potesse esistere una correlazione fra il tipo di male che lo aveva aggredito e la perdita del figlio. Andando a riesaminare tutti i casi di tumori di cui era stato a conoscenza, scoprì in ciascuno di questi una relazione molto stretta fra il tipo di tumore ed un evento, diciamo così scatenante, che lo poteva avere innescato. In breve produsse una teoria, o un sistema di leggi, che spiega tutti i fenomeni di cosiddetta malattia che ci affliggono. Perché scrivo malattia in corsivo? Perché Hamer, con la sua Nuova Medicina, dà proprio un significato nuovo a quello che nella nostra cultura giudaico-cristiana viene visto come un fenomeno esterno, cattivo, che ci aggredisce, e contro il quale molte volte noi non possiamo fare niente. Il tumore, così come molte altre malattie, non sarebbe altro che una reazione adeguata, utile e prevista dalla natura ad uno shock imprevisto che viviamo da soli, non riusciamo ad elaborare e/o a condividere.

Se vi può sembrare inverosimile questo meccanismo naturale di autodifesa, immaginate un soldato che, sotto il tiro dell’artiglieria nemica, stia correndo da una trincea all’altra. Viene colpito ad una gamba, ma continua a correre e non sente il male fino a che non è arrivato al riparo, nella trincea. Il suo fisico, sentendo la situazione di pericolo, gli ha impedito di provare il male per permettergli di continuare a correre fino a quando non giunge al sicuro. Una volta al sicuro, il dolore dice: adesso ti devi riposare se vuoi guarire. Senza arrivare a questi esempi estremi, possiamo immaginare una situazione molto più familiare: il mal di testa del fine settimana del manager. Per tutta la settimana in ottima forma, 12 ore al giorno tirate di riunioni, confronti, scontri, e nel fine settimana, quando potrebbe godersi un po’ di meritato riposo, arriva il mal di testa a bloccarlo. Anche qui la natura ha fatto la sua parte: quando c’era la battaglia in corso il fisico dava il massimo; nel momento di pausa, il fisico richiede il riposo e l’attenzione che gli è stata negata durante la settimana. La cosiddetta malattia, pertanto, rientra nei meccanismi naturali di difesa, e non deve essere combattuta; quello che noi consideriamo un morbo non è altro che la richiesta di attenzione del nostro fisico durante la fase di riparazione. Chiaramente si capovolge qui il modo corrente di pensare. Anche la banale influenza, da male da combattere, diventa in questo sistema di pensiero lo strumento con il quale la Natura ci dice che dobbiamo riposarci un po’. Quindi non esistono cellule impazzite. La presunta spiegazione che spesso si sente fare delle cellule impazzite, che per qualche arcano motivo cominciano a proliferare senza ragione, oltre a non convincermi, mi è sempre sembrata una grandissima offesa a Dio. Un programmatore, nello scrivere le migliaia di righe di codice che compongono un programma, può inserire inavvertitamente degli errori che al verificarsi di qualche condizione particolare fanno sì che il programma si arresti o commetta qualcosa di non desiderato. Ma Dio non è un programmatore distratto: quello che mi hanno insegnato (e che sento intimamente) è che Lui fa tutto in maniera perfetta, e non esistono quindi errori di programmazione. Con la teoria della Nuova Medicina di Hamer anche la malattia ritrova il suo giusto posto, in un perfetto disegno di Amore Divino dove la rottura dell’armonia (ad opera dell’uomo) ha delle conseguenze sul nostro corpo, sulla nostra mente, sulla nostra anima. D’altra parte non è già scritto in Genesi che il voler fare di testa propria, il voler decidere di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (voler decidere autonomamente cosa è bene e cosa è male) ha posto l’uomo fuori dell’armonia della natura?

La visione unitaria è a mio avviso la parte più bella della teoria di Hamer: riesce a vedere l’uomo come un insieme di anima, mente e corpo, ma non solo, questo uno fa parte del tutto che influenza e da cui è influenzato. In tal modo Hamer riesce a vedere un’interessenza nel Creato che a mio avviso è quanto di più spirituale ci possa essere. Ed è un peccato che anche persone di fede che conosco lo abbiano bollato come non degno di approfondimento perché lui, nel criticare la medicina ufficiale, l’abbia definita «di derivazione giudaico-cristiana» (riferendosi esplicitamente alla parte che identifica la malattia come castigo divino). Siamo talmente occupati a cercare sempre il nemico, ad issare steccati, a definire gli schieramenti, che riusciamo a perderci la bellezza e completezza di una teoria così completa e a mio avviso divina solo perché abbiamo paura che qualcuno non sia dei nostri. Tanto per cambiare, il Diavolo, il divisore, ha proprio lavorato bene, anche in questo caso (e noi come allocchi ci siamo cascati). Hamer riporta su un piano scientifico quanto affermato precedentemente su un piano spirituale: e queste conoscenze saranno sufficienti a mettervi in condizione di non temere più la malattia ma anzi di iniziare un percorso individuale di scoperta del proprio organismo, delle migliori forme di alimentazione per la propria salute, perché, come dice l’health ranger, il ranger della salute Mike Adams, bisogna diventare desiderosi di imparare per tutta la vita («life-long learner»). Così facendo scomparirà la paura della malattia, insieme al timor sacro del dottore e le sue ricette.

Quarto: liberarsi dalla paura della povertà

Quando fu inventato il fast-food (McDonald’s) si decise di applicare i principi del Taylorismo e della catena di montaggio alla produzione di cibo. Il processo produttivo fu estremamente spezzettato in una serie di azioni ripetitive ed elementari, misurabili, e ottimizzabili. Uno degli scopi era anche il mantenimento di una bassissima professionalità (infatti più semplice è la mansione e minore è la professionalità richiesta) in modo tale da

a. pagare al lavoratore stipendi irrisori e

b. non aver nessun problema nel reperimento di manodopera, in quanto la mansione elementare si apprende praticamente all’istante. Per cui nessun cuoco specializzato, nessuna necessità di formazione, nessuna perdita in caso il lavoratore se ne vada in quanto la mansione è così elementare che può essere appresa da chiunque in tempi brevissimi.

A volte mi sembra che la specializzazione esistente nella nostra società sia finalizzata allo stesso scopo. Una volta i nostri nonni sapevano fare un po’ di tutto: se si rompeva una scarpa la riparavano, se c’era da ridipingere la casa ci si attrezzava, un mobile mancava, e si provvedeva, e così via. Oggi sembra che non si possa fare nulla, se non si è specializzati e non si ha una specifica autorizzazione. Anche l’esame di guida non si può più fare da privatisti, è indispensabile aver preso qualche lezione di guida da una scuola autorizzata. Credo che questa mancanza di autonomia sia funzionale ad un progetto di società in cui le persone non sono autonome in quasi nulla: certo, possono scegliere tra Coca-Cola e Pepsi, tra McDonald’s e BurgerKing, tra Dash e Dixan, ma questa è solo un’illusione di libertà. Con la crisi finanziaria degli ultimi anni, a partire dal 2008, moltissimi sono terrorizzati all’idea della perdita del posto di lavoro fisso (chi ce l’ha), o dall’incertezza del futuro e dall’impossibilità di fare un progetto di vita, specialmente fra i giovani. So di giovani ingegneri che accettano di fare qualunque cosa, pur di non restare a casa, a stipendi che neanche una badante rumena accetterebbe (500 € al mese). Perennemente ricattabili, con contratti a tempo determinato o a progetto, di 6 mesi in 6 mesi, prendere o lasciare. La crisi spaventa anche perché i meccanismi grazie ai quali si è prodotta sono complicatissimi anche agli addetti ai lavori: si parla di derivati, di futures, di opzioni, di sottostanti e di bailout, si accenna a iniezioni di liquidità (una siringa di fisiologica?) forse proprio per impedire che il meccanismo venga compreso dai più. Nel capitoli sul signoraggio di Ingannati ho illustrato come l’emissione di denaro permetta a pochissimi (chi crea il denaro) di acquisire fortune inestimabili (in realtà non si parla più di ricchezza: si parla di vero e proprio esproprio del creato), mentre ai più riduce proporzionalmente la capacità di spesa, con una inflazione galoppante.

Sul tema del denaro torno più avanti; per adesso voglio sottolineare come (ancora una volta grazie all’addestramento operato dai media, per questo il percorso tracciato in queste note prevede l’eliminazione della TV e dei giornali all’inizio del processo di liberazione) si sia persa di vista la realtà delle cose, dando alla finanza un valore assoluto, quando invece la moneta dovrebbe essere funzionale all’economia, e non viceversa. Cosa intendo dire? Intendo dire che la ricchezza vera di una persona così come di un popolo non sta nei soldi che ha in conto corrente, ma nelle capacità, nella creatività, nella volontà di condividere, di rendere il bene comune veramente un valore trasversale. Certo che il denaro serve: è un lubrificante che permette lo scambio fluido di beni e servizi, molto meglio del baratto. Ma se chi crea il denaro ne fa un utilizzo strumentale al proprio interesse privato, aumentando o diminuendone l’erogazione a piacere, per alternare periodi di grande liquidità (espansione dell’economia) a periodi di restrizione del credito (contrazione dell’economia) al fine di accaparrarsi i beni della terra, questo non ci deve far perdere di vista alcune verità fondamentali.

Primo: anche se la finanza crolla, le galline continuano a produrre uova e gli orti a produrre pomodori. Per quanto banale possa sembrare questa affermazione, quello che si vuole ricordare, ancora una volta, è che la moneta è funzionale all’economia e non viceversa. Ma l’economia reale viene prima.

Secondo: la ricchezza è sicuramente ambìta: anzi dirò di più: non è un peccato aspirarci, si tratta semplicemente di una ambizione di ritorno allo stato iniziale che Dio ci aveva creato. Ma ricchezza di cosa? Troppe volte si intende per ricchezza unicamente la ricchezza di denaro. La ricchezza invece può includere molto di più: ricchezza di tempo a disposizione; ricchezza di amici; ricchezza di spazio; ricchezza di idee; ricchezza di interessi; ricchezza di ispirazioni; ricchezza di bello da vedere e bello da dare. Si potrebbe obiettare che di queste cose non si mangia, è vero; ma agli amici credenti ricordo che Gesù ha detto: «Guardate i gigli dei campi, non filano e non tessono, eppure neanche Salomone, con tutte le su ricchezze, ebbe mai un vestito così bello»; e anche: «Non valete voi forse di più di un passero? E allora, se il Padre vostro che è nei Cieli non lascia nel bisogno un passero, volete che si dimentichi di voi?». Quindi, ogni volta che abbiamo paura e ci preoccupiamo del domani facciamo un torto a Dio, dimostrando di non fidarci di Lui. Come mi ha detto una volta un amico prete: «Loccupazione viene dal Signore; la pre-occupazione viene dal demonio». In generale, la sobrietà è un valore da riscoprire (come affermato nell’omonimo libro di Francesco Gesualdi) ed esistono sempre più esempi, anche fra non credenti, come Simone Perotti (Adesso basta) che hanno fatto del cosiddetto downshifting (invertire la tendenza: anziché cercare sempre di più, imparare a vivere sempre con meno) una vera e propria filosofia di vita: esistono comunità di famiglie (ACF, ad esempio) che fanno della condivisione, della disponibilità e della vita in comunità un modello facilmente replicabile. Ma non è tutto: il diffondersi di internet sta permettendo lo sviluppo di forme di comunicazione, scambio e collaborazione in rete, anche fra persone che non si conoscono o non si sono mai viste in faccia. Io ad esempio ho tradotto e sottotitolato diversi documentari inglesi, oltre a numerosi video su Youtube, che ho poi messo a disposizione degli altri; alcuni li hanno ripresi ed arricchiti; collaboro a progetti di traduzione e sottotitolazione dell’associazione degli architetti ed ingegneri per la verità sull’11 settembre: e tutto questo in rete, senza essermi mai spostato da casa né aver mai conosciuto di persona qualcuno dei miei interlocutori abituali. A cosa sta portando tutto questo? Alla diffusione immediata e impossibile da bloccare di informazioni, scoperte e tecnologie che in passato avrebbero tranquillamente potuto essere tenute nascoste e sconosciute ai più.

Penso ad esempio agli esperimenti riusciti di fusione fredda (in realtà si tratta, per essere più precisi, di LENR - Low Energy Nuclear Reaction), dove a fronte di poche centinaia di watt elettrici in ingresso si sono avute produzioni di migliaia di watt termici in uscita: non appena la tecnologia sarà disponibile e replicabile a livello industriale questo cambierà radicalmente il mondo come lo conosciamo oggi; penso agli esperimenti che si stanno tenendo con successo nella propulsione di veicoli ad idrogeno (H) o ad ossidrogeno (HHO); penso alle informazioni sulle proprietà terapeutiche della vitamina C (Linus Pauling) o sulle proprietà antitumorali del THC, estratto della canapa (Rick Simpson); e la lista potrebbe continuare. Per gli scettici invito a considerare quanto già successo nel mondo delle telecomunicazioni: una chiamata intercontinentale, solo 15 anni fa, poteva costare l’equivalente di un paio d’euro al minuto, oggi si parla sì e no di pochi centesimi, quando addirittura non si effettuano comunicazioni gratis grazie a Skype o simili. Cosa voglio sottolineare con questo? Che anche se la ricerca del posto fisso è ormai una speranza destinata, per moltissimi giovani, a restare un sogno non realizzato, grazie alla rete e al libero scambio di informazioni, le possibilità che si aprono sono veramente sconfinate, e abbandonando il parametro del denaro come unica misura della ricchezza scopriremo che potremo essere molto più ricchi di quanto avevamo osato sperare.

Quinto: liberarsi dalla paure del terrorismo e dalla guerra

Avete chiaro ormai che:

1. la paura è un sistema ampiamente usato per tenere sotto controllo la gente (vedi The Truman show);

2. è opportuno, affinchè questa paura sia efficace, avere la possibilità di canalizzarla secondo programmi e metodi ben precisi (e per questo è indispensabile avere il controllo dei mezzi di comunicazione);

3. essendo noi tutti diversi (e questo dà fastidio: se si potessero avere tutti sudditi uguali basterebbe applicare a tutti lo stesso pattern o schema di controllo, invece no) è necessario agire su diversi fronti: per molti basta la paura della malattia, del cancro, dell’AIDS, della pandemia; per altri serve anche la paura della povertà, della mancanza di un posto in questa società, della impossibilità di arrivare a fine mese; ma se non bastasse neanche questo…

4. possiamo sempre puntare sulla paura della guerra, dell’attentato terroristico, e del diverso.

In fin dei conti non è uno sforzo poi così grande: la paura del diverso è abbastanza atavica, per cui si tratta solamente di amplificare un istinto naturale. Non fraintendetemi, non voglio dire che siamo naturalmente razzisti: dico solo che è un istinto naturale trovarsi coi propri simili, e anche a distanza di decenni si trovano le comunità raggruppate per etnia: portoricani con portoricani, cinesi con cinesi, algerini con algerini, ecc. Questo non vuol dire però che ci sia l’odio o l’astio: per creare questo serve un piccolo - diciamo così - aiutino. Per chi ha letto Ingannati spero non esistano dubbi sul fatto che l’11 settembre sia stato un auto attentato, così come non dovrebbero esistere dubbi su altri false flag come l’incidente del Tonchino (scusa per la guerra del Vietnam, ammessa la sua falsità da parte dello stesso ministro della Difesa di allora, McNamara, a distanza di 40 anni) o per altri attentati-scusa. Da questo punto di vista non credo sia necessario molto di più: basta prendere coscienza di una realtà che – ovviamente - TV e giornali si guarderanno bene dal farvi notare. Ma se vi ostinate a tenere la TV in casa (e se state leggendo qui vuol dire che avete imbrogliato) continuerete a temere l’invasione degli arabi, che prima o poi ci costringeranno a diventare tutti musulmani, e ci imporranno la Sharìa; e penserete che sia un bene aver invaso l’Iraq, perché Saddam era un dittatore sanguinario (messo a quel posto proprio dagli americani, fra l’altro, al posto del predecessore che non concedeva lo sfruttamento delle riserve petrolifere a costi irrisori da parte delle compagnie anglo-americane); e quando vi diranno di altri attentati come quelli di Londra del 2005, nessuno vi farà notare che una compagnia inglese stava eseguendo una simulazione di attacchi terroristici nella stessa zona, con gli stessi mezzi, lo stesso giorno in cui poi avvennero quelli spacciati per veri; e il rappresentate di tale compagnia di sicurezza che sorride quando l’intervistatore TV gli chiede sbalordito: «Ma come, stavate facendo una simulazione basata su questo e questo, e poi si è tramutata in realtà?» (tutto documentato in rete). Crederete alla storiella dell’arabo cattivo, che odia l’Occidente perché siamo liberi; crederete alla storiella che l’Imam è stato rapito e torturato, allontanato dalla sua famiglia per due anni perché stava architettando qualcosa, e direte , ma così siamo più sicuri; crederete alla storiella delle armi di distruzione di massa, quando in realtà l’unico Stato del Medio Oriente con tali armi è Israele, che sta compiendo un vero e proprio genocidio verso suoi conterranei palestinesi, unico Stato al mondo a dichiarare per legge la superiorità razziale di una etnia rispetto ad un’altra, e guai a dire che sono razzisti, passeresti per antisemita. Quando invece si sente di ragazzi prelevati dalla Polizia per un nonnulla, o per due grammi di marijuana (che non ha mai ucciso nessuno, molto meno pericolosa per la salute di alcol e sigarette), e poi morti a seguito di pestaggi; quando sentite (ma ve lo diranno mai?) che in Italia muoiono ogni anno oltre 100 persone in carcere per i pestaggi subiti (o ufficialmente suicidi), o dei provocatori messi ad hoc nelle manifestazioni per dare la scusa alla Polizia di caricare donne, vecchi, bambini, genitori con i figli sulle spalle, allora fatevi una domanda: di chi è che bisogna avere paura? Del diverso, dello straniero, o di chi dovrebbe ufficialmente proteggerci perché è il suo mestiere? E passi per il poliziotto deviato, che magari avrà anche lui i suoi problemi di alcol e droga, e, forte della sua divisa, può commettere un omicidio: ma la macchina della giustizia? Quella che procede con calma, ponderatezza, sentendo i pareri diversi e i vari periti e alla fine assolve i criminali? Non è del diverso che bisogna avere paura. Non sono gli arabi la minaccia al nostro modello di vita. Prima ce ne rendiamo conto e prima capiremo dove sta il nemico vero.

Sesto: liberarsi dalla schiavitù del denaro

Il denaro è un ottimo servitore e un pessimo padrone. Sicuramente siamo giunti ad un punto in cui lo sterco del demonio non è più un aiutante ma un tiranno oppressivo. Ho già fatto notare (Prezzo e dis-prezzo) come il denaro abbia assunto così tanto valore nella nostra civiltà che, contrariamente alla logica, molte volte non è il valore intrinseco delle cose che ne determina il prezzo, ma è il prezzo stesso a condizionare il nostro giudizio e a farci attribuire un valore. Ma perchè siamo giunti a questo? Perchè abbiamo bisogno di un numero che ci faccia da metro, da parametro per ogni cosa? Si parla di uno sportivo: e ti devono dire quanto guadagna. Una modella: quanto prende per ogni sfilata. Sei stato in vacanza? Ma quanto hai speso? Che lavoro fai? Ma quanto guadagni? Sembra che il denaro sia diventato ormai l’unico nostro parametro di riferimento, l’unica lente o l’unico filtro attraverso il quale guardare il mondo. La radice prima di questo è che non siamo in grado di fidarci. Pensiamo che il prossimo sia sempre in agguato per fregarci; dobbiamo mettere da parte per il nostro futuro, non si sa mai; e se un giorno avessi bisogno, come farei? Abbiamo perso la capacità di donare gratuitamente noi stessi e il nostro tempo. Magari per certe piccole cose lo facciamo ancora: se il figlio del vicino va male in matematica, magari un paio di lezioni gliele dai, e mica chiedi soldi per questo; se il tuo amico del cuore trasloca, magari una giornata gliela dedichi per dargli una mano; ma poi basta, presi come siamo nel vortice del nostro lavoro totalizzante, che a malapena ci lascia il fine settimana per le pulizie e la spesa. E allora ci sentiamo più sicuri coi numeri: possiamo contare, accumulare, mettere da parte, costruire una illusoria certezza che riempia l'immenso vuoto che abbiamo dentro. Pensate invece a come sarebbe bello non avere nessun pensiero per il futuro, vivere abbandonati e disponibili, certi che tutto il bene fatto, in un modo o nell’altro, torna sempre, magari per strade diverse e inaspettate. Vivere senza paura non soltanto allontanerebbe tutte le malattie, ma toglierebbe un’arma potentissima a chi, sulle nostre paure, ha costruito il proprio business plan. Gli amici dello SCEC (o Sereno, in Veneto), così come quelli del Bitcoin (per non parlare di Auriti e del suo Simec prima) hanno avuto una grande idea per smussare le armi a chi, stampando denaro, si è impossessato del mondo e delle nostre vite; ma anche queste forme alternative non chiedono di fare il grande salto, semplicemente relazionano la nostra attività ad un altro tipo di contabilità, certo più democratica, più distribuita ed equa, siamo d’accordo: ma il vero salto si potrà fare con il vero, totale e fiducioso abbandono nel Signore. Per questo madre Teresa diceva: «Il mio banchiere è Dio»: perchè si fidava, e quando riceveva, dava, e quando non aveva, non dava, senza nessun tipo di pianificazione o accantonamento. Come mi ha detto una volta un amico, Nicola, quando gli ho spiegato il piano della moneta alternativa: «Bello, ma in ogni progetto della mente associativa il falsario riesce ad infilarsi. Solo nelle opere del cuore (=senza alcun calcolo di utile e ritorno) quello lì non può infilarsi». Quando facciamo qualcosa gratis, quindi, non facciamolo perchè è una buona azione: (diversamente da come credono gli amici islamici, Dio non metterà su una bilancia tutte le azioni buone e quelle cattive, per vedere di cosa saremo meritori, per Lui valgono anche le conversioni dell’ultima ora) facciamo qualcosa di gratis ogni giorno perchè così, imparando la fiducia e l’abbandono, un po’ alla volta costruiamo il regno di Dio sulla terra. Non serve fare come San Francesco, da un giorno all’altro abbandonare tutto: questo è un inganno fatto apposta per non permetterci di cambiare nulla, spaventandoci con una impresa impossibile ai più. Invece bisogna fare tante piccole cose, facili, accessibili, subito. Una cartina per terra? Raccoglila, gratis! Dai un passaggio gratis a qualcuno che te lo chiede, offriti di stirare per l’amica che è in un momento di carico eccessivo, se vai al parco coi tuoi figli porta anche quelli del vicino, se fai il pane in casa fanne un po’ di più per la signora anziana che sta di fronte. Tante piccole cose, fatte per il puro piacere di farle, senza nessuna aspettativa di ritorno. Ci metteranno sulla strada giusta. La realtà è che ogni scalata, anche al monte più alto, comincia col prima passo: basta cominciare col poco. Cominciamo ad esempio con un sorriso gratuito: chi non è capace di darlo? Da lì poi possiamo passare a donare qualcosa di più. Ogni giorno di più, magari facendo cose che ci piace fare (e perché no? Dobbiamo o non dobbiamo amare il prossimo come noi stessi? Non dobbiamo certo disprezzarci e buttarci via, anzi!) come invitare un vicino a prendere il caffè o una fetta di torta fatta apposta per l’occasione. Un po’ alla volta, con pazienza, fino a dare tutta la vita, ci riusciremo anche noi.

Settimo: liberarsi da tutti i legami

Lo so, lo so: sono un disco rotto che ripete sempre la stessa frase. Ma se dovessi citare un unico insegnamento che vorrei trasmettere attraverso queste pagine, sarebbe proprio questo: tagliate tutti i legami, buoni o cattivi che sembrano (anche perchè non esistono legami buoni: tutti sono cattivi e velenosi e, alla lunga, mortali). Per l’ennesima volta riprendo la nota sulle scimmie prigioniere:

Nel libro di Bear Heart, Il vento è mia madre, viene spiegata una tecnica per catturare le scimmie. Si svuotano e si fanno essiccare delle zucche, avendo la cura di mantenerne più possibile l’integrità e togliendo il contenuto interno da un foro. Poi queste zucche essiccate vengono sotterrate sotto la sabbia, con la parte bucata rivolta verso l’alto, visibile; a questo punto una banana viene messa dentro la zucca, infilata dalla parte del buco. La scimmia, che sente l’odore della banana, infila la mano nella zucca, ma quando prova a tirarla fuori si trova come intrappolata, non riuscendo a far uscire la mano che tiene stretta la banana. Così è abbastanza facile catturare la scimmia che si trova, suo malgrado, immobilizzata. Suo malgrado? Ad un osservatore esterno sfugge un sorriso di compiacimento: la scimmia, in realtà, non è prigioniera, crede di esserlo, in quanto fintanto che non molla la presa, non può scappare. Sarebbe sufficiente che mollasse la presa e scappasse, no?

Prima di ridere della scimmia pensiamoci però un attimo: quante volte noi siamo proprio come loro? Quante volte ci attacchiamo a qualcosa di cui non ci sembra possibile fare a meno, e roviniamo di conseguenza la nostra vita? Questo qualcosa per qualcuno è la sicurezza economica; per qualcun altro la famiglia; per qualcuno il prestigio, la carriera o il potere: e siamo talmente dentro a questa nostra convinzione che ci sembra impossibile vivere senza. Questo voleva dire Gesù quando ha detto: «Chiunque viene a me e non odia la propria madre, il proprio padre...» voleva dire: se non è in grado di rompere il legame, di tagliare questo eterno cordone ombelicale che ci lega anche a cose di per sé buone, come i genitori, i figli, un minimo di benessere, la sicurezza economica, beh, chi non rompe questi legami sarà sempre schiavo. La soluzione, invece, è quella di rompere i legami, e tenere l’unico che ci dà la vera libertà: quello in Cristo, unica fonte di Vita, di Gioia, di Amore, di Felicità. Allora sì che saremo capaci di amare liberamente i nostri genitori, i nostri figli, il nostro capufficio, ecc., perchè veramente fratelli in Cristo. Cominciamo a tagliare tutti i legami, giorno per giorno, e teniamo l’unico legame veramente vitale: quello con Gesù Cristo, nostro Salvatore e Liberatore. E se ogni tanto stiamo male, se abbiamo dei pensieri, se siamo cupi, arrabbiati, ecco la spia che ci avverte. Allora fermiamoci un attimo e pensiamo: qual è la banana che non voglio mollare in questo momento? Qual è il legame che non riesco a tagliare? Per colpa di quella banana che non voglio mollare, di quel legame che mi limita, non riesco a vivere felice. Taglia il filo e vivi felice. Sento già i provocatori, i sofisti ribattere: ma allora, se tutti i legami sono dannosi, non devo neanche avere il legame con mia moglie (o con mio marito, a seconda)… ed ecco il solito sorrisetto e la provocazione sardonica: allora, se fosse come dici tu, vedo una che mi piace, e ci vado, no? Che tristezza! Stare con una persona non perché l’hai scelta e la scegli ogni giorno, non perché quello che avete costruito e state costruendo ogni giorno arricchisce e fa crescere un rapporto che è fatto di amicizia, amore, complicità, intimità che non potresti mai ricreare con nessun’altra, ma solo perché ti è vietato, perché hai un legame! Se questo è il motivo per cui non tradisci tua moglie o tuo marito, beh, lasciatelo dire, hai già tradito da tempo, ma non solo il tuo partner, anche te stesso, il progetto che avevi, l’impegno e le promesse che avevi fatto. Oppure qualcun altro dice: beh, ma in fondo anche l’amore è un legame… No! Bestemmia! L’amore è una attività, presuppone un movimento, qualcosa che si fa nei confronti dell’amata: la curo, la veglio, la coccolo, sono premuroso, cerco di capire… il legame invece è una passività: sono soggetto passivo di un legame, non posso muovermi, non sono libero, non posso andare dove voglio, agire come mi pare… sono diversi come il giorno e la notte! Anche per quanto riguarda altri rapporti personali il discorso non cambia. Come diceva Gibran, i figli non sono vostri, sono figli della vita che la Vita vi ha affidato; ma come l’arco non trattiene la freccia, così il genitore non deve legare a sé il figlio, pena la morte del figlio stesso. Non vi chiedo di applicare questo - importantissimo - passo basandovi unicamente sulla fiducia: anzi, vi chiedo di mettere alla prova quanto scrivo. E provate ad utilizzare questo consiglio: non partite con la ricerca dei legami che ancora avete. Aspettate. Aspettate di vedere la spia rossa che si accende: ogni volta che qualcosa vi rattrista, o vi fa arrabbiare, fatevi questa domanda: quale è il legame che in questo momento non so abbandonare? Quale è la banana (per tornare alle nostre scimmie) che non voglio mollare


Conclusione

Siamo stati creati per la felicità. Solo l’inganno ci ha potuti spaventare, e farci credere che Dio, l’Onnipotente, il Creatore del cielo e della terra, non ci amasse. Così, in seguito alla paura, ci siamo attaccati a piccole cose, false certezze, e abbiamo perso la libertà. Ma con la riscoperta della verità, il velo cadrà, le paure passeranno, e molleremo tutti i nostri piccoli attaccamenti e torneremo liberi.

«Conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi».

Alberto Medici


Fonte >  Ingannati.it