Il “giallo” Merry del Val
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La misteriosa morte di merry del val. Secondo le carte della polizia politica italiana

Durante un banale intervento d’appendicite, il cardinale Raffaele Merry del Val, muore inaspettatamente sotto gli occhi di un chirurgo di chiara fama e dei suoi assistenti. Pochi mesi più tardi l’anestesista scompare (“suicida”) in circostanze misteriose. 

Sull’episodio è immediatamente calato un velo di silenzio impenetrabile destinato a resistere per ottant’anni, che è stato dissipato cinque anni or sono da uno storico.

Sembra la trama di un romanzo giallo, ma la storia è vera e documentata storicamente da un ricercatore universitario anche se, fino a questo momento, mai rivelata (Cfr. Alessandro Visani, giovane ricercatore presso il Dipartimento di Storia nell’Università “La Sapienza” di Roma, in  Giornaledistoria.net,Opinioni & Notizie su Pio X”, 16 marzo 2018).

Siamo nella Roma degli anni Trenta e il nome del cardinale è di quelli importanti: Rafael Merry Del Val. Quando si cercano notizie sul famoso cardinale, nelle enciclopedie e nei dizionari i particolari della morte vanno dalla laconica informazione di luogo e data (Roma, 26 febbraio 1930) all’aggiunta di alcuni dettagli sul come, ai quali non segue mai, però, una spiegazione approfondita. 

Per far luce sulla morte, tuttavia, occorre prima dare qualche breve cenno sulla sua vita, sulla quale tornerò in maniera più dettagliata in un secondo articolo.

Alla morte di Leone XIII (20 luglio 1903), che aveva avuto per lui molta benevolenza, Merry Del Val fu designato “Segretario del conclave” (31 luglio 1903 – 4 agosto).

Pio X fu sùbito conquistato dalle sue doti scegliendolo come collaboratore. Fu nominato cardinale (9 novembre 1903) e infine – sempre nello stesso anno – “Segretario di Stato” (12 novembre).

Egli lasciò un’impronta indelebile durante tutto il pontificato di Papa Sarto. Alla morte del Pontefice (20 agosto 1914), il cambio di rotta della politica vaticana (in direzione più moderata) determinò un progressivo allontanamento del cardinale dall’azione diplomatica attiva, ma non certo una sua emarginazione: Segretario del Sant’Uffizio, arciprete della Basilica Vaticana, Del Val rimase a lungo un protagonista e, fino agli ultimi giorni, uno degli uomini più influenti dell’establishment della Santa Sede (Per un breve profilo e una bibliografia orientativa si veda la voce a lui dedicata in: Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Ed. Treccani, 2009, vol. 73, pp.740-744, a cura del professor A. Zambarbieri).

Seppur non giovanissimo (aveva 64 anni), come scrive il professor Zambarbieri, Merry Del Val godeva di una salute eccellente. Di «fibra forte e resistente», conduceva «vita regolarissima» e non mancava mai di praticare quotidianamente «esercizi ginnici». L’equilibrio «morale e fisico di tutta la sua esistenza dedicata al lavoro» faceva credere in una vita longeva. Il suo fidato collaboratore monsignor Nicola Canali, con il quale il Del Val «da tanti anni faceva vita quasi comune», fu il primo a mostrarsi dolorosamente sorpreso per l’improvvisa e inspiegabile morte (Ministero dell’Interno, PS, Polizia Politica, Fascicoli Personali, b. 828, f. «Cardinale Merry del Val», «Profilo del Cardinale Merry Del Val», informativa riservata in data 27 febbraio 1930). Canali – e non solo lui a dire il vero – non riusciva a capacitarsi della cosa e ben presto alcune indiscrezioni cominciarono a circolare con una certa insistenza.

C’era qualcosa di misteriosamente tragico nella repentina scomparsa del cardinale e il monsignore iniziò a chiedere in giro. Il porporato era morto, infatti, nel corso di una banale operazione d’appendicite, un intervento già considerato di routine negli anni Trenta ma per la quale, vista la caratura del personaggio, ci si era comunque affidati a un’équipe di alto livello. Il chirurgo scelto fu niente di meno che il prof. Giuseppe Bastianelli, luminare di chiara fama (A. Zambarbieri, Ivi). Bastianelli aveva già operato «brillantemente e con pieno successo» il re, Vittorio Emanuele III, di un’ernia strozzata.

Già il giorno dopo la morte del Merry Del Val, un’informativa della polizia politica italiana (Ovra) avvertiva che «negli ambienti della Santa Sede» circolava «con insistenza» una grave accusa contro Bastianelli che era annotata «con molta prudenza a solo titolo d’informazione». Secondo tali indiscrezioni – tutte da confermare – il chirurgo aveva niente meno che «ucciso il cardinale Merry Del Val» (Ivi. Informativa riservata, in data 25 marzo 1930). Fu soprattutto il fidato Canali a muoversi con tenacia alla ricerca della verità.

Ormai era chiaro a tutti che era successo qualcosa nel corso dell’operazione, ma si trattava di capire cosa e perché. La polizia politica fu rapida nelle sue indagini e i particolari cominciarono a delinearsi, con maggiore precisione nei giorni immediatamente successivi. Si legge, infatti, in una nota riservata «che l’operazione d’appendicite» era riuscita ma che «la somministrazione del cloroformio, troppo abbondante, avrebbe mandato all’altro mondo il Segretario della Suprema Santa Congregazione del Sant’Ufficio e Prefetto della S. Congregazione della Rev. Fabbrica di San Pietro». Il sospetto di tale gravissimo errore era stato comunicato a papa Pio XI «il quale sarebbe rimasto molto costernato e impressionato».

Nell’entourage della Segreteria di Stato fu imposto da questo momento un rigido riserbo, ma la nota si chiudeva con una lapidaria affermazione: «Malgrado ciò, la grave accusa contro l’autorevole chirurgo circola ovunque negli ambienti della Santa Sede» (Archivio Centrale dello Stato [d’ora in poi ACS], Ministero dell’Interno, PS, Polizia Politica, Fascicoli Personali, b. 828, f. «Cardinale Merry del Val», «Profilo del Cardinale Merry Del Val», relazione in data 7 agosto 1929).

Tutti in Vaticano ne parlavano con cautela e circospezione ma, notavano gli informatori, a parziale conferma che ci fosse del vero in tutta questa faccenda, era detto apertamente che il prof. Milani, secondo medico insieme a Bastianelli e direttore generale dei servizi sanitari vaticani, non aveva smentito la notizia ma «solamente alzato le spalle» (Ibidem).

Si trattava di una vera «bomba» che vedeva protagonisti uno dei più potenti cardinali del Sacro Collegio, uno stimato chirurgo, uno dei medici del Papa e infine un anestesista da anni collaboratore dello stesso Bastianelli. Gli indizi che ci fosse qualcosa di strano spinsero, alla fine di marzo, il Papa in persona a ordinare un’inchiesta interna volta ad accertare le cause della morte del cardinale. Le voci circa il fatto che egli fosse stato vittima «dell’imperizia e dell’errore dei medici» furono sempre più insistenti. In un’ennesima informativa riservata della polizia politica per la prima volta si faceva riferimento a un particolare relativo alla «dentiera del cardinale» e alla confusione che si venne a creare nel corso dell’operazione subito dopo l’anestesia (Ibidem).

Il caso della morte di Merry Del Val s’era trasformato in un affaire scottante con forti implicazioni anche sul piano diplomatico. Alla cerimonia di commemorazione furono clamorosamente assenti sia il nunzio, Borgongini Duca, che l’ambasciatore presso la Santa Sede, De Vecchi. Il fatto ovviamente non mancò di essere notato e Pio XI in persona chiese spiegazioni a Borgongini il quale fu costretto ad ammettere di «essersi trovato tra due fuochi» e di aver ceduto alle pressioni di De Vecchi che non sopportava Merry Del Val.

La parola d’ordine era evidentemente quella d’insabbiare il più presto possibile la cosa con la giustificazione, non del tutto credibile, che il cardinale era, di fatto «l’avversario più accanito di una certa corrente del fascismo nel Sacro Collegio» (Ivi. Informativa riservata, in data 7 dicembre 1929). A quanto sembra, però, non era tanto il governo a voler tacere sull’imbarazzante vicenda, ma soprattutto certi ambienti vaticani. Il Del Val, all’indomani della Conciliazione, era visto come un potente avversario da molti, oltre che “papabile”. Secondo monsignor Canali – che continuava a non darsi per vinto e a insistere con la tesi del tragico errore dei due medici, definendo l’incidente senza mezzi termini un «omicidio sia pure involontario» – le pressioni per non insistere oltre nell’accertamento della verità arrivavano da Giuseppe Pizzardo, uno degli uomini più potenti dell’establishment vaticano e diretto “protettore” dell’altro medico presente, quel prof. Milani già membro della ristretta cerchia dei “dottori del Papa” (Ivi. Si vedano le informative riservate in data 7, 12 settembre e 19 ottobre 1929).

All’inizio di giugno una laconica quanto inquietante informativa annunciava che l’anestesista dott. Boni, «terzo uomo» del team della tragica operazione a Del Val e «da 15 anni assistente personale di Bastianini», era morto «improvvisamente». Secondo Canali e altri – sempre stando alle indiscrezioni raccolte dagli informatori del governo italiano in Vaticano – in realtà egli s’era “suicidato” (Ivi. Informativa riservata, in data 19 ottobre 1929).

Tutta la faccenda della morte del cardinale cominciava ad apparire come un vero e proprio “giallo” destinato a trascinarsi ancora per mesi fino alla tarda estate, quando una breve relazione sembra dire la parola definitiva alla misteriosa vicenda. Le indiscrezioni dei mesi precedenti, rafforzate dalle insistenze di Canali, s’erano dimostrate fondate: era effettivamente successo qualcosa d’inaspettato durante l’operazione.

Sempre secondo quanto si legge in una nota – ancora dell’«Ovra», ossia la polizia politica italiana, in data 30 agosto 1930 – «la vera causa della morte di Merry Del Val» era stata «la soffocazione» (Ivi. Informativa riservata, in data 6 novembre 1929). Immediatamente dopo l’anestesia (somministrata, come di consueto a quei i tempi, per mezzo di cloroformio) ci si rese evidentemente conto che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Nelle operazioni preparatorie la dentiera mobile del cardinale non solo non era stata rimossa come si fa abitualmente, ma addirittura era finita nella sua gola e nessuno dei tre era riuscito ad evitare il peggio.

In pratica, una volta anestetizzato l’illustre paziente, s’iniziò l’intervento e nei brevi e frenetici istanti successivi fu chiaro cos’era successo, ma non ci fu il tempo per agire. Bastianelli, infatti, «non aveva sottomano le pinzette adatte» (Ivi. Informativa riservata, in data 22 febbraio 1930) anche se sarebbero bastate le dita e, in pochi secondi, si trovò a dover sospendere l’intervento d’appendicite (a incisione già effettuata) e a cercare di salvare la vita del cardinale. Privo di coscienza e con una dentiera incastrata nella gola, Rafael Merry Del Val, per una serie di avversità “imprevedibili”, morì soffocato tra lo sconcerto dei presenti.

Nella relazione finale si legge che in Vaticano «raccontano che Bastianelli» si allontanò dalla camera operatoria «dimenticando anche il cappello» (Ivi. Informativa riservata, in data 26 febbraio 1930).

La Vita di merry del val in Breve

La fanciullezza

Il professor Annibale Zambarbieri, in un interessante articolo (Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Ed. Treccani, 2009, vol. 73, pp. 740/44), scrive che Raffele nacque a Londra il 10 ottobre 1865, secondogenito di Rafael, diplomatico spagnolo, e di Josephina de Zulueta.

Lo Zambarbieri nel suo saggio su Merry si avvale anche delle informative riservate dell’«Ovra», la polizia politica italiana (che dedicava al cardinal Merry Del Val un intero fascicolo), conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma.

Merry negli istituti scolastici che in seguito frequentò seguì le prime due classi delle elementari alla Baylis House, a Slough in Inghilterra, nella quale ricevette un’efficace iniziazione alla conoscenza delle lingue.

Quando il padre fu assegnato all’ambasciata in Belgio, Merry si iscrisse al collegio dei gesuiti a Namur, passando nel 1878, per gli studi di umanità, a quello di Bruxelles del medesimo Ordine.

Stando alle affermazioni del fratello Pietro e della sorella Maria, sembrava allora incline a intraprendere la carriera militare (Roma, Collegio spagnolo di S. José, Arch. della Postulazione, cc. 1028, 1101), ma non tardò a manifestare il desiderio di farsi prete.

Seguì dunque i corsi di filosofia al collegio ecclesiastico Ushaw a Durham, in Inghilterra, ricevendovi, il 5 ottobre 1884, la tonsura e gli ordini minori.

Le tendenze ultramontane del cattolicesimo inglese modellarono presto le visuali del M., che ebbe modo di rinsaldarle partendo dall’autunno 1885, quando cominciò il suo soggiorno romano. Qui avrebbe dovuto essere ammesso nel collegio ecclesiastico scozzese. Tuttavia, Leone XIII, dopo un’udienza accordata a Merry, decise di iscriverlo all’Accademia dei nobili ecclesiastici, istituto per la preparazione dei diplomatici pontifici.

La vita consacrata

Merry conseguì, il 18 luglio 1886, il dottorato in filosofia nell’Università Gregoriana, il 28 giugno 1890 la laurea in teologia e il 14 giugno 1891 la licenza in diritto canonico. Frattanto il 30 dicembre 1887 era stato ordinato sacerdote.

Da allora compì numerosi incarichi. Nel 1887 fu nominato cameriere segreto di sua Santità e partecipò alla missione pontificia in Inghilterra per il giubileo d’oro della regina Vittoria; nel marzo 1888 funse da segretario della delegazione per i funerali dell’imperatore di Germania Guglielmo I e per l’incoronazione del figlio Federico III; qualche mese dopo fu latore, per conto del Papa, di un dono a Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e d’Ungheria; nel 1892 entrò tra i camerieri segreti partecipanti.

Proseguì la carriera allargando le sue competenze nelle materie ecclesiastiche, dapprima come collaboratore del prefetto della congregazione per le Chiese orientali, poi come esperto di questioni riguardanti l’anglicanesimo. I contatti da lui intrattenuti con i cattolici inglesi, in specie con il cardinale Herbert Vaughan arcivescovo di Westminster, e la conoscenza della Chiesa d’Inghilterra costituirono i motivi per cui Leone XIII gli affidò il compito di cooperare alla redazione della lettera Ad Anglos (15 aprile 1895) e alla relativa versione in inglese. Era il preludio della nomina a segretario della commissione incaricata di verificare la validità delle ordinazioni anglicane.

L’invalidità delle ordinazioni anglicane

Durante i lavori sostenne la tesi secondo la quale considerava invalide tali ordinazioni, per difetti sia di forma sia d’intenzione; un simile giudizio fu poi sancito dalla lettera pontificia Apostolicae curae (5 dicembre 1896). La linea seguita da Merry risalta in parecchie sue missive, per lo più inedite, sia al segretario particolare di Leone XIII, monsignor R. Angeli, sia al cardinal Vaughan. In una di queste accusò di «liberalism in religion» i sostenitori della validità (lettera del 15 giugno 1896); in generale, insisteva nella critica sia alla Chiesa d’Inghilterra, sia agli anglo/cattolici, anche di là dalla specifica questione dibattuta. Scrisse, infatti, il 12 dicembre 1895: «Credo che Sua Santità si persuaderà che tanti mesi or sono, io avevo ragione nel dire che il cardinale segretario di Stato (Mariano Rampolla del Tindaro) s’ingannava credendo e affermando che Halifax ammetteva il Primato e l’infallibilità del Papa» (ad Angeli).

Merry vs Rampolla & Gasparri

L’esplicita critica rivolta al principale collaboratore di Leone XIII, il cardinale M. Rampolla del Tindaro, era un precoce indizio del contrasto, destinato a durare, fra due correnti della Curia romana: una più intransigente (Merry Del Val / Pio X), l’altra più moderata (Rampolla, Gasparri / Leone XIII, Benedetto XV, Pio XI).

L’approccio d Merry alla problematica dell’anglicanesimo risalta in un articolato saggio che parecchi anni più tardi fu pubblicato in La Civiltà cattolica (LXXIII [1912], t. 3, pp. 79-106), senza che se ne indicasse l’autore, designandolo solo come «prelato peritissimo in questa materia». Uno dei fondamenti più solidi di tali valutazioni si ritrova nel convincimento, da lui spesso ribadito, dell’indefettibilità della S. Sede: se questa avesse riconosciuto «di aver sbagliato per trecento anni basandosi sopra una ignoranza crassa del fatto e reiterando due Sacramenti senza scrupolo durante tutto questo tempo», le conseguenze sarebbero state «disastrose e irrimediabili» (lettera ad Angeli, 29 agosto 1895). Insieme occorre non dimenticare come uno scopo tenacemente perseguito dal Merry fosse la conversione degli Inglesi alla fede e alla disciplina della Chiesa romana.

Un momento di questa contesa fu la polemica intorno ai temi delle indulgenze, del presbiterato e dell’eucarestia, da lui condotta contro il ministro della chiesa anglicana di via del Babuino, a Roma (A reply to the sermon preached in Rome by F. N. Oxenham, Rome, 1897).

Sulla medesima direttrice il Merry collaborò alla fondazione a Roma del Collegio Beda, per i convertiti dall’anglicanesimo e dal protestantesimo che avessero scelto di diventare sacerdoti. Sempre nel settore della formazione del clero, va ricordato il suo contributo affinché sorgesse, sempre a Roma, il Collegio spagnolo, quale centro di studio dove i futuri preti assimilassero principî «papali».

Nel marzo 1897, nominato prelato domestico di sua Santità, gli fu affidata con il titolo di delegato apostolico un’impegnativa missione in Canada per appianare il contenzioso tra governo e vescovi, alimentato dai dissensi sulla tipologia dell’insegnamento e sui contributi statali da assegnare alle scuole cattoliche del Paese. Il felice esito delle trattative, conclusesi in luglio, gli procurò ulteriore prestigio.

La consacrazione vescovile (1900)

Nominato presidente dell’Accademia dei nobili ecclesiastici, il 19 aprile 1900 fu preconizzato arcivescovo di Nicea e consacrato dal cardinale Rampolla il 6 maggio. Nell’estate del 1902 ebbe l’incarico di legato straordinario alla corte inglese, per la cerimonia d’incoronazione di Edoardo VII.

All’abbrivo del nuovo secolo, il Merry godeva d’un ragguardevole credito nell’organigramma vaticano. Già consultore della congregazione dell’Indice dal 1898, venne eletto nel 1902 membro della Commissione per la preservazione della fede. In questo ruolo mostrò un acuto interesse affinché l’ortodossia non subisse incrinature, ancorché minime, contrapponendosi a tendenze meno rigide, peraltro attive anche entro la Curia romana.

Nell’estate 1903 si prospettò la sua elevazione alla cattedra arcivescovile di Westminster; tuttavia egli declinò l’offerta, dichiarando di non sentirsi «veramente e pienamente inglese», come del resto pure altri opinava (Roma, Arch. della Congregazione De Propaganda Fide, n.s., vol. 289, cc. 18-69). Tuttavia, per il suo cursus ecclesiastico era imminente una svolta più radicale.

A determinarla intervennero, sia la morte di Leone XIII (20 luglio 1903), sia la concomitante scomparsa del segretario della congregazione Concistoriale e del S. Collegio, monsignor A. Volpini, che avrebbe dovuto fungere da segretario nel conclave per l’elezione del nuovo pontefice. I cardinali di Curia, senza attendere l’arrivo dei colleghi dalle altre sedi, designarono il Merry per quella delicata funzione.

Ancora Merry vs Rampolla

La scelta fu interpretata come una sconfitta della corrente (più moderata) del segretario di Stato Rampolla, che molti preconizzavano Papa. L’andamento del conclave, conosciuto anche mediante una Relazione dello stesso Merry, conobbe l’impasse del veto che l’Austria avanzò tramite il card. J. Puzyna, arcivescovo di Cracovia, nei confronti di Rampolla, e sfociò nell’elezione di Giuseppe Sarto, con il nome di Pio X (4 agosto 1903).

Segretario di Stato (1903)

Il nuovo Papa il giorno stesso nominò il Merry prosegretario di Stato, elevandolo poi alla porpora (9 novembre) e conferendogli, il 12 novembre, la pienezza della carica di segretario di Stato. Decisiva per la scelta di Pio X fu soprattutto la consonanza tra lui e il Merry sul piano delle visuali teologiche ed ecclesiologiche.

In effetti, i due procedettero sul binario di un durevole accordo: la multiforme operosità del Merry fu costantemente in sintonia con gli indirizzi che la Chiesa di Pio X programmò e con alterni esiti tradusse in atti concreti.

Sin dagli esordi del pontificato se ne stagliarono nitidamente alcune direttrici, specie nel settore sociopolitico. La soppressione dell’Opera dei congressi, comunicata ai vescovi italiani dal Merry il 28 luglio 1904, intese ridimensionare soprattutto la corrente capeggiata da don Romolo Murri.

D’altro canto spianò la strada verso meno conflittuali rapporti tra il mondo cattolico e lo Stato liberale, permettendo fra l’altro una graduale attenuazione del non expedit.

 

Rottura del concordato con la Francia

Molto tese furono invece le relazioni con la Francia: latente ormai da molto tempo, la crisi scoppiò a proposito della visita del presidente, Émile Loubet, al re d’Italia, effettuata in contrasto con quello che la S. Sede aveva richiesto alle autorità politiche dei Paesi cattolici, onde evitare l’implicita approvazione dello Stato unitario. La protesta vaticana, pur riservata, spinse il governo francese a rompere le relazioni diplomatiche e, in seguito a successivi incidenti, a denunciare il concordato. Negli sviluppi della controversia il Merry adottò una risoluta strategia per sottrarre le istituzioni ecclesiastiche francesi al controllo dello Stato, che, secondo le sue convinzioni, i vari progetti di legge governativi avrebbero necessariamente indotto.

Di qui, il deciso rifiuto della legge francese del 1905, che era ritenuta da parecchi cattolici, lesiva dei diritti della Chiesa di Roma. Essa era stata promossa dal deputato socialista Aristide Briand (uno dei padri dei futuri “Stati Uniti d’Europa”) ed era diretta ad attuare la parità di tutte le religioni (considerate libere «associazioni di culto»), in una visione di netta separazione tra Stato e Chiesa.

L’intransigenza di Merry e di Pio X contro il Modernismo

Un’intransigenza altrettanto rigida Pio X e il Merry la dispiegarono nel combattere il modernismo. Il segretario di Stato, che faceva parte anche della Commissione biblica, intervenne sollecitamente nelle procedure di condanna delle opere di Alfred Loisy (dicembre 1903) e più tardi nell’iter per la scomunica dello stesso (marzo 1908). Analoga determinazione dispiegò nel gestire il caso di George Tyrrell, che riteneva eretico. Risolutivi furono i suoi interventi per comminare all’ex gesuita britannico la scomunica minore (esclusione dai sacramenti) tramite il vescovo di Southwark, monsignor P. Amigo (la relativa corrispondenza è conservata a Southwark, Achidiocesan Archives, Vigilance Committee Tyrell File). Incisivo fu l’impulso dato dal Merry alla stesura e soprattutto alla strategia divulgativa dell’enciclica Pascendi.

 

Merry, Monsignor Benigni e il “Sodalitium Pianum”

Con Pio X appoggiò il sottosegretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, monsignor Umberto Benigni, e l’attività del Sodalitium Pianum da quest’ultimo fondato per opporsi in maniera capillare al modernismo.

Tuttavia, con il passare degli anni, lo stesso Benigni stigmatizzò (esageratamente) il segretario di Stato perché, a suo giudizio, stemperava a volte l’energia decisionale in rallentamenti diplomatici. L’epiteto «La Peur», che gli affibbiò, rende bene l’idea non di divergenze sul piano di valutazioni dottrinali o di merito, quanto un dissimmetrico stile nella prassi operativa.

In realtà il M. mostrò risolutezza, e per nulla arrendevolezza, in parecchi interventi, come nel contenzioso con la Spagna durante gli anni 1910-13, riguardo alle disposizioni legislative sulle associazioni (Ley del Candado) che riguardavano gli ordini e le congregazioni religiose. Fin dall’inizio, ribadì il principio, sancito dalla costituzione del Paese, secondo cui il cattolicesimo romano era da considerare la sola religione della nazione spagnola, con l’assoluta esclusione di qualsiasi altro culto (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1913, rubr. 249).

Né tentennò quando, nel marzo 1910, Theodor Roosevelt richiese un’udienza a Pio X e la domanda fu respinta perché l’ex presidente degli Stati Uniti si era in precedenza impegnato a farsi ricevere dai metodisti di Roma, notoriamente assai ostili nei confronti del Papato, ma anche a recarsi presso un gruppo massonico, presente il sindaco della capitale Ernesto Nathan (per la posizione del Merry in quell’occasione v. La Civiltà cattolica, LXXXI [1920], vol. 2, pp. 367-372). Quando Nathan, commemorando alcuni mesi più tardi la presa di Roma del 20 settembre 1870, pronunciò dure critiche nei confronti della Chiesa fu il segretario di Stato a comporre il testo della perentoria lettera di reazione che Pio X inviò tre giorni dopo al cardinale vicario di Roma.

Ciò non escludeva più elastiche attitudini, come si è rilevato, e come dimostrò il suo ripiegamento durante le controversie con il governo della Germania e con le organizzazioni cattoliche di quel Paese, specie sul tema dell’interconfessionalità del sindacato, questione che acuì il suo dissenso con Benigni.

Del resto, egli non esitò a riprovare gli attacchi diretti nel 1912 dal polemista genovese don Giovanni Boccardo contro l’arcivescovo di Milano, cardinale Andrea Ferrari, definendoli «di portata tutt’altro che serena e con apprezzamenti oltreché aspri nella forma ed esagerati nella sostanza, lesivi, in modo evidente, della onorabilità degli interessati» (lettera del 30 giugno 1912 a Boccardo, in Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1912, Rubr. 162, f. 5).

La fine del pontificato di Pio X

Alla fine del pontificato di Pio X il Merry, pur avendo da poco firmato il concordato con la Serbia che tutelava la minoranza cattolica (24 giugno 1914), dopo l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando (28 giugno) sostenne la necessità di una drastica reazione austriaca, che parve avallare il ricorso all’intervento bellico. In séguito precisò di non avere mai sostenuto che l’Austria dovesse far ricorso alle armi. Come ebbe a ribadire, ancora nel 1923, affermazioni in contrario costituivano «una glossa e una interpretazione» inammissibili (dichiarazione autografa del 22 ott. 1923, Arch. segr. Vaticano, Spogli di cardinali e officiali di CuriaSpoglio cardinal Merry del Val, b. 6).

Dopo la morte di Pio X: Benedetto XV (1914)

Nel conclave che seguì alla morte di Pio X e s’aprì agli inizi di settembre 1914, il Merry riportò 7 suffragi nelle prime 3 votazioni, 6 nella quarta e 2 nella quinta. Dopo l’elezione di Giacomo Della Chiesa, papa Benedetto XV, non ottenne la conferma a segretario di Stato, ma fu nominato nell’ottobre successivo segretario della congregazione del Sant’Uffizio, cui nel 1917 fu annessa, come semplice sezione, quella dell’Indice. Egli conservò la carica di arciprete della basilica Vaticana, conferitagli da Pio X qualche mese prima (14 gennaio).

Simili ruoli gli garantirono ancora, seppur in forma ridotta rispetto agli anni precedenti, una distinguibile autorevolezza all’interno della Curia romana.

Datato 6 novembre 1915, un suo memoriale sulla questione romana sosteneva che lo sbocco definitivo e completo dell’annosa controversia con lo Stato italiano avrebbe dovuto consistere nell’attribuire al Pontefice un «principato civile sia pure limitato», in grado di assicurare «efficacemente l’indipendenza del Papa e le sue comunicazioni con il mondo cattolico», come avvenne poi l’11 febbraio del 1929. Essendo tale soluzione per il momento impraticabile, occorreva tuttavia richiamarne l’urgenza. Allo scopo, l’episcopato cattolico avrebbe dovuto inoltrare formale, solenne richiesta affinché, a conflitto concluso, il congresso di pace emettesse una dichiarazione in tal senso.

Peraltro non si nascondeva come a ciò ostassero il «nazionalismo risorgimentale» e il «patriottismo esagerato» diffusi anche tra i cattolici (ibid., Spoglio Jacobini, b. 3, f. 81; si veda anche una successiva nota, del 28 ottobre 1918, ibid.Spoglio Merry del Val, b. 5).

Otto anni più tardi, il 4 ottobre 1926, un suo incontro ad Assisi con il ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele (il direttore del “Grande Dizionario Enciclopedico” dell’Utet) sembra abbia contribuito ad accelerare il processo che condusse poi ai Patti lateranensi.

Pio XI (1922)

Nel conclave successivo alla morte di Benedetto XV, iniziato il 2 febbraio 1922 e concluso quattro giorni più tardi, notevole peso esercitò il Merry, ottenendo nei primi scrutini un consistente pacchetto di voti. Alla fine, grazie all’appoggio decisivo del gruppo vicino al segretario di Stato Pietro Gasparri, fu eletto il cardinale Achille Ratti, papa Pio XI: si vociferò che il gruppo di cardinali intransigenti, capeggiato dal Merry e da Gaetano De Lai, avesse garantito i propri suffragi all’arcivescovo di Milano dietro l’impegno, comunque poi disatteso, di non confermare Gasparri alla segreteria di Stato.

Merry del Val e Gasparri

Dissensi tra quest’ultimo e il Merry punteggiarono gli anni successivi, in particolare a proposito dell’accordo con il governo francese sulle associazioni diocesane, il cui statuto fu approvato da Pio XI con l’enciclica Maximam gravissimamque, del 18 gennaio 1924.

Il Merry, ribadì, pur «colla massima riverenza», la propria convinzione contraria, del resto già contenuta in un suo «votum» del 23 luglio 1922, si disse convinto che la decisione pontificale finiva per approvare «la legge nefasta del 1905» (appunto del 6 gennaio 1924, in Arch. segr. Vaticano, Spoglio Merry del Val, b. 6).

 

Merry, Pio XI e Maurras (1926)

Un altro motivo di contrasto scaturì dalla condanna comminata da Pio XI nei riguardi di Charles Maurras e dell’Action française. Per la verità, verso la fine del pontificato di Pio X (precisamente il 26 e il 29 gennaio 1914) da parte dei consultori dell’Indice erano state proscritte pubblicazioni maurassiane e la rivista Action française, ma papa Sarto, sebbene ratificasse il corrispondente decreto, ne aveva sospeso la pubblicazione, ritenendo il responsabile «damnabilis, non damnandus».

In sostanza, pur nella consapevolezza dei limiti dottrinali insiti nel movimento maurassiano, se ne calcolavano i vantaggi tattici per la Chiesa, quale argine contro il radicalismo anticattolico. Il Merry, ancora negli anni Venti, restava del medesimo avviso, fino a scontrarsi duramente con Pio XI.

Singolarmente rivelatore delle distanze fra il Pontefice e il cardinale resta un tempestoso colloquio che lo stesso M. riferì in un manoscritto del 23 febbraio 1927 («il Papa mi trattò come uno scolaretto»); ne seguirono malintesi e laboriose precisazioni (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di StatoSpoglio Merry del Val, b. 6 e Affari ecclesiastici, 515, f. 538).

Merry, il Sant’Uffizio e il Modernismo

Nella conduzione del Sant’Uffizio, il Merry proseguì sistematicamente la lotta antimodernista. Tra i procedimenti si possono citare quelli nei confronti del barnabita padre Giuseppe Semeria, che incontrarono però un freno da parte di Benedetto XV; o altri riguardanti, più di una volta, don Ernesto Buonaiuti; così come la condanna della riedizione del Manuel biblique del padre sulpiziano Fulcran Vigouroux. Del resto un decreto del Merry in data 22 marzo 1918 aveva insistito sul dovere del giuramento Sacrorum antistitum, «cum virus Modernismi minime cessaverit». Sospettò della stessa tendenza i promotori (il cardinal Désiré Mercier) degli incontri di Malines, serie di conversazioni tra esponenti cattolici e anglicani, tenute a intervalli tra il 1921 e il 1926 in vista di una possibile riunione fra le due Chiese.

Disapprovandoli, denunciò «infiltrazioni protestanti nella mentalità di non pochi cattolici», e soprattutto «l’errore fondamentale» alla base dei tentativi di riavvicinamento tra le confessioni cristiane, cioè «la non esistenza di una chiesa unica visibile con unità assoluta di fede, i medesimi sacramenti e unità di governo e l’episcopato con a capo il Vicario di Cristo» (così in un suo dattiloscritto del 1927, in Arch. segr. Vaticano, Spoglio Merry del Val, b. 7). Con le medesime motivazioni osteggiò tentativi di dialogo tra cattolici e protestanti in area tedesca.

Sempre in qualità di segretario del S. Uffizio, respinse nel 1928 una petizione degli «Amici di Israele», sostenuta anche dall’abate Ildefonso Schuster, volta a cancellare, nella liturgia del venerdì santo, le espressioni «perfidus» e «perfidiam» riferite agli ebrei.

Pochi mesi prima di morire diede alle stampe un’edizione riveduta dell’Index librorum prohibitorum (Città del Vaticano 1929), corredandola di una prefazione in cui additava il serio pericolo per la fede e per i costumi rappresentato dagli errori che si divulgavano a mezzo stampa. Vi risaltava perspicuamente una sua costante persuasione, sintomatica delle idealità che lo avevano guidato nel suo impegno di uomo di Chiesa, sotto la guida del Papa.

La morte (1930)

Il Merry (come abbiamo visto nella precedente puntata) morì a Roma 26 febbraio 1930 in circostanze almeno misteriose. Il 27 febbraio 1953 fu aperta ufficialmente la causa di beatificazione: attualmente non si ha notizia del proseguimento del processo ...

Postumi furono pubblicati i suoi libri: Notes de direction, Paris 1937; Pio X (impressioni e ricordi), Padova 1949; Pensieri ascetici…, Roma 1953. Si veda inoltre: The spiritual diary of R. cardinal Merry Del Val, a cura di F. J. Weber, New York 1964.

Bibliografia

G. Dalla Torre, Il cardinale Merry del Val, Milano, 1930; F. A. Forbes, Raffaele cardinal Merry del Val, London, 1932; P. Cenci, Il cardinale Merry del Val, segretario di Stato di san Pio X papa, Roma-Torino, 1933; O. Giacchi, Il cardinale Raffaele Merry del Val, Milano, 1933; Assisi al cardinale Merry del Val, giorno di S. Francesco 1926 - 4 ottobre 1933, Roma, 1934; A. Canestri, Un missionario in porpora: sua Eminenza il cardinale Merry del Val, Roma, 1934; V. Dalpiaz, Attraverso una porpora. Il cardinale Merry Del Val, Torino, 1935; A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, 1949; G. Dal Gal, Il cardinale Raffaele Merry del Val segretario di Stato del beato Pio X, Roma, 1953; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari, 1966, I; G. P. Carroll-Abbing, Servire Dio per amore. Il cardinale Merry del Val e i giovani, Città del Vaticano, 1973; Id., Cardinale Merry. del Val. Il Rinnovamento in Cristo, Città del Vaticano, 1974; L. Bedeschi, L’antimodernismo in Italia: accusatori, polemisti, fanatici, Torino, 2000; A. Claus, Antimodernismo e magistero romano: la redazione della «Pascendi», in Rivista di storia del cristianesimo, V vol., (2008), pp. 435-464.

d. Curzio Nitoglia