La grande dittatura globale
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«Per la prima volta una legge dice che la terra patria (homeland) è parte del campo di battaglia (battlefield)»: così il senatore Lindsey Graham (repubblicano, Sud Carolina) esalta il progetto di legge National Defense Authorization Act, che sta per essere votato al Senato. Il senatore Kellyt Ayotte (repubblicano, New Hampshire) si eccita: «LAmerica è parte del campo di battaglia».

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Qual è il nemico? Come spiega allarmato l’ufficio legale della American Civil Liberties Union (ACLU), la settimana prossima «il Senato voterà una legge che dirigerà le risorse militari americane non contro un nemico belligerante in zona di guerra, ma contro cittadini americani ed altri civili lontani da ogni teatro di guerra, anche gente dentro gli stessi Stati Uniti».

In altre parole, il presidente USA, in base a questa legge, potrà ordinare all’US Army, l’esercito, di catturare e detenere indefinitamente, senza accusa formale nè processo, ogni civile in qualunque parte del mondo, USA compresi. (Senators Demand the Military Lock Up American Citizens in a “Battlefield” They Define as Being Right Outside Your Window)

Chiaramente, la nuova legge ha di mira l’opinione pubblica ostile al potere finanziario, e movimenti come Occupy Wall Street. I poteri oligarchici mondialisti avvertono il popolo americano che il campo di battaglia comincia dalla soglia di casa loro, e che le strade americane ne sono parte.

Il progetto di legge è stato confezionato in segreto dai senatori Carl Levin (democratico, Michigan, e J.) e John McCain (repubblicano, Arizona) e varata in commissione a porte chiuse. Ad onor del vero, la Casa Bianca e l’Attorney General hanno espresso qualche obiezione; ma la legge sarà sicuramente approvata, pronta per dare poteri da stato d’assedio e legge marziale al futuro presidente, sicuramente repubblicano. (Senate panel pushes ahead with defense bill over White House objections on terror suspect plan)

Del resto Barak Obama, il Nobel per la pace, ha autorizzato già l’assassinio in Yemen di due cittadini americani (l’imam Al-Awlaki e suo figlio sedicenne) senza processo e senza accusa formale; erano due di una lista di eliminandi compilata ed approvata dalla Casa Bianca. E nel 2008 una brigata di combattimento (la 1ma brigata della Terza divisione di Fanteria) è stata ritirata dall’Iraq per essere dispiegata sul territorio nazionale, dove è stata addestrata ad affrontare «disordini civili e controllo delle folle».

Una violazione aperta della Costituzione americana, la quale vieta di usare l’esercito contro i cittadini, ma utile a sedare possibili disordini, dal momento che i disoccupati e sottoccupati in USA si contano ormai sui 25 milioni. Del resto il manuale di addestramento distribuito dal Pentagono nel 2008 definiva le proteste di piazza non già legittime forme di opposizione politica, ma «low-level terrorism», anche se la frase è stata poi corretta in seguito alle rivelazioni sul web. (DoD Deletes "Protest =Terrorism." Problems Remain)

Sembra che sia confermata la profezia di Lawrence Dennis, un giornalista famoso negli anni Trenta: « È nelle migliori tradizioni politiche di questo Paese lintroduzione di un certo tipo di fascismo da parte di leader che criticano vigorosamente il fascismo». O la frase attribuita al senatore Huey Long, assassinato nel 1935 mentre si preparava a sfidare F. D. Roosevelt alle elezioni presidenziali dell’anno seguente: «Quando lAmerica avrà il fascismo, lo chiamerà antifascismo». O democrazia.

Ma sarebbe un’errata valutazione. Perchè il fascismo fu un movimento politico, avverso al liberismo sfrenato che aveva provocato la crisi del 1929 e la Depressione conseguente; mentre oggi subiamo una deriva che dal fallimento della politica va alla dittatura della finanza.

La nomina di tre Goldman Sachs e trilateralisti (Mario Draghi, Mario Monti e il greco Papademos) nelle più cruciali stanze dei bottoni europeiste è solo il primo passo: sono lì per impedire ai Paesi più indebitati di compiere l’atto sovrano supremo, ossia ripudiare il debito impagabile.

Il secondo passo sta nel patto segreto che (secondo Die Welt) Sarkozy e Angela Merkel – due politici – hanno concepito come «un nuovo patto di stabilità», condizionante per i Paesi in difficoltà e la possibile emissione di eurobond: patto che imporrà il controllo esterno ai Paesi in difficoltà. (Franco-German secret negotiations for new euro contract)

In realtà, non si tratta di un piano da loro concepito; non hanno fatto che riprendere in proprio il Libro Verde della Commissione Europea (Barroso ed Olli Rehn) che dà alla Commissione stessa poteri d’ingerenza senza limiti sui bilanci nazionali. I governi dovranno presentare i loro progetti di bilancio alla Commissione, prima che vengano approvati dai rispettivi parlamenti; la Commissione potrà pretenderne la modifica, se a suo giudizio non rispettano le linee di quello che orwellianamente è chiamato « Patto di stabilità e di crescita». I commissari si riservano anche il diritto di difendere le loro misure di fronte ai parlamenti nazionali, scavalcando i governi. La Commissione prevede inoltre di mettere sotto tutela un Paese in gravi difficoltà finanziarie che faccia appello al Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria o al Fondo Monetario, ma non accetti le «condizionalità» che generalmente accompagnano quell’aiuto. Anzi, la Commissione può obbligare quello Stato a sollecitare l’assistenza finanziaria, anche se non vuole. Mario Monti, ovviamente, ha già dato il suo assenso al piano, mettendoci sotto sovranità limitata, e in attesa di «aiuto fraterno». Nel Patto di Varsavia tale aiuto fraterno si concretizzava nell’invio di carri armati, qui di esperti finanziari. (Bruxelles veut renforcer la surveillance des budgets nationaux)

Naturalmente questa abolizione della politica è giustificata dall’emergenza, dal fallimento dei politici. Il fallimento della tecnocrazia è stato almeno uguale, ma a questo si risponde con il piano – congegnato fin dal principio della Comunità – di imporre come soluzione un potenziamento della eurocrazia non-eletta. La propaganda lo dice: per forza la crisi, non siamo ancora i veri Stati Uniti d’Europa, non abbiamo ancora « lunità fiscale», traducendo apposta male, perchè «fiscal union» significa «unione dei criteri di bilancio»... Si procede dunque all’imposizione degli Stati Uniti d’Europa. I tedeschi – è la scusa ulteriore – per consentire agli eurobond, o addirittura a che la BCE compri i titoli di Stato di Spagna e Italia, devono poter controllare i bilanci dei Paesi allegri spenditori. La cosa ha una parvenza di verità, perchè se no appare che venga chiesto alla Germania virtuosa di pagare a piè di lista i debiti dei Paesi a finanza allegra, senza pretendere da loro un po’ di serietà.

C’è del vero, lo sappiamo, per quanto riguarda l’Italia e le sue caste parassitarie che « vivono di politica» a spese dei cittadini che producono, e in parte per la Grecia. Ma ciò non vale per la Spagna, il cui debito in confronto al PIL era metà del nostro, nè per l’Irlanda e il Portogallo. La lettura dominante della crisi – i governi del Sud si sono comportati da irresponsabili, vanno puniti e richiamati alla virtù – tace l’altra verità, avanzata per esempio da Paul Krugman: è l’euro stesso, che unendo a forza Paesi di natura troppo disparata sul piano economico, ha creato uno squilibrio degli scambi tra i due gruppi (Nord e Sud) che si traduce inevitabilmente nell’indebitamento delle zone deficitarie.

Questo squilibrio è strutturale. Il che significa: non può essere curato imponendo austerità e rigore al Sud, proprio nel momento in cui morde la depressione, la quale, congelando la crescita, aumenterà il peso del debito stesso. Il Nord non è innocente: ha approfittato del suo vantaggio sottraendo quote di mercato al Sud che intanto perdeva produttività e competitvità a causa della moneta forte, e ciò mentre la rimozione del rischio di cambio entro la zona euro ha incitato grossi flussi di capitale ad emigrare dal Nord (strapieno di profitti in banca) verso il Sud, perchè qui spuntavano tassi d’interesse maggiori. È l’afflusso di questi capitali ha tagliato i costi dell’indebitamento nel Sud, incoraggiando famiglie, imprese e governi a indebitarsi più di quanto si potessero permettere.

Se le cose stanno così, la cura sarebbe una sola: una unione dei bilanci vera, ossia il trasferimento permanente di soldi fra le regioni – dai Paesi esportatori-creditori ai Paesi debitori e penalizzati nell’export – allo stesso modo in cui il Nord Italia trasferisce annualmente l’astronomica cifra di 50 miliardi di euro l’anno al Meridione. Il trasferimento potrebbe oggi prendere la forma della BCE che compra o garantisce le emissioni di titoli di Spagna e Italia.

È improbabile che la Germania dia il suo assenso, e allora non resterà che l’uscita dall’euro e il ripudio. Ma ciò non accadrà prima che ci abbiano dissanguato a forza delle cure volute all’establishment finanziario, rigore e austerità, per « tener fede ai nostri impegni»: tagli salariali per «riacquistare competitività», tagli alla spesa sociale «per ridurre il deficit pubblico».

La riduzione dei consumi, già forte, si aggraverà. E senza consumi, i mercati si restringono, le aziende non investono, dietro le vetrine vuote appare il cartello Affittasi, le ditte licenziano, e tutto questo produce la riduzione degli introiti tributari necessari per servire il debito. E il peso del debito aumenterà, come sempre quando si provoca la deflazione.

La tecnocrazia fallirà come e peggio di quanto hanno fallito i politici. Ma non senza prima averci fatto sputare l’ultima goccia di sangue, o provocato la crisi finale dell’euro (già adesso i detentori di capitale esitano a comprare BOT o Bonos, o anche Bund, perchè chi compra volentieri titoli in una moneta che forse presto non ci sarà più?).

Tutto questo succederà perchè non ci siamo ribellati alla progressiva spoliazione della nostra indipendenza, sovranità e libertà democratica. Abbiamo dato per scontati i nostri diritti e la loro inviolabilità. Abbiamo dimenticato che la libertà non viene mai gratis, e che essa va conquistata da chi ha coraggio, da chi è disposto a versare il sangue: il proprio, e dei tiranni (1).

Niente sostituisce la fermezza di fronte all’arbitrio dei potenti, il carattere e la disposizione a battersi. Altrimenti, in una forma o nell’altra, arriva la schiavitù. Che per giunta siamo invitati a chiamare « Crescita, stabilità, equità».





1) È noto il detto di Thomas Jefferson: «Lalbero della libertà va ogni tanto innaffiato del sangue dei patrioti e dei tiranni».



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