Le morti di Cavour e di Vittorio Emanuele II
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Il lettore Fabio Andriola postava qualche giorno fa un commento, nella terza parte dell’articolo di Copertino sulla famiglia Borgia, che sottolineava come la nota finale del’autore riportasse un duplice gravissimo errore:

«Pio IX non mandò assolutamente sacerdoti ai capezzali di Cavour e Vittorio Emanuele II. Al capezzale di Cavour ci fu un frate, fra Giacomo da Poirino, che era lì per sua scelta e non mandato da nessuno. Anzi, chiamato a Roma subito dopo, venne rimproverato aspramente da Pio IX per non aver chiesto a Cavour alcuna ritrattazione e quindi sospeso da ogni funzione. Verrà reintegrato solo da Leone X. Al capezzale di Vittorio Emanuele II cera invece un sacerdote che aveva lesatto compito di ottenere dal sovrano una completa abiura, cosa che fu impedita anche dal deciso intervento del governo e dellerede al trono Umberto. Quindi, spiace dirlo, con tutte le attenuanti possibili, Pio IX non fece quello che Copertino gli attribuisce. Grazie».

Questa la replica di Copertino.

La redazione



Ringrazio Fabio Andriola per l’occasione che mi dà di precisare quanto da me succintamente affermato nella nota finale della terza parte del mio articolo Un Papa e sua figlia, che a suo giudizio contiene «due gravissimi errori». Forse se il mio interlocutore avesse tenuto conto che una nota, per quanto importante, è sempre un mero cenno, una sintetica indicazione, a margine di un testo dedicato ad altro oggetto, avrebbe usato maggior prudenza nel parlare di errori. Credo che l’annotazione dell’Andriola sia, in realtà, motivata da una sua valutazione degli avvenimenti, ai quali ho fatto cenno nella nota incriminata, del tutto diversa dalla mia. Probabilmente dovuta ad una diversa formazione spirituale e culturale. Ma entriamo nel merito.

Al capezzale di Cavour vi era – è verissimo – padre Giacomo da Poirino, un francescano che, però, non era lì per caso quanto piuttosto perché amico del conte. Non era – anche questo è vero – inviato da Pio IX ma non fu redarguito e sospeso dal Papa per motivi disciplinari di fede. Quanto piuttosto per motivi di opportunità politica. E a tale decisione del Papa non fu estranea, in modo determinante, vista la bonomia piuttosto spiccata di quel Pontefice, la pressione della segreteria di Stato, nella persona del cardinal Antonelli. Bisogna tener conto della situazione storico-politica del momento. Cavour era un pubblico nemico della Chiesa. Quel che il Pontefice, su sollecitazione, come detto, del suo segretario di Stato, rimproverò al francescano non era certo l’aver dato l’assoluzione ed i sacramenti al morente Camillo Benso conte di Cavour – colto da una terribile infezione intestinale il 29 maggio 1861 e morto il successivo 6 giugno (si noti: solo pochi mesi dalla proclamazione del Regno d’Italia: un caso?) – quanto piuttosto non aver, il frate, chiesto al conte una ritrattazione politica.

Cosa c’entrava quest’ultima questione con la salvezza dell’anima del conte? Nulla. Infatti ad insistere per la punizione del frate fu il cardinale Antonelli. Pio IX non avrebbe voluto ma, per motivi politici (tutta la Cristianità guardava a lui e difficilmente si potevano tenere disgiunti, in quella situazione, gli aspetti religiosi da quelli politici) sospese il francescano. Che si trattasse di una punizione certamente ingiusta e forzata, anche in base al diritto canonico, è dimostrato proprio dal fatto che Leone XIII revocò la sospensione di padre Poirino. La Chiesa sa sempre correggere gli errori umani determinati da particolari condizioni storiche. In ogni caso vi è una prova schiacciante circa il fatto che, al di là della vicenda di padre Poirino, Pio IX avesse a cuore la salvezza del suo pur nemico Cavour.

Il diplomatico francese Henry d’Ideville ha testimoniato nelle sue memorie quale fosse l’autentica disposizione d’animo di Papa Mastai Ferretti verso il destino eterno del conte: «Il Papa – ha lasciato scritto il nostro diplomatico – mi domandò se era vero che io avevo assistito agli ultimi momenti di Cavour. Alla risposta affermativa: ‘Credete egli fosse pienamente in sé? Ne siete ben certo?’. Risposi che per me non cera alcun dubbio. ‘Ah, questo Cavour ci ha fatto molto maleMa infine questuomo ha creduto di amare la sua patriaEra generoso, buono e faceva della carità’» (confronta A. Tornielli Pio IXlultimo Papa Re”, pagine 407-408). L’insistenza del Papa nel chiedere se il conte fosse stato cosciente fino all’ultimo era strettamente connessa al fatto che padre Poirino gli avesse dato l’assoluzione e somministrato i sacramenti. Pio IX voleva essere rassicurato circa il fatto che Cavour avesse potuto ricevere i sacramenti, che lo avevano liberato anche dalla scomunica, in perfetta e piena coscienza e con deliberato consenso.

Questo prova che, nonostante la punizione politica comminata al frate, Pio IX era ben contento che Cavour fosse morto con i sacramenti ed assolto e che si fosse, così, salvata l’anima. Oltretutto è da notare, in base alla testimonianza del d’Ideville, che Pio IX vedeva, cristianamente, sempre del buono, e quindi la possibilità di una redenzione, anche nei propri nemici e nei nemici della Chiesa.

Da qui, da questo cristiano atteggiamento, il giudizio infine positivo sull’uomo Cavour  («generoso, caritatevole»). Del resto, Pio IX aveva avuto lo stesso comportamento nei confronti di Garibaldi che pur lo ingiuriava, ma per il quale egli pregava affinché si convertisse. Quindi anche se non inviato da lui, padre Poirino, senza saperlo, adempì un voto, in pectore, di Pio IX. Il che è sufficiente a ritenere nella sostanza non errato quanto detto nella mia nota finale incriminata da Andriola in merito alla vicenda del trapasso con conforto sacramentale di Cavour.

Che non sia errata nella sostanza la mia nota vale ancor di più per l’altra vicenda, quella della morte di Vittorio Emanuele II, avvenuta solo meno di un mese prima di quella di Pio IX. Il re morì improvvisamente il 9 gennaio 1878 colpito da una febbre misteriosa. Il Papa era in quel momento già gravemente malato. Ma, saputa la notizia della malattia del re, Pio IX inviò subito al suo capezzale il proprio confessore personale, monsignor Marinelli. Qui, come si vede, l’invio di un sacerdote da parte del Papa ci fu. Nel sintetico accenno della mia nota finale, ritenuta erronea da Andriola, era a questo che lo scrivente si riferiva senza stare lì a distinguere tra il caso di Cavour e quello di Vittorio Emanuele II. Precisare ulteriormente avrebbe significato appesantire un testo che ha altro contenuto storico, allungando eccessivamente la nota.

Come, infatti, si può constatare da questa risposta, una più dettagliata spiegazione di quegli avvenimenti avrebbe chiesto uno spazio molto maggiore. Il Marinelli non aveva alcun mandato, almeno da parte del morente Pontefice, di ottenere ritrattazioni politiche dal re in fin di vita. Questo è quanto credettero e misero in giro la corte ed i liberal-massoni. In base a questa errata convinzione il governo impedì a monsignor Marinelli di portare al re l’assoluzione papale. Ma Vittorio Emanuele II, consapevole di dover di lì a poco affrontare il Sommo Giudizio, ordinò che un sacerdote si recasse in ogni caso al suo capezzale. Fu chiamato, così, il canonico Anzino, cappellano di corte, per assistere il re nell’estremo momento del trapasso (Confronta R. De Mattei, Pio IX, Piemme, pagina 128). Al re fu concessa la sepoltura ecclesiastica nella Basilica del Pantheon a Roma alla condizione che dalla preghiera commemorativa fosse tolto ogni riferimento al titolo di Re d’Italia. Anche questa concessione sepolcrale fu permessa dal Papa.

La ritrattazione, che la corte ed il governo temevano fosse estorta dall’inviato del Papa, fu invece spontaneamente fatta dal re. Sempre che di ritrattazione sia possibile parlare. Comunque fosse, le ultime parole del re, rese poi pubbliche, furono queste: «Io muoio cattolico. Ho sempre avuto una particolare attenzione e deferenza alla persona di Sua Santità: se in qualche atto da me compiuto avessi potuto recar dispiacere personalmente al Santo Padre, dichiaro che ne provo rincrescimento. Ma in tutto quello che ho fatto ho portato sempre la coscienza di adempiere ai miei doveri di cittadino e di principe, e di non commettere nulla contro la religione dei miei padri» (confronta G. Andreotti, Sotto il segno di Pio IX, Rizzoli, pagine 133-134). Quando monsignor Vincenzo Vannutelli, sostituto della segreteria di Stato, riferì a Pio IX quelle parole portandogli la notizia della morte del re, debitamente assolto e confortato con i dovuti sacramenti, il Papa restò profondamente commosso e contento. Dopo un lungo e meditato silenzio, Papa Mastai per tre volte ripeté, all’indirizzo di Vittorio Emanuele II, «Sia pace allanima sua». Una preghiera che detta da un Pontefice equivale, sostanzialmente, alla revoca di qualsiasi scomunica canonica.

Neanche un mese dopo, alle 17,40 del 7 febbraio 1878, Pio IX spirò. Papa Mastai, però, sapeva essere anche molto umorista. Si racconta che, dopo aver assolto il re nel modo che abbiamo visto, quando il barone Monti, inviato dal primo ministro Francesco Crispi, affinché la Santa Sede prendesse cognizione delle iscrizioni commemorative che il governo intendeva esporre sul catafalco del defunto sovrano (si trattò di una sorta di gesto di cortesia verso la Santa Sede per distendere un po’ la tensione) Pio IX, allettato, commentò alcuni passaggi del testo che il barone gli leggeva con quel piglio di umorismo di cui si diceva. Al passaggio che ricordava quanto il re avesse fatto per la «libertà dItalia» Pio IX commentò «Infatti, Noi siamo prigionieri». Al passaggio che rammentava il senso di «giustizia» del re, il Papa osservò «Infatti ha preso tutto quel che non era suo».

Richiesto poi dal barone Monti di una valutazione complessiva, Pio IX, sempre manifestando il suo noto umorismo, affermò: «Ringraziamo il signor ministro per lattenzione usataci e lo preghiamo, se crede, di fare una piccola aggiunta con la quale diverrà un monumento di verità: ‘Dilexit castitatem’». Il riferimento era alla nota allegrezza dei costumi sessuali del defunto re. Tuttavia, Pio IX non impedì che il collegio cardinalizio esprimesse parere favorevole alle iscrizioni commemorative del re come proposte dal governo di Crispi (confronta G. Andreotti, opera citata, pagine 134-136).

Luigi Copertino


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