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La Barca
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Se stiamo tutti nella stessa barca allora fermate il motore, perché voglio scendere, altrimenti mi butto a mare: meglio finire in pasto ai pescecani, che agli squali che sono a bordo. Dico ciò prendendo le mosse dall’ultimo libro scritto a 4 mani da due del «grandi vecchi» della Chiesa italiana, dal titolo appunto «Siano tutti sulla stessa barca». I due «grandi vecchi» (termine che non uso a caso, evocando la presunta mente occulta nascosta dietro le trame eversive della politica italiana degli anni di piombo) hanno nomi e cognomi precisi: Carlo Maria Martini, già cardinale-arcivescovo di Milano, autoesiliatosi a Gerusalemme e autoproclamatosi «Ante-papa» e don Luigi Verzé, fondatore dell’Ospedale San Raffaele, presidente della omonima Fondazione e rettore dell’Università Vita-Salute. Il primo è l’ineffabile portavoce della Chiesa progressista, mentre il secondo è il «governativo» prelato della chiesa di Sua Emittenza Cavalier Silvio Berlusconi; il primo è il campione del cattolicesimo democratico e liberale in cui si è tuffato perfino il malconvertito Tony Blair, il secondo di quello libertino del quasi ex-marito di Veronica Lario.

Il libercolo dei due prelati, 96 pagine da non comperare, edito dalla casa Editrice San Raffaele, di proprietà dell’omonimo Ospedale di cui don Verzè è direttore, riprende temi stantii e mondani e sembra la riproposizione dell’agenda di un Vaticano III prossimo-venturo, che Alberto Melloni aveva già provato ad anticipare, a Woityla ancora regnate, nel suo volume «Chiesa madre, Chiesa matrigna», pochi mesi prima che il Conclave eleggesse al soglio di Pietro il professor Ratzinger.
Già allora il professor Melloni col suo solito linguaggio obliquo paventava che la Chiesa si «arroccasse sulla efficienza dell’autorità e rinunciasse a considerare la comunione come una risorsa» e denunziava la paura della Chiesa «a riflettere su istituzioni di governo nate quando il mondo era piccolo così, e bisognose di essere vivificate dal criterio della comunione e non gestite riformando i mansionari» (1).

Eletto Ratzinger, poco dopo la batosta inferta ai progressisti nel famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 (quello delle «ermeneutiche» - per capirci), Melloni, che dalle colonne di Concilium aveva diretto l’orchestra, quasi intimando a Ratzinger un ulteriore «aggiornamento»,  lamentava  «l’essiccazione del Concilio ad uno scontro di nude ermeneutiche» e invocava «la ricchezza multiforme e planetaria, sostituita dall’atroce carestia della speranza, la frustrazione di chi attende profeti di pace e non solo di sventura, il rifiuto di lasciar decadere la comunione in appartenenza e mille altre cose non fanno parte del litigio fra ermeneutiche sul Concilio degli anni attorno al 1968, ma del Concilio e non si possono perdere» (2).

Completamente ignorata dal Papa, da allora la corrente progressista - come denunziavo in un  articolo del gennaio 2008 (Cattolici stupefacenti: Gil Grissom e la «scuola bolognese») cambiava strategia, puntando sul «soffocamento da abbraccio»: «Nel volume XVIII/2 del maggio scorso della rivista edita dall’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna lo storico e teologo Joseph A. Komonchak, curatore dell’edizione americana della «Storia del Vaticano II» diretta da Giuseppe Alberigo, liquidava come prive di un reale bersaglio le critiche del Papa ai teorici del Concilio inteso come «rottura» e faceva addirittura dire al Pontefice che la discontinuità esemplificata dal Papa non era affatto «apparente», ma reale: «Questa fu ‘la svolta epocale’ che Giuseppe Alberigo ha proposto come significato storico del Concilio Vaticano II. Lungi dall’essere ripudiata, pare a me che essa è stata affermata e confermata da Papa Benedetto XVI» (3).

Il Papa insomma non avrebbe  per costoro piena coscienza di sé e del fatto che la realtà vaticansecondista, cui Benedetto XVI talvolta si appella, è in sé rivoluzionaria. Se egli non ne coglie questo carattere, ciò avverrebbe a causa dell’immobilismo scelto come strategia che consentirebbe alla Chiesa di non doversi confrontare con la realtà, per rifugiarsi delle cose, viste «sub specie aeternitatis».

All’inizio del 2009 il «caso Williamson» apriva autostrade insperate ai progressisti, che modificavano immediatamente le loro strategie e ritenevano questo il momento propizio per contrattaccare. Il caso Englaro e poi il viaggio in Africa, con la condanna del preservativo, creavano le premesse per una strategia di più ampio respiro. Il clima di aggressione verso il Papa determinava le condizioni per la nuova offensiva progressista, ispirata questa volta però ad una strategia più sottile: chiedere al Papa di constatare come l’evoluzione della storia fosse lì a dimostrare che occorreva ancora «la medicina della misericordia», di cui aveva parlato Giovanni XXIII e di cui lo spirito del Concilio ne sarebbe la continuità, per accostarsi alla condizione di dissoluzione esistenziale ed etica dell’uomo post-moderno. Assistere l’uomo nel peccato, non resistere al suo peccato dovrebbe essere per costoro l’agire della Chiesa, insieme al farsi povera e misera tra i poveri e i miseri.

Il numero di febbraio della rivista comboniana «Nigrizia», uscito proprio alla vigilia del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Africa, invocava su questo la conversione della Chiesa in nome di quel progetto di «Chiesa dei poveri», di cui aveva parlato il Concilio e che si dimostrava sin qui un progetto fallito, esattamente come l’intenzione manifestata dalla Chiesa italiana nei primi anni Ottanta di «ripartire dagli ultimi». Parallelamente a questa sollecitazione, era poi Franco Garelli su «La Stampa» di marzo a inaugurare la «campagna a spintoni» con un titolo inequivocabile, «La Chiesa immobile», refrain di luoghi comuni e banalità sulla «immobilità di pensiero della Chiesa che si trascina nel tempo» (4).

Dopo interventi di varia natura e spessore, con calcolato tempismo è di nuovo la «Scuola bolognese» a fare da avanguardia per il tam-tam di questi giorni, che ha visto dibattere sul tema perfino Gerry Scotti. Alberto Melloni, da qualche tempo defilato, ha inaugurato - come spesso è accaduto - la nuova «offensiva di terra», con un articolo dal titolo significativo «Quel disagio dentro la Chiesa che non si cura con il silenzio».

Partendo da un incontro tenutosi a Firenze tra pochi gruppi, parrocchie e comunità, Melloni col solito linguaggio bizantino ed involuto attorciglia il proprio labirintico pensiero intorno a «gruppi e comunità diseguali e molto espressive della povertà categoriale (il linguaggio del «laico»), dell’analfabetismo biblico, della marginalità eucaristica, del politicismo cronico, di ideologismi e di logiche di rifiuto che hanno davvero formato uno stile troppo condiviso...; ma anche del desiderio che il mutismo, l’esclusione, la precipitazione e l’isolamento vengano superati». Il che non ha nulla a che vedere con la «democrazia» nella Chiesa o la collegialità dei quadri pastorali. Riguarda, invece, il «mistero» della Chiesa, espresso in tante fonti antiche attraverso un significativo intreccio fra il linguaggio eucaristico e il linguaggio sinodale.

Questo esperimento/invocazione sinodale ha avuto un forte accento di speranza, tale da far pensare che sia possibile per la Chiesa sentire come iussiva la pratica di Gesù che «tocca» l’impuro fino rendersi peccato e impurità totale nella sua morte e sepoltura; obbedire alla povertà del Figlio di Dio come cura di una idolatria temporalista nella quale la gerarchia patisce tentazioni non superiori a quelle dei fedeli, dei movimenti, dei gruppi. Ha fatto sentire i nodi teologici che soggiacciono a quello scisma sommerso (Giannoni ne parlò vent’anni fa) che non divide progressisti e conservatori, ma il cuore e la comunione: e che non si cura col silenzio (5).

Tradotto in soldoni vuol dire: ci siamo anche noi e ci avete marginalizzato, noi pensiamo ad un tipo di Chiesa talmente distante da quella di Ratzinger, al punto da essere a rischio di scisma e non potete continuare a tacere. Ci dovete una risposta, perdiana!

I toni non sono più quelli ultimativi rivolti a Ratzinger nei primi mesi di Pontificato, ma quelli assai più pericolosi e lascivi di chi sbava misericordia dietro il pungiglione velenoso: «Sperare la moltiplicazione di momenti d’incontro sinodale fra ‘cornacchie competenti’, non significa rinunciare a capire che specie di donna è quella di questa nostra contemporaneità di vite esplose: ma solo registrare il fatto che è lei che bagna con le sue lacrime i piedi del Redentore, che silenziosamente lo profuma per il mistero della sepoltura, e come sua unica ricompensa ha il fatto che la sua storia diventa parte del Vangelo stesso» (6).

Insomma, sembra dire Melloni, mentre voi «cornacchie competenti» vi perdete in dibattiti astratti e dottrinari, qui c’è una donna, una donna concreta, la donna della nostra «contemporaneità di vite esplose»,  una Maddalena del XXI secolo, una peccatrice, che chiede che la sua storia sia associata a quella della Chiesa: traducendo (perché Melloni non sa strutturalmente parlare chiaro) ci sono donne (ma anche uomini) divorziate, qualcuna pure un po’ facile alle passioni, con frammenti di famiglie sparse, talvolta emotivamente un po’ instabili, che chiedono di poter fare la Comunione… Ammettetele a questo sacramento… anche se «la danno un po’ in giro»!

Forse Melloni, nell’evocare qualche donna «peccatrice, che ha «molto amato» dimentica che il Signore proprio per questo - è vero - le ha molto perdonato, ma non mentre stava distribuendo le sue grazie tra molti beneficiari, né ha mai detto che le prostitute ci avrebbero preceduto nel Regno dei Cieli, nell’esercizio operoso del loro mestiere! In ogni caso Melloni usa del riferimento alla «contemporaneità di vite esplose» pro domo sua, per dire cioè: non potete continuare ad ignorarci, siamo o no sulla stessa barca?

E il giorno dopo, infatti, scendono in campo i due campioni del progressismo di Destra e di Sinistra, Verzè e Martini, i gemelli siamesi del neomodernismo ecclesiale, i cappellani di Silvio e Romano: il Corriere della Sera offre loro un esordio in prima pagina e una lenzuolata all’interno, per dire che bisogna dare la comunione ai divorziati e per ricordare che tra le contemporaneità di vite esplose ci sono anche dei preti che «non stanno più nelle brache».

Quanto alla questione della Comunione ai divorziati, Verzè da parte sua il problema l’ha bell’e risolto: a Berlusconi sposato, divorziato, risposato, quasi ri-divorziato lui la Comunione non la nega. Il leader ricambia: «A don Verzé io ho già scucito un sacco di soldi per finanziare le ricerche, ho perfino visitato questo nuovo centro di Verona» (7). Come dire: gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, ma una donazione, specie se cospicua, non fa schifo a nessuno. Pecunia non olet.

Martini, invece, è più pericoloso, più spiritualista, recita la parte del mistico, dello studioso dedito alla Scrittura, del grande vecchio malato che getta la mente, luciferianamente lucidissima, nella Battaglia Finale: obbligare la Chiesa a fare un altro passo avanti e stavolta inequivocabile nella conciliazione col Mondo. Tanto Melloni, quanto i due compari, si muovono nella logica del ricatto, fondato sul «ricalco rovesciato» delle parole o delle azioni del Papa. Benedetto XVI aveva scritto che «non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962… Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive» (8).

Melloni perverte il senso delle sue parole, rimproverandogli «la sofferenza di non vedere al centro della comune attenzione proprio il Vangelo del Regno annunciato da Gesù ai poveri, ai peccatori, a quanti giacciono sotto il dominio del male»; affermare non una ideologia del Concilio
(o dell’anticoncilio), ma confessare il Concilio come grazia che riassorbe, come dice Benedetto XVI, «l’intera storia dottrinale della Chiesa» (9).

La tattica è sempre la stessa, i grimaldelli usati sempre quelli più ambigui, quello della Carità da un lato e dell’impossessamento della Tradizione («l’intera storia dottrinale della Chiesa») dall’altro. L’astuto, volpino cardinale Martini, combinando le due cose,  sibila poi una rasoiata sulla giugulare del Papa e dice. «Io mi sono rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro. E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati. Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza» (10).

Terribile è l’uso della parola, quando è messa al servizio della menzogna. Tuttavia non stupiamoci: anche il Demonio, quando tentò il Signore, lo fece brandendo la spada della Sua Parola.

Per ora non aggiungo che un’ultima riflessione. La Fraternità Sacerdotale San Pio X, evocata da Martini, è divenuta oltre ogni immaginazione la «pietra d’inciampo» scartata dagli architetti nel sulfureo disegno della costruzione di una «neochiesa post-conciliare». Oggi la stessa Fraternità è oggetto di scandalo, in senso evangelico, per la Chiesa e per lo stesso Pontefice. La remissione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità comincia ad apparire ora in tutta la sua portata teologica (e storica), particolarmente se riguardata in raffronto a chi si è scientemente proposto di demolire integralmente l’antico ed eterno Edificio Ecclesiale. Unica, ma solida, perché eucaristicamente fondata, quella pietra è stata la roccia su cui sono sfracellate le speranze di fare tabula rasa della Tradizione della Chiesa, il muro di difesa che non ha ceduto.

Il tentativo di invocare carità verso il peccato, come fanno questi due vecchi ottenebrati prelati (che è cosa del tutto diversa dalla misericordia per i peccatori) e di assimilare questa invocata «perversa carità» ad una «carità della giustizia», quale è quella che il Papa ha usato verso la Fraternità Sacerdotale San Pio X, rimettendone un’iniqua, pur se canonicamente legittima, scomunica, questo tentativo - dicevamo - è la «cifra» di una strategia che gli «apostati nella Chiesa» stanno elaborando per impedire al Papa di porre un sigillo sacramentale e perciò indelebile su una interpretazione non eversiva del Concilio: la riforma della «Riforma liturgica» del pessimo Bugnini. Chi ha a cuore il destino della Tradizione a queste cose deve guardare. Taluni tra i «progressisti», infatti, hanno capito dove attaccare e stanno già lavorando per proporre al Papa una riforma del Vetus Ordo, con l’abolizione ad esempio delle preghiere proprie del sacerdote, al fine di non subire la rivisitazione del Novus Ordo modulata a partire dal Rito Antico, che il Papa avrebbe commissionato ai più fidati collaboratori.

Mentre taluni - e me ne dispiaccio - ancora si attardano e si lasciano trascinare in polemiche storiografiche di valore non primario, il campo di battaglia è e rimane sempre quello intorno all’altare: non vorrei che ci venisse un giorno chiesto conto delle anime perdute, mentre noi eravamo a combattere non la «buona battaglia», ma qualche duello personale su questioni di rilevanza neppure dottrinale, ma solo consequenziale.

Domenico Savino



1) http://www.reteblu.org/dibattiti/0902/dibattiti13.html
2) http://archiviostorico.corriere.it/2005/dicembre/23/orizzonte_europeo_non_tutto_co_8_051223001.shtml
3) http://www.effedieffe.com/content/view/1772/
4) http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=5727&ID_sezione=&sezione=
5) http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/17/Quel_disagio_dentro_Chiesa_che_co_9_090517004.shtml
6) idem
7) http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/07_Luglio/28/don_verze_staminali_berlusconi_100_anni.html
8) http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/063q04b1.html
9) http://archiviostorico.corriere.it/2009/maggio/17/Quel_disagio_dentro_Chiesa_che_co_9_090517004.shtml
10) http://www.corriere.it/cultura/09_maggio_19/martini_verze_porte_aperte_ai_fedeli_divorziati_e_risposati_04c5f502-443d-11de-a9a2-00144f02aabc.shtml


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