La conversione dell’ebreo rivoluzionario (parte III)
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La Chiesa cattolica nel corso di tutta la sua storia si è prodigata per la conversione degli ebrei, ma oggi è ormai incapace di fare qualcosa di utile a questo proposito, poiché è stata indebolita da un'interpretazione della «Nostra Aetate» che contraddice i Vangeli. Negli ultimi quarant’anni è stato sviluppato un rituale ecumenico caratteristico proprio dell’epoca inaugurata dalla «Nostra Aetate». 

Esso prevede che, in occasione di un qualche incontro ecumenico, un dignitario della Chiesa proclami che gli ebrei non hanno bisogno di Cristo come proprio Salvatore, ma non prima che delegati ebrei accusino la Chiesa di essere la causa dell’antisemitismo e del genocidio hitleriano.

Nel maggio del 2001, per esempio, ad un incontro del comitato dell’Amicizia ebraico-cattolica a New York, il cardinale Walter Kasper, l’incaricato vaticano per le relazioni fra Chiesa ed ebrei, ha cercato di sedare l’ostilità causata negli ebrei dalla divulgazione del documento «Dominus Jesu» della Congregazione della Dottrina della Fede, affermando che «la Grazia di Dio, che è la Grazia di Gesù Cristo secondo la nostra fede, si è resa disponibile a tutti. Per questo la Chiesa crede che il giudaismo, cioè la risposta fedele del popolo ebraico al patto irrevocabile con Dio sia fonte di salvezza per loro, perché Dio mantiene le sue promesse» (grassetto dell’autore). Per placare gli ebrei, insomma, Kasper non ha esitato a contraddire i Vangeli e duemila anni di insegnamenti della Chiesa, oltre che un documento recente come la «Dominus Jesu», nel quale si afferma: «Si tratta di una sola economia salvifica di Dio Uno e Trino, realizzata nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio, attuata con la cooperazione dello Spirito Santo ed estesa nella sua portata salvifica all’intera umanità e all’universo: ‘Gli uomini non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito’ ».

Kasper ha contraddetto anche l’enciclica di Papa Giovanni Paolo II, «Redemptoris Missio», dove si legge: «Cristo è l’unico salvatore (Giovanni 14,6) di tutti, colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli Apostoli in merito alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: ‘Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... in nessun altro c’è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati’. (At 4,10)… la salvezza non può venire che da Gesù Cristo».

Per risolvere la difficile situazione nella quale si era ficcato, Kasper ha peggiorato le cose, e ha reso ancora più torbide acque già limacciose. Nel novembre del 2002, in occasione di una conferenza al Boston College il cardinale ha affermato che gli ebrei si sarebbero salvati se avessero «seguito la loro coscienza e creduto nelle promesse di Dio così come le comprendono loro, nella loro tradizione religiosa, perché in tal caso si troverebbero in linea con i piani di Dio che per noi giungono al loro completamento storico con  Gesù Cristo» (grassetto dell’autore). Con quella specificazione, «per noi», Kasper lascia intendere che esistano due strade di salvezza, ma ciò contraddice in modo aperto i Vangeli e il recente pronunciamento vaticano «Dominus Jesu».

Kasper, comunque, non è stato l’unico a fare simili affermazioni eretiche: nell’agosto 2002, il Comitato dei Vescovi degli Stati Uniti per gli Affari Ecumenici ed Interreligiosi, sotto la direzione del cardinale William Keeler, in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Sinagoghe degli Stati Uniti, ha pubblicato un documento intitolato «Reflections on Covenant and Mission», dove si può leggere la seguente affermazione: «Una più profonda valutazione cattolica del patto eterno fra Dio e il popolo ebraico, in aggiunta all’ammissione che il popolo ebraico ha ricevuto il mandato di adempiere ad una missione divina perché fosse testimone dell’amore fedele di Dio, ci fa concludere che le campagne di conversione al cristianesimo rivolte agli ebrei non siano più accettabili, da un punto di vista teologico, da parte della Chiesa Cattolica».

Quando la natura eretica di simili affermazioni è diventata evidente a tutti, il cardinale Keeler ha tentato di ridurre il danno affermando che il documento della Conferenza Episcopale Americana (USCCB) non dovesse essere considerato alla stregua di una posizione formale dei vescovi americani, ma che riflettesse «lo stato della comprensione tra i partecipanti» al dialogo «tra cattolici ed ebrei». Il documento non è mai stato promulgato in veste ufficiale dalla Conferenza Episcopale Americana a riprova che Roma era d’accordo a non volerlo considerare ufficiale.

Tuttavia, il semplice fatto che quel documento sia stato scritto nero su bianco è sufficiente a farci comprendere quale profondissima crisi la «Nostra Aetate» ha portato all’interno della Chiesa cattolica. Pur di partecipare al dialogo ecumenico con gli ebrei, certi «esperti» cattolici sono disposti a fare pronunciamenti eretici che contraddicono gli insegnamenti della Chiesa, negando volontariamente i principi fondamentali della teologia cattolica. La Chiesa, insomma, viene chiusa in una posizione dove non può esprimersi con coerenza se la condizione «sine qua non» per dialogare con gli ebrei è diventata, come sembra, la negazione stessa dei Vangeli. In un certo senso, questo problema si è manifestato anche al vertice gerarchico. Riflettendo sulla storia delle relazioni di Papa Giovanni Paolo II con gli ebrei, uno dei commentatori cattolici americani più fedeli a Roma è stato costretto a concludere che «persino Papa Giovanni Paolo II… ha potuto occasionalmente dare l’impressione che la Chiesa fosse pronta a venire a compromessi nell’interesse di migliori relazioni» con gli ebrei. Nella «Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con gli Ebrei», rilasciata ad un gruppo di ebrei nella città tedesca di Mainz, nel 1980, Giovanni Paolo II, secondo lo stesso commentatore «è arrivato ad affermare, in pratica, che il vecchio Patto con gli ebrei non sia mai stato ritirato da Dio». E' vero che, da un punto di vista teologico, l’affermazione è in qualche modo difendibile, se è vero che Dio non ha mai revocato il patto con Noé o Abramo, ma così si è data l’impressione che il «nuovo ed eterno patto» fondato da Cristo in persona, non si applichi agli ebrei.

Da questo punto di vista, i gesti di Papa Giovanni Paolo II sono stati anche peggiori di certe sue dichiarazioni. La sua preghiera al Muro del Pianto, a Gerusalemme, ha avuto un grande impatto nell’opinione pubblica ma non si può nascondere la sua ambiguità. Gli ebrei pregano al Muro del Pianto perché venga ricostruito il Tempio. Nessun Papa aveva mai nemmeno immaginato che potesse essere realizzata una cosa simile, che è un atto totalmente maligno.

Naturalmente, gli artisti ebrei non hanno perso tempo per rievocare quell’atto del Papa, in tutta la sua ambiguità. Vogliono portare acqua al loro mulino, rafforzando la richiesta che venga eliminata ogni forma di «proselitismo». Stando così le cose, non deve destare meraviglia se persone come Roy Schoeman siano cadute in confusione. Schoeman è un ebreo convertito al cattolicesimo, che si dice certo che siamo giunti alla fine dei tempi. Da cattolico Schoeman ora attende la ricostruzione del Tempio senza rendersi conto che ciò equivarrebbe all’«abominazione della desolazione» dell’ «Apocalisse», e non alla seconda venuta di Cristo. L’idea di una conversione degli ebrei nel culmine del loro potere mondano sembrerebbe poco plausibile a meno che non la si consideri da una prospettiva teologica. Partendo dalla premessa che l’ebraismo sia fondamentalmente un costrutto teologico, proprio la chiave di lettura teologica appare la più corretta. E allora se la sinagoga di Satana è l’anti-Chiesa, dobbiamo pensare che quando i cristiani, seguendo San Paolo, dicono «quando sono forte, è allora che sono più debole», l’opposto vale per la sinagoga di Satana: «quando sono forte, è allora che sono più debole». Quest’affermazione s’adatta in modo sconcertante al fenomeno psicologico dell’«ebreo che orgogliosamente odia se stesso» di cui abbiamo già parlato. Il cedimento finale della resistenza ebraica al Logos dovrà avvenire quando gli ebrei avranno raggiunto il culmine del loro potere mondano. Non possiamo sapere che cosa ci porterà il futuro, ma possiamo affermare con certezza che mai, in nessun momento della Storia degli ultimi duemila anni, gli ebrei hanno detenuto più potere di oggi. Il fatto che gli ebrei oggi controllino completamente Gerusalemme e che, secondo alcune voci, stiano pianificando di ricostruire il Tempio, fa pensare che si stia preparando il terreno per la battaglia finale che ha come posta in gioco il cuore degli ebrei.

Padre Augustin Lemann, un ebreo convertito lui stesso, si diceva certo della futura conversione degli ebrei. La sua certezza poggiava anche sulla testimonianza di molti Padri della Chiesa.

«Esiste una ben conosciuta tradizione cara all’uomo di fede», scrive Sant’Agostino, secondo la quale «negli ultimi giorni prima del Giudizio il grande, venerabile profeta Elia spiegherà la Legge agli ebrei portandoli ad accettare il Messia autentico, il nostro Cristo» (1). E ancora: «Questi israeliti carnali», continua Agostino, «che oggi rifiutano di credere in Gesù Cristo, un giorno crederanno in lui… Osea prevede la loro conversione nei seguenti termini: ‘i figli di Israele siederanno per molti giorni senza un re, nè principe, nè sacrificio, altare, ‘ephod’ e ‘theraphim’ ».

«C’è qualcuno», si chiede Denis Fahey, «che non riconosce in questa descrizione lo stato presente del popolo ebraico?» (2). Agostino non è il solo a credere che gli ebrei, ad un certo punto, quasi al termine della storia umana, si convertiranno. San Tommaso d’Aquino afferma: «Come è successo che, alla caduta degli ebrei, i gentili, che erano stati tra loro nemici, si riconciliarono, così avverrà, dopo la conversione degli ebrei, in prossimità della fine del mondo, una resurrezione universale grazie alla quale gli uomini si alzeranno dai morti per andare verso la vita immortale».

Secondo padre Lemann «Il profeta Elia allora ritornerà sulla terra per condurre gli ebrei verso il Salvatore. Nostro Signore in persona lo ha affermato chiaramente (Matteo, XVII, II)… I padri sono i patriarchi e tutti i pii antenati del popolo ebraico, i figli rappresentano la gente degenerata del tempo di Nostro Signore Gesù Cristo e dei tempi seguenti. Ma avverrà soltanto qualche tempo prima della seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, prima che sorga il terribile giorno del Giudizio Finale, che Nostro Signore invierà il profeta Elia agli ebrei è li convertirà salvandoli dal castigo». San Paolo afferma che questa conversione avverrà soltanto alla fine del tempo e che sino a quel momento gli ebrei continueranno a «gonfiarsi dei loro peccati: e l’ira di Dio giungerà su di loro alla fine». San Gerolamo crede che gli ebrei si convertiranno alla fine del mondo quando vedranno «una luce abbagliante, come se Nostro Signore stesse tornando per loro dall’Egitto».

Secondo Suarez, «la conversione degli ebrei avverrà in prossimità del Giudizio Finale e al culmine della persecuzione che l’Anticristo infliggerà alla Chiesa».

Secondo tutte le previsioni, gli ebrei continueranno ad esprimere la loro ostilità verso Gesù Cristo sino al momento della loro conversione. Che sarà drammatica; e nell’ultimo tempo i cristiani assomiglieranno agli ebrei «a causa dei loro peccati, che saranno anche peggiori». A questo proposito, Origene sembra concordare con Yuri Slezkine quando afferma che «Dio chiamerà gli ebrei una seconda volta», quando i cristiani avranno abbandonato la fede, gli ebrei diverranno cristiani quando i cristiani saranno divenuti uguali agli ebrei. A quel punto dell’apostasia, l’Anticristo apparirà e sarà un ebreo che, secondo Suarez, «troverà sostenitori principalmente tra gli ebrei». Egli «restaurerà anche una città che appartenne ai loro avi, e il suo Tempio per il quale essi hanno sempre nutrito un particolare orgoglio»; se non lo facesse, infatti, «non potrebbe essere accettato come Messia dagli ebrei che sognano una gloria terrena per Gerusalemme e la immaginano capitale del futuro regno messianico». Se Suarez avesse potuto viaggiare nel futuro per vedere la situazione dello Stato di Israele nel 2006 concluderebbe che la fine del mondo è imminente. Se avesse potuto leggere le pagine del sito web di Gilad Atzmon concluderebbe che anche la conversione degli ebrei è imminente. L’attuale potenza degli ebrei unita all’inaudita debolezza della Chiesa, non consentono il ricorso ad altra spiegazione se non quella apocalittica.

Al culmine della Storia, l’anticristo ebraico sarà forte, più forte di quanto sia mai stato nel corso degli eventi, e la Chiesa sarà debole, più debole di quanto sia mai stata nella sua storia. In quel momento, il regno messianico del paradiso sulla terra, il regno della massima ricchezza e del massimo potere degli ebrei (e della massima miseria per tutti gli altri), sarà prossimo e tutto ciò che la sinagoga di Satana ha desiderato per secoli, sembrerà essere alla sua portata. A quel punto agli ebrei sarà imposta una scelta e, secondo la tradizione cristiana, molti fra loro sceglieranno Cristo.

Le ragioni della scelta sono abbastanza semplici da spiegare, come fa rabbi Dresner in un suo libro, che contiene un atto di accusa contro la famiglia americana che va interpretato, più precisamente, come un’accusa nei confronti degli ebrei americani: «Nella loro ricerca della passione, del piacere e del potere, si sono persi nel regno di Cesare. Non è affatto ironico che i discendenti di coloro che hanno scritto i Salmi e che hanno insegnato a pregare al mondo intero siano diventati, secondo l’opinione comune, la comunità meno onorevole… Il popolo eletto sembra essersi appiattito nella normalità, diventando proprio quello contro cui i profeti avevano messo in guardia: ‘come tutte le altre nazioni’… Molti ebrei post-moderni hanno scoperto una verità sconcertante. Nessuna licenza ha potuto prendere il posto della Legge; nessuna sinfonia si è sostituita ai Salmi; nessun candeliere ha preso il posto delle candele dello Sabbath; nessuna opera lirica può sostituire lo Yom Kippuyr, nessun ‘country club’ ha sostituito la sinagoga e nessuna villa la propria casa; nessuna Jaguar può stare al posto di un bambino e nessuna amante di una moglie; nessun banchetto vale il ‘seder’ di Pasqua; nessuna metropoli turrita vale Gerusalemme come nessuno stimolo sensuale è pari alla gioia di fare un ‘mitzvah’; nessun uomo può ergersi al posto di Dio» (3). Al cuore del discorso che rabbi Dresner ha dedicato agli ebrei americani, scopriamo il meccanismo psicologico che porterà alla loro conversione: quando sono più forti è il momento in cui sono più deboli. Alan Dershowitz ha detto qualcosa di simile riguardo alla demografia degli ebrei in America nel suo libro «The vanishing of the American Jew». Più gli ebrei accumulano ricchezza e potere, più diventano deboli perché il raggiungimento della ricchezza li ha privati di una delle loro più durature certezze, cioè che Tevye avrebbe trovato la felicità diventando «un uomo ricco». I nipoti di Tevye sono, come dice rabbi Dresner, molti più ricchi di quanto Tevye abbia potuto immaginare ma, diventando ricchi e potenti, sono finiti per diventare «ebrei che con orgoglio odiano se stessi» («proud, self-hating Jews»). Il denaro è, per molti versi, il fattore meno importante da considerare in questo processo.

Come adombra, in modo un po’ oscuro rabbi Dresner «gli ebrei hanno provato tutto». Dopo aver «esaurito la modernità», gli ebrei ora «cercano il recupero del sacro» (4).

Ciò che rabbi Dresner non ha compreso è che il sacro non può essere recuperato con la pratica di riti fuori moda; gli ebrei non possono ritrovare il sacro fra i morti, ma soltanto tra i vivi.

La Chiesa può fare tesoro di questo momento e salvare il mondo da una Masada nucleare, ma potrà farlo soltanto se tornerà ad affermare la sua posizione tradizionale sugli ebrei. Ciò significa riaffermare il «sicut judeis non…» cioè che nessuno può recare danno agli ebrei o disturbo al loro culto, ma anche che i cristiani hanno un dovere egualmente solenne a prevenire la sovversione che gli ebrei sono soliti portare nella fede e nella morale. Ciò significa insomma che la Chiesa dovrebbe condannare l’antisemitismo, «l’odio per gli ebrei intesi come razza», ma allo stesso modo non dovrebbe permettere agli ebrei di abusare della «parola che indica ogni forma di opposizione nei loro confronti» [«antisemitismo», «antisemita»] e che bolla ogni forma di opposizione al loro infernale progetto di sovversione culturale. La definizione ebraica di quel termine (antisemita), suona così: «tutti coloro che si oppongono alle pretese degli ebrei sono più o meno mentalmente disturbati». La Chiesa non è mai stata antisemita nel corso della sua storia. L’insegnamento tradizionale cattolico sugli ebrei ha sempre implicato un delicato atto di equilibrio: «Da un lato, la Chiesa ha parlato in favore degli ebrei per proteggere le loro persone e la loro religione contro ingiusti attacchi… d’altro lato, la Chiesa ha parlato contro gli ebrei quando essi hanno voluto imporre il loro giogo sui cristiani e hanno inteso suscitare l’apostasia. Essa si è sempre sforzata di proteggere i propri fedeli dal contatto con gli ebrei. L’esperienza dei secoli passati prova che quando gli ebrei sono riusciti ad ottenere alte funzioni in un certo Stato essi hanno invariabilmente abusato dei loro poteri per danneggiare i cattolici. Così la Chiesa si è sempre sforzata di proteggere i cattolici da questo giogo. Pertanto agli ebrei è stato proibito di fare proseliti e di tenere schiavi o servitori di religione cristiana» (5).

Nell’ora più oscura delle persecuzioni nazionalsocialiste durante gli anni Trenta, Papa Pio XI ha difeso gli ebrei dai loro persecutori proclamando che «l’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente, noi siamo semiti». Meno conosciuto è però il seguito di ciò che disse. Dopo aver affermato che è «impossibile per dei cristiani essere antisemiti» Papa Pio XI ha proseguito affermando «riconosciamo che tutti hanno il diritto di difendersi, in altre parole di prendere le necessarie precauzioni per proteggersi contro tutto ciò che minaccia il loro legittimo interesse».

Nel dare la sua interpretazione del discorso di Pio XI, Denis Fahey ripete semplicemente ciò che la Chiesa ha sempre proclamato nelle sue dichiarazioni sugli ebrei, conosciute come «Sicut Iudeis non…»: «Da un lato, i sovrani Pontefici si sforzano di proteggere gli ebrei dalla violenza fisica e di assicurare rispetto per la loro vita familiare e il loro culto, rispetto che si deve a tutti gli esseri umani. D’altro lato, essi mirano incessantemente a proteggere i cristiani dal restare contaminati dal naturalismo ebraico e tentano di impedire agli ebrei di dominare i cristiani. L’esistenza di questo secondo ordine di necessità deve essere sottolineato con energia perché in tempi recenti è stato dimenticato. I cattolici devono ricordare non soltanto le ripetute condanne papali del Talmud ma anche le misure prese dai Sovrani Pontefici per proteggere la società dalle irruzioni del naturalismo ebraico. Altrimenti rischieranno di parlare di Papa San Pio V o Benedetto XIV come fossero, ad esempio, degli antisemiti…». Opporsi all’ambizione ebraica di «imporre il proprio governo sulle altre nazioni» non è antisemitismo, anche se gli ebrei amano descriverlo in quei termini.

Il cristiano deve opporsi all’antisemitismo, inteso come odio per la «razza» ebraica, ma è suo dovere anche contrastare l’ostilità ebraica nei confronti del Logos. Come hanno fatto molti cattolici nel passato, il cattolico deve opporsi agli «agenda» dell’ebreo rivoluzionario anche oggi - sì specialmente oggi - quando gli ebrei si sono travestiti da conservatori per celare i loro veri scopi.

San Pio X sentiva che la fine dei tempi era arrivata nel 1903. E in un certo senso aveva ragione; quando la polvere sollevata dalla Prima Guerra Mondiale si posò, i sopravvissuti imperi cattolici d’Europa erano crollati e l’anticristo comunista ebraico si era posto sul trono vacante dello zar cristiano della Russia. Forse Pio X intravide il futuro, il 4 ottobre del 1903, quando scrisse: «Chi considera ciò, deve pur temere che questa perversione degli animi sia una specie di assaggio e quasi un anticipo dei mali che sono previsti per la fine dei tempi; e che ‘il figlio della perdizione’, di cui parla l’Apostolo, non calchi già queste terre. Con somma audacia, con tanto furore è ovunque aggredita la pietà religiosa, sono contestati i dogmi della fede rivelata, si tenta ostinatamente di sopprimere e cancellare ogni rapporto che intercorre tra l’uomo e Dio! E invero, con un atteggiamento che secondo lo stesso Apostolo è proprio dell’‘Anticristo’, l’uomo, con inaudita temerità, prese il posto di Dio, elevandosi ‘al di sopra di tutto ciò che porta il nome di Dio’; fino al punto che, pur non potendo estinguere completamente in sé la nozione di Dio, rifiuta tuttavia la Sua maestà, e dedica a se stesso, come un tempio, questo mondo visibile e si offre all’adorazione degli altri. ‘Siede nel tempio di Dio ostentando se stesso come se fosse Dio’ » (II Thess, II, 4) (6).

San Giovanni Evangelista ha scritto che ci sono «molti anticristi» (I, Giovanni, II, 18) e che gli ebrei hanno salutato molti di essi. Padre Lemann afferma: «Lungo i secoli, gli ebrei hanno salutato tutti i nemici di Gesù Cristo e della sua Chiesa e si sono posti al loro servizio». Nel Gran Sinedrio parigino del 1807, essi applicarono titoli biblici specificamente messianici a Napoleone, anche se Napoleone non aveva sangue ebraico nelle vene. Essi hanno dato il benvenuto ai princìpi della Rivoluzione Francese come fossero Messia: «I Messia sono venuti per noi il 28 febbraio del 1790 con la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo». Ispirandosi alla dichiarazione di Pio X, monsignor Robert Hugh Benson scrisse il romanzo «Lord of the World», pubblicato nel 1907 ma ambientato nei primi anni del Ventunesimo secolo, all’incirca 100 anni nel futuro, cioè nel 2007. In quel romanzo un debole Papa inglese affronta, nella piana di Megiddo, un anticristo che porta il nome eloquente di Julian Felsenburgh. Nel giugno del 2006 Papa Benedetto XVI ha annunciato che si recherà a Megiddo nel 2007. Il nome Megiddo equivale ad Armageddon. L’aura già apocalittica della visita papale è sovrastata dalla natura apocalittica del periodo. George Bush, come l’anticristico Giuliano l’Apostata, in quel periodo era impantanato in una guerra in Iraq che non poteva essere vinta e già minacciava di estendere le ostilità verso est, con un attacco nucleare all’Iran. A giudicare dalle apparenze, la conversione degli ebrei non sembra imminente. Gli ebrei non sono mai stati più potenti. La Chiesa non è mai stata più debole. Ma le apparenze possono ingannare. Benedetto XVI, autore della «Dominus Iesus», anche prima di diventare Papa, aveva detto di desiderare la conversione degli ebrei. Aleggia nell’aria la promessa di un capovolgimento.

Michael E. Jones

(fine)

Parte II
Parte III

(Pubblicato il 29/12/2006 su licenza esclusiva per EFFEDIEFFE del professor Michael E. Jones, tratto da «Culture wars», ottobre 2006 | traduzione EFFEDIEFFE.com)



 
1) Denis Fahey, «The Kingship of Christ and the Conversion of the Jewish Nation», pagina 101.
2) Denis Fahey, opera citata, pagine 101-102.
3) Dresner Samuel H., «Can families survive in pagan America?», Lafayette H. Huntington House, 1995, pagina 329.
4) Ibidem, pagina 330.
5) Denis Fahey, opera citata, pagina 80.
6) Enciclica «E Supremi», 4 ottobre 1910, citato in Fahey, opera citata, pagina 177.



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