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Non piangete per Brenda…
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Brenda è morto, poveretto. Tutti sono costernati, le televisioni hanno ospitato vagonate di trans brasiliani, anche uno con un ventaglione rosso che sembrava Maicon con la parrucca. Di Marrazzo invece si sono perse le tracce, pare stia ancora in convento. Circola una beffarda battuta al riguardo: «Panico nel convento ove si è rinchiuso l’ex-presidente della Regione Lazio alla sua affermazione: "La mattina per svegliarmi mi faccio un cappuccino…"».

Battuta significativa: le escort di Silvio sono già usurate. Il nuovo è trans. I politici in TV si dicono indignati e dissimulano imbarazzo, le donne malinconia. Le femministe poi sono in piena crisi di nervi. Tentano di fare di quei giovanottoni con le tette al silicone e la barba coperta dal fondotinta delle nuove «compagne» di antiche battaglie, ma si vede che friggono, tantopiù che non possono nemmeno domandarsi: «Ma che c’hanno questi di più?». Appunto...

Sarò sincero, se fossi una femminista mi farei almeno un confezione intera di Prozac. Dopo anni di lotte e botte, vedersi scavalcate a destra dalle veline e a sinistra dai trans, manderebbe in depressione anche  il più inossidabile dei buontemponi. Figuriamoci quelle tristi figure femminili che, nel corso di un quarto di secolo, sono dovute passare dai gonnelloni a fiori con gli zoccoletti e le riunioni di autocoscienza a confrontarsi coi modelli di femminilità fetish-siliconato o la concorrenza burlesque dei transessuali.

In fondo davvero non tutto il male viene per nuocere: almeno adesso la verità viene a galla e il mondo immaginifico che si erano rappresentate e proposte di forgiare mostra in realtà a loro per prime il conto: ben gli sta. Ma è proprio qui il peccato d’origine, ancora e sempre uguale a quello descritto nel capitolo primo della Genesi: quello di poter pensare la realtà diversamente da ciò che è, di poterla immaginare a capriccio e, poi, sulla base di questa rappresentazione pretendere di costruire, anzi ri-costruire il mondo, con la pretesa che esso si sottometta ai nostri delirii onirici.

Peccato che la realtà abbia una sua consistenza, assai diversa da quella che appare alla nostra mente: peccato che abbia leggi proprie, si ribelli a qualsiasi costrizione mitologica ed anzi si vendichi  sempre di questi tentativi, trasformando in incubi reali le nostre astratte rappresentazioni ideali.

Non è cinismo questo: semplicemente si chiama ritorno al reale. Guai a voler plasmare il naturale con l’artificiale, l’organico col meccanico: Frankenstein sarà sempre pronto a destarsi contro di noi.

Tornando al punto, non è tanto l’ideologia femminista nella sua versione emancipativa a palesare oggi tutta l’ingannevole menzogna con cui variamente si è tentato di riplasmare il mondo particolarmente negli ultimi cinque secoli, quanto il fatto che essa altro non è che un mediocre e tardivo sottoprodotto di quell’unica matrice che è il pensiero moderno.

Questo a sua volta non ha in realtà nulla di originale, ma è la versione aggiornata del prometeico anelito iniziale di scalare il Cielo contro Dio, di riaprirsi da soli la strada verso l’Albero della vita, dopo avere colto, cioè sperimentato a proprio arbitrio, il frutto del Bene e del Male: di avere in una parola preteso di farsi «dei».

Razionalismo e idealismo sono le matrici di un modo di pensare che ci ha condotti sin qui.

L’idea che l’essere dipenda dal suo pensare, inaugurata da Cartesio con il celebre «cogito ergo sum» scuote dalle fondamenta il principio della verità oggettiva e con essi la distinzione tra soggetto e oggetto.

Il cosiddetto dubbio metodico, consistente appunto nel dubitare di ogni affermazione, ritenendola almeno inizialmente falsa nel tentativo di scoprire dei princìpi ultimi o delle massime che risultino invece indubitabili e su cui basare poi tutta la conoscenza, pretende di incrinare alle radici un approccio gnoseologico tradizionale, che aveva trovato da ultimo in Sant’Agostino e in San Tommaso i loro maestri.

Nel «cogito ergo sum», l’ergo non ha valenza deduttiva, ma è una sorta di esclamazione per sottolineare la scoperta, cui Cartesio si rallegra di essere giunto. «Cogito ergo sum» non andrebbe dunque tradotto come «Penso, dunque sono», ma «Penso, ecco sono!», sono cioè oggetto di un unico atto di conoscenza e pensare significa immediatamente esistere.

Scrive nel «Discorso sul Metodo»: «Bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità - ‘penso dunque sono’-  era così salda e certa da non poter vacillare sotto l’urto di tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il primo principio della filosofia». Ma a ben vedere «cogito ergo sum» porta ad una conseguenza immediata: «Io sono quello che penso».

Sarà questa in soldoni la base teorica su cui costruirà il proprio pensiero Giorgio Federico Hegel, il quale non a caso saluterà Cartesio come l’iniziatore del pensiero moderno, dicendo di lui: «Qui possiamo dire che siamo a casa e, come il navigante dopo una lunga peripezia su un mare tumultuoso, possiamo gridare ‘Terra!’ (G. F. Hegel, Vorlesungen, 19, 3, 328)».

Con Hegel l’ontologia risulterà così definitivamente assorbita dalla Gnoseologia, l’essere dall’essere conosciuto: la conoscenza è il frutto di una mediazione razionale, è il risultato cioè di un processo con cui la ragione arriva a dedurre da sé tutta la realtà. Il processo cognitivo non è dunque chiamato ad indagare una realtà esterna al pensiero, giacchè in ultima analisi è il pensiero a costituire la realtà.

Mi domanderete che c’entra tutto ciò col titolo di quest’articolo. C’entra eccome.

Dal cogito ne deriva come conseguenza la possibilità di decidere da sé il proprio essere, anzi di crearlo proprio: «Penso, ecco sono!». Ma allora - come dicevamo - io sono ciò che penso. Però se l’essere di ognuno è quello pensato, se - per dirla in soldoni - ognuno è ciò che pensa essere, ne deriva che anche se sono maschio posso pensarmi femmina e viceversa: il sesso non esiste più, diventa genere, rappresentazione, pensiero, dunque scelta. L’uomo non è maschio o femmina in sé, ma ciò che la sua coscienza pensa di lui: non esiste una oggettività dell’essere, non esiste una oggettività della sessualità, anzi vedremo neppure esiste oggettività dell’umanità. Maschio e femmina sono ipotesi di sessualità, tesi e antitesi di una sintesi che sarà più ardita. La teoria dei generi ha una base filosofica. La dinamica dello spirito hegeliano perché mai dovrebbe arrestarsi davanti al sesso? Maschio, femmina, gay, lesbiche, trans sono solo fasi dinamiche dell’inveramento dell’hegeliano spirito della storia. Anzi nella ricapitolazione di tutta la storia vi potranno partecipare tutte le forme dell’apparente reale secondo un grado di razionalità crescente: il trans è già sintesi nuova, è reale, dunque è razionale.

Il mito dell’androgino non è nato con Brenda. Per chi ragiona così, opporsi non serve, è antistorico ed appare solo il retaggio dei prodotti di decantazione della storia passata. Ma attenzione: se la storia è quel divenire che obbedisce ad una Ragione intrinseca e dialettica, ad un divenire inarrestabile che di essa è strumento, domani potrebbe essere realtà (e quindi hegelianamente razionale) anche l’ibrido uomo-animale o, attraverso la chimica, l’informatica, la robotica, la realtà virtuale anche l’uomo-macchina o una qualsiasi dimensione artificiale di materia unita all’uomo che possa avere conoscenza, magari dilatata, implementata, in grado di comprendere (nella doppia etimologia di prendere con sè e conoscere) addirittura altre ipotesi di vita ed esistenza, creando, manipolando, ibridando sinteticamente (anche qui da intendersi ad un tempo come sintesi dialettica ed artificialità) una materia che senza questo atto di autocoscienza era esistente, ma non ancora ente.

Dunque, ipocriti, che non avete Cristo nel cuore, non piangete per Brenda, nè voi, che magari vi dite cristiani, ma non avete una fede autenticamente cattolica! Sarebbero lacrime inutili. Nella hegeliana visione dialettica della realtà il pantragismo trova il suo compimento nel panlogismo e nel pangiustificazionismo: ciò significa che il male, l’antitesi, il negativo, la tragicità della vita sono sempre risolti dalla positività della sintesi finale ottenuta tramite la ragione, che nega la negazione e quindi riafferma il bene a un grado più elevato.

Perché vi rammaricate dunque? A ben vedere la sua morte vi dovrebbe rallegrare: essa è stata un passo, seppur piccolo nel Progresso della coscienza di questo arretrato Paese «papista»:  se siete inconsciamente hegeliani abbiate almeno la coerenza di esserlo fino in fondo, anche più in là di dove è riuscito a spingersi Giorgio Federico Hegel, il vostro «superiore incognito». Portate a sintesi, senza romperci le tasche con inutili piagnistei catodici, la temporanea contraddizione tra l’alienazione (Entäusserung) dello Spirito assoluto, che sarà pure riconciliabile (Versöhnung) con se stesso e l’estraniazione (Entfremdung) dello spirito soggettivo e personale, per il quale non ha senso alcuna consolazione e conforto. Il persistere della «coscienza infelice» nelle singole soggettività segnala che queste ultime (e quindi voi se siete tra questi piagnoni) non hanno ancora inteso che non ci sono lacrime per le vittime passive d’un fatalismo storico che sfrutta gli individui per il suo presunto progresso provvidenziale.

Non piangete per Brenda dunque, ipocriti seguaci del progressismo della storia. Ma non piangete per Brenda, anche se siete cattolici: piuttosto pregate per Wendell Mendes Paes, questo è il suo vero nome, nome di uomo, di maschio, prima che la follia della sua autocoscienza deforme l’avesse ridotto a prostituirsi, dopo avere tentato di fare del suo corpo maschile un grottesco simulacro di quello femminile.  Pregate per lui, perché il Signore possa nella sua giusta misericordia trovare anche per lui, come per tutti noi, pur nel peccato dell’esistenza di ognuno, opere meritevoli di meritarci il Suo perdono.

Ma pregate soprattutto per la Chiesa, perché anch’essa sia purificate da quelle pseudoteologie spurie e sulfuree nelle quali per lunghi decenni dal Concilio in poi s’è lasciata cullare. Perché rigetti con forza ogni teologia - quale quella del pessimo Rahner - che ha inoculato in molti pastori d’anime e in moltissimi fedeli una fede pervertita dall’errore e dalla superbia: perché costui, superando Hegel e assumendo Heidegger, con «il rispetto di uno scolaro davanti al grande maestro» (come scrive di sè) si è andato a ricongiungere proprio con Kant e con Cartesio e quindi col filone immanentista da cui proviene la fondamentale tesi anche rahneriana dell’identità tra l’essere e il conoscere.

Mentre per San Tommaso l’essere precede la conoscenza, per Rahner, che si esprime con linguaggio heideggeriano, «conoscere è l’essere-con-sé dell’essere e questo essere con sé è l’essere dell’essente».

Se molti nella Chiesa a proposito di sessualità assumono le medesime categorie del Mondo e giustificano magari le scelte contro natura di Gay, lesbiche e trans, sappiate che essi attingono al medesimo filone immanentista cui ha attinto uno dei periti del Concilio.

Non piangete per Brenda, il suo peccato è meno grave di quello di molti, troppi prelati e pseudoteologi transessuali della Fede, che hanno travestito la Fede autentica con la rappresentazione della loro autocoscienza trascendentale, che spacciano l’Io per Dio, il determinismo del progresso per l’agire della Provvidenza, perdendo così ogni giorno nella dissoluzione di vite disperate corpi ed anime del Signore.

Contro di loro, assai più che contro Wendell Mendes Paes, grida la voce di Cristo: «Guai a voi guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi».

Domenico Savino



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