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La nuova guerra della signora Katz
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Obama, sotto accusa per essere stato «troppo morbido contro il terrorismo», ha annunciato una «offensiva accelerata» contro Al Qaeda in Yemen. Un’altra invasione, un’altra guerra americana.

Mai un’offensiva è stata sferrata con un pretesto più vacuo. Il «terrorista» Umar Farouk Abdulmutallab, lo psicolabile con la bombetta rettale, è un nigeriano; perchè non attaccare «Al Qaeda in Nigeria»? E’ stato fatto imbarcare ad Amsterdan senza bisogno di esibire il passaporto da un indiano molto elegantemente vestito: esiste dunque una «Al Qaeda in Olanda», o una «Al Qaeda yemen_terror_1.jpgin India» da debellare? Il padre stesso del «terrorista» con la bombetta, banchiere ed ex ministro del Niger, aveva segnalato il figlio all’ambasciata USA, e nonostante la segnalazione il giovanotto è stato fatto volare in America: il che fa sospettare una potente centrale di «Al Qaeda al Dipartimento di Stato». Tanto più che una testimone, una signora Patricia Keepman che era a bordo del volo per Detroit con sua figlia, ha dichiarato ad una radio di Milwakee: «C’era un uomo sull’aereo, che ha ripreso con una telecamera l’intero volo, compreso il tentativo di detonazione. Ha ripreso tutto l’evento, con molta calma».

Evidentemente per documentare il «terrorismo islamico» in corso, di cui il cameraman ignoto sapeva tutto prima: Al Qaeda in Hollywood? (Oconomowoc Family Survives Terrorist Attempt / Man Videotaped Underwear Bomber On Flight 253)

Invece no. Bisogna portare la guerra nello Yemen. Perchè? Perchè il terrorista mancato ha detto che proprio nello Yemen un tizio, che si è detto un addestratore di Al Qaeda, lo ha preparato a fare il terrorista suicida. Ma da dove vengono le informazioni che puntano sullo Yemen come ultimo covo di Al Qaeda? Lo dice la UPI, ossia una delle agenzie d’informazione USA più ufficiali:

«... Ma queste accuse provengono da IntelCenter, un contractor privato che secondo (il sito) Antiwar.com ha dubbia reputazione ed è in affari con la comunità d’intelligence». (After bomb plot, Yemen in U.S. cross hairs)

yemen_terror_2.jpgIntelCenter è dunque la fonte: come sanno i nostri lettori, è il sito della ben nota Rita Katz, che scopre terroristi e videotapes di Al Qaeda a ripetizione. Dunque è sulla parola della Katz che Obama ordina l’ennesima invasione. Non solo. Anche il ben noto Joe Lieberman, il senatore ultra-sionista del Connecticut, che oggi guida per la ben nota comunità la Commissione di Sicurezza della Patria (Homeland Security) ha annunciato che «L’Iraq è la guerra di ieri, l’Afghanistan è la guerra di oggi, e lo Yemen sarà la guerra di domani se non prendiamo azioni preventive»: La guerra preventiva per evitare la guerra.

Del resto anche il governo dello Yemen ha pubblicamente annunciato che nel Paese ci sono «centinaia di militanti di Al Qaeda pronti a lanciare attentati dallo Yemen». Il che è un po’ strano, dal momento che, come ha raccontato il New York Times, da più di un anno la CIA e vari contractors americani sono nello Yemen a condurre azioni clandestine e ad addestrare gli agenti del governo yemenita; e che già prima del presunto attentato rettale, Washington aveva stanziato 70 milioni di dollari, da spendere nei prossimi 18 mesi, per finanziare lo spiegamento di forze speciali USA in Yemen ed equipaggiare le forze armate del presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, alle prese con una rivolta della minoranza sciita nel Nord, che allarma anche i sauditi wahabiti, giustamente atterriti da una possibile egemonia sciita, cioè iraniana: un raddoppio degli stanziamenti rispetto all’anno scorso.

Sicchè sembra che, nello Yemen, la sunnita Al Qaeda – che in Iraq ha ammazzato soltanto sciiti in stragi orrende, e nemmeno un americano – sia diventata sciita: Al Qaeda in Katz. A meno che Al Qaeda non stia appoggiamdo il movimento secessionista del sud Yemen, altro grave grattacapo per il «governo» yemenita.

Eppure, i «contractors» che sono da oltre un anno in Yemen non dormono mica. Il 18 dicembre (dunque prima dell’attentato rettale), un giorno dopo aver negato con sdegno che forze americane stavano colpendo delle località nel Nord Yemen, ha ordinato attacchi con droni nelle stesse località: gli attacchi sono avvenuti «con successo» (120 civili massacrati) e con l’appoggio dell’aviazione saudita. E il 24 dicembre (sempre prima del mancato attentato rettale) il regime yemenita ha spiegato che un bombardamento, che ha avuto luogo quel giorno stesso, mirava ad uccidere il giovane imam Anwar Al-Awlaki, nato in USA, e che secondo voci riportate ampiamente dai media (dei Katz), mentre gestiva un paio di moschee in America, aveva avuto contatti con il maggiore Hasan, lo psichiatra militare che – secondo le versioni ufficiali – aveva compiuto la sparatoria nella base militare di Forth Hood: Al Qaeda fra i Marines in Texas, il cerchio si chiude. E la BBC già il 24 dicembre profetizzava che lo Yemen sarebbe diventato «il prossimo fronte USA  nella guerra al terrore».

Dunque tutto era già pianificato, occorreva solo un attentatino piccolo piccolo. Anche mal riuscito, anche condotto da un povero psicolabile che (secondo gli altri passeggeri) «fissava nel vuoto» e «pareva in trance», e che scriveva su Facebook (1) «di non avere veri amici musulmani» (tipico atteggiamento di un qaedista). (I diari online di Faruk «non avevo amici»)

yemen_terror.jpgMa perchè lo Yemen? Ebbene, basta guardare una carta: lo Yemen sorveglia lo stretto di Bab El Mandeb, la porta sud del Mar Rosso verso l’Oceano Indiano; sull’altra costa dello stretto giace la Somalia, dove da anni gli USA combattono «Al Qaeda in Somalia».

Chi controlla Bab El Mandeb controlla il canale di Suez, ossia la via marittima alternativa dei traffici petroliferi se il golfo Persico rimane bloccato, poniamo, in caso di attacco all’Iran. In ogni caso, è una posizione geo-strategica di prima grandezza da occupare in vista dei futuri conflitti: alla lunga, da Bab El Mandeb si controllano i traffici della Cina, e degli emergenti asiatici, verso l’Europa.

Così, si può valutare in tutto il suo peso l’affermazione di Christopher Boucek, specialista dello Yemen per il Carnegie Endowment for Internazional Peace (uno degli enti di Washington che si occupano di «diffondere la democrazia» e le rivoluzioni colorate): «I problemi di sicurezza dello Yemen non sono solo affare dello Yemen... sono problemi regionali e toccano anche gli interessi occidentali».

Varrà la pena di ricordare che nel 2008, in aprile e poi ancora il 17 settembre, due gravi attentati furono messi a segno contro l’ambasciata USA a Sanah, in Yemen. Nel secondo caso, i morti furono 18 (fra i passanti). E l’attentato fu rivendicato da un gruppo autonominatosi «Jihad Islamica» (stesso nome del gruppo che da Gaza tira i razzi, contro gli ordini di Hamas) e che proclamava la sua filiazione ad Al Qaeda.

Le indagini portarono a numerosi arresti. Il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh annunciò pubblicamente, durante una riunione di membri della Shura (il parlamento, se così si può dire) e altre personalità, che la cellula terroristica smantellata era collegata ad Israele. Si trattava di «quaranta persone di diverse nazionalità arabe che lavoravano per il Mossad», disse il presidente, «entrate nello Yemen col pretesto di affari, di turismo e persino per predicare nelle moschee. Erano in possesso di mappe dettagliate di siti sensibili, apparati di telecomunicazione d’intelligence e di apparecchi di tracciamento (tracking devices) avanzati».

L’agenzia ufficiale yemenita «Saba», citando fonti non identificate, precisò che un computer sequestrato a Bassam Abdullah Fadhel al-Aidari, vice-capo della «Jihad Islamica», aveva rivelato una corrispondenza fra quest’ultimo e «una agenzia di spionaggio israeliana». Fra questa corrispondenza c’era una richiesta israeliana di compiere attentati terroristi in Yemen.

Il ministero degli Esteri israeliano rigettò la dichiarazione di Saba come «totalmente ridicola, un’altra vittoria degli inventori di complottismi». (“Islamic Jihad” arrested cell links to Israeli intelligence)


Come dar torto al ministero? Era una notizia del Katz, e infatti non è mai comparsa nei media nostrani. Ora il regime dello Yemen, debole, manipolabile e strategicamente fin troppo ben posizionato, deve chiedere aiuto al bellicismo americano per i problemi creati da «al Qaeda» e dalla «Jihad Islamica»; e l’America, colpita in casa dal nigeriano di Al Qaeda in Yemen, è oggi pronta a dare tutto l’aiuto necessario per debellare i terrorismo islamico globale.

Ovviamente, i nostri migliori editorialisti sono già tutti lì a suonare il piffero delle guerra. Al Qaeda, «quella minaccia dimenticata», si sconsola Massimo Gaggi sul Corriere. «La sfida al terrore si gioca in Africa», assicura il ben informato dagli USA ex-generale Carlo Jean, che scrive: «la frammentazione di Al-Qaeda era uno degli obiettivi fondamentali della “guerra al terrore” già nella National Strategy for Combating the Terrorism, del 2002. Gruppi locali non dispongono della capacità strategica necessaria ad effettuare maxi-attentati negli USA ed in Europa. Sotto questo profilo, USA ed Europa hanno conseguito un successo. Lo dimostra anche la recente distruzione dello Stato Maggiore di Aqap (Al-Qaeda in Arabian Peninsula), effettuata il 24 dicembre dalle forze yemenite, con l’aiuto di quelle saudite ed americane. Essa indica che cosa si deve fare per contrastare un gruppo come Aqim».

«Aqim» è ovviamente la sigla di «al Qaeda in Mauritania», quella che ha rivendicato il rapimento della coppia italiana appunto in Mauritania. Scrive Jean: «I successi sull’Aqap suggeriscono di fare lo stesso per eliminare l’Aqim e la minaccia che presenta per l’Europa. Occorre aumentare la collaborazione con i governi del Maghreb, sia nell’intelligence che nella fornitura di equipaggiamenti. Essa già esiste. Va però intensificata da parte degli Stati europei che l’hanno finora limitata, nel timore di attirare l’attenzione dei terroristi sui loro territori. L’Italia non è tra questi. Anzi, la nostra politica al riguardo è stata esemplare».

Siamo stati esemplari, e ci meritiamo le lodi di Jean, e di coloro per i quali fa il ventriloquo. Alla guerra! Alla guerra contro l’enesimo Paese poverissimo, instabile, dove basta pagare e minacciare i dirigenti per averli dalla propria parte. Il tipo di guerre che gli USA preferiscono. In Yemen oggi, in Mauritania domani, o forse già ci siamo. Perchè chissà, possiamo attirare i terroristi nei nostri territori...

Jihad islamiche che corrispondono con agenzie israeliane. O Aqap (Al Qaeda in Arabian Peninsula), Aqip, (Al Qaeda in Maghreb), Aqironb (Al Qaeda in the Rectum of the Nigerian Boy): siamo circondati da terroristi in sigla, pronti ad avventarcisi contro.

E pensare che anni fa Pierre Henry Bunel, già capo dell’intelligence militare francese, ebbe il coraggio di dire: «La verità è che non esiste un esercito islamico o un gruppo terroristico chiamato Al Qaeda, ed ogni funzionario dell’intelligence lo sa. Esiste una campagna di propaganda per far credere al pubblico l’esistenza di una entità identificata, che rappresenta “il diavolo” solo per indurre i telespettatori ad accettare una leadership unificata internazionale per una guerra contro il terrorismo».




1) Il 12 febbraio 2009 il quotidiano siriano Tishrin definì Facebook «un sito dell’intelligence sionista» che «serve a reclutare agenti per la CIA e il Mossad.». Sicuramente è una piazza, che qualcuno ha preparato, dove si mettono in mostra e «cercano amici» milioni di piccoli vanitosi, psicolabili, semplicemente stupidi o «gente che si sente sola» come il nigeriano vulnerabile, che danno miriadi di informazioni sul loro ambiente, sulle loro opinioni politiche e no, e sul proprio profilo psicologico: lì, chi ha interesse, può creare in questa umanità frenesie collettive a comando, o contattare singoli vulnerabili, ingenui o sciocchi a cui proporre di diventare membri di Al Qaeda, o anche solo «solitary assassins» come ne abbiamo visti in queste ultime settimane in Italia. Il profilo manipolabile del giovanotto nigeriano risulta evidente dall’articolo del Corriere: «Un ragazzo ‘solo’, senza amici e ‘senza un vero amico islamico’ e ‘senza nessuno con cui parlare’. E’ questo il ritratto che emerge di Umar Farouk Abdulmutallab, il 23enne nigeriano che il giorno di Natale ha tentato di farsi esplodere a bordo di un aereo che stava atterrando a Detroit, dai messaggi inviati, tra il 2005 ed il 2007, ai social network firmandosi come ‘Farouk 1986’. In tutto 300 messaggi che il Washington Post ha rintracciato attraverso Facebook ed una chat islamica, entrambi frequentati con l’obiettivo esplicito di trovare amici. ‘Il mio nome è Umar ma puoi chiamarmi Farouk’ si legge in un post, ed in un altro ‘possa Allah ringraziarti per leggere i miei messaggi e premiarti per il tuo aiuto’. Insistenti sono le richieste di contatto e di sentire dall’esterno ‘il vostro parere’ sui pensieri messi in rete. Pensieri che vanno dalle normali preoccupazioni di uno studente universitario, i progetti per il futuro e la paura per i test, a qualcosa di più profondo e, con il senno di poi, preoccupante come ‘il dilemma tra liberalismo e l’estremismo’ come musulmano. ‘Il profeta ha detto che la religione è facile e chiunque cercherà di caricarsi di un peso eccessivo non potrà continuare - scriveva nel 2005, quando aveva 19 anni - così ogni volta che mi rilasso, mi trovo a deviare ed allora devo tornare ad impegnarmi ma poi mi stanco di quello che sto facendo, per esempio memorizzare il Corano, come posso trovare un giusto equilibrio?’. Sicuramente qualcuno l’ha contattato promettendogli  di gli il giusto equilibrio. Si intuisce dal seguito: «La ragione principale della sua solitudine, spiega Farouk, è la mancanza di amici musulmani. ‘Io cerco di socializzare con tutti, non creo conflitti, rido e scherzo senza eccedere - scrive in un altro post - mi descriverei come ambizioso e determinato, soprattutto per quanto riguarda la religione: mi impegno a vivere la mia vita quotidiana secondo il Corano e la Sunna al meglio della mia possibilitá’. Una devozione che spinge i compagni di scuola a soprannominarlo ‘Alfa’, termine locale per identificare i religiosi islamici. Ma al contempo Farouk ci tiene a descriversi come un ragazzo ‘che fa sport, legge libri e guarda la TV, sempre però nei limiti concessi dalla religione’ ». Si può immaginare la telefonata: «Alfa, vuoi impegnarti davvero a vivere la tua vita quotidiana secondo il Corano e la Sunna? Qui parla Al Katz, voglio dire Al Qaeda». Facebook è stato creato da un certo Mark Zuckerberg.


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