10 Gennaio 2010
Lo scorso mese è comparsa la notizia del lavoro del claretiano padre Angel Pardilla, pubblicato nel 2007 dalla casa editrice Rogate di Roma, relativo ad uno studio storico-sociologico e teologico che comprende un arco temporale che va dal 1965 al 2005 e riguarda tutte le forme religiose esistenti nella Chiesa: i canonici regolari, i monaci, i cosiddetti ordini mendicanti, i chierici regolari, le congregazioni religiose clericali e laicali e gli istituti di vita apostolica; ne scrive anche un valido articolo, segnalatomi da un amico, dal titolo «Religiosi e post-concilio» (1).
Lo studio è estremamente
interessante perché consente un volta di più, casomai ce ne fosse stato di
bisogno, di dire con chiarezza cosa è successo dopo il Concilio Vaticano II.
Dalla ricerca emerge che su 205 istituti analizzati nel 1965 i religiosi in totale erano 329.799. Quarant’anni dopo la chiusura del Concilio ne restavano 214.903. Sono 114.896 in meno, cioè circa il 30% in meno.
Ed ecco i numeri di alcuni dei più gloriosi ordini religiosi:
Ordine religioso |
Membri nel 1965 |
Membri nel 2005 |
Differenza |
Gesuiti |
36.038 |
19.685 |
- 45% |
Salesiani |
22.042 |
16.645 |
- 24% |
Frati Minori |
27.009 |
15.794 |
- 41% |
Cappuccini |
15.838 |
11.229 |
- 29% |
Benedettini |
12.070 |
7.798 |
- 35% |
Questi sono fatti, realtà che - se fossimo in una condizione
di normalità - farebbe sì che gran parte di vescovi e cardinali, teologi,
prelati di varia foggia, natura e taglia, per lo più oversize, sarebbero presi a calci nel deretano dai fedeli e
obbligati per il resto dei loro giorni a digiuni, penitenze, preghiere di
riparazione e, perche no, un bel po’ di lavoro coatto nei campi.
Invece con la protervia che li caratterizza da sempre, i neomodernisti che hanno occupato la Chiesa, si impadroniscono delle Curie di ogni latitudine, amministrano beni e prebende, promuovono i loro affiliati e seminano nella Chiesa le medesime infezioni dottrinali che hanno inevitabilmente sfibrato ed annichilito le denominazioni protestanti.
E mica che qualcuno di loro si ponga la fatidica ed elementare
domanda post hoc ergo propter hoc?
Macchè, sarebbe troppo semplice per dei cervelloni come quelli! Scherziamo? Ti guarderebbero con quell’aria di supponenza che li contraddistingue, esibirebbero quello sguardo severo e saccente, la pelle diafana e sudaticcia di chi si è sfessato sugli autoerotismi intellettuali da metodo antropologico-trascendentale applicato alla ricerca teologica.
No, la colpa è di un imponderabile, improponibile serie di cause e concause di natura sociologica, antropologica, etnologica, storica, culturale, di cui noi miseri mortali e semplici Christifideles non possiamo cogliere l’intreccio e le difficoltà. Scherziamo?
Ti direbbero, anzi ti dicono, che se non ci fosse stata la «riforma conciliare» e soprattutto se non ci fossero loro, la Chiesa sarebbe addirittura scomparsa: insomma siamo noi rozzi, arretrati, ostinati, ottusi, arcaici, e sorpassati. Saremmo noi, che restiamo ostinatamente attaccati alle Verità di Fede di sempre, la causa di ogni male! E’ l’«aggiornamento» che sarebbe andato troppo a rilento!
Siccome non c’è controprova, loro si autoassolvono e neppure accettano di confrontarsi con la realtà. Loro sono la profezia, perbacco! Una profezia, ad esempio, come quel vicepresidente della Conferenza Episcopale Svizzera, che ha detto apertamente ai fedeli di amare una donna e di aspettare un figlio da lei. O Rembert Weakland, ex arcivescovo di Milwaukee sostenitore delle unioni gay, che confessò dal pulpito di avere avuto vent’anni prima una relazione con un seminarista o quell’altro vescovo di una diocesi sud-americana, che non si faceva mancare nulla, ma proprio nulla, tra cui cinque amanti. E non continuo per amor di carità!
Ma i peccati della carne sono nulla rispetto all’infezione dottrinale che costoro non solo seminano nei seminari (scusate il bisticcio), ma propagano tra la gente comune. E non è tanto l’ambito morale della dottrina ad essere principalmente in questione, quanto quello teologico.
Il grave problema è poi quello della mancanza di umiltà: di fronte alla catastrofe ben pochi hanno il coraggio di battersi il petto e di recitare il mea culpa e pochissimi quelli che, non condividendo l’andazzo, hanno il coraggio di alzare forte la voce. Prevale, continua a prevalere, quell’insopportabile retorica, che identifica la Chiesa col Concilio Vaticano II. Tutto ciò che vi è stato prima è implicitamente abrogato: lex posterior derogat priori.
L’ottimismo «giovanneo» è divenuta la malattia infantile della Chiesa ed ha preso il posto della virtù della Speranza. Il coro degli Hosanna all’«evento conciliare» risuona, sempre più irreale, da quarant’anni a questa parte in una sorta di ecclesiale mantra ipnotico.
Sia chiaro: non siamo così ingenui da negare che i cambiamenti culturali degli ultimi decenni sono stati tali che anche ad essi è ascrivibile la crisi che la Chiesa sta attraversando, ma neppure cosi ciechi e stolti da non riconoscere nell’ambiguo approccio dottrinale sviluppatosi a seguito del Vaticano II il cavallo di Troia che ha dissolto prima di tutto intra moenia i presìdii contro il dilagare dell’eresia e del secolarismo.
Se, invece che narcisisticamente specchiarsi nell’autocontemplazione del proprio essere, i profeti del dialogo col Mondo avessero davvero iniziato a confrontarsi con esso, avrebbero da subito raccolto ad esempio la profezia di un «gran sacerdote» del pensiero laico, conservatore ed anticonformista, come solo certi laici conservatori sanno essere: Giuseppe Prezzolini.
All’indomani della chiusura dell’assise conciliare uscì un’edizione
speciale dell’Osservatore della Domenica (una sorta di periodico settimanale
illustrato de l’Osservatore Romano) ad essa dedicata. A pagina 176 delle 266
pagine della pubblicazione comparve, tra le molte dichiarazioni rilasciate a commento
di ciò che con enfasi il periodico chiamava «Il Concilio
dell’aggiornamento e dell’ecumenismo», quella appunto del
pensatore di Lugano, che, senza scomodare lo Spirito Santo, né alcun carisma
profetico, ma semplicemente e freddamente usando la via ordinaria della
ragione, così scriveva:
«Mi ha colpito di più
la dichiarazione sulla libertà religiosa. Di fronte a questo capovolgimento
della dottrina cattolica, il resto mi
è parso bazzecola. Credevo ci fosse un numero maggiore di prelati disposti a
dare 5 in condotta a tutti i santi,
da Agostino, a Domenico, che hanno combattuto, imprigionato, torturato, sterminato
eretici. Oggi, con la libertà di
coscienza, devono abbracciarli. E poi
non era stata, questa libertà di
coscienza, esplicitamente condannata
dal Papa Gregorio XVI, che citava per
l’appunto Sant’Agostino (‘quae peior mors animae, quam
libertas erroris?’)… Il Papa la
definiva sentenza erronea, anzi, meglio, un delirio. E se un Papa si sbagliò, parlando ex cathedra, si
potranno sbagliare altri Papi. Credo che
i reverendi padri abbiano pensato di diventar popolari presso le masse. Ma
no: esse vogliono pane e divertimenti,
domandano di essere istruite e non di
istruirsi, sono disposte ad accettare
qualunque dottrina che abbia autorità.
Serve altro? Non credo. Si sollecita Chi sta in «alto» a perseverare fino in fondo in un ravvedimento operoso.
Domenico Savino
1) Confronta http://paratisemper.blogspot.com/2009/12/religiosi-e-post-concilio-diamo-i.html#more)
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