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La legge secondo San Tommaso d’Aquino
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San Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica (I-II) parla della legge in generale alla questione 90. Nel 1° articolo spiega che la legge è la regola degli atti umani e, come tale, è propria della ragione più che della volontà, poiché è la ragione che ordina e dispone i mezzi al fine. Nel 2° articolo insegna che ha ragione di legge tutto ciò che è ordinato al bene comune. Nel definisce la legge come “ordinamento della ragione al bene comune, promulgato da colui cui spetta la cura della società”. Alla questione 91 parla delle diverse specie di legge. Nel 1° articolo insegna che il mondo, il quale è retto da Dio, è ordinato al fine dalla ragione eterna divina e questa è la legge eterna. Nel spiega che la legge eterna è impressa nelle cose secondo la loro natura ed è partecipata all’uomo secondo la sua essenza di animale razionale, perciò è conosciuta da lui col lume della ragione naturale e questa è la legge naturale. Il 3° articolo insegna che le leggi positive umane applicano i princìpi comuni della legge naturale tramite disposizioni particolari della ragione umana. La questione 92 indaga gli effetti della legge e insegna nell’articolo 1° che l’effetto della legge è render buoni e virtuosi gli uomini, nell’articolo 2° che l’ufficio della legge è comandare gli atti di virtù e proibire i vizi e infine punire le inadempienze e le mancanze. La questione 93 studia la legge eterna e nell’articolo 2° mostra che la legge eterna in sé è nota solo a Dio e ai Santi del Cielo, ma, per la sua irradiazione nella conoscenza della verità, è nota a tutti. La questione 94 nell’articolo 2° tratta della legge naturale, che ritrae l’uomo dal male e lo indirizza al bene, ossia a ciò che gli conviene come ente animale e razionale. La questione 95 sulla legge positiva nell’articolo 2° insegna che la legge positiva umana, la quale sia in disaccordo con quella naturale e con la retta ragione non è legge ma corruzione di legge. Quindi, la legge positiva deve derivare da quella naturale e mai contraddirla.

La legge o diritto naturale

S. Tommaso insegna che la legge o diritto naturale è la regola che dirige l’uomo come animale razionale, ossia nella sua essenza, e consiste nel far concordare la condotta umana con i fini che Dio ha inserito nella natura umana, di cui è il Creatore. Perciò, non bisogna confondere natura o legge naturale coll’istinto, che è solo la parte più bassa dell’uomo, composto di corpo e anima razionale e quindi di passioni, ma anche d’intelletto e libera volontà, nelle quali è riflessa la legge eterna di Dio. Onde, la legge in genere viene definita «ordinatio rationis ad bonum commune ab eo qui curam communitatis habet promulgata»[1] e il diritto naturale «una certa impressione della luce [lex-lux] di Dio in noi e una partecipazione della legge eterna divina nella creatura razionale»[2].

L’Angelico, riguardo alla legge, studia la natura non metafisicamente come sostanza o ente[3], ma nel suo valore morale-giuridico e nel suo significato finalistico, in quanto “principio di moto e quiete” o “principio attivo e passivo di generazione”, e distingue la forma, che è la parte attiva della natura o “principio attivo del movimento”, dalla materia, che è la parte passiva o “principio passivo”[4]. La natura, come principio formale o attivo, dice ordine all’azione, tendere verso qualche cosa ossia un fine, il che presuppone l’appetito verso il fine, e l’intelletto, che ordini l’appetito al fine, poiché ordinare una cosa a un’altra come mezzo al fine è proprio dell’intelligenza che è ordinatrice[5]. Di conseguenza “naturale” esprime ciò cui la natura, come “tendere a”, è inclinata, ossia il bene che è conforme all’inclinazione naturale. Infatti, naturale, in questo contesto, non significa rapporto di causalità efficiente cieca, necessitante e necessitata “ex natura”, ma finalità intelligente e ordinatrice o “secundum naturam”. La legge naturale, quindi, non è qualcosa di esclusivamente genetico e istintivo, come vorrebbero lo scientismo, il materialismo e il freudismo, ma anche e soprattutto qualcosa di razionale e volontario, ossia ordinato al fine (perfezionamento o bene individuale e sociale dacché l’uomo è animale non solo razionale, ma anche socievole): essa è assieme “ex natura” e “secundum naturam”. La legge naturale è una attività della potenza conoscitiva e volitiva, in forza delle quali l’uomo è diretto ad agire conformemente al suo fine: il vero e il bene. Padre Luigi Taparelli D’Azeglio la definisce così: “La natura è quel principio di tendenza che porta un essere al fine pel quale fu fatto dal suo Creatore”[6]. Quindi, specificando ancor meglio, si distinguono le diverse nozioni di “diritto naturale”, come norma oggettiva e immutabile di moralità (opposta al “diritto positivo”) e di “legge naturale”, come principio da cui deriva il diritto naturale.

L’essenza umana fondamento primo del diritto naturale

La legge morale naturale si fonda innanzi tutto sull’essenza entitativa dell’uomo, vale a dire «deve corrispondere all’essenza della natura umana»[7], e ultimamente si fonda in Dio, autore della natura. L’essenza ontologico-metafisica dell’uomo è il fondamento primo della legge o diritto naturale, ma tal essenza entitativa è stata data all’uomo da Dio, assieme all’operare conformemente alla natura del suo essere di animale razionale, libero e sociale. Se in primo luogo la legge naturale è intrinseca all’essere dell’uomo, in ultimo luogo essa è fondata in Dio, autore della natura umana. Perciò la legge naturale ci dice di adeguarci al nostro essere e di essere e diventare ciò che siamo: “Uomini siate e non pecore matte” direbbe Dante. Dall’essere dipende il dover essere, l’agire (“agere sequitur esse”). In breve, l’etica individuale e sociale presuppone una metafisica, poiché l’agire o il dovere (oggetto della morale) sono una conseguenza dell’essere (oggetto della metafisica). La legge morale naturale è, perciò, la legge dell’essere che si diffonde nella pratica e nell’agire. «Quindi è impossibile ammettere la metafisica dell’essere nella concezione aristotelico-tomistica e negare il diritto naturale. […]. La filosofia morale della persona umana si fonda sulla metafisica dell’essere ma oggi, purtroppo, c’è una forte pregiudiziale antifilosofica, una diffusa avversione alla metafisica, un congedo dall’essere, e questa fine della metafisica porta facilmente anche alla fine dell’etica»[8].

La filosofia moderna, dal Seicento all’Ottocento, si è allontanata dalla metafisica dell’essere, che fonda l’agire e il pensare. Per la modernità si parte dal primato del soggetto, che non riconosce l’oggettività ontologica e reale del mondo esterno e neppure quella dell’ordine morale. Onde vi è un primato non solo del Cogito sulla realtà extramentale, ma anche della coscienza soggettiva o “di comodo” sulla morale oggettiva. Invece, per Aristotele e S. Tommaso è l’essere che fonda il pensiero umano, onde la coscienza morale dell’uomo procede dall’esser vero e buono, in quanto le leggi dell’agire dipendono da quelle dell’essere (nell’ordine metafisico: sì = sì, no = no; sì ≠ no; bene = bene, male = male, bene ≠ male; nell’ordine pratico o morale: “bonum faciendum, malum vitandum”)[9]. Perciò, l’uomo deve agire secondo la sua natura di animale razionale e libero, ossia secondo ragione o virtù e quindi anche secondo il suo fine o il principio di finalità, che regola l’essere e l’agire.

La metafisica sfocia inevitabilmente in filosofia morale (individuale e sociale, poiché l’uomo non è animale solìvago ma socievole). Però, l’uomo possiede la sua natura non da sé, ma da Dio, e da essa è orientato o finalizzato a raggiungere il suo scopo o la sua finalità, che coincide con la beatitudine o felicità. Inoltre, in quanto animale razionale, l’uomo si auto-orienta ragionevolmente e liberamente al suo fine[10].

In breve, dobbiamo realizzare liberamente e ragionevolmente la nostra natura umana fornita d’intelletto e volontà: “Esto vir” (vir = “uomo buono” da virtus, ossia capace di agire veramente bene di essere e agire moralmente). Ancora Dante ci canta: “Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e conoscenza”. Onde sarò veramente uomo, se seguo le leggi in me stesso naturalmente inscritte del mio dover agire bene o moralmente, alle quali devo ubbidire volontariamente e liberamente, se non voglio tradire la mia essenza di animale ragionevole e libero, ordinato al vero e al bene. Il vero uomo è colui, che vive secondo tali leggi, che sono fondate in primo luogo nella natura umana e in ultimo in Dio, autore di essa, le quali leggi sono il fondamento del diritto positivo, che da esse riceve valore.

Dio fondamento ultimo del diritto naturale

Dio è il fondamento ultimo del diritto naturale. I migliori filosofi greco-romani (Platone-Aristotele, Cicerone-Seneca) e specialmente i Padri e gli Scolastici sublimati da S. Tommaso d’Aquino e, successivamente, dalla seconda scolastica (Gregorio da Rimini, In II Sent., dist. 34, q. 1, a. 2; Gabriel Biel, In II Sent., dist. 35, q. unica, a. 1; Gabriel Vàzsquez, In I-II Sum. Theol. S. Thomae, disp. 97, c. 1; Francisco Suàrez, De legibus ac Deo legislatore, II, c. 6, nn. 3-5-11; Francisco de Vitoria, In Sum. Theol. S. Thomae, I-II, q. 94, a. 2; Salamanticenses Morales, t. III, tract. XI, De legibus, c. I, punctum III, par II, nn. 24-25; Domingo De Soto, De justitia et jure, I, q. 4, 3) riconoscono che la legge naturale ha valore solo se si riconosce come suo fondamento ultimo un Legislatore, che l’ha inscritta nella natura umana ed ha stabilito una sanzione e un premio per tutelarla. L’Aquinate definisce la legge naturale come «partecipazione della creatura razionale alla legge eterna»[11]. Essa è un ordine dato e tutelato da Dio, per cui deviare da quest’ordine è uno snaturarsi o andare contro natura. Gli antichi greci e romani, ancor prima della Rivelazione cristiana, seppero colla ragione naturale elevarsi all’altezza di una legge divina dalla quale quella naturale deriva.

Purtroppo la modernità, avendo rotto i ponti con la metafisica classica e soprattutto tomistica, ha invertito anche il concetto di legge naturale, giungendo alle aberrazioni della post-modernità con Freud e la scuola psicanalitica, che hanno promulgato una contro-legge anti-naturale ed anti-divina, ossia oggettivamente diabolica.

La nozione di “legge eterna”

Dio, in quanto Creatore o Principio della natura e suo Fine ultimo, è di conseguenza Autore anche della legge eterna concepita come il piano il disegno secondo il quale Dio governa tutte le cose che ha fatto per Se stesso. S. Agostino definisce la “legge eterna” come «la ragione e volontà divina, che comanda di conservare l’ordine naturale e proibisce di perturbarlo»[12]. S. Tommaso d’Aquino ci dà la definizione divenuta classica e comune: «La legge eterna è la stessa ragione, che governa tutte le cose, esistente in Dio, re dell’universo»[13]; essa dirige «tutti gli atti e movimenti al debito fine»[14]. In breve, la Provvidenza divina realizza la nozione stessa di legge in quanto ordina al loro fine tutte le cose. Siccome Dio è assolutamente semplice, la legge eterna si fonda nell’Essenza di Dio, coincide con essa ed è Dio stesso regolatore supremo, che da tutta l’eternità conosce se stesso come imitabile ed amabile in quanto fine ultimo. Quindi, il diritto non si fonda sull’arbitrio umano, ma sulla legge di natura in quanto partecipazione di quella eterna. Il vero concetto di legge o diritto naturale comporta una dipendenza ontologica, teologica e finalistica delle creature dalla Causa prima incausata. Dio è la ragione ultima dell’essere, del divenire e dell’agire e quindi è la regola primo/ultima della moralità. Conseguentemente «Dio è la causa prima e principale di ogni nostro obbligo o dovere, essendo Egli il Principio primo e il Fine ultimo di tutte le cose»[15]. Come il principio di non contraddizione regola la metafisica e la logica, così il principio di finalità e la sinderesi regolano ogni agire pratico o morale. Quest’ordine del mondo (sia fisico che morale) è la legge eterna, finalità fisica inscritta nelle cose irrazionali e finalità morale inscritta nelle creature ragionevoli, che ci fa risalire al Legislatore e Giudice supremo. Così Dio non solo comunica l’essere alle creature, ma le ordina ad un fine e le provvede affinché lo conseguano. Il concetto di Dio Causa finale ultima, completa quello di Dio Causa efficiente prima: come “agere sequitur esse”, così, ordinando le cose ad un fine (“omne agens agit propter finem”), Egli aggiunge una perfezione finale (legislazione) ad una iniziale (creazione). Per S. Tommaso il concetto di legge include le leggi fisiche, giuridiche positive e naturali in quanto partecipazioni di quella eterna. La legge abbraccia cielo e terra. La legge per l’Angelico non è un paragrafo del codice civile o penale, tanto “caro” agli avvocati e specialmente ai loro clienti (quando pagano le parcelle).

La legge eterna partecipata nell’uomo

La legge eterna, che è «superiore alla ragione naturale»[16], è la fonte primordiale di ogni altra legge. Tutte le creature sono sottoposte ad essa a) sia quelle irrazionali (piante e minerali), che hanno una inclinazione cieca e necessaria verso l’atto e il fine proprio (il sasso cade nel vuoto, la pianta cresce o secca) e questa è la legge fisica-naturale; b) sia quelle sensibili (animali bruti), che hanno un appetito sensitivo determinato ad unum (il cane di fronte alla bistecca non può non mangiarla) e questa è la legge dell’istinto necessario; c) sia quelle razionali (uomo), che, possedendo la ragione e la volontà libera, conoscono se stesse, il loro fine e si guidano liberamente, e subordinatamente alla Causa prima, verso la meta che Dio ha inscritto nella loro natura razionale, tramite la realizzazione del loro essere razionale, libero e socievole, e questo è il dominio della legge morale naturale (l’uomo di fronte ad una bistecca di venerdì si astiene liberamente dal mangiarla, anche se gli piace). L’Aquinate definisce la legge morale naturale come «partecipazione della legge eterna nella creatura ragionevole»[17]. L’uomo, infatti, partecipa alla legge eterna razionalmente e liberamente, a differenza dei bruti, delle piante e dei minerali[18]. La legge naturale non è scritta, ma immessa o inscritta (“indita, non scripta”) nell’essere stesso della creatura regolato dalla legge eterna. Nelle creature irrazionali, che son guidate ab aliis, si ha invece una partecipazione alla legge eterna non cosciente, materiale, fisica ed esecutiva, per cui le leggi fisico-naturali sono necessitanti e passivamente compiute non mediante ragione e volontà libera, ma per naturalem inclinationem; è la necessità fisica del non potere non essere/agire[19]. Per cui il nome completo e in senso stretto della legge naturale sarebbe legge divino-naturale, in quanto sia la natura umana da cui deriva (ontologicamente) sia la ragione che la conosce (gnoseologicamente) sono create da Dio. Onde la legge divino-naturale è l’insieme di principii e giudizi pratici, che, come luce (lex/lux) diffusa da Dio nella nostra coscienza, ci fa conoscere quasi istintivamente il bene e il male, ciò che bisogna fare ed evitare[20]. Riassumendo, siccome Dio è causa esemplare, efficiente e finale di ogni cosa, significa che in Dio c’è una legge eterna alla quale tutto è soggetto. Inoltre, in quanto questa legge eterna esce da Dio ed è partecipata limitatamente dalle creature secondo la loro capacità, da questa partecipazione nasce la legge naturale, inserita in ogni ente creato. Quindi, anche l’uomo non conosce pienamente e perfettamente, la legge naturale, ma a suo modo e imperfettamente, in quanto la conosce secondo certi princìpi universali. Perciò è necessario che la legge positiva (divina e umana) stabilisca norme particolari e concrete. Se Dio è il fondamento ultimo del diritto, non significa che la Sua volontà si manifesti solo attraverso la legge rivelata o positiva-divina, ma anche attraverso la legge naturale, la quale deve ispirare la legge positiva umana, che dovrebbe esserne una specificazione o concretizzazione. Quindi, la legge morale non è autonoma (come diceva Kant), ma trascendente ed eteronoma. Come l’uomo non è il creatore della sua natura, così non è neppure il legislatore del suo agire. Il tomismo concilia l’elemento trascendente ed oggettivo della legge con l’elemento razionale e naturale, insegnando che fondamento prossimo della legge è la natura umana e fondamento ultimo è Dio.

Purtroppo, la filosofia moderna rifiuta l’idea di diritto naturale per una falsa concezione di natura, concepita come contraria alla libertà e necessitante, mentre nell’uomo essa è razionale e libera; come pure rigetta l’idea di diritto naturale per un altro concetto falso di libertà proprio del liberalismo, che ne fa un assoluto e non un mezzo il quale deve aiutarci a scegliere i mezzi migliori per cogliere il fine ossia il bene, onde fare il male non è segno di libertà ma difetto di essa, come la malattia significa che l’essere ammalato è, sì, ancora vivo, ma deficiente di salute. Per il tomismo l’intelletto umano di fronte alla legge naturale è come l’occhio davanti alla luce (lex/lux): «La legge naturale è come una luce della ragione, che ci permette di discernere il bene e il male, essa in noi è un’impronta della luce divina»[21]. Ogni soggettivismo, e quindi la modernità, è incapace di fondare una morale naturale, mentre la post-modernità la vorrebbe distruggere persino nella sua forma relativistica, soggettivistica e immanentistica datale dalla filosofia moderna[22].

Invece, siccome tutto è creato da Dio coma Causa prima efficiente e tutto ritorna a Lui come Causa finale anche il diritto va ricondotto a Dio come Causa efficiente e finale, mediante la legge eterna, naturale e positiva. La legge divina del Sommo Legislatore, la legge naturale scritta nella natura umana e partecipazione di quella divina, e la legge positiva conforme ai dettami specificati e concretizzati della legge divino-naturale, questa è la meravigliosa armonia pratica della morale tomistica. Quindi la legge naturale dà forza e nello steso tempo delimita la legge positiva umana, che, qualora se ne distacchi, non ha forza di legge ma è piuttosto corruzione di essa (“corruptio legis”). La crisi morale odierna è quindi innanzi tutto una crisi di ordine metafisico, che rifiuta l’oggettività dell’essere extramentale riducendo tutto a puro soggettivismo e conseguentemente fondando una “morale” autonoma e soggettiva o del momento e di comodo. Infatti, la ragione umana è finita e limitata e non può essere autosufficiente o legge a se stessa (Kant)[23]; perciò, la modernità è approdata al pluralismo filosofico, etico e teologico. Poi, con la post-modernità nichilistica (Nietzsche-Marx-Freud), si è andati oltre la negazione della metafisica e si è preteso di distruggere l’essere per partecipazione delle creature in odio all’Essere per essenza del Creatore e conseguentemente si è sprofondati, oltre la “moralità” soggettiva, nell’immoralismo per principio e nella dittatura dell’immoralità, che vorrebbe distruggere ogni traccia di natura e di Dio anche dall’agire umano. Non si può stravolgere il concetto di essere, di natura umana e di Dio senza sovvertire totalmente il sano concetto di morale o di legge naturale, divina e positiva. Al teocentrismo corrisponde una morale oggettiva e naturale-divina, all’antropocentrismo corrisponde una morale soggettiva, al nichilismo entitativo, antropologico e teologico corrisponde un immoralismo (che è esploso nel 1968, con la rivoluzione studentesca) o un’anti-morale che non è esagerato definire diabolica, in quanto ritiene bene ciò che è male e viceversa.

Etienne Gilson scriveva: «Se Dio non esiste, tutto è permesso. Nulla è più proibito, non c’è più limite, non c’è nulla che non si possa tentare [vedi gli esperimenti della genetica odierna, che vorrebbe “creare” la vita umana nel laboratorio del chimico, nda], che non si debba tentare perché se tutto ciò che è stato vero un tempo lo è stato partendo dall’ipotesi che Dio esisteva, ora che Dio non esiste, nulla di ciò che era vero allora è adesso vero, nulla di ciò che era bene è bene; dobbiamo ricreare tutto. Ma, prima di ricreare, bisogna cominciare col distruggere […], il migliore augurio che si possa fare all’uomo moderno è di rientrare nell’ordine naturale [non naturalistico alla Grozio-Pufendorf, nda] che è quello della creazione divina»[24].

Diritti naturali dell’uomo

La sinderesi “bonum est faciendum, malum est vitandum” è il principio primo per sé noto dell’ordine pratico o morale, è il preambolo del diritto naturale. Inoltre vi sono tre inclinazioni essenziali nell’uomo per ottenere il conseguimento del fine ultimo. Esse sono le finalità della natura umana, che non dipendono dall’arbitrio o capriccio dei singoli, ma sono inscritte nella natura umana e conosciute con l’esercizio della ragion pratica. Sono inclinazioni e non solo istinti, poiché hanno valore umano e non solamente animale. S. Tommaso ci presenta le regole fondamentali, che ordinano l’essere umano nella sua attività, secondo il triplice movimento delle sue inclinazioni razionali e libere: l’uomo 1°) come ente vivente tende all’auto-conservazione nell’essere; 2°) come ente sensibile o animale tende alla trasmissione della vita o conservazione della specie[25]; 3°) come ente razionale tende alla conoscenza della verità o della realtà e al proprio sviluppo morale (subordinato a quello soprannaturale)[26]. Siccome l’uomo non è un ente isolato ma socievole, pur avendo uno spirito incarnato nel suo corpo, è dipendente dai suoi simili, per cui i diritti umani hanno innanzi tutto un valore individuale e poi anche politico. Ogni uomo ha diritto all’esistenza (5° comandamento) e al proprio lavoro per mantenerla (7° e 10° comandamento); in secondo luogo ha diritto ad avere una famiglia o a procreare, senza abusare della facoltà generativa (4°, 6° e 9° comandamento); in terzo luogo ha diritti culturali, spirituali e religiosi (1°, 2° e 3° comandamento) poiché è animale razionale ed anche diritti civili a partecipare alla vita sociale (4° comandamento, riferito all’autorità civile). Questi diritti-doveri inscritti nella natura umana sono stati promulgati positivamente nel Decalogo, affinché l’uomo comune, che non è portato a profonda riflessione, non corresse il rischio di equivocare o di obnubilarne qualcuno. Contro il freudismo oggi imperante, occorre ribadire che naturale è conforme a razionale e libero e non ad animale bruto incapace di dominare gli istinti sensibili, poiché privo di intelletto e volontà.

Precetti primari e secondari del diritto naturale

a) Solo Dio conosce perfettamente la legge naturale in se stessa. L’uomo, invece, essendo limitato e finito, la conosce imperfettamente e secondo le capacità create della natura umana[27]. Quindi, tutti gli uomini conoscono la legge naturale, almeno circa i principi primari ed universalissimi, che non possono venire ignorati da nessuno che abbia l’uso normale di ragione. Gli altri principii (secondari) possono essere più o meno ignorati secondo la diversa educazione, cultura, età, tempo e luogo[28]. S. Tommaso però non si spinge a dare un sistema determinato della legge naturale in maniera compiuta e perfetta, ma si limita ad indicarci le tendenze fondamentali che la legge naturale persegue: “fare il bene ed evitare il male”.

b) I precetti secondari sono l’applicazione ai casi concreti e contingenti dei principi primari, essi derivano dai precedenti ed esprimono le tendenze secondarie dell’uomo. Sono per sé noti, ma non a tutti, bensì solo ai sapienti; per esempio che il divorzio è proibito ed anche la poligamia. In questo senso, spiega l’Angelico, i precetti secondari, possono cessare di aver vigore, non in se stessi, ma «in casi particolari ed eccezionali, per cause speciali che impediscono l’osservanza di tali precetti»[29]. Quindi, la legge naturale è immutabile sostanzialmente, quanto a sé, ma ci possono essere delle circostanze, che, pur non mutando la legge stessa formalmente o per sé, ne mutano la materia per accidens o circostanzialmente[30] (per esempio, il libello di ripudio che Mosè concesse agli israeliti data la loro “durezza di cervice” e che poi fu abrogato da Cristo). Tale incertezza e varietà della conoscenza da parte dell’uomo della legge naturale è attribuibile, secondo S. Tommaso, all’oggetto contingente dell’intelletto pratico, mentre l’intelletto speculativo ha per oggetto il necessario. Onde in speculativis si ha un’identica conoscenza per tutti, invece in operativis la conoscenza pratica rispetto ai casi particolari non è identica in tutti[31], data la contingenza dell’oggetto dell’intelletto pratico. Così abbiamo 1°) precetti certissimi/principi primi comuni, che sono relativi alle finalità essenziali della natura umana e sono per sé noti a tutti; per esempio: fare il bene ed evitare il male, l’amore di Dio e del prossimo, non fare agli altri ciò che per te non vuoi; questi precetti non ammettono errore o ignoranza invincibile; 2°) precetti più specifici/conclusioni immediate e necessarie, come il Decalogo intero, che indicano cosa è bene e male e sono applicazioni immediate dei principii più comuni (ad esempio, il 5° comandamento specifica il principio generalissimo di non fare male a nessuno); questi precetti nella maggior parte dei casi (ut in pluribus) non ammettono errore o ignoranza invincibile, ma in qualche caso (ut in particularibus), per eccezione, potrebbero essere ignorati dalla gente semplice o in balìa di cattive abitudini (per esempio, i Galli reputavano lecito il furto, come scrive Giulio Cesare nel De bello gallico); perciò si possono avere delle perdite temporanee della conoscenza di alcuni precetti della legge naturale; 3°) precetti noti solo ai sapienti e non a tutti, che determinano il Decalogo/conclusioni mediate[32] o determinazioni particolari e concrete di princìpi fondamentali. Esse sono conosciute come obbligatorie non di primo colpo, ma dopo profonda riflessione dai sapienti e non da tutti; per esempio: l’unità e indissolubilità del matrimonio, la peccaminosità del duello, del farsi giustizi da sé in una società ben ordinata[33]. Riguardo a queste conclusioni più remote dai princìpi è più facile che si dia errore ed ignoranza non colpevole[34].

Il diritto positivo

La suddetta insufficienza della conoscenza umana della legge naturale si fa sentire sia dal punto di vista individuale sia e soprattutto, in campo sociale; di qui la necessità della legge positiva divina e umana. «S. Tommaso quando parla di diritto positivo, si dimostra veramente originale e interessante, rivelando una mentalità molto pratica e sensibile, ricca di buon senso latino, guidata sempre dal più sano realismo, ma non è positivista, perché ha l’occhio penetrante, coglie i nessi essenziali e fondamentali delle cose»[35]. Il diritto positivo determina le cose non ben determinate della legge naturale, ma consone ad essa ossia non contrarie alla retta ragione, poiché, se fossero contrarie, sarebbero non legge “sed legis corruptio[36]. Il diritto positivo è definito da dom Paolo Carosi «un’aggiunta o un’ulteriore precisazione della legge naturale, con la quale il legislatore intende togliere l’incertezza lasciata dalla legge naturale. È chiaro che la legge positiva non potrà opporsi alla legge naturale, ma dovrà interpretarla e applicarla ai casi particolari»[37].

Legge positiva umana

Il diritto positivo umano è il perfezionamento di quello naturale. Questo è atto all’uomo in sé e non tanto al singolo uomo che vive hic et nunc in situazioni concrete sempre diverse, donde la necessità del diritto positivo[38]. Con la positività si ha la certezza del diritto per tutti. Infatti la legge naturale è conosciuta da tutti solo nei suoi princìpi supremi, mentre a misura che si passa da questi alle conclusioni concrete, sorgono dubbi e pericoli di errore. Quindi è necessario che l’autorità stabilisca, tramite il diritto positivo le conclusioni più remote della legge naturale; per esempio: come e quando si devono pagare le tasse? Si può passare col semaforo rosso? A che velocità debbono andare le automobili? Bisogna circolare a destra o a sinistra? Si può far uso di droga? Come si vede la legge positiva umana (quando è conforme a quella naturale) è obbligatoria sotto pena di cadere nell’anarchia selvaggia iper-liberista o cavernicola e tribale[39].

Legge positiva divina

Differisce da quella eterna di Dio, poiché, pur essendo ambedue divine, quella positiva è una manifestazione della legge eterna fatta all’uomo con segni esterni e sensibili (a Mosè sul Sinai) e non solo con l’esercizio della ragione umana. Differisce anche dalla legge naturale, che è presupposta da quella positiva, deve essere confermata, specificata, applicata ai casi concreti, ma mai contraddetta, poiché Dio da cui entrambe le leggi procedono non si contraddice. La legge divina positiva è resa necessaria dalla deficienza creaturale-finita dell’uomo, il quale, pur essendo ordinato liberamente da Dio al fine ultimo soprannaturale, che supera le sue capacità umane naturali, deve necessariamente essere diretto da Dio a questo fine che da solo è incapace di cogliere, sorpassando esso le sue forze puramente naturali[40].

Diritto naturale per rapporto al diritto positivo

Il diritto naturale è il fondamento di quello positivo, come abbiamo visto. Tuttavia esso non è qualcosa di astratto esistente nel mondo dell’Iperuranio, ma una regola concreta e reale, superiore al diritto positivo e che tuttavia influisce realmente e efficacemente su di esso, il quale a sua volta lo specifica e lo cala nei casi particolari e contingenti. Innanzi tutto il diritto naturale, che è quello eterno partecipato dall’uomo, serve a distinguere il diritto positivo buono (se conforme a quello divino-naturale) da quello cattivo o ingiusto (“corruptio legis”), che ne è difforme. Il diritto positivo non è decretato dall’arbitrio del legislatore umano (civile o ecclesiastico), che potrebbe sancire il torto e non il retto. Non sempre, infatti, il giusto si identifica col legale: per esempio, l’aborto è stato legalizzato, ma rimane ingiusto poiché difforme dal diritto naturale. La legge, per essere vera e buona, non solo deve essere promulgata dall’autorità (“Auctoritas facit legem”), ma deve essere conforme alla ragionevolezza e al bene (“Veritas facit legem”).

Il ritorno al diritto naturale è il ritorno alla realtà, alla verità, all’essenza della natura umana come Dio l’ha concepita. La legge è “un ordine della ragione o ragionevole, promulgato dall’autorità in vista del bene comune”. Quindi, solo il diritto giusto è obbligatorio (la legge che legalizza l’aborto non obbliga in coscienza, perché è un arbitrio imposto e, come tale, non obbligante). In alcuni casi, le leggi ingiuste (per esempio tasse eccessive) possono essere osservate, per evitare un male maggiore, a meno che non vadano contro il diritto divino (per esempio l’idolatria o l’aborto), nel qual caso “bisogna obbedire a Dio, piuttosto che agli uomini”[41].

Ritorno alla metafisica e morale naturale tomistica

Per concludere, «dobbiamo riaffermare la dipendenza dell’uomo dal fine ultimo e dalla legge eterna imposta da Dio tramite la legge naturale, che costituisce la nostra stessa essenza di animali intelligenti e liberi e la cui osservanza attua tale nostra natura nel modo migliore»[42]. Purtroppo la nostra epoca è caratterizzata da una specie di fobia per la metafisica, la quale si incentra sull’essere per essenza e per partecipazione e dalla creatura risale al Creatore, il quale trascende sia lo Stato che l’uomo. Quindi la modernità si preclude la possibilità di giungere alla nozione di diritto naturale, il quale «muovendo dall’antichità ebraica e greco-romana, è arrivato sino a noi attraverso la tradizione della scolastica, della filosofia perenne, che riduce il diritto naturale a pochi, sommi princìpi, che non possono mai essere violati, ma suscettibili di diverse applicazioni storiche nei casi particolari, e bisognosi di essere determinati nei contenuti, integrati nelle istituzioni, fatti rispettare anche con congegni più positivi»[43].

Dalla restaurazione della metafisica e del realismo della conoscenza, dipende anche la restaurazione della morale naturale, la quale ci aiuta ad essere veramente uomini, intelligenti e liberi e ci impedisce di farci travolgere dalla marea montante della sovversione nichilistica animalesca, la quale rende l’uomo simile al bruto, schiavo e determinato dai suoi istinti più bassi. La frase succitata di Gilson (in “Se Dio non esiste tutto è permesso, ne “Il nostro tempo”, 24 novembre 1960) è più attuale che mai e mi permetto di ripeterla a mo’ di chiusa: «Se Dio non esiste, tutto è permesso. Nulla è più proibito, non c’è più limite, non c’è nulla che non si possa tentare, che non si debba tentare perché se tutto ciò che è stato vero un tempo lo è stato partendo dall’ipotesi che Dio esisteva, ora che Dio non esiste, nulla di ciò che era vero allora è adesso vero, nulla di ciò che era bene è bene; dobbiamo ricreare tutto. Ma, prima di ricreare, bisogna cominciare col distruggere […], il migliore augurio che si possa fare all’uomo moderno è di rientrare nell’ordine naturale, che è quello della creazione divina». Speriamo e sforziamoci di iniziare a risalire la china per poter esclamare col Poeta, che si era smarrito in “una selva selvaggia, aspra e forte”, “e quinci uscimmo a riveder le stelle”.



[1] S. Th. I-II, q. 90, a. 4.

[2] S. Th., I-II, q. 91, a. 2.

[3] In III Sent., d. 5, q. 1, a. 2; In IV Sent., d. 26, q. 1, a. 1; S. Th., I, q. 29, a. 1, ad 2.

[4] In III Sent., d. 22, q. 3, a. 2, sol. 1.

[5] In II Sent., d. 38, q. 1, a. 3, sol. 1.

[6] Saggio teoretico di diritto naturale, Roma, Civiltà Cattolica Editrice, 1949, 8a ed., vol. I, c. I, n. 7p. 15.

[7] Pio XII, Sintesi di verità e di morale, 30 settembre 1954, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, Città del Vaticano, LEV, vol. XVI, p. 177. Cfr. anche S. Th., I-II, qq. 91-95.

[8] R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD, 1999, pp. 64-65.

[9] S. Th., I-II, q. 94, a. 2.

[10] S. Th., I-II, q. 91, a. 2 «Tra tutti gli enti, l’uomo è soggetto alla divina Provvidenza in maniera più eccellente, poiché colla sua ragione e libertà ne partecipa  maggiormente degli altri, provvedendo a se stesso e agli altri».

[11] S. Th., I-II, q. 91, a. 2.

[12] Contra Faustum, XXII, c. 27.

[13] S. Th., I-II, q. 91, a. 1.

[14] S. Th., I-II, q. 93, a. 1.

[15] S. Th., II-II, q. 106, a. 1.

[16] S. Th., II-II, q. 8, a. 3, ad 3.

[17] S. Th., I-II, q. 92, a. 2.

[18] S. Th., I-II, q. 93, a. 6; I- II, q. 91, a. 1, ad 2; C. Gent., Lib. III, cap. 73.

[19] S. Th., I-II, q. 26, a. 1.

[20] S. Th., I-II, q. 91, a. 2: «Lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et quid malum, quod pertinet ad naturalem legem, nihil aliud sit, quam impressio luminis divini in nobis».

[21] S. Th., I-II, q. 91, a. 2.

[22] Cfr. C. Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Brescia, Morcelliana, 1967; M. Cordovani, Cattolicismo e idealismo, Milano, Vita e Pensiero, 1928.

[23] Lo stesso vale per il cosiddetto “giusnaturalismo” ateo di Grozio e Pufendorf, il quale non è altro che naturalismo giuridico, cfr. Dario Composta, L’ateismo nella filosofia del diritto, in “Salesianum”, XXXVI, 1964, I; A Di Monda, La legge nuova della libertà secondo S. Tommaso d’Aquino, Napoli, 1954.

[24] Se Dio non esiste, tutto è permesso, in “Il nostro tempo”, 24 novembre 1960.

[25] Onde usare delle facoltà riproduttive, frustrando la generazione è un disordine contro natura e non qualcosa che diabolicamente ci è presentato dalla psicanalisi come “naturale”. L’Angelico spiega nella Summa contra Gentes che il seme umano è ordinato e finalizzato naturalmente alla procreazione, onde usarlo diversamente è contro natura.

[26] S. Th., I-II, q. 94, a. 2; C. Gent., Lib. III, c. 88; In IV Sent., dist. 15, q. 3, a. 1, sol. 5, ad 2.

[27] S. Th., I-II, q. 91, a. 4, ad 1.

[28] Per esempio, oggi, dato il lavaggio del cervello fatto dalla psicanalisi di massa a tutti sin dalla più tenera età, il degrado del sacerdozio e della scuola, che ha dimenticato, ut in pluribus l’educazione della retta ragione e la predicazione del Decalogo, la diffusione della telematica anche presso i giovanissimi, la moralità e colpevolezza di molti atti è oggettivamente attenuata.

[29] S. Th., I-II, q. 94, a. 5.

[30] De Malo, q. 2, a. 4, ad 13; In IV Sent., dist. 33, q. 1, a. 1, ad 1.

[31] S. Th., I-II, q. 94, a. 4.

[32] S. Th., I-II, q. 100, a. 11.

[33] S. Th., I-II, q. 95, a. 2.

[34] Cfr. G. Graneris, Contributi tomistici alla filosofia del diritto, Torino, 1949.

[35] R. Pizzorni, op. cit., p. 255; cfr. anche F. Olgiati, Il concetto di giuridicità in S. Tommaso d’Aquino, Milano, 1955, 4a ed.

[36] S. Th., I-II, q. 95, a. 2.

[37] Corso di filosofia. Etica, Roma, Paoline, 1960, vol. VII, p. 70.

[38] H. Rommen, L’eterno ritorno del diritto naturale, Roma, Studium, 1963.

[39] S. Th., I-II, q. 95, a. 1; cfr. Anche S. Cotta, Il concetto di legge nella Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, Torino, 1955.

[40] S. Th., I-II, q. 91, a. 4; C. Gent., Lib., III, cap. 113.

[41] S. Th., I-II, q. 96, a. 4; cfr. anche F. D’Agostino, Filosofia del diritto, Torino, 1993; D. Composta, Filosofia del diritto, Roma, Urbaniana, 1991; Id., Teologia del diritto naturale, Brescia, 1972; R. Pizzorni, Il diritto naturale dalle origini a S. Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD, 2000; Id., La filosofia del diritto secondo S. Tommaso d’Aquino, Bologna, ESD, 2003; M. Liberatore, Istituzioni di etica e diritto naturale, Prato, Giachetti, 3a ed., 1884; V. Cathrein, Filosofia morale, 2 voll., Firenze, 1913; G. Abbà, Lex et virtus, Roma, 1983; G. Del Vecchio, La giustizia, Roma, 1959, 6a ed.; Id., Lezioni di filosofia del diritto, 12a ed., Milano, 1963; S. Vanni-Rovighi, La legge naturale nella filosofia contemporanea, in aa. vv, La legge naturale, Bologna, 1970.

[42] R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo, cit., p. 6.

[43] Ibidem, p. 14.

 
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