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La nuova messa è il Concilio vissuto
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Introduzione

Il problema della Nuova Messa o rivoluzione liturgica di Paolo VI può essere studiato alla luce della “guerra occulta” – che ha portato la sovversione all’interno dell’ambiente ecclesiale – operata dalle due forze principali della rivoluzione: il Giudaismo talmudico e la Massoneria, che - tramite la sovversione della liturgia - hanno introdotto la scompiglio all’interno dell’ambiente ecclesiale.

Il fatto più grave è che la rivoluzione con il Modernismo sia penetrata all’interno della Chiesa, ne abbia scalato il vertice e ne abbia sovvertito il dogma, la morale e la liturgia. La rivoluzione liturgica, che ha portato alla promulgazione della Nuova Messa di Paolo VI (3 aprile 1969), è stata prefabbricata e preordinata con lungimiranza e precisione proprio come tutte le rivoluzioni politiche, filosofiche, economiche, sociali e belliche.

Il Modernismo si era infiltrato nelle viscere della Chiesa già nei primi anni del Novecento, ma con il Concilio Vaticano II è arrivato a impadronirsi della sua élite per arrivare con la Nuova Messa alla sovversione praticata e fatta praticare ai preti e ai fedeli, che non avrebbero capito e subìto tutta l’enorme portata dottrinalmente sovversiva dei sedici Decreti del Concilio Vaticano II, se questi fossero restati a livello di speculazione teologica e non fossero stati calati nella pratica liturgica.

Non si può capire come si sia arrivati alla Nuova Messa di Paolo VI (‘69) se non si parte dalla Costituzione sulla Sacra Liturgia (‘63).

La Costituzione “Sacrosanctum Concilium” su “La Sacra Liturgia” (4 dicembre 1963)

Nell’articolo n. 50 della Costituzione conciliare sulla Liturgia Sacrosanctum Concilium si parlava già di “revisione del rito della Messa”. Tuttavia, la riforma (o stravolgimento) della Liturgia del 1969 non fu espressa chiaramente nella Costituzione conciliare del 1963, ma solo accennata en passant e quasi di nascosto per non suscitare eccessive reazioni sin dall’inizio.

Il Concilio è riuscito a far penetrare il Modernismo nel cuore dell’ambiente ecclesiale, tramite il trabocchetto di presentare la nuova dottrina come un “aggiornamento”, ma in piena conformità, continuità e compatibilità con la Tradizione della Chiesa e non in rottura con essa; il vecchio trucco dell’«ermeneutica della continuità e non della rottura», iniziato già con Roncalli e continuato sino a Ratzinger, che ne ha fatto il suo “cavallo di battaglia”.

La maggioranza dei Vescovi era, all’inizio del Concilio, di tendenza tradizionalista, ma la minoranza renana, agguerrita e sostenuta da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI, riuscì a cambiar le carte in tavola e a far buttare al macero i documenti della Commissione ante-preparatoria (1960/62), guidata dal cardinale Alfredo Ottaviani, per sostituire a essi dei documenti inficiati di Modernismo, anche se in maniera molto ambigua e nascosta.

I teologi renani solo dopo avrebbero tirato le conclusioni (apertamente moderniste) delle premesse, inizialmente solo moderatamente modernizzanti, contenute nei Decreti conciliari.

La cosiddetta “ermeneutica della continuità”, «tanto vantata e asserita ma mai provata» (com’era solito dire monsignor Brunero Gherardini) da Benedetto XVI, è servita sin dal 1962 a far ingoiare alla maggior parte dell’Episcopato ancora tradizionalmente cattolico le ambiguità e le novità non apertamente ereticali, ma che avrebbero funto da apripista alle eresie materiali che sono proferite apertamente da papa Francesco.

Fu così anche per la Costituzione sulla Liturgia, che avrebbe partorito, sei anni dopo, un rito della Messa, promulgato da Paolo VI, di sapore apertamente calvinista.

Da una parte la Costituzione del 1963 ribadiva i princìpi cattolici, però, sùbito dopo, introducendo un “tuttavia” o un “ma”, li vanificava, li annacquava e li disarmava, rendendo possibile l’errore più esplicito, che all’inizio avrebbe suscitato disappunto e reazione.

Le caratteristiche della “Nuova Liturgia”, al pari della “Nuova Teologia”, sono antropocentriche e immanentistiche. Infatti, la Liturgia romana di Tradizione apostolica - codificata restaurata e resa obbligatoria nella Chiesa universale da san Pio V, dopo la barbarie liturgica del Luteranesimo - era innanzitutto un culto reso a Dio, solo poi e conseguentemente aveva un carattere pedagogico; ossia, cercava d’insegnare ai fedeli a mettere in pratica e a vivere lo spirito e la dottrina dell’adorazione dovuta dalla creatura al Creatore.

Con la Nuova Messa (figlia della Costituzione Sacrosanctum Concilium), invece, i rapporti sono rovesciati: l’uomo e l’antropocentrismo diventano «l’asso piglia tutto» (come diceva padre Cornelio Fabro). La pastorale, la pedagogia, l’omiletica e l’insegnamento diventano più importanti del culto, dell’adorazione dovuta a Dio; insomma non si crede più che “il Verbo s’è fatto carne”, ma che il “verbo s’è fatto carta …”.

Inoltre, la Nuova Messa è in evoluzione perpetua, avendo scardinato la perpetuità propria del rito romano di Tradizione apostolica e avendo calato in pratica “l’evoluzione costante ed eterogenea del Dogma”, condannata da san Pio X più volte. Perciò, non dobbiamo meravigliarci delle messe sul materassino al mare, esse sono la conclusione logica dello spirito della Nuova Messa.

Infine, la Nuova Messa è sovversiva, democratica ed “egualitaria”, livellando il Sacerdozio ministeriale con il laicato.

Il Novus Ordo Missae (liturgico), d’ora innanzi “NOM”, fa un tutt’uno con il “Nuovo Ordine Mondiale” (temporale), poiché gli ha spalancato le porte (come fecero i Troiani al cavallo d’Ulisse), in quanto il Novus Ordo Missae è la preparazione teologico/liturgica[1] del “NOM temporale” di Klaus Schwab o, se vogliamo, il “Precursore profetico” del “falso Messia militante”, che poi è l’Anticristo.

Il carattere antropocentrico del NOM è assolutamente innegabile, basta assistere alla celebrazione di una Messa riformata e non può sfuggire alla costatazione di qualsiasi uomo (“sensu constat” direbbero Aristotele e san Tommaso), fornito di retta ragione, l’imposizione della mensa posta a mo’ di tavolo davanti ai fedeli che guardano in faccia il celebrante o presidente dell’assemblea, ossia il culto dell’uomo, che rimpiazza il culto di Dio; ora come dicevano gli scolastici “contra factum, non valet argumenum”; ossia, contro il fatto costatato ed evidente non c’è teoria, ermeneutica, spiegazione che tenga; non si può parlare di “continuità” là ove la “rottura” (anche dei timpani e non solo …) è costantemente sotto gli occhi del povero spettatore.

Con la Messa di Tradizione apostolica, fedeli e celebrante erano rivolti ad Dominum, per offrire a Dio il Sacrificio del Suo Figlio Unigenito morto cruentemente sul Golgota, ma rinnovato in modo incruento sull’altare. Ora, invece con il NOM, celebrante e fedeli, sono comodamente assisi uno davanti all’altro, con una mensa tra di loro, per commemorare l’Ultima Cena di Gesù.

È innegabile che con la Nuova Messa, l’uomo abbia preso il posto di Dio. È un fatto e “contro il fatto a nulla vale l’argomento” o la ripetizione ossessionante (senza uno straccio di prova) dell’ermeneutica della continuità (non della rottura) tra un rito e l’altro. Il cardinale Alfonso Stickler, uno dei massimi storici del Diritto canonico del secondo Novecento, scrisse: «Aspettiamo ancora una risposta e una confutazione del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” e della “Lettera d’accompagnamento” di esso presentata dai cardinali Ottaviani e Bacci a Paolo VI» … ancora l’aspettiamo.

La tattica vincente della rivoluzione modernista non è la rottura aperta e chiara, ma quella nascosta e dissimulata sotto apparenza dell’«ermeneutica della continuità», vero cavallo di Troia per entrare nella Città di Dio ed è per questo, che Benedetto XVI è molto più pericoloso di Francesco.

Infatti, la tattica di Ratzinger è molto più insidiosa di quella di Bergoglio; proprio come, una serpe nascosta tra l’erba (“latet in herba anguis”) è molto più pericolosa di una vipera sdraiata al sole nel bel mezzo di una strada, la quale morde solo chi vuole essere morso avvicinandosi a essa, pur avendola scorta.

È per questo motivo che i tradizionalisti inizialmente non hanno reagito fortemente alla Costituzione su “La Sacra Liturgia” del 1963. Invece l’hanno poi fatto nel 1969 nei confronti del NOM, che aveva gettato la maschera della continuità per mostrare, anzi gridare col microfono e le chitarre, quella della rottura con il Rito di Tradizione apostolica (e con i timpani dei fedeli).

Perciò, si può rispondere agli obiettanti sulla “ermeneutica della continuità”: «Se anche noi tacessimo, lo griderebbero le pietre» delle cattedrali, i microfoni, i timpani degli spettatori, dacché il NOM è uno show di sapore vagamente religioso più che un Sacrificio sacrale.

Pian piano, con la promulgazione del NOM, iniziò una reazione esplicita e ben strutturata agli errori dei testi del Vaticano II, giustificandola sulla distinzione tra insegnamento dogmatico infallibilmente assistito, che definisce e obbliga a credere, e insegnamento puramente pastorale, che non definendo e non obbligando,    non è infallibile[2].

Essi citavano specialmente Paolo VI, che il 12 gennaio 1966, aveva dichiarato: «Dato il suo carattere pastorale, il Concilio ha evitato di pronunciare in modo straordinario dei dogmi dotati della nota d’infallibilità».

Perciò, se davanti alle novità (ben camuffate) della Costituzione Sacrosanctum Concilium, la reazione non fu immediata e chiara; invece, davanti alla Nuova Messa del 1969, la risposta fu di confutazione, immediatamente chiara e motivata teologicamente, il rifiuto fu netto e formale.

Inizialmente alcuni tradizionalisti (non tutti) cercarono di salvare la Costituzione conciliare, asserendo che la rivoluzione liturgica non era frutto della Costituzione del 1963 (“la lettera del Concilio”), ma della cattiva lettura o interpretazione (“lo spirito del Concilio”).

In parte avevano ragione, perché l’errore esplicito era ancora molto bene dissimulato, ma in parte avevano torto perché esso era contenuto potenzialmente nella Costituzione conciliare. Ora la potenza è una tendenza all’atto …

La “Nuova Messa” del 3 aprile 1969

Difronte all’evidenza che la “Nuova Messa Montiniana” esalta l’uomo e diminuisce Dio, la reazione fu radicale, chiara e forte.

Basti pensare alla lettera di accompagnamento del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae”, redatta dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci; all’ottimo testo del “Breve Esame Critico” il 5 giugno del 1969 redatto da una squadra di teologi sotto la direzione del padre domenicano Michel Louis Guérard des Lauriers e di monsignor Ugo Maria Lattanzi; e infine al libro di Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, La Nuova Messa di Paolo VI, cosa pensarne?, apparso in portoghese, poi in francese e anche in italiano.

La Nuova Messa ha, oggettivamente, una caratteristica anticristica, poiché essa ha ribaltato i rapporti che la vera religione ha stabilito tra l’uomo e Dio. Infatti, religione viene dal verbo latino “religare”, ossia unire due elementi: l’uomo a Dio. Ora, con la Nuova Messa non c’è più un soggetto finito e creato (l’uomo) che adora ed un Soggetto infinito e increato (Dio) che viene adorato. La religione unisce e collega la terra a Cielo, stabilendo tra di loro un commercio: il Verbo che s’abbassa e s’incarna e l’uomo che è redento, venendo innalzato per dono gratuito di Dio. Tuttavia, se il soggetto e l’oggetto (l’uomo e Dio) sono confusi a tutto discapito di Dio non sussiste più una vera religione che riunisce l’immanente al trascendente. Insomma, la Nuova Messa è il trionfo dell’immanentismo, del panteismo e la negazione della trascendenza di Dio e della religione cristiana.

Quest’antropocentrismo era già stato teorizzato da Nietzsche, con la dottrina del Superuomo; oggi con Noah Harari si chiama “Trans/umanesimo”. Ora, il superuomo è l’Anticristo. Perciò, il NOM ha portato la Cristianità a disarmarsi davanti all’avanzata dell’Anticristo e oggi rende l’umanità, sotto il dominio del “Nuovo Ordine Mondiale temporale”, prona e pronta ad accettare il Trans/umanesimo. Ancora una volta non si può non vedere il nesso intimo che lega la Nuova Messa al Nuovo Ordine Mondiale anticristico.

Ora, con la “Nuova Messa Montiniana” si costata che le forze occulte e specialmente i servizi segreti (soprattutto statunitensi) hanno operato alacremente per rivoluzionare il rito di Tradizione apostolica e cambiare così la mentalità dei Cattolici romani, rendendoli aperti al Liberalismo americanista.

Per ottenere questo cedimento arrendevole dei Cattolici alla Modernità idealistico/illuminista, le forze occulte che manovrano il mondo, si sono servite dell’aggiornamento dogmatico conciliare.

Questo, però, non avrebbe prodotto un radicale cambiamento di mentalità e di costumi, se non fosse stato calato in pratica con una riforma liturgica, che è il dogma pregato.

È stata questa a far praticare e vivere lo spirito dei Decreti conciliari, che altrimenti sarebbero restati appannaggio di una piccola élite d’intellettualoidi. Invece, con la Messa beat prima (1965/66) e la Messa Montiniana poi (1969) la rivoluzione dogmatica è penetrata anche nelle menti e nei cuori dei semplici fedeli Cattolici, i quali sono stati indotti a vivere lo “spirito” e la “lettera” del Concilio. Insomma, la Nuova Messa è il Concilio vissuto e praticato da tutti.

d. Curzio Nitoglia



[1] La Liturgia è “la Fede pregata”, secondo l’adagio: “Lex orandi, lex credendi”; insomma, si prega come si crede; perciò, se io prego in maniera equivocamente luterana, significa che la mia “fede” è equivoca e filo/luterana.

[2] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.

 

 

 
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