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Contrordine scienziati
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Si sciolgono i ghiacciai alpini, si liquefa la calotta polare, si restringe la Groenlandia: è il riscaldamento globale, naturalmente.
Ma c’è una ragguardevole eccezione.
La calotta di ghiacci dell’Antartide, al contrario, diventa ogni giorno più spessa.
Da 11 anni non fa che crescere (1).
L’attenzione dei climatologi è puntata sul titanico ghiacciaio antartico occidentale, un blocco spesso tre chilometri e vasto quanto l’Australia.
Lì, dal 1992, nevica con estrema e insolita frequenza.
Tanto che le nevicate aggiungono ogni anno al ghiacciaio 45 miliardi di tonnellate d’acqua, rendendo ogni anno più spesso il ghiacciaio di 1,8 centimetri l’anno.
Fatto notevole, l’acqua che s’immobilizza sotto forma di ghiaccio in questa parte del mondo è praticamente uguale a quella che viene immessa negli oceani dai ghiacciaia della Groenlandia in via di scioglimento accelerato.
In qualche modo, il primo fenomeno compensa il secondo.

Ma attenzione, avvertono il global-warmer, che hanno terrorizzato il mondo con le loro previsioni di innalzamento degli oceani per metri, con relativo affogamento di New York e di altre metropoli costiere (già mostrato come avvenuto da Hollywood): la compensazione è solo parziale e non sufficiente a scongiurare la catastrofe.
Il mare continua ad alzarsi inesorabile di 1,8 millimetri l’anno; il congelamento aggiuntivo in corso nell’Antartide orientale rallenta l’innalzamento di soli 0,12 millimetri l’anno.
L’Antartide «è il solo corpo ghiacciato che non contribuisce all’innalzamento dei mari, ma lo assorbe», avverte Curt H. Davis, analista alla University of Missouri-Colombia delle mappe radar mandate dai satelliti ERS-1 e ERS-2  dell’ESA, l’Ente Spaziale Europeo, da cui proviene la scoperta contro-ciclica.
Tutti gli altri corpi ghiacciati si sciolgono.

L’effetto antartico, coi suoi 45 miliardi di tonnellate d’acqua che ghiaccia ogni anno, impallidiscono di fronte all’enormità dello scioglimento: ogni millimetro di innalzamento degli oceani corrisponde a 350 miliardi di tonnellate.
Gli esperti pagati dall’Intergovernmental Penel on Climate Change delle Nazioni unite possono tirare un sospiro di sollievo: la grande inondazione è solo rallentata, ma avverrà.
E lanciano un altro allarme: se si sciogliesse l’Antartide, il mare si alzerebbe di 196 piedi, insomma di una sessantina di metri.
Rabbrividite, genovesi e napoletani e anconetani.
Il fatto è che l’Antartide, almeno ad oriente, non mostra alcuna inclinazione allo scioglimento.

Ma naturalmente è pronta la teoria esplicatrice, che non contraddice quella del global warming: «E’ un effetto prevedibile del riscaldamento globale», dichiara David Vaughan, del British Atlantic Survey di Cambridge in Inghilterra.
Quell’area del mondo è afflitta dalle più basse temperature del pianeta, ciò che la rende - o rendeva – «più arida del Sahara»: su quei tre milioni di miglia quadrate il gelo impediva le nevicate. Adesso, «siccome l’atmosfera si riscalda, c’è più umidità nell’aria», spiega il climatologo Joseph McConnell del Desert Research Institute di Reno.
Anche nel Sahara l’umidità manca.
Chissà, un giorno anche lì potrebbe cominciare a piovere a dirotto come effetto del global warming, trasformando i Sahel nel lussureggiante giardino che era 15 mila anni fa.
Se non accadrà, non mancherà la teoria esplicativa.
La scienza  avanza di giorno in giorno, da certezza a certezza.
Nulla ormai è ignoto della natura profonda del vecchissimo pianeta Terra e delle cause dei suoi cambiamenti climatici avvenuti quando l’uomo non c’era ancora, dunque non poteva esserne il colpevole.

Eccone un altro esempio: quante volte ci è stato raccomandato di evitare l’esposizione al sole? Quante ci hanno spiegato che ostinarsi a prendere la tintarella portava inesorabilmente al cancro, al letale  melanoma?
La teoria è ancora validissima: il melanoma (presumibilmente) da tintarella uccide in Gran Bretagna 1.800 persone l’anno.
Solo che adesso altri scienziati britannici hanno appurato che la cura del sole sulla  spiaggia è molto utile ad allontanare alcuni effetti gravi dell’invecchiamento, e specificamente danni genetici provocati dalla carenza di vitamina D in tarda età.
La vitamina D, che viene formata nell’organismo in modo naturale dall’esposizione al sole, non è - come si è creduto - utile solo nell’età infantile, perché favorisce la crescita ossea come fissatrice del calcio, e dunque l’accrescimento dello scheletro (la sua mancanza produce rachitismo); è essenziale nella terza età, perché la vitamina è anche riparatrice delle degenerazioni genetiche della vecchiaia, fra cui le malattie cardiache, prima causa di morte negli anziani (2).
Sì, il melanoma ammazza 2 mila persone l’anno in Inghilterra, ammette il professor Tim Spector del King’s College, coautore della ricerca ultimissima, «ma la carenza di vitamina D colpisce centinaia di migliaia di persone con affezioni potenzialmente letali».
Esporsi al sole e mangiare pesce grasso o l’olio di fegato di merluzzo può ritardare l’invecchiamento patologico anche di cinque anni, forse più.
La scienza avanza e ci lascia due scelte terroristiche: tra il melanoma e l’infarto o l’Alzheimer.
I fan del terrorismo al melanoma, messi alle strette, ritorcono: d’accordo, ma basta poco sole per formare la vitamina D: molto meno di quel che serve per diventare abbronzatissimi.
Non sia mai che vi passi lo spavento.

Ma non è sempre così, siamo giusti.
Certe volte, la scienza riesce a tranquillizzarrci, come fa il professor Veronesi  annunciando ogni minuto che ormai il cancro è sconfitto, che a forza di radiazioni e tossici chemio  la sopravvivenza è aumentata tanto, che un canceroso può vivere felice quattro-cinque anni in più dopo le operazioni mutilanti che lo hanno guarito, distrutto fisicamente e costretto a defecare in un sacchetto applicato ad una ferita aperta sulla pancia.
Per esempio, è assolutamente tranquillizzante il fatto che l’immensa caldera di Yellowstone, la più estesa zona vulcanica del pianeta, 300 miglia quadrate il cui magma, salendo da 643 chilometri sottoterra arriva a 48 chilometri sotto i nostri piedi, si è alzata di 18 centimetri in soli tre anni.
Non c’è alcun rischio di eruzione, dicono gli scienziati.
E’ tutta colpa di un «blob» di lava liquida e rovente - grande come Los Angeles - che è riuscito ad arrivare a soli 10 chilometri dalla superficie, sollevando il terreno di 7 centimetri l’anno.

E’ normale, spiega la Scienza: si formano queste bolle che poi si afflosciano come nella polenta bollente, succede così anche nei Campi Flegrei.
Yellowstone è un pochino più titanico dei Campi Flegrei.
E’ un «supervulcano», una di quelle zone del mondo dove sono avvenute eruzioni non a cono, ma a crepa: immense aperture lunghe decine di chilometri che eruttano miliardi di tonnellate di magma.
In tali eruzioni Yellowstone s’è prodotto alcune volte, 2 milioni, 1,3 milioni, e ancora 642 mila
anni fa.
In tutti quei casi le eruzioni sono state rispettivamente 2.500 volte, 280 volte e mille volte più distruttive dell'eruzione devastante del Mount Saint Helen nel 1980, che dopotutto fece solo 57 morti.
Ma la Scienza ci tranquillizza.
Non vuole che ci distraiamo dal terrore politicamente corretto: il global warming causato dalle ciminiere e dalle industrie umane.

I vulcani e gli enigmatici sommovimenti che avvengono 650 chilometri sotto i nostri piedi, con bolle grandi come Los Angeles, non hanno alcuna responsabilità nel riscaldamento globale.
E’ sicuro.
Preoccupatevi piuttosto delle ciminiere cinesi, delle auto, dei termosifoni (3).


1) Robert L. Hotz, «As Climate Shifts, Antarctic Ice Sheet Is Growing», Los Angeles Times, 20 maggio 2007.
2) Nick Fleming, «The Sunbathing ‘slows ageing process’ », 8 novembre 2007.
3) Christiane Galus, «Le surface du super-volcan Yellowstone s’est soulévée de 18 centimètres depuis 2004», Le Monde, 9 novembre 2007.

 
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