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Napoli, estado de Chihuaha
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Di nuovo spazzatura, e una popolazione brutale che vi impazza sopra. Dalle agenzie:

«La miccia che ha scatenato lemergenza rifiuti a Napoli è stata accesa dai dipendenti di una cooperativa sociale, la Davideco, 400 assunti. Tre giorni fa 68 autisti di questa coop si sono dati malati. Poche ore dopo un raid in un deposito ha messo fuori uso una cinquantina di camion. Risultato: compattatori fermi nei depositi e immondizia nelle strade. Ma, sulla Davideco cè una indagine aperta da tempo dalla Digos: questa coop avrebbe ottenuto una convenzione dalla Enerambiente, a sua volta ditta subappaltatrice dellAsia, lazienda incaricata della raccolta dei rifiuti a Napoli. La convenzione concessa alla Davideco dalla Enerambiente sarebbe illegale e la Procura vuole vederci chiaro. Cè il sospetto che Enerambiente abbia fatto lavorare la coop dietro pressioni politiche e che le 400 assunzioni siano servite solo per soddisfare gli appetiti clientelari di qualcuno. I problemi sono nati quando Enerambiente ha risolto con due mesi di anticipo il contratto con Davideco. Da qui la protesta selvaggia, lepidemia di malattie più o meno sospette e lassalto ai camion su cui sta indagando la Digos».

L’80% del personale in qualche modo addetto alla nettezza urbana fra ditte appaltatrici e subappaltatrici è pregiudicato. Piacerebbe sapere di più sulle fedine penali della popolazione civica che s’è opposta ai rimedi d’emergenza, nel modo seguente:

Dalle agenzie: «Un vicequestore ferito, Sergio Di Mauro, colpito da un sanpietrino in pieno volto mentre stava mediando con i rappresentanti dei circa duemila manifestanti scesi in strada per bloccare una colonna di camion in procinto di sversare alcune tonnellate di rifiuti nella discarica. Obiettivo della protesta: lapertura di un nuovo sito, contro la quale si sono mobilitati i comitati antidiscarica di Terzigno e di altri comuni della cinta».

I giornali titolano, con evidente piacere: «Folle notte a Terzigno». E, notizia-bomba: «Si sospetta la mano della camorra». Tra i latitanti, vanno segnalati il sindaco - la Jervolino - e il governo regionale al completo. E’ colpa di Berlusconi se è tornata «lemergenza rifiuti», è colpa di Bertolaso.

E pensare che la soluzione all’annoso problema c’è, ed è sotto gli occhi di tutti. Essa ci viene daCiudad Juarez, Stato di Chihuahua (perchè in Messico esiste il federalismo) la città di frontiera con gli USA – al di là c’è la texana El Paso – dove notoriamente le bande di narcos si scontrano fra loro, sempre più spesso, anche con mitragliatrici, e con la Polizia che è la parte perdente. Il crimine terrorizza la popolazione, una delle sue specialià è la gestione di discariche abusive di cadaveri di donne, e vanta un’alta produttività: almeno 2.600 morti ammazzati l’anno, e il trend è in crescita da anni.

E’ accaduto che il direttore del noto giornale locale El Diario, dopo che gli hanno ammazzato due giornalisti in due settimane, ha scritto un articolo di fondo rivolgendosi direttamente ai criminali. Chiamandoli senores, il direttore domanda rispettosamente ai delinquenti: spiegateci voi, prego, che cosa possiamo e non possiamo pubblicare.

«Diteci che cosa vi aspettate da noi. Siamo giornalisti, non leggiamo nelle menti». (Mexican newspaper asks drug cartels how to prevent its staff being murdered)

Consolante sincerità, che spietatamente liquida la falsa ideologia secondo cui la libera stampa serve a controllare il potere, come elemento ausiliario del pluralismo politico. Al contrario, la stampa «libera» sta sempre col più forte, coi poteri forti, e – dalle nostre parti – nemmeno con la scusante morale del pericolo per la propria vita.

Si vorrebbe vedere una volta, su Repubblica, 24Ore, Il Corriere, un articolo di fondo così coraggioso ed esplicito rivolto alle note lobby, ai banchieri, alle burocrazie transnazionali, al Mossad, alla Casa Bianca: « Diteci, signori, quel chevolete da noi». Lo fanno senza dirlo.

Ma il direttore di El Diario non si ferma qui. Aggiunge, rivolto ai signori criminali:

«Voi siete, allo stato attuale, le autorità di fatto in questa città, dato che le autorità legali non sono capaci di far nulla per prevenire che tanti nostri colleghi cadano». Anche in guerra, dice il direttore del Diario, esistono regole a protezione dei giornalisti: diteci quali sono le vostre regole, ed obbediremo.

Ecco una presa d’atto politicamente lucida e coraggiosa, che rivela u na capacità di ripensare la politica da zero, quale da noi tristemente, comicamente manca. Al suo livello elementare, riconosce senza infingimenti il direttore di El Diario, il potere è il monopolio della violenza; e a Ciudad Juarez, il monopolio della violenza l’avete voi. Dunque, «assumetevi qualche responsabilità»; affermate pienamente il vostro dominio pubblico e civico. Dettateci delle norme, secondo le vostre concezioni della legalità, in modo che noi cittadini indifesi sappiamo almeno quali confini non dobbiamo superare, per salvarci la vita. Poichè nessuna società può sopravvivere senza un quadro giuridico, siano i criminali a darcelo.

Ebbene; nello Stato di Chihuahua federalista, sta nascendo una concezione della politica che può andare a pennello per Napoli e risolvere le sue emergenze. Si smetta di fingere che a Napoli c’è la democrazia, o lo Stato di diritto, e se ne tragga la conseguenza logica inevitabile: consegnare il potere alla Camorra. Almeno sarà chiaro che l’emergenza spazzatura non è la Jervolino, e men che meno Berlusconi, che la sanno risolvere; può risolverla solo la Camorra, che la gestisce per suo vantaggio, e che già comanda.

Giorni fa, un camorrista ha fatto ammazzare da sicari la madre di una bambina che il pedofilo aveva stuprato, e che lei aveva denunciato: ecco a quali fatali errori porta gli ingenui a credere che, a Napoli, esista qualcosa come la giustizia, il diritto, la magistratura: il pedofilo, condannato, era però agli arresti domiciliari.

Smettiamola con queste illusioni pericolose, e riconosciamo la realtà com’è: la violenza crea legittimità.

D’accordo, è il grado zero e primordiale della politica, quello che magari si riteneva superato dai tempi delle invasioni dei Goti e dei Vandali. Ma che dire, se tanta parte della popolazione partenopea dà manforte ai dipendenti delle cooperative sociali pregiudicati scioperanti e sabotatori di automezzi? Se invece di prendersela con loro, se la prende con un vice-questore e i suoi trenta poliziotti? Vuol dire che la nuova legittimità in stato nascente ha già il favore di una parte notevole della popolazione. Se ne prenda atto.

E’ la modesta proposta che avanziamo, soprattutto, al venerato capo dello Stato, che non a caso si chiama Napolitano.

Anche il Messico, presidente, sta per celebrare il centenario della sua revoluciòn: no, non quella di 200 anni fa in cui il Paese si liberò dal giogo spagnolo, come noi ci liberammo dal giogo austriaco e pontificio, nell’un caso e nell’altro con gli auspici della Massoneria internazionale. No, si sta per celebrare la revoluciòn del 20 novembre 1910, quando il laicissimo progressista Francisco Madero chiamò il popolo a prendere le piazze delle loro città e a strappare il potere al laicissimo conservatore Diaz. Anche oggi, si teme una revoluciòn in Messico, stavolta gestita dai cartelli. (The Next Mexican Revolution)

Ma perchè temere? E’ passato il tempo in cui le rivoluzioni scoppiavano su linee di frattura sociali, di classe o ideologiche, progressisti contro reazionari, lavoratori contro i capitalisti, sfruttati contro sfruttatori – e davano come risultato governi politici dei vincitori. Oggi, il capitalismo terminale ha abolito le classi e sepolto le ideologie; nè ci sono più cittadini, ma consumatori e contribuenti.

E’ inevitabile che le rivoluzioni del futuro avvengano sulle linee del business: consumatori di droga da una parte e fornitori di droga dall’altra, e il gioco non può nemmeno cominciare. L’illegalità non ci dovrebbe preopccupare: tutto ciò che fanno le banche oggi, e Wall Street in particolare, era illegale dieci anni fa, ed è stato legalizzato. Già oggi la cosca o la casta di potere, poi, si dà le leggi che legittimano i saccheggi che compie. Prendiamone atto.

Il non averne preso atto è la vera causa del degrado della politica e della sua corruzione. E anche della sua falsità fondamentale, per cui in Italia la divisione democratica si riduce alla frattura berlusconiani e anti-berlusconiani.

Siamo al punto che il popolo delle sinistre, per liberarsi dal vecchio arrapato col pelo sullo stomaco, di cui non si stanca di esibire le illegalità, difende Gianfranco Fini, e trova perfettamente legale (o fatti suoi) il fatto che si sia appropriato di un bene immobile non suo e, con giri strani in paradisi fiscali che un presidente delle istituzioni non dovrebbe nemmeno conoscere, l’abbia dato a un familiare della sua convivente.

Per difendere Fini nella sua malversazione, si organizzano talk show, si mobilitano giornali. Al popolo di quella parte, sembra meno grave quel che ha fatto Fini in Tulliani che quel che hanno fatto Verdini, Scaiola, Cosentino. Invece, sono fatti di gravità eguale. E come Scajola e Cosentino hanno dovuto dimettersi dalle cariche, così anche Fini dovrebbe dimettersi, perchè colto in flagrante malversazione aggravata da posizione di succubo di velina famiglia.

Ciò indica che la popolazione tutta ha perso ogni senso del diritto e del giusto (se poi l’ha mai avuto) ed è disposta a scegliere non fra due programmi – Fini non ne ha che uno solo, difendere la sua greppia e la sua impunità privata – ma fra due illegalità. Siamo diventati il regno dell’Italo Bocchino, e – lo assicuro – non ci riferiamo (solo) al politico di questo nome, e nemmeno ad alcune delle nostre più notevoli ministre e bocchinare pubbliche.

Se questo è vero, quel che avviene in Messico, nello Stato federale di Chihuahua, non è una regressione, ma un evento d’avanguardia.

Il direttore del locale giornale si chiama Rocio Gallegos: tenete a mente questo nome, sarà ricordato come il massimo teorico politico del futuro, il Carl Schmitt dell’epoca post-criminale.

Adottare la sua soluzione farebbe di colpo di Napoli non già la città arretrata e la piaga nazionale, bensì il laboratorio politico d’avanguardia; un modello anche per la Lega e i suoi sindaci, che nel Nord esprimono il loro velleitario secessionismo dipingendo le scuole di verde. Che cretini; Napoli, la secessione, l’ha già fatta e compiuta. Appartiene allo Stato libero di Chihuahua, tierra de la revoluciòn postrema.

Affonda nelle sue montagne di sporcizia e soffoca nel fumo dei suoi cassonetti incendiati dai suoi cittadini? Presidente Napolitano, cominciamo a considerare questi eventi come la forma più avanzata di autogoverno del Sud, il trionfo delle autonomie locali. Il suo cuore napolitano si riempirà di orgoglio, e non dovrà più fingere vergogna e sconsolatezza.

Allo straniero che ci deride e ci chiama Repubblica delle Banane, potremo un giorno rispondere: magari. Quella fase, l’abbiamo superata. Ora siamo i Chihuaha d’Europa.



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