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Mosca, protagonista nel «grande gioco»
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Il vistoso arresto (in strada, con riprese video) come spia della Cia di Ryan Christopher Fogle, addetto dell’ambasciata Usa a Mosca, è solo una delle energiche iniziative, politicamente diciamo «assertive», che Vladimir Putin ha preso negli ultimi giorni.

Una flotta russa sarà posizionata in modo permanente nel Mediterraneo: «Cinque o sei navi da guerra con i navigli d’appoggio», ha detto l’ammiraglio Victor Chirkov a Novosti, ma «in base all’obiettivo e complessità delle missioni il numero delle navi potrà essere aumentato». Anche sommergibili nucleari lanciamissili? «Possibile», ha risposto il comandante della Marina, «c’erano (sottomarini) durante l’esistenza della Quinta Squadra, sia nucleari sia diesel». L’accenno alla Quinta Squadra è significativo: era la flotta dispiegata nel Mediterraneo ininterrottamente dal 1967 fino alla dissoluzione dell’impero sovietico, 1992. La nuova forza riprende il posto di quella, ed è un segnale politico di primo piano: come quella, non se ne andrà tanto presto. La forza navale avrà il suo proprio stato maggiore.

Chiaramente, è stato il bombardamento dei caccia israeliani in Siria il 5 maggio ad accelerare questa decisione, già in discussione ad aprile da Mosca: immediatamente dopo l’attacco, la Russia ha fatto sapere di voler consegnare senza indugio batterie di missili S-300 alla Siria. È la ferma, manifesta volontà di stendere l’ombrello protettivo sopra i suoi alleati nel Mediterraneo orientale. Il che non significa solo Assad, ma anche Hezbollah, che sta dando assistenza militare a Damasco. Il vice-ministro degli esteri Mikhail Bogdanov è stato spedito ad incontrare Nasrallah (il capo Hezbollah) a Beirut il 26-28 aprile. E il senso di quest’incontro non è sfuggito al giornalista Jean Aziz, analista principe del quotidiano libanese Al Akhbar:

«La visita del ministro russo nella capitale libanese, dopo esser passato per Teheran e Damasco, significa chiaramente che Russia, Iran, Siria ed Hezbollah si stanno coordinando ed hanno deciso di affrontare tutti gli sviluppi regionali, e delineare le posizioni prese su questi da parte di ciascuno degli elementi di questo nuovo asse...».

Più precisamente, prosegue Aziz citando sue fonti,

«a conoscenza dei risultati della visita di Bogdanov, la conversazione (con Nasrallah, ndr) ha abbordato chiaramente il ruolo della Russia nel proteggere le forze che le sono vicine nella regione, oltre che l’importanza di fare fronte a Washington e riportare l’equilibrio di forze almeno nel suo settore di Medio Oriente. (...) Hanno discusso la prospettiva di imporre la demarcazione di sfere internazionali d’influenza nella regione (...) In modo trasparente hanno fatto emergere gli interessi di Mosca e delle forze locali, sia quelli che divergono che quelli che concordano - sul piano ideologico, economico, geostrategico, e di sicurezza – e il modo di ottenere questi scopi».

Insomma: patti chiari in vista di azioni comuni, come una vera e propria, formale alleanza.

La faccenda dei S-300 a Damasco ha indotto Netanyahu a chiedere d’urgenza un incontro a quattr’occhi con Vladimir Putin, che gli è stato concesso a Sochi. Il giorno prima, DEBKA File (una voce del Mossad) ha scritto: «Le possibilità del primo ministro di scongiurare la vendita sono estremamente piccole», spiegando che Mosca aveva già rigettato le richieste e le implorazioni giunte in questo senso dal nuovo segretario di Stato Kerry, da David Cameron e dal ministro tedesco Guido Westerwelle (la nota lobby aveva mobilitato tutta la servitù): «Respingendo tutti i loro argomenti, Putin ha detto loro che il suo governo adempirà a tutti i suoi impegni presi con Bashar Assad, e difenderà il suo regime. Dopo l’attacco di Israele a Damasco, niente fermerà la consegna degli s-300 (...) Ha aggiunto che Mosca non permetterà mai contro Assad un’altra campagna aerea NATO-Usa come quella che ha rovesciato Gheddafi nel 2011. E che le vendite di armamenti a Siria e Iran non sono che la risposta di Mosca alle grandi forniture di armi che il ministro della Difesa Usa Chuck Hagel ha portato ad Israele e agli alleati dell’America nel Golfo a fine aprile...».

L’urgente richiesta di Netanyahu mostra quanto Israele tema il piazzamento dei missili: gli S-300 limiterebbero duramente la libertà d’azione (oggi totale) dell’aviazione bellica sionista negli sconfinamenti abituali sui cieli siriani e libanesi. John Kerry ha definito i missili «un fattore destabilizzante per la sicurezza di Israele». Da tempo Washington ha premuto, ed è riuscita, ad impedire la consegna. Ma l’attacco israeliano contro Damasco ha rilegittimato Mosca ad adempiere al contratto.

Dai comunicati ufficiali sull’incontro Putin-Bibì, molto lacunosi, sembra che Putin abbia ottenuto da Netanyahu un esplicito impegno a «non fare alcuna mossa per scuotere la situazione in Siria», in cambio di una sospensione (non esplicitamente citata nel comunicato) della consegna dei temuti missili. Una conclusione che alcuni osservatori definiscono «la Canossa di Netanyahu», altri un mezzo cedimento di Putin. Probabilmente, è una mossa della complicata partita di scacchi complessiva che Mosca gioca sullo scacchiere, evitando di farsi trascinare (magari dai piccoli alleati) al confronto militare con un Paese che dispone di 200 testate nucleari. Tanto più che, sul terreno, l’armata regolare siriana – contro tutte le previsioni occidentali – sta vincendo, resta salda e a poco a poco mette con le spalle al muro ribelli e jihadisti stranieri. La popolazione, atterrita dalle atrocità dei «liberatori», sta dalla parte di un’armata che, giorno dopo giorno, diventa l’armata nazionale. (Syria’s protracted conflict shows no sign of abating)

Lo dimostra il fatto che l’Arabia Saudita ha perso molte speranze nei ribelli che paga, ed ha iniziato un cauto riavvicinamento all’Iran, l’odiata potenza sciita, ormai egemone anche nel vicino Iraq: il suo ministro degli esteri ha approfittato della riunione della Organizzazione Conferenza Islamica, tenutasi a Jedda il 13 maggio, ufficialmente per discutere del Mali, a cui era presente il collega iraniano Ali Akbar Salehi (intanto, il ministro degli esteri del Katar era a Teheran...). È facile pensare che tale incontro discreto sia incoraggiato da Mosca.

A darne notizia è ancora DEBKA File, con evidente dispetto per quella chiama l’inazione di Washington.

«I dominatori sauditi sono giunti alla conclusione, che l’Occidente ed Israele sono tardi a riconoscere, che l’alleanza militare Iran-Hezbollah-Siria sta avanzando nel conflitto siriano e accumulando vittorie, sicché è meglio per loro guardare ai loro interessi in Libano, che posano fortemente sul clan sunnita capeggiato da Saad Hariri. Se aspettano fino a quando un vittorioso Hezbollah torna (dalla Siria, ndr) marciando a casa e prende il potere a Beirut, proteggere la componente sunnita in Libano sarà molto più difficile...».

Si aggiunga a tutto ciò la decisione russa di accelerare la consegna degli armamenti... all’Iraq. Già, proprio all’Iraq che le armate Usa hanno «liberato» da Saddam (ossia dai sunniti) e consegnato ad Al Malik sciita, verso cui i russi hanno sbloccato un grosso contratto (4,2 miliardi di dollari, una trentina di elicotteri d’assalto Mi-28, 42 sistemi missilistici terra-aria Pantsir…) pendente fra Mosca e Bagdad dall’ottobre 2012. E c’è il sospetto che il nuovo Irak stia dando appoggio armato al regime siriano, o almeno agevolando il passaggio di specialisti iraniani. (Russia bridges Middle Eastern divides)

Poiché Putin ammette di stare armando l’Iran, e l’Iran ha suoi «specialisti» sul terreno, con Hezbollah, in Siria, si chiarisce che la strategia russa è armare e rafforzare politicamente l’asse sciita Teheran-Bagdad-Damasco, approfittando anche della sempre più esitante, o svogliata, presenza americana a fianco del ferreo alleato.

John Kerry, il nuovo ministro degli esteri, è apparso sùbito inesperto e privo di incisività; ma forse obbedisce agli ordini di Obama, che non ha alcuna voglia di impegnare le sue esauste e iper-estese forze armate anche in Siria.

In un articolo sull’ebraica Bloomberg, un columnist di nome Jeffey Goldberg rimprovera aspramente ad Obama la sua irresolutezza e riluttanza, e anzitutto l’aver «lasciato senza risposta l’entrata degli iraniani nel conflitto siriano». La rabbia dei Goldberg è la miglior dimostrazione che la vasta e complessa strategia russa sta funzionando, e Israele deve tener conto della nuova potenza regionale.

Lo scopo di Mosca pare sia di assicurare la conferenza sulla Siria che si deve tenere a Ginevra: fortemente voluta e preparata dai russi, essa dovrà – nei loro desideri – assicurare la stabilità del regime di Assad o mantenerne la presenza come componente di un processo di transizione e riforme «democratiche» nel futuro siriano, un processo che i vicini, gli ostili e i favorevoli, dovrebbero impegnarsi a garantire. È per questo che gli americani (che hanno detto un sì svogliato alla conferenza) la stanno sabotando in vari modi. Per esempio, non vogliono che si sieda a quel tavolo anche Teheran. Ha denunciato Sergei Lavrov, lo sperimentato Ministro degli Esteri moscovita: «Mentre Mosca invoca la partecipazione di molti membri, fra cui i Paesi confinanti con la Siria come Iran e Arabia Saudita, Washington si sforza di ridurre il numero degli Stati partecipanti, e invece di aumentare il numero con Paesi che sostengono i gruppi estremisti in Siria».

Il Pentagono, intanto, manda 500 Marines a Sigonella, ufficialmente per intervenire più rapidamente in Libia in caso di necessità: attentati di gruppi contro gruppi si susseguono nella Stato «liberato». Può essere la necessità di rappezzare il disastro per il potere americano provocato dall’intervento franco-anglo-americano, può essere la risposta sbiadita al decisionismo di Mosca.

Una sola cosa è sicura per Washington: può sempre contare sui servizi dell’Italia, e della compiacenza del nostro – meglio, del loro – ministro degli Esteri Bonino.



Mi correggo: pare che Barroso, il cui mandato a capo dell’eurocrazia oligarchica è in scadenza, abbia discretamente brigato all’orecchio di Fratello Obama per farsi nominare segretario dell’Onu, dato che anche Ban Ki-Moon è in scadenza. In cambio, ovviamente ha promesso i suoi più ossequiosi servigi, del resto già noti e sperimentati dal padrone.



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