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Guerra all’evasione fiscale! Ucraina 1933
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È il 16 maggio 1932, comincia la lotta al kulako. Il viceconsole d’Italia a Kharkhov, Sergio Gradenigo, nel suo rapporto al ministero degli Esteri (Nr.diProt. 262/73), descrive uno dei metodi con cui il regime staliniano espropria i piccoli coltivatori diretti per imporre la collettivizzazione delle terre. È un metodo tributario:

«Per ogni gallina che i contadini allevano, devono pagare 3,50 rubli al mese d’imposta al governo, oppure fornire 30 uova. Ho chiesto (ai dirigenti del Partito, ndr) come si poteva pretendere che una gallina faccia un uovo al giorno, e che margine resta al contadino se deve dare tutto il profitto allo Stato. Mi è stato risposto che per ogni gallina dichiarata si deve logicamente ritenere che ce ne siano due non dichiarate».

Vi ricorda qualcosa questo metodo? Questa, diciamo, «cultura fiscale» dei poteri pubblici? Non so voi, ma in questi ultimi tempi mi capita sempre più spesso di incontrare persone che – quando faccio notare che l’eccessiva torchia tributaria, l’esazione del 60% dei profitti che distrugge le imprese, gli artigiani, desertificando l’economia reale – mi rispondono pressappoco così: «Bene, anzi bisogna alzare l’aliquota fino al 100%, così si costringono gli evasori a sputare il dovuto». Invariabilmente, queste persone sono «di sinistra», hanno votato PCI e ora il PD o suoi satelliti, si ritengono progressisti – oppure sono dipendenti pubblici.

È tutto quel blocco di interessi e di potere convinto che il problema dell’Italia non sia l’enorme spesa pubblica parassitaria, lo spreco e la corruzione delle caste pubbliche inadempienti, bensì l’Evasione Fiscale. Che non c’è nessun bisogno di ridurre emolumenti e stipendi scandalosi né di snellire la pletora pubblica – se solo si riesce a metter le mani sul tesoro che l’Evasore Fiscale nasconde all’Agenzia delle Entrate. Tale tesoro occulto viene da essi valutato con sicurezza in 200 miliardi di euro, almeno.

Certo, certo: «Per ogni gallina dichiarata si deve logicamente sospettare che ce ne siano due non dichiarate». Questa resta la dottrina tributaria del Partito , nonché della nostra burocrazia esattoriale. Dite che esagero? Mi pregio ricordarvi che solo pochi mesi fa, il povero Stefano Fassina, viceministro comunista all’Economia, per aver ammesso che in Italia oggi esiste anche un’evasione «di sopravvivenza», è stato aspramente rimproverato , anzi condannato dalla senatrice Anna Finocchiaro, l’intramontabile e più sinistra apparatchik, e costretto all’autocritica. È chiaro che il giovane Fassina aveva violato l’ideologia ufficiale del Partito: non esiste evasione di sopravvivenza, essa resta un delitto capitale. Da Siberia (ah, se tornassero i bei tempi!).

Conservate lo scontrino fiscale!

Il 16 dicembre 1932 il viceconsole Gardenigo racconta, nel suo rapporto (Nr.diProt. 613/175 Kharkov) come le polizia tributaria sovietica prende in castagna l’evasore fiscale:

«Alla porta di un contadino indipendente si presenta una commissione composta di tre elementi; due sono armati di grossi bastoni o di piedi di porco di ferro, il terzo è un membro della GPU. Si chiede al contadino se è in regola con il pagamento delle imposte. Gli si domanda la ricevuta o un documento attestante che ha pagato o versato ciò che è tenuto a dare. Dopo gli si fa notare che queste contribuzioni in denaro o in natura sono state quintuplicate e che perciò deve immediatamente versare quattro volte l’importo che ha già dato, a meno che non preferisca far parte del kolkoz del villaggio. Se rifiuta, entrano in azione i due compari. Cominciano a fracassare la stufa e il camino, poi le finestre, le porte, i mobili e tutto ciò che possono. Segue la confisca di tutto quel che è ancora confiscabile, ossia la vacca e il cavallo».

Infatti non esiste «evasione di sopravvivenza», come sa ancor oggi la senatrice Finocchiaro. I metodi sullodati ottengono gli splendidi effetti che sappiamo. Il miglior risultato della politica tributaria sovietica: l’holodmor.

Il viceconsole deve segnalare (Nr.diProt. 262/73 Kharkov, 19 maggio 1932) che «sul mercato libero non si vende più nessun tipo di pane, nemmeno quei pezzetti, resti di pasti privati che si potevano comprare nei panieri per 5 kopeki al pezzo, e nemmeno le fette di pane nerastro a 50 kopeki al pezzo. Al buffet della stazione di Poltava si vende un pane confezionato con farina gialla ed altri cereali mescolati a giallo d’uovo, a 12 rubli il pezzo da 250 grammi».

(Un operaio di fatica prendeva allora da 40 a 60 rubli il mese, un muratore esperto al massimo 200)

«Le file di gente che aspettano la distribuzione di pane sono diventate INTERMINABILI, si vedono persone lungo un marciapiede per 300-400 metri».

Le autorità comuniste devono soprassedere, ma mantenendo una tassazione esorbitante:

«Il decreto che autorizza i kolkoziani ad allevare ancora del bestiame per proprio conto ha avuto un successo molto magro, in quanto per ogni vacca si esige una contribuzione allo stato di cinque litri di latte al giorno dietro compenso di 20 kopeki al litro. Dato che una vacca dà in media 10 litri al giorno, il proprietario potrebbe trarre un profitto di un rublo per i primi cinque litri, e di 12-15 rubli per gli altri cinque. Ma dato che doveva tenerne 2 per sè, una bestia poteva renderli al massimo 10 rubli al giorno. E oggi con 10 rubli al giorno non si dà da mangiare a una vacca, perché il foraggio costa di più. Inoltre il capitale investito può, dall’oggi al domani, essere espropriato...».

Non so a voi, ma a me anche questo ricorda qualcosa: le «riforme economiche» degli ultimi tempi – da Bersani a Monti, da Letta a Saccomanni a Befera – tipo l’abolizione dell’IMU che diventa un’altra mezza dozzina di tasse, o la messa sulla strada di centinaia di migliaia di esodati per calcolo sbagliato, per incompetenza arrogante, per ignoranza delle vere condizioni dell’economia italiana – e per l’ossessione dii non fare un favore fiscale all’Evasore che cova in ciascun suddito. Dite che esagero? Secondo me, è solo differenza di grado, non di genere: la cultura è quella. La stupidità, identica.

Ben presto anche il quasi pane a 48 rubli al chilo diventa un sogno. I rapporti dei nostri diplomatici evocano sempre più il dilagare di fame, sporcizia, del tifo, parlano di bande armate di ribelli nelle campagne, e la comparsa di torme di contadini spossessati affamati nelle città – accolti con estrema ostilità dalla popolazione cittadina , «spinta da un oscuro sentimento di difesa o dall’odio che la propaganda suscita deliberatamente o da un irresistibile istinto a fare la parte del carnefice». La propaganda bollava questi affamati contadini come evasori fiscali che occultavano il loro grano da qualche parte, «il tutto esacerbato dai mercati kolkoziani dai prezzi esorbitanti»: ecco chi ha colpa dei rincari, della scomparsa del pane! E i cittadini collaborano «volentieri» alla lotta all’Evasione, aiutando la GPU nella «caccia ai contadini ferocemente sferrata dalla polizia per ricacciarli fuori di città».

Dalla capitale, l’ambasciatore Bernardo Attolico (Telespresso N. 1945/787 Mosca, 19 aprile 1932) segnala: «Ricomparsa dei bambini abbandonati a Mosca». Questi abbandonati dai genitori incapaci di sfamarli (besprizornye), «la cui cifra ufficialmente ammessa a circa 4 milioni era stata riportata a proporzioni quasi nulle a seguito della repressione feroce della GPU nelle grandi retate del 1929-30», sono tornati in massa. «S’è riferito a gennaio che i besprizornye erano numerosi a Tiflis dove hanno commesso delitti crudeli; un membro del GPU locale ne è stato vittima. Questo ha firmato la condanna dei piccoli delinquenti che nello spazio di una notte sono stati completamente sterminati (va ricordato che i besprizornye sono legalmente definiti «fuorilegge» e dunque possono essere massacrati impunemente dal primo venuto).

«... Mendicanti e besprizornye, numerosi a Mosca, sono numerosissimi a Kharkov. Da quel che mi segnala il viceconsole Gradenigo, tutti questi besprizornye sono stati presi a retate improvvise e costretti a partire per destinazione ignota...Si sarebbe impresso a tutti un segno indelebile sulla mano sinistra e si sarebbe ordinato loro di non farsi rivedere a Mosca o a Kharkov sotto pena di essere fucilati».

I resoconti diventano sempre più spaventosi: raccolti perduti per mancanza di braccia – migliaia di braccia sono state deportate o sono morte – villaggi nelle cui isbe si putrefanno cadaveri, penuria eppure sprechi di prodotti agricoli dovuti al caos amministrativo e all’incompetenza presuntuosa dei capi del Partito divenuti dirigenti economisti, perdita dell’80 per cento del patrimonio zootecniuco, e infine l’inevitabile, inimmaginabile:

Nr.diProt. 17/9 Kharkov, 6 gennaio 1933:

«... Bisogna aggiungere un commercio sempre più importante di carne umana. I piccoli sarebbero ridotti a carne per salsicce, i grandi da carne per taglio. Due casi del genere sono stati ufficialmente confermati fino ad oggi».

E il 6 agosto dello stesso anno:

«… Citerò due casi verificati. Il primo risale a un mese fa. Si stavano raccogliendo a Kharkov ogni notte quasi 250 cadaveri di persone morte di fame e di tifo. Si è notato che moltissimi fra questi non avevano più il fegato, prelevato con un vasto taglio. La polizia ha finito per cogliere sul fatto alcuni dei misteriosi amputatori: hanno confessato che con questa carne confezionavano il ripieno di piroiki (frittelle ripiene) che vendevano poi sul mercato. Il secondo caso s’è prodotto in casa del signor Ballovich, un impiegato del nostro consolato (...) qualche settimana fa s’è presentata una donna che vendeva osso buco...», immaginate voi il resto.

Sorvolo perché mi preme raccontare come hanno a tutta prima reagito le autorità comuniste di fronte alla resistenza passiva, poi alla sparizione fisica dei contadini. Quale soluzione hanno cercato? Ah, ma certo!

L’abolizione del contante

Ecco la soluzione. Come non averci pensato prima?

«I contadini (si parla naturalmente solo di kulaki) sono accusati oggi, nelle sedute del PC, di accumulare il denaro, e per conseguenza della rarefazione della moneta; tutto ciò prelude forse, come si dice da qualche tempo, all’abolizione del rublo, che colpirà i kulaki che lo occultano mentre la creazione di una nuova moneta restituirà all’operaio la possibilità di acquistare le derrate sul mercato che gli è oggi chiuso», scrive il solito viceconsole Gradenigo, il 6 dicembre 1932.

Insomma: perché non spendete, maledetti kulaki? Perché gli italiani riducono i consumi? Non sapete che così facendo aggravate la recessione?

A Kharkov, segnala ancora il viceconsole,

«una delle ragioni per cui i rifornimenti sono insufficienti fino ad oggi e resta insufficiente in tutti i negozi, è la seguente: da qualche tempo la Banca di Stato incassa ogni tre e quattro ore tutto il denaro che le casse dei negozi e spacci accumulano con la vendita al pubblico. La automobili della GPU incaricate del servizio fanno di continuo la navetta rilasciando solo delle ricevute; ricevute con cui le botteghe non possono, beninteso, riapprovvigionarsi di nuove merci. Di qui l’ingorgo e contemporaneamente la penuria di tutto».

Derrate che marcivano nei vagoni perché nessuno poteva comprarle, come si sono avute derrate marcite nei campi per mancanza di braccia (fisicamente eliminate). Non è geniale, questa idea di andare a riscuotere il denaro dalle imprese ogni 3-4 ore, rilasciando ricevute non spendibili? Non è un astutissimo modo di stroncare l’economia ? Mi domando cosa aspetti Equitalia ad adottare il sistema: perché così gli Evasori Fiscali, dovranno cacciar fuori i tesori che nascondono sotto la mattonella, maledetti!

Queste misure sono solo iniziali. Mentre passano i mesi, la mortalità, dopo lo sterminio nelle campagne, decima la popolazione delle città. «Krasnodar che aveva più di 200 mila abitanti ne ha già perduti 40 mila; 20 mila persone sono perite a Stavropol...».

Cosa pensate che facciano i dirigenti del Partito?

Intensificano la lotta all’evasione

«Le autorità non prendono alcuna misura per alleviare le condizioni della popolazione. Al contrario, negano l’esistenza della carestia e dicono che si trova del grano: basta cercarlo attorno alle case dei contadini, dov’è stato seppellito. Brigate della gioventù comunista fanno pattuglie apposta per trovarlo, e scavano laddove la terra ha l’aria di essere stata smossa. Effettivamente s’è trovato del grano nascosto in diversi posti, anche in un cortile di villaggio i cui abitanti erano tutti morti».

È, diciamolo, il punto ideale a cui tende l’Agenzia delle Entrate: avere i produttori tutti morti, ma strappar loro l’ultimo sacco di grano.

Ai criminali del Partito del 1933, che mai avevano preso in mano una vanga, nemmeno veniva alla mente il perché quei contadini non avessero divorato quelle granaglie nascoste, ultimo pasto prima di morir di fame. Perché quelle erano le sementi, consumate le quali non ci sarebbe stato nessun raccolto l’anno dopo, l’umanità non avrebbe mangiato, e la sapienza contadina divenuta istinto ordina di salvare le sementi a qualunque costo, anche della vita. Un atto di generosità eroica verso il genere umano, veniva dai persecutori scambiato per sabotaggio ed evasione.

Anche questo mi ricorda (non so a voi) l’azione dell’Agenzia nostrana: perseguitare i piccoli imprenditori fino a ridurli al suicidio, alla distruzione della piccola impresa, ma esigere dalla vedova i tributi da cui il marito aveva sperato di salvarsi con la morte. Più tasse, sovrattasse, interessi di mora e penali.

Come vedete, l’efficienza dei torchiatori tributari aumenta di giorno in giorno, e presto toccherà l’ideale raggiunto in Ucraina nel 1933. Del resto, come segnala Gradenigo, sul giornale Kharkov’skij Proletary il 10 settembre, appare un articolo sulla condizione delle campagne. Un articolo lirico. Comincia così: «Nell’isba del kolkoziano Shevcenko una vita radiosa, facile ed evoluta è apparsa...». Insomma, come ci hanno detto Monti, Letta, Saccomanni:

La luce in fondo al tunnel

Aggiungo solo due parole sulla fonte delle suddette informazioni. È il volume Lettere da Kharkov: La carestia in Ucraina e nel Caucaso del Nord nei rapporti dei diplomatici italiani. 1932-33, Torino, di un docente italiano, lo storico Andrea Graziosi. Pubblicato in Italia da Einaudi nel 1991, dunque vent’anni fa e allora passato sotto il silenzio che meritavano le opere di verità sulle atrocità del comunismo, è stato ripubblicato in questi mesi in Francia – dove invece ha suscitato molto interesse (1). Graziosi non ha fatto che trar fuori dagli archivi dello Stato italiano, dove dormivano impolverati, i rapporti dei nostri diplomatici nella Russia staliniana. Oltre all’ambasciata a Mosca (con a capo Attolico), avevamo quattro consolati: a Batum, a Novorissisk, a Kharkhov, ad Odessa, che fu l’ultimo a chiudere nel 1939, alla vigilia della guerra. Documenti eccezionali che danno informazione precisa e circostanziata della tragedia prodotta del regime sovietico..

Erano diplomatici dell’Italia fascista; il duce lesse attentamente quelle relazioni (sono da lui siglate). Dopo aver riconosciuto la eccezionale «aderenza ai fatti e l’assenza di ricorso a facili spiegazioni ideologiche» e l’acutezza politica «senza schemi preconcetti» di queste relazioni, Graziosi si sente in dovere di dire qualcosa di antifascista: e si domanda come mai Mussolini non le abbia «utilizzate per la sua propaganda anticomunista», e se la spiega con «una certa affinità» fra le due dittature.

Osservazione disonorevole per chi la fa, soprattutto se è uno storico di professione. Non solo a quei tempi i rapporti diplomatici erano per essenza riservati, e la loro segretezza era assolutamente rispettata anche per la sicurezza dei redattori, La divulgazione delle atrocità sovietiche sarebbe stata un atto politico inutile per «togliersi una soddisfazione», avrebbe esposto il nostro personale consolare a ritorsioni, accecato i nostri occhi nell’URSS e sicuramente portato ad un incidente diplomatico gravissimo con quasi il solo paese con cui l’Italia Fascista (e la Germania nazista), messe al bando dalle «democrazie» e colpite da sanzioni, avevano buone e normali relazioni diplomatiche.

Piuttosto, il professor Graziosi avrebbe dovuto porre la stessa domanda alle «democrazie» occidentali: cosa gli riportavano i loro diplomatici? Certo è che tacquero e non denunciarono lo sterminio ucraino, e questo silenzio ebbe talora carattere di omertà e complicità (in Francia governava il Fronte Popolare socialcomunista), in USA una certa specifica lobby di banchieri simpatizzava col sistema leninista, e lo finanziava (2).

Avrebbe potuto almeno alludere ai silenzi del PCI, alle centinaia di italiani comunisti riparati in quello che credevano il paradiso dei lavoratori e massacrati nel Gulag, spesso su delazione del fuoriuscito numero uno, Palmiro Togliatti. Avrebbe potuto ricordare che uno dei sopravvissuti, il militante comunista Dante Corneli (scappato in Russia per aver assassinato il segretario del Fascio di Tivoli), dopo dieci anni di prigionia nel lager di Vorkuta ) , tornò in Italia nel 1965 a gridare la verità sull’inferno sovietico. Trattato come un lebbroso dal Pci, come un appestato dalla Democrazia Cristiana tesa al compromesso storico, ma non solo: le sue memorie – praticamente un Arcipelago Gulag italiano – furono rifiutate dall’editore Rizzoli, tanto che dovette stamparsele in proprio. Dante Corneli fu ridotto al silenzio, divenne una non-persona nella «libera» Italia degli anni ’70. E Graziosi si interroga sul silenzio del regime fascista....

Facciamo il confronto fra Stalin e il duce?

Meglio avrebbe fatto, invece di ipotizzare «affinità» tra i due regimi, a lumeggiarne le differenze. Mai e poi mai Mussolini avrebbe potuto anche solo concepire – né il fascismo realizzare – non si dice qualcosa di simile allo Holodmor per eliminare in massa intere classi avverse, ma nemmeno tollerato un solo morto per fame nell’Italia fascista, fosse pure un avversario politico. Nel rigore della Grande Depressione mondiale, anche per le classi misere non mancò il cibo. Mai nell’Italia fascista le botteghe furono obbligate ad esporre in vetrina forme rosse e tonde di formaggio olandese – che erano in realtà modelli di legno verniciato – come scoprirono i fuoriusciti comunisti nostrani appena giunti nel Paradiso dei Lavoratori.

Là c’erano i morti insepolti che puzzavano nelle isbe, qui la battaglia del grano per conseguire l’autosufficienza alimentare. Di quale affinità si parla?

Anzi, diciamola tutta. Anche dopo la guerra sbagliata, le devastazioni e i bombardamenti, il regime morendo lasciò ai futuri italiani un’industria aereonautica di prim’ordine, un’industria chimica avanzata, un’industria farmaceutica più che decente, cantieri navali, siderurgia allo stato dell’arte, industria elettromeccanica capace di evolvere in robotica, buone università, apparati di ricerca, un «capitale umano» di competenti ben formati in una scuola destinata a formare classe dirigente modello, il liceo classico di Giovanni Gentile. Ci sono voluti gli ultimi cinquant’anni perché un’ottusa, ignorante classe imprenditoriale privata, una dirigenza politica furbesca e irresponsabile, superficiale ed asservita ad interessi stranieri – ma «antifascista», sia chiaro – per dissipare, svendere, guastare, sprecare e disperdere tutto questo patrimonio umano, tecnico e patriottico.

C’è voluto un costante sforzo tenace di antifascisti, intensificato fino alle ultime «lenzuolate» di Bersani, le «riforme» di Monti e quelle della Fornero (il regime fascista non venne mai meno alle obbligazioni contratte verso il lavoro italiano, rifiutando di pagarne le pensioni, nemmeno a Salò), e le escogitazioni tributarie di Befera per farci regredire come siamo, un popolo corrotto, smarrito, senza più risorse e senza prospettive. Solo da pochi giorni infatti l’Italia, a forza di scendere, è caduta dietro la Russia che sale nella graduatoria del prodotto lordo pro capite.





1) La versione francese, si può leggere sul web qui.
2) Nel rapporto N. 474/106 Kharkov, 31 maggio 1933, il viceconsole Gradenigo si domanda «come mai il mondo resti indifferente a una simile catastrofe» e risponde: il mondo «tace pudicamente di fronte a questa macelleria organizzata dal governo sovietico, nella quale (macelleria) gli ebrei hanno un ruolo molto importante, anche se non di primo piano». Poi aggiunge: «In effetti non è dubbio che 1) la fame è causata da una carestia organizzata e voluta per dare una lezione ai contadini, e 2) che nessun ebreo si trova fra le vittime, al contrario questi sono tutti grassi e ben nutriti, nel girono fraterno della GPU». E infine, il console ricorda quello che gli ha detto «un ebreo, pezzo grosso della GPU locale»: i contadini sono «materiale etnografico che deve essere rimpiazzato». E’ il solo accenno che Graziosi giudica «antisemita» nelle relazioni del nostro personale consolare. Poi c’è, ma molto più tardi, nel 1938, il rapporto del console di Odessa Gino Scarpa: riferisce che le purghe staliniane del 1937 vengono interpretate dai russi come la liquidazione, da parte di Stalin, degli ebrei di cui s’era servito per lo sterminio in Ucraina. Qualche mese dopo, Scarpa segnala «arresti in massa di ebrei nel Donbass», la NKVD (nuovo nome della GPU) «purgata dai suoi giudei» e treni carichi di ebrei diretti verso la Siberia. Antisemitismo? Era la pura verità. A parte che il vero artefice tecnico delle atrocità staliniane, Lazar Kaganovic, era ebreo e restò a fianco del dittatore come numero 2.


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