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Quelli che già non possono «né vendere né comprare»
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Gli Stati Uniti hanno avvertito minacciosamente gli Stati europei – scrive il Guardian – di non appoggiare la richiesta all’ONU, da parte dell’Autorità Palestinese, di essere riconosciuta come Stato. «La condizione di Stato può essere ottenuta solo per mezzo di negoziati diretti con Israele», si legge nel memorandum presentato agli europei, altrimenti la Autorità Palestinese soffrirà «conseguenze negative rilevanti», fra cui «sanzioni finanziarie». (US warns European governments against supporting Palestinians at UN)

In realtà, la Autorità (d’ora in poi PA), lo staterello fantoccio che Sion lascia vivacchiare nei Territori Occupati dopo averlo messo contro Hamas (che continua a soffrire l’assedio a Gaza) già sta morendo: perché i donatori internazionali hanno smesso di dare i fondi promessi. A cominciare dagli Stati del Golfo, sauditi ed emiri, ormai alleati di fatto ad Israele; ma anche i Paesi occidentali. «Nessuno firma più un assegno ai palestinesi», gongola il finanziere David Goldman, il neocon che scrive su Asia Times con lo pseudonimo «Spengler» (1).

Presto Israele, come desidera da sempre, non avrà nessuno con cui fare accordi diretti. «Il processo di Oslo sta finendo con un gemito anziché con un grido, si compiace il razzista ebraico David Goldman». La PA, che «governa», la zona occupata, a cui i coloni appoggiati dal governo sionista portano via terreno dopo terreno, e dove gli israeliani distruggono le infrastrutture, scuole ed ospedali per cui gli europei hanno pagato, soggetta ad una strisciante pulizia etnica, non ha un’economia propria e funzionante per reggersi da sé: ogni merce deve passare attraverso lo Stato ebraico. Le tasse sui beni, che il governo PA ha il potere di prelevare, dipendono dal buon volere dello Stato ebraico, che si degna di prelevarle al posto dell’amministrazione palestinese. La disoccupazione dei giovani, alle stelle, costringe la PA (il governuzzo di Mahmud Abbas) ad «impiegare» un giovane su quattro nella sua «Polizia» ed altra «sicurezza» con uniformi ed armi, perché non finiscano attratti dagli estremisti (e rivali) di Hamas. Ma ora, mancano i soldi. E i Territori sono scossi da continue manifestazioni di protesta contro il «governo», accusato di essere corrotto, ma soprattutto per il rincaro dei generi alimentari e l’incapacità di pagare gli stipendi pubblici. (Why Palestinians Protest)

Nel compiacersi di questa neutralizzazione della PA abbandonata dai donatori occidentali, «Spengler» rivela che è in corso un piano più sottile per disciplinare e neutralizzare un Paese ben più grande, che dopo la «primavera araba» s’è dato un governo poco gradito, nel furbo capo dei fratelli Musulmani Mohamed Morsi: metterlo alla fame. Retto per decenni da Mubarak, sicuro alleato dell’Occidente e perciò compensato con miliardi di dollari di donativi e «aiuti allo sviluppo», oggi l’Egitto piace meno ai «donatori». Mohamed Morsi, all’ONU, ha denunciato con forza i delitti di Israele verso i palestinesi, il fatto che Israele abbia armi atomiche; la continua minaccia di bombardare preventivamente l’Iran, ha detto, è un comportamento che non pare obbedire alle norme internazionali ma «alla legge della giungla». Inoltre, ha stretto rapporti cordiali con l’Iran di Ahmadinejad, il bersaglio di tutti gli odii giudaici e perciò delle più spietate sanzioni americane ed europee, di tutte le provocazioni e sovversioni: attentati terroristici sul suo territorio, omicidi mirati di scienziati nucleari, ed altre ben note specialità del Terrorista sistemico.

Ma c’è un modo semplice e poco visibile per disciplinare Morsi: mettere alla fame il suo popolo di 80 milioni di anime, fargli mancare gli «aiuti» dall’estero.

La «rivoluzione di piazza Tahrir», durata mesi, ha disorganizzato la già debole economia egiziana; il turismo ne ha sofferto gravemente, le esportazioni di greggio sono crollate. Le banche non danno più finanziamenti alle imprese egiziane per l’import-export, e le importazioni di cibo sono dimezzate dall’inizio della rivoluzione, gennaio 2011. Sicché – si compiace «Spengler» – il governo ha oggi riserve di grano per soli sei mesi. La nazione, che non ha l’autosufficienza alimentare (importa metà di quel che mangia), vive di quel che è rimasto nei magazzini. L’assottigliamento delle riserve in valuta, il rincari dei cibi a livello globale, il dollaro alto rispetto alla moneta egiziana, minacciano di ridurre del 40% i rifornimenti di cibo. Specialmente i fagioli, il primo cibo dopo il pane, mancano. Ma mancano anche i vaccini infantili, sicché una generazione di neonati è esposta alle malattie infettive come morbillo, rosolia, orecchioni. Solo i più ricchi possono far vaccinare i figli in cliniche private, a 50 dollari ad iniezione. C’è un mercato nero dei farmaci.

Il regime di Morsi dichiara ufficialmente di aver bisogno di 12 miliardi di dollari per il prossimo anno. Fonti indipendenti dicono il doppio. Ben poco arriva davvero: il Qatar ha depositato 5.000 milioni di dollari presso la Banca Centrale del Cairo ad agosto, e promesso altri 1,5 miliardi, che non sono ancora arrivati. Il presidente Obama, da Washington, aveva promesso un miliardo – metà del quale è però un condono di debiti pregressi, non denaro fresco con cui acquistar i fagioli – ma ha dimezzato la promessa dopo gli incidenti attorno all’ambasciata americana al Cairo, seguiti al filmetto blasfemo anti-musulmano. «L’Arabia Saudita non ha alcuna intenzione di finanziare la Fratellanza Musulmana, il più pericoloso oppositore interno della monarchia» wahabita, se la ride «Spengler». La Turchia ha promesso 2 miliardi: ma uno servirà a finanziare le attività delle imprese turche in Egitto, e l’altro miliardo di dollari è semplicemente un anticipo su un prestito di 4,8 miliardi che il Fondo monetario ha promesso, e che verrà se e quando verrà. Con la crisi globale, tutti i donatori, europei in prima linea, sono meno che mai disposti ad aprire il portafoglio.

Dagli anni ‘70 i generi di prima necessità – compresa l’energia – sono sussidiati, ossia venduti alla popolazione a prezzi più bassi di quel che costano; sarà impossibile al governo Morsi continuare questo tipo di assistenza sociale, e il rincaro dei cibi è la più sicura scintilla di qualche nuova fiammata di protesta nazionale. (Hunger economics: Do rising food prices mean trouble ahead?)

«Spengler» accusa Morsi di stare facendo dell’Egitto «La Corea del Nord sul Nilo» per rendere più salda la presa della Fratellanza Musulmana nel Paese: «La privazione economica, carestia compresa, non è necessariamente un ostacolo al potere totalitario... L’Egitto sta per avere un sistema di razionamento per il pane. Se gli egiziani vorranno mangiare o cuocere col la bombola del gas, dovranno chiedere la tessera al locale ufficio della Fratellanza Musulmana». (North Korea on the Nile)

Questa osservazione maligna ha tutta l’aria di una tipica «proiezione» israeliana, il tipo di psicologia «con cui il soggetto espelle da sé e localizza in un altro sentimenti e desideri che sono suoi, ma che egli rifiuta di riconoscere in sé». «I palestinesi sono affossati; l’Egitto sarà il prossimo?», si domanda ridendo il sayan. È una domanda, o un progetto punitivo? «Dopo soli due mesi al governo, Morsi persegue un ravvicinamento a Teheran... L’Egitto è diventato una minaccia per Israele per la prima volta in 30 anni», scrive. Obama credeva che «l’enorme bisogno egiziano di aiuti esteri avrebbe tenuto la fratellanza musulmana al guinzaglio di Washington», ma si sbagliava. Bisogna ridurre Morsi alla condizione «di proprietario di uno Stato fallito e affamato», come già la Somalia o l’Iraq, o l’Afghanistan. O i palestinesi. (North Korea on the Nile)

L’uso della fame e della privazione è la tattica che Israele usa contro gli assediati di Gaza, e contro l’autorità palestinese. E che – su suo incitamento – il mondo «libero» sta usando contro l’Iran, per piegarlo: in Iran è recente la notizia che, essendo l’export di greggio crollato del 55% per l’embargo degli americani ed europei, la moneta iraniana, il Rial, s’è svalutata del 150% sul dollaro da inizio d’anno.

È la guerra contro i musulmani in quanto musulmani, scatenata con tutti i mezzi.

Corre l’obbligo di citare di nuovo il passo dell’Apocalisse 13. Quello sulla Bestia che somiglia ad un agnello «ma parla come il dragone», ed «esercitava tutta l’autorità della prima bestia per conto di essa». Alla prima bestia «fu data potestà su ogni tribù, popolo, lingua e nazione». La seconda, che esercita il potere della prima, «farà sì che nessuno possa comprare o vendere, all’infuori di coloro che portavano il marchio, ossia il nome della bestia, o il numero del suo nome».




1) Da Wikipedia, la nota autobiografica: «David Goldman, come ebreo religioso, scrive da un punto di vista giudeo-cristiano partendo dalla teoria formulata dal teologo ebreo Franz Rosenzweig: la mortalità dei popoli. L’Occidente muore di secolarismo, e l’Islam muore perchè inadattabile». Con lo pseudonimo di «Spengler», costui sfoga la sua islamofobia forsennata sul sito di Asia Times. (David P. Goldman)



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