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«La fonte di tutti i nostri mali, è l’indipendenza assoluta in cui i rappresentanti si sono messi da sé rispetto alla nazione senza averla consultata.

Essi hanno riconosciuto la sovranità della nazione, e l’hanno annientata. Per loro stessa ammissione non erano che i mandatari del popolo, e si sono fatti sovrani, ossia despoti, perché il dispotismo non è altra cosa che l’usurpazione del potere sovrano.

Quali che siano i nomi dei funzionari pubblici e le forme esteriori del governo, in ogni Stato in cui il sovrano non ha più alcun mezzo di reprimere l’abuso che i suoi delegati fanno della sua potenza e di formare gli attentati contro la costituzione dello Stato, la nazione è schiava, poiché essa è abbandonata assolutamente alla mercé di quelli che esercitano l’autorità.

E siccome è nella natura delle cose che gli uomini preferiscano il loro interesse personale all’interesse pubblico quando possono farlo impunemente, ne segue che il popolo è oppresso tutte le volte che i suoi mandatari si sono resi assolutamente indipendenti da lui.

Se la nazione non ha ancora raccolto i frutti della rivoluzione, se gli intriganti hanno sostituito altri intriganti, se una tirannia legale sembra essere succeduta all’antico dispotismo, non cercatene altra causa che nel privilegio che si sono arrogati i mandatari del popolo di farsi gioco impunemente dei diritti di quelli che hanno carezzato bassamente durante le elezioni».

Robespierre, 29 luglio 1792
 


«La socializzazione dell’uomo è un destino spaventoso. Perché non si accontenta di esigere che il mio sia di tutti gli altri – proposito eccellente che non mi dà nessuna noia – ma mi obbliga al fatto che quello degli altri sia mio. Per esempio: che io adotti le idee, i gusti degli altri, di tutti. Proibita ogni proprietà privata, compresa quella di avere convinzioni per proprio uso esclusivo».

Josémaria Ortega y Gasset, El Espectador
 


«Verrà giorno in cui tutte le nazioni in mezzo alle quali gli ebrei prosperano dovranno sollevare la questione della loro completa espulsione, questione che sarà di vita o di morte di buona salute o di malattia cronica, di esistenza pacifica o di perpetua febbre sociale».

Franz Listz, compositore, gran virtuoso del pianoforte, accolto nell’Ordine Francescano come minore
 


«La giustizia è il sistema della libertà: un sistema che mette in rapporto tra loro più individui liberi, sottoponendoli a quelle leggi che permettono loro di essere liberi. (...) Le leggi giuste sono dunque quelle che rendono compatibile la libertà di ciascuno con quella degli altri: funzione tipica del diritto, civile o penale che sia. La giustizia non è dunque il sistema di una pretesa di libertà assoluta, ma è un sistema di libertà condizionata, sotto leggi. Per questo chi pretende una libertà assoluta la respinge. Ma fa male, perché rimane da provare che l’uomo possa ottenere una libertà diversa da quella condizionata: tutto fa pensare che non lo possa.

Quando le volontà sono perfette, non hanno bisogno della legge giuridica per unirsi: si uniscono nel regno dell’amore. È il principio noto anche a San Paolo: “La legge non è fatta per il giusto”. Se non che san Paolo aggiungeva: “All’infuori di Dio, non c’è un solo giusto, non uno”. Chi conserva la prima verità e lascia cadere la seconda giunge all’anomismo; cioè appunto alla teoria che, in generale, non occorrano leggi. Questa teoria è tuttora vivissima sul piano sociale, ed è quella che dà luogo alla non accettazione della giustizia come sistema di libertà (condizionata) e, quindi, della sanzione e della pena. (...) È respinto il diritto come repressivo ed oppressivo, essendo una imposizione esterna alle volontà e uno strumento di conservazione.

...La legge penale non è fatta per difendere lo Stato, ma viceversa. Lo Stato non è lo scopo, bensì lo strumento del diritto penale. E solo lo Stato può assumersi legittimamente quel compito. I singoli individui lo assumono solo surrogatoriamente, quando manca un potere statale efficiente. Ogni altra tendenza ad intervenire da parte dei singoli equivale alla tendenza a sgridare i figli degli altri. Rimane assodato, però, che chiunque si assuma a buon diritto di infliggere ad altri una pena – dal privato che dà una lezione ad un discolo, allo Stato che condanna a morte un assassino – lo fa per un dovere, non per far valere un suo qualunque diritto. Difende la possibilità che esistano diritti in generale, non un “interesse legittimo” di questo o quel titolare di diritti, compreso lui medesimo.

La pena è dovuta al reo come un dovere che si ha verso di lui, indipendentemente dal dovere che si abbia verso le parti rese. (...) Lasciare il colpevole impunito significa lasciarlo indegno: questo non è affatto avere rispetto di lui, è averne il più profondo disprezzo (...) ne fa un irresponsabile, un irrecuperabile alla libertà. Non c’è nessun altro mezzo per rispettare l’umanità del colpevole che farlo espiare, perché non c’è alcun altro mezzo per prendere sul serio la sua libera volontà».

Vittorio Mathieu, Perché Punire
 


«Il Cristo è venuto a risolvere due problemi principali, il male e la morte, che sono precisamente i problemi per cui degli uomini scendono in rivolta. La sua soluzione è consistita a prenderli su di sé. Il dio uomo soffre anche lui, con pazienza. Né il male né la morte gli sono più assolutamente imputabili, perché è straziato e muore. La notte del Golgota ha tanta importanza nella storia degli uomini se non perché in queste tenebre la divinità, abbandonando ostensibilmente i suoi privilegi tradizionali, ha vissuto fino in fondo, disperazione inclusa, l’angoscia della morte. Si spiega così il Lama sabactani e il dubbio spaventoso di Cristo nell’agonia. L’agonia sarebbe leggera se fosse sostenuta dalla speranza eterna. Perché il dio sia un uomo, bisogna che disperi».

Albert Camus, L’Homme Revolté
 


«Lo Stato non ha più abbastanza fantasia per escogitare l’ultima tassa, una tassa che potrebbe essere (...) un onesto tentativo di batter cassa traendo capitali da una miseria spirituale: la tassa sulle frasi fatte».

Karl Kraus
 


«Non servono le idee, ma le esperienze: è il suggerimento che soffia impetuoso nella società globale che non riconosce alle idee alcun valore orientativo o regolativo. Non è l’antico “Primum vivere deinde philosophari”, e nemmeno la prevalenza della prassi sulla teoria. Si tratta piuttosto della rinuncia a dare un senso alla vita, preferendo vivere la vita attraverso i sensi, le occasioni e le visioni molteplici raccolte al passaggio. (...) Gli eventi regrediscono a eventualità, le vocazioni sono accolte solo se part time, le scelte devono essere revocabili, perché una scelta per la vita è intesa come una scelta per la morte. (...) Il dominio dei sensi e della sensibilità coincide con l’insensatezza, ovvero la mancanza di senso. Il problema è che il senso della vita sorge a partire da un’idea e non da un puro sprigionarsi della sensibilità

La vita estetica s’intreccia con la vita anestetica, nel senso che per sfuggire al dolore si è disposti a praticare una pervasiva anestesia della vita e delle sue più forti passioni. Divertirsi, acquistare, dimenticare, sono le più diffuse pratiche di anestesia sociale. La società fragile non progetta l’avvenire, cerca solo analgesici per lenire la condizione presente».

Marcello Veneziani, La sconfitta delle idee
 


«La vera fine del mondo è la distruzione dello spirito».

Karl Kraus
 


«Non c’è altro dio che l’uomo. L’uomo ha diritto di vivere secondo la sua legge, di vivere come vuole (...) di morire quando e come vuole. (...) L’uomo ha diritto di amare come vuole; prenditi tutto l’amore che vuoi, quando, dove e con chi vuoi. L’uomo ha diritto di uccidere coloro che volessero negargli questi diritti.

Aleister Crowley, Hymne to Lucifer
 


«L’Anticristo conquisterà molte persone dicendo loro: “Voi potete fare tutto ciò che vi piace; rinunciate ai digiuni; è sufficiente che voi mi amiate, che sono il vostro dio”».

Santa Ildegarda di Bingen, mistica e visionaria del 12° secolo







 
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