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Sugli dèi diventati diavoli. Corso elementare
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L’annunciata ristampa del mio «Adelphi della dissoluzione» ha spinto un lettore a scrivermi – d’impulso evidentemente incoercibile – quanto segue:

Il culto di Demetra e di Dioniso... Mesi fa ho letto un libro sullantica religione Minoica. La tesi era che prima degli Dei Olimpici, le popolazioni pre-greche dellegeo e del continente adorassero una Dea madre ed il suo compagno, ad essa subordinato. Dopo linvasione dei Dori, nuove divinità di origine indoeuropea, vennero introdotte: Zeus, Apollo, Atena, Poseidone, ecc.

In questo pantheon si intrufolarono gli antichi Dei Minoici: Demetra e Dioniso. Essi infatti appaiono differenti dagli altri Dei, perché sono titolari di culti diversi, culti misterici.

Gli antichi Cristiani credevano nellesistenza degli Dei pagani. Non li consideravano simboli o allegorie, né tantomeno invenzioni della credulità popolare. I primi Cristiani erano convinti che Apollo, Demetra, Afrodite, Atena, esistessero veramente; solo che non erano Dei, ma demoni di satana, angeli caduti che avevano assunto quelle forme per ingannare lumanità distogliendola dal culto del vero, unico Dio. Da qui liconoclastia iniziale verso statue e templi, altrimenti incomprensibile.

Voi di EFFEDIEFFE siete daccordo con questa impostazione?

Lallo


Chissà perché questo tipo di lettere mi dà un vago senso di costernazione. Per motivi che cerco di chiarire a me stesso. Andiamo per ordine:

...Mesi fa ho letto un libro sullantica religione Minoica

Quale, di grazia? Può degnarsi di citare la fonte della sue certezze?

Glielo domando perché sono numerosissimi coloro che hanno appreso tutte le loro «nozioni» sulla Chiesa cattolica da Dan Brown, e credono davvero che l’Opus Dei tenga a sua disposizione dei sicari professionali. Vorrei solo sapere se l’autore che l’ha colpita è del genere Mircea Eliade o del genere, che so, Peter Kolosimo. Mi faccia sapere con quale gigante dello spirito mi devo misurare.

È anche possibile che lei scriva «mesi fa ho letto un libro», genericamente, perché nemmeno si ricorda quale: pressapochismo che, ohimé, è tutt’altro che raro, ma di cui la invito a correggersi. L’uomo, una volta superata l’età infantile, dovrebbe sforzarsi di adottare un’abitudine alla precisione e all’espressione circostanziata ed esatta. Con la vaghezza e la vacuità, non si fa molta strada nella vita.

La tesi era che prima degli Dei Olimpici, le popolazioni pre-greche dellegeo e del continente adorassero una Dea madre ed il suo compagno, ad essa subordinato. Dopo linvasione dei Dori, nuove divinità di origine indoeuropea, vennero introdotte: Zeus, Apollo, Atena, Poseidone, ecc. In questo pantheon si intrufolarono gli antichi Dei Minoici: Demetra e Dioniso.

La tesi è un tantino schematica. Tralascia complessi problemi di adozioni di divinità, contaminazioni cultuali, sincretismi ed incorporazioni, difficili da decifrare nei politeismi antichi, ignorando le mentalità magico-rituali che ne costituirono i moventi: praticamente non disponiamo di testi di «teologia politeista», in quanto quelle religioni tendevano a consistere esclusivamente nel rito e sacrificio, e da questi dobbiamo trarre indizi sul mondo di pensiero che li reggeva.

Tendo a credere però che il verbo «s’intrufolarono» non sia il più adatto per descrivere la persistenza in Ellade dei misteri di Demetra, dato che Eleusi, dove si celebravano i suoi misteri, rimase un centro cultuale assolutamente legittimo, e greci d’alto rango nobiliare, come Platone, erano iniziati ad Eleusi; anzi pare che un greco nobile non potesse non esservi iniziato. Pare fosse il centro intimo della religione personale, in integrazione delle divinità ufficiali (come Atena in Atene) che ricevevano un culto politico: l’iniziazione a Demetra di Eleusi comportava una forma speranza di immortalità. Ne sappiamo poco, dato che il «segreto iniziatico» è stato mantenuto. Ma evidentemente quei nobili arii non vi vedevano un’opposizione con le divinità presunte «doriche».

Le faccio notare che dee madri di gigantesco prestigio erano venerate tutt’attorno: basti pensare ad Iside e al suo figlio-amante Osiride. Ma quelle divinità non furono accolte nell’ordine greco-romano se non con gravi opposizioni e scandalo, e tardivamente. Demetra invece non incontrò alcuna opposizione nel mondo ellenico classico.

Potnia Theròn
  Potnia Theròn
Parte della persistenza dei culti «femminili» mediterranei a fianco di quelli «virili» olimpici si può spiegare col fatto che obbedivano ad esigenze di gruppi umani di rango diverso, anche spirituale. Per esempio nella cultura minoica (di cui in realtà sappiamo pochissimo) aveva gran prestigio quella dea a seno nudo con gonna a falpalà (come la danzatrici di flamenco ispaniche), che era chiamata «potnia theròn», ossia «signora delle Fiere». Che cosa possa significare, ce lo dice una religione politeista ancora esistente, l’induismo. Anche la dea Kali ha tra fra i suoi appellativi quella di «Signora degli animali; l’appellativo in sanscrito è Pashupati, ossia letteralmente «Signora degli esseri inceppati» (Pashu): con cui si intendono i bruti: gli animali, «legati» ai loro istinti primari, quindi impossibilitati a superarsi e dunque schiavi del samsara (il penoso ciclo delle esistenze).

Si può pensare ad una migrazione ad occidente di Kali? È più che probabile che le due divinità, la minoica e l’indù, corrispondessero ad una stessa elaborazione teologica, che vedeva anche negli esseri di basso rango esseri «inceppati», fra cui le donne e in genere il femminile, inteso come polo «informe» dell’esistenza, l’oscuro sub-razionale (Kalì è «nera») la mera e scatenata «potenzialità», gonfia degli istinti e delle libidini, ma anche generatrice di frutti e figli. Kali infatti diventa creatrice solo nell’unione sessuale con Shiva, di cui è la shakti (potenza): ogni essere esistente è composto di «materia» (il lato Kali, femminile) e di una «forma», di una sostanza e di un’essenza...

Dioniso, quello sì, sembra «immigrato» da Oriente, e viene accolto con grandi opposizioni; forse ha qualcosa di Shiva (che è insieme dio degli asceti e dei ladri, di tutti i trasgressori); il Distruttore dei mondi (del samsara) che può essere inteso, da correnti indiane speciali, Mano Sinistra, come dissolutore di ogni norma morale e di ogni tabù cultuale. Fino all’aberrante idea che «la salvezza si ottiene attraverso il peccato».

Ma d’altra parte Dioniso, a cui i fedeli all’ideale olimpico si oppongono per secoli, è anche il patrono del teatro greco; e le compagnie di attori e tragedi, itineranti per il loro mestiere, godevano di immunità religiosa. Inoltre, andare a vedere le tragedie era addirittura un obbligo per cittadini di Atene. Come vede, le cose sono più complesse ed ambigue di quanto lei (o l’autore da lei letto) le pone. Ma andiamo avanti. Lei scrive:

Gli antichi Cristiani credevano nellesistenza degli Dei pagani.

Lei coglie di sorpresa la mia profonda ignoranza: la cosa mi era completamente ignota. Ed umilmente la prego di fornirmi un qualche documento cristiano dove si affermi la realtà degli dei pagani. Mi pare di non aver trovato nulla di questa credenza nei quattro vangeli, nelle epistole di Paolo e degli altri, negli Atti degli Apostoli. Probabilmente m’è sfuggito. Magari i padri della Chiesa asseverano questa credenza nei primi cristiani? L’autore (anonimo) potrebbe gentilmente produrre un passo della patrologia greca e latina a sostegno? Che dico: basterebbe anche solo qualche lapide dove un cristiano confermi di credere in Cristo ma anche un po’ ad Apollo o Demetra o Iside. Sarebbe un documento, le assicuro, capace di conferire notorietà mondiale all’archeologo che lo scoprisse.

No, i primi Cristiani erano convinti che Apollo, Demetra, Afrodite, Atena, esistessero veramente; solo che non erano Dei, ma demoni di satana, angeli caduti che avevano assunto quelle forme per ingannare lumanità distogliendola dal culto del vero, unico Dio.

Da una parte, spero che lei colga il movente polemico con cui la Chiesa originaria declassò a diavoli gli antichi dèi; in qualche modo, essa lanciava contro le antiche divinità un esorcismo; altre volte ne adottò gli antichi santuari, il cui prestigio (dice Mircea Eliade) resta intatto passando da una all’altra fede: il dogma di Maria «madre di Dio» fu proclamato ad Efeso, santuario di un’Artemide asiatica – quella con tante mammelle (e «Piena di Cibo», Annapurna, è un altro dei nomi di Kali). Dall’altra, bisogna sforzarsi di capire che la mentalità pre-moderna – molto più fine e profonda della nostra, piattamente razionalizzatrice – sentiva in qualunque cosa reale e concreta, una emanazione di poteri invisibili, di potenze cosmiche e preternaturali. Un esempio: una conchiglia rosea trovata sulla spiaggia, per un greco, non era tanto «un simbolo di Afrodite», quanto «Afrodite in forma di conchiglia».

I primi cristiani condividevano, e non poteva essere altrimenti, questa forma mentis. Certo, gli dèi antichi non sono Dio Altissimo, l’Unico; però sono poteri cosmici-psichici reali, identificati dall’intuizione («pensiero magico») degli antichi, che se li ingraziavano con culti e sacrifici. Si pensi che questi «dèi» sono stati nello stesso tempo intesi come forze della psiche, a cui corrispondono però costellazioni celesti (cosmo). Su tale realtà sono d’accordo i romani (che li chiamavano «numina», volontà non necessariamente personali, che potevano essere attivate e disattivate col rito adatto, secondo il principio «do ut des»), lo Yoga («Tutti gli dei sono qui, nel corpo»), ma anche gli psicanalisti moderni, da Yung ad Hillman, che hanno saccheggiato a piene mani nella mitologia greca – e non sempre abusivamente – per «spiegare» le potenze sub-personali della libido e deviazioni sessuali dei loro pazienti, e le risorse oscure ed occulte che muovono la psiche inconscia. Segno che questi cosiddetti «scienziati», anche loro in qualche modo «credono» agli antichi dei.

Infine vale anche, qui, il profondo detto di Ernst Junger (lo conosce?): «Gli altari abbandonati dagli dei vengono abitati da demoni». Quando un mondo religioso celebrato dal culto per millenni muore, restano come «residui» psichico-magici – analoghi ai residui cadaverici – che, non più placati né esorcizzati, possono infestare le anime. Sono ciò che nel linguaggio dell’etnologia si chiama «manas».

Nella cultura di Gobekli Tepe (l’ho recentemente ricordato) che nel 9 mila a.C. elevò l’enigmatico complesso templare turco che meraviglia gli archeologi – convinti che gli uomini di quell’epoca fossero “troppo primitivi” per simile titanica edilizia – il complesso dei templi non fu abbandonato, ma ri-seppellito un millennio e mezzo dopo dai fedeli, smovendo centinaia di tonnellate di terra. Con pietas, vennero neutralizzati – resi inaccessibili a malvage volontà – residui di un culto che non «agiva» più nei cuori di quegli antichissimi padri, ma di cui si sentiva ancora la «potenza».

L’evento di Gobekli Tepe è misterioso e lancinante. Qualcosa di solenne e tragico, irreversibile, era avvenuto, forse in coincidenza con il passaggio dallo stato di cacciatori-raccoglitori alla scoperta dell’agricoltura. Forse il passaggio stesso «dalla preistoria alla storia, attraverso cui l’uomo prende consapevolezza del tempo come processo di trasformazione, comincia a giudicare i propri atti, distinguendo il bene dal male, compiendo il peccato originale» (Giuseppe Sermonti, Fiabe del Sottosuolo, Rusconi). Forse diventarono «cattivi» atti che prima erano altamente religiosi, come i sacrifici dei figli primogeniti (di quei sacrifici umani restano ricordi mitici, Saturno-Kronos che divorava i suoi figli, e perfino nella Bibbia, dove si fa dire a Dio: «Chi apre l’utero è mio!»).

Moriva un’epoca, l’uomo aveva mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male, in ogni caso si metteva in cammino con una nuova consapevolezza, ma anche privato di una innocenza primaria.

Questo distacco è avvenuto poi diverse volte, e sempre è stato dolente e solenne. Nel 360 dopo Cristo, Giuliano imperatore – che volle resuscitare il politeismo – interrogò l’oracolo delfico di Apollo e ne ebbe l’alta, sconsolata risposta: «Dite al re che sono crollate le corti sfarzose, Febo non abita più qui, non ha più lauro oracolare né sorgente che favella; l’acqua parlante si è ammutolita».

Riprendiamo la sua lettera:

Da qui liconoclastia iniziale verso statue e templi, altrimenti incomprensibile

Anzitutto, il termine «iconoclastia» si riferisce a distruzioni di icone cristiane da parte di cristiani, avvenuto attorno al 750 d. C. , nell’area bizantina, ossia della Chiesa d’Oriente, sotto l’impulso di imperatori di Costantinopoli, non a caso di tendenze monofisite. Un movimento che fu condannato nel concilio di Nicea, per motivi riconfermati ultimamente anche da Benedetto XVI: «La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nell’incarnazione di Dio (...) Le immagini del Bello, in cui si rende visibile il mistero del Dio invisibile, sono parte integrante del culto cristiano. L’iconoclasmo non è un’operazione cristiana» (Joseph Ratzinger, «Introduzione allo spirito della liturgia», pagine 127-8).

Il fenomeno che lei vuole indicare è invece la distruzione di statue e templi pagani operata dai cristiani all’inizio del 400 d.C.; distruzione di cui noi moderni ci rincresciamo, perché sono andate perdute per sempre opere artisticamente inestimabili. Ma l’uomo di ieri non condivideva le nostre preoccupazioni estetiche ed archeologiche. Non prevedeva – come l’epoca nostra – musei, sulla cui natura mortuaria e ateista ha detto cose definitive Ernst Junger:

«...basti pensare alla maniera con la quale le chiese oggi si trasformano in musei. Oggi, molte persone visitano le chiese con il medesimo spirito con cui si visita un museo. Ma la passione per il museo investe una zona di tabù assai più vasta: oggi esistono fiori, alberi, paludi, case, paesi, città e uomini sui quali grava il tabù museografico...Prende risalto l’affinità che esiste tra il regno del museo e il culto delle tombe... traspare il rapporto del museo col processo della mummificazione... il museo mostra il lato morto della nostra scienza».

Insomma noi rispettiamo le antiche statue come reperti morti. I primi cristiani, distruggendole, le prendevano più sul serio. Noi mettiamo in museo tutto il passato, ed anche la fede in quanto ha radici nel passato. Non so cosa sia peggio.

Volentieri si accusa per questo «l’oscurantismo» incolto e rozzo che il Cristianesimo avrebbe fatto dominare nelle folle. Chissà perché non si bollano di oscurantismo le devastazioni e i saccheggi che le valorose truppe judeo-americane hanno operato del patrimonio artistico ed archeologico dell’Iraq, e non 1600 anni orsono, ma oggigiorno…

Ma per riprendere il discorso – e concluderlo – diciamo questo: ciò che i cristiani popolarmente distrussero era già in qualche modo «morto», e vissuto come un residuo cadaverico. Già Plutarco, che era addirittura sacerdote di apollo, si poneva il problema del «silenzio degli dèi». Gli oracoli avevano cessato di rispondere, già ai tempi di Tiberio (sotto cui Cristo fu crocifisso e risorse). Proprio Plutarco narra come una nave il cui capitano, un egizio, fu chiamato da una voce misteriosa mentre la nave costeggiava l’isola di Paxi: «Quando sarai all’altezza di Palodes – diceva la voce – annuncia che il grande Pan è morto». Giunto a Palodes, l’egizio gridò la notizia; e dall’isola sorse «un lamentoso pianto non di una ma di molte persone, misto ad esclamazioni di stupore». Persino Tiberio volle interrogare in persona il comandante egizio.

Della triste risposta che Febo di Delfi diede a Giuliano («L’acqua parlante è ammutolita»), abbiamo già detto. Pochi anni dopo l’imperatore Teodosio, con una serie di editti, dal 391 decretò la fine dei culti pagani (ormai rimasti nei villaggi rurali, «pagi») e nel 394 ordinò la chiusura definitiva del santuario di Delfi. Gli ultimi sacerdoti di Apollo distrussero volontariamente, di loro mano, il grande ed antico tempio, perché non fosse riconsacrato come chiesa cristiana.

Voi di EFFEDIEFFE siete daccordo con questa impostazione?

La risposta è no. Gli schematismi non sono a casa loro, in questioni così complesse.

Non so se sia contento. Spero di averle almeno fatto intuire che questo tipo di argomenti richiede, oltre a nozioni storico-etnologiche non del tutto sommarie, un certo «esprit de finesse»: difficile da acquistare dopo aver letto «un libro, mesi fa».



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