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Draghi: solito aiuto alle banche. E ai polacchi (non a noi)
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Le decisioni di Draghi fanno esultare la Borsa. E, nella Borsa, salire i titoli finanziari, ossia di banche e speculatori. Gli speculatori infatti hanno colto il senso giusto delle misure: quello della BCE è un altro regalo per loro; dopo i trilioni degli anni scorsi, un altro mezzo trilione (400 miliardi) per a tassi quasi zero. «Possono ottenere soldi gratis per quattro anni purché prestino all’economia reale», ha detto Draghi in persona.

Ovviamente i media sussidiati gridano: «Finalmente misure per la crescita!». Essenzialmente, invece, servono ad alleviare un poco le banche appesantite da prestiti marci: queste «possono prendere a prestito « (gratis dalla BCE) «il 7% dei loro prestiti in atto al settore privati», così si legge nei comunicati. In pratica, potranno sbolognare alla BCE parte dei loro prestiti andati a male.

Certo, sollevate dal peso dei crediti inesigibili, si spera che le banche tornino a prestare ai «privati» i soldi gratis che ricevono. Ma attenzione a due particolari:

- La misura esclude i prestiti per mutui e per l’immobiliare in genere: ossia nulla dà a quello che è uno dei motori primi per l’economia italiana. Draghi li ha esclusi per timore di «bolle» nel settore immobiliare: va bene per altri Paesi, ma va male per noi, dove lungi dall’avere bolle immobiliari, abbiamo valori immobiliari in caduta (grazie all’ipertassazione, al blocco dei mutui e alle misure punitive di Monti): è una perdita di valore che costa miliardi (di euro) alle famiglie italiane nel loro complesso. Le quali, come tutti vedono, non riescono a vendere, e nemmeno a svendere le case iper-tassate, ossia tassate su valori alti ormai irreali. È questo uno dei motivi primari che inducono le famiglie italiane a ridurre i consumi, aggravando la deflazione nazionale; il loro «patrimonio», ossia l’investimento in mattoni per i tempi bui, ha perso valore anzi è diventato illiquido (invendibile) proprio nei tempi bui.

L’esclusione dei mutui conferma l’ingiustizia dalla fondamentale dell’eurozona: misure a taglia unica, vestiti uguali per disuguali, grassi e magri, periferici e prosperi, danneggia solo i deboli.

- I 400 miliardi mica partono da sùbito: partono da settembre, mentre la BCE mette a punto (leggi: contratta coi tedeschi) le condizioni del megaprestito all’economia reale. «Campa cavallo», come ha commentato l’economista Paolo Savona. È una calma che l’Italia non può permettersi: la nostra crisi sta accelerando. Dal 2001 al 2013, l’euro forte ha fatto chiudere 120 mila fabbriche (la famosa economia reale) e lasciato in strada 1 milione e 160 mila disoccupati in più. Nei primi tre mesi del 2014, il tasso di disoccupazione aumenta (+0,8 rispetto allo stesso periodo del 2013). Soprattutto, sinistro segnale, tracolla anche la Lombardia, la regione più ricca e produttiva d’Italia. Il suo Pil è diminuito nel 2013: -1,3%. Si ferma l’export. Tasso di disoccupazione al massimo storico: 8,7% , tra il 2007 e il 2013, la produzione industriale è scesa dell'11,8%. Ciò significa che i politici, e soprattutto i grandi burocrati pubblici ossia la Casta predace e inadempiente, è riuscita alla fine – caricandolo di tasse e «adempimenti» – a spezzare la schiena al forte cammello nazionale. Da questo momento, signori, è il si salvi chi può.

Nell’insieme l’effetto della decisione di Draghi (quella che gli ha consentito Berlino) è descritto dagli amici di Scenari Economici

«Il nuovo strumento LRTO basato sugli acquisti di ABS («ASets-backed securities», titoli bancari emessi a fronte di prestiti dati ad imprese e famiglie , con l’esclusione dei mutui immobiliari), darà un nuovo incentivo alle banche per riversare sul mercato liquidità. Il problema è che questo flusso di denaro fresco sicuramente andrà ad essere investito in settori industriali nei paesi, allo stato attuale, più efficienti e produttivi dell’area euro. Ora sappiamo bene come siamo messi quanto ad efficienza del settore pubblico, con servizi pessimi e tassazione oppressiva. Quindi il flusso di denaro siconcentrerà verso quei paesi che già attualmente si stanno avvantaggiando maggiormente dall’esistenza dell’Euro, cioè la Germania ed i Paesi Nordici, tanto più che buona parte dei depositi overnight si origina proprio dai loro istituti bancari.In pratica le mosse di Draghi accentueranno le differenze fra i paesi di seria A e di serie B, i quali, anche se decidessero di fare riforme a spron battuto ( e di queste non vi è traccia minima in Italia…) , comunque arriverebbero troppo tardi».

Aggiungiamoci la Polonia, che ha un regime fiscale leggero e s’è data una burocrazia leggerissima, se ne avvantaggerà; e del resto, sta già uscendo dalla recessione. In Italia, sono le imprese a non chiedere più credito: ne sono morte 120 mila, altre si sono indebitate per pagare le tasse, altre ancora non vedono prospettive di crescita dei consumi, e soprattutto – tutta l’attività economica è paralizzata non solo ormai dalla tasse predatrici sulle imprese, ma dall’attesa di nuove tasse, che la Casta agita sulle nostre teste, senza riuscire nemmeno a precisarle: dalla tassa di successione alla TASI, alla ventilata scemenza «alleggeriamo l’imposizione dal lavoro alla rendita» (cioè alle case già tartassate, alle «rendite» dei conti correnti e dei Bot, ormai quasi zero).

L’esempio della TASI sulla prima casa lo conoscete tutti: «Aumenterà del 60%», annuncia Bankitalia una settimana fa. «No, aumenterà solo del 12%», corregge il sottosegretario Delrio. «SOLO» del 12%, capite che allegria? Del resto, se sarà aumentata del 60 o del 12, dipende dai Comuni, ciascuno dei quali non ha ancora praticamente deciso come colpirci, perché non sanno fare i conti. Ora, con una simile spada di Damocle sulla testa, volete che una famiglia compri il frigo nuovo, un nuovo divano, decida di cambiare le piastrelle del bagno, dunque dia lavoro a negozi e aziende e ad idraulici e muratori? Si tengono il borsellino stretto, col fiato sospeso, aspettando la mazzata ignota che la casta gli assesterà.

Matteo Renzi ha annunciato «riforme»; ma di riforme «non v’è la minima traccia». Dal caso scandaloso della TASI, si intuisce che la riforma più necessaria ed elementare consisterebbe nella fucilazione degli strapagati incompetenti di Bankitalia, dei ministeriali che consigliano Delrio e i politici del cavolo, e di un terzo almeno dei dipendenti comunali (tanti sono i superflui, pagati solo per ostacolare l’impresa esigendo «nuovi adempimenti». Una riforma chiaramente impossibile.

Conseguenza: le misure di Draghi «per la crescita» faranno crescere Polonia, Romania, Germania (ancora) e lettoni, forse persino gli spagnoli se saranno lesti a ridurre la loro burocrazia (già lo stanno facendo) e le loro tasse, ma non noi.

I tassi negativi

I media sussidiati si sono elettrizzati perché Draghi ha deciso di penalizzare con tassi leggerissimamente negativi (-0,10%) i depositi che le banche private mettono a rifugio presso la BCE stessa: nella speranza ufficiale che disgustate, le banche diano quei soldi in prestito ad imprese e famiglie. «È la prima volta dal 1945! Bravo Draghi! Nostro dio, nostro salvatore!», e via leccando. L’effetto sarà, nel caso migliore, risibile: la misura avrebbe avuto un senso nel 2012, quando le banche mettevano al caldo presso la BCE 700 miliardi, non oggi che quelle riserve sono solo di 30 miliardi essendosi le banche messe a prestare a man bassa agli Stati indebitati, dove prendono una quantità di rendita di interessi garantiti.

Come al solito per la BCE: troppo poco e troppo tardi. Anzi la decisione può dare effetti contrari agli attesi, con fughe dei depositi e destabilizzazione dei mercati monetari.

La riduzione del tasso primario, da 0,25 allo 0,15, è un altro bricolage ridicolo, nella vaga speranza che questo deprezzerà un po’ l’euro fortissimo: le operazioni sui tassi sono un’arma spuntata, a questo punto. I media sussidiati esultano: «I mutui costeranno meno!». Sì: di 10 euro (dieci). Più che compensati dal ribasso degli interessi sui depositi che le banche ci faranno. Le banche ci danno da un lato solo quando prendono dall’altro.

Di nuovo, non c’è che lasciare la parola a SE: «Il nuovo regime relativo ai tassi interbancari ed alla novità assoluta del tasso negativo sui depositi overnight sicuramente sarà un incentivo, non particolarmente forte, per le banche affinché aumentino i propri impegni, però, come effetto secondario,provocheranno un aumento dei costi per gli istituti di credito: infatti è impensabile che una banca riesca a detenere Zero liquidità overnight. Questo costo ulteriore sarà sicuramente riversato sui correntisti».

Draghi stampa euro!

Ebbene sì, battete le mani: Draghi «ha aumentato la massa monetaria in circolazione di circa 165 miliardi di euro», un vero e proprio quantitative easing. Ovviamente, troppo poco e troppo tardi - ma speriamo che abbassi un pochino l’euro e dia respiro alle nostre aziende esportatrici. Speriamo anche che produca un pochino d’inflazione: dopotutto, la BCE ha ridotto la massa monetaria ormai da anni, e manca clamorosamente il suo target del 2% d’inflazione. L’inflazione è sotto il 2%, nei Paesi del Sud è già deflazione.

Ma quanto è fondato questo calcolo? Il problema della zona euro non è la mancanza di denaro; anzi le banche rigurgitano di risparmi non impiegati, anzitutto dei surplus tedeschi lucrati con l’export più mostruoso della storia, e non redistribuiti. Perché non sano dove impiegarlo le banche, e non lo chiedono le imprese? Perché i salari sono così bassi. La deflazione è causata oggi, direttamente, dalle politiche di restrizione salariale e di «rientro» del debito statale imposte – simultaneamente – dalla UE. O l’una o l’altra; fare l’una e l’altra, è crudele ed inutile, anzi gravissimamente dannoso. Eppure questa è la dottrina dell’eurocrazia, continuamente riconfermata nonostante i risultati disastrosi: «Non c’è alcuna contraddizione fra austerità e crescita», ha esalato ancora una volta Barroso: «Il risanamento dei bilanci è la condizione per il ritorno della fiducia e dunque della crescita». Da cui si vede che una delle riforme essenziali consisterebbe nella fucilazione di Barroso. Ma poi, dopotutto, Barroso fa solo il ventriloquo della Merkel.

La riduzione dei costi salariali per acquistar «competitività» è la più delinquenziale cretineria immaginabile. A parte che i costi maggiori in Italia sono le inefficienze e la corruzione pubblica (vedi MOSES, vedi Clini coi fondi per le paludi dell’Iraq che si è tenuto...), anche in Germania i costi dei salari sono una parte minima e ininfluente dei costi generali. La Germania, oggi, dovrebbe almeno aumentare i suoi salari interni (tanto, le imprese tedesche si stanno incamerando un 40% buono della maggiore produttività del lavoratore germanico), per non dire che dovrebbe distribuire i suoi mostruosi surplus a programmi di opere pubbliche infrastrutturali pan-europee (tanto, le banche tedesche che ne sono strapiene li sprecano in avventure finanziarie rovinose: vedi Deutsche Bank in dissesto e le Landesbanken che la Merkel non lascia esaminare dai revisori internazionali...).

Ci sono persino degli economisti francesi che dicono che l’aumento generale dei salari in Europa, e non l’ennesimo regalo alle banche, basterebbe a farci uscire dalla deflazione, e per di più abbasserebbe il corso dell’euro riducendo l’eccedente complessivo dell’euro-zona (export), che è la vera causa della sua forza della stupida moneta unica rispetto al dollaro. Secondo i loro calcoli, l’aumento del salari porterebbe ad una crescita (per la Francia l’hanno calcolata allo 0,6% del Pil), a un aumento dei posti di lavoro, e a un po’ d’inflazione aggiuntiva – che nella attuale condizione consentirebbe agli Stati (Italia) e alle famiglie (in Europa) di dis-indebitarsi più velocemente, diluendo il debito. (Les salaires au cœur de la crise de la zone euro? Odile Chagny, Michel Husson et Frédéric Lerais,Revue de l’IRES n°173, 2013).

Naturalmente, tutto ciò è orrore per il dogma ortodosso dell’economia. E non ha alcuna possibilità di essere applicato. Draghi ha predicato di ridurre le tasse, che è bello a dirsi ma non a farsi per l’Italia, che deve rientrare dal debito e per di più strapagare la Casta inadempiente, parassita e incapace quanto (e forse più) che corrotta. Ridurre le tasse? Lo farà magari la Germania, e la Polonia di sicuro. Forse la Francia con la revisione delle Regioni (le nostre possono ancora spendere a spandere senza limite alcuno), Madrid con una burocrazia molto meglio della nostra e un re che guadagna 300 mila euro l’anno. Ma noi? Per favore, non sogniamo.

Resta un giudizio generale sulle misure draghiane, tanto applaudite dai media. Draghi ha fatto di tutto un po’ e un poco di tutto, quantitative easing, tassi negativi, soldi alle banche, mai «economia reale». Il suo è «un colpo di spada nell’acqua». Sa benissimo che è poco o nulla; fonda le sue speranze su una ripresa, su una crescita magari proveniente dall’estero (BRICS, USA, Cina) che ci faccia galleggiare

Ha persino detto che la crescita non è nelle possibilità della BCE; ottima ammissione. Ma ciò significa che le sue misure si configurano come «gestione della crisi» e non «uscire dalla crisi». Lui insiste a negare che la deflazione esista – come gli ordinano di dire i tedeschi; ha riconosciuto che rischia però di installarsi, il che è già qualcosa, e annunciato che allora farebbe un quantitative easing. Quando?

Nel lungo termine saremo tutti morti, come disse Keynes. Per noi italiani, il lungo termine è di poche settimane. Già settembre sarà tardi, avremo milioni di disoccupati in più e migliaia di altre industrie chiuse. E le nuove tasse sugli immobili, sulle «rendite», sulle eredità... auguri.



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