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La Grecia passa al dollaro?
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Ecco i dati essenziali del bilancio greco per il 2012, secondo il settimanale ellenico Epikaira: su 170 miliardi di euro di spese pubbliche, 88,5 miliardi andranno a pagare gli interessi e gli altri aggi sul debito (si capisca bene: zero rimborso del capitale, puri e semplici interessi). Gli introiti fiscali si stimano a 54,7 miliardi di euro.

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Atene dunque dovrà prendere in prestito il 52% della sua spesa pubblica solo per pagare gli interessi sui prestiti precedenti: puro grasso che cola per la speculazione, mentre il crollo del PIL a -5%, e la metà della popolazione disoccupata, naturalmente, non ha grasso da farsi risucchiare. E con le austerità sanguinarie a cui è sottoposto il popolo, è da escludere la «crescita» tanto cara alla neolingua orwelliana della UE (ricordate la promessa del Grande Fratello? «Crescita, Stabilità, Equità»).

Dunque, come ha detto Barroso a Die Welt (6 dicembre) «se la Grecia non onora i suoi obblighi, allora è da considerare una uscita dall’euro».

Ma ecco la sorpresa: Atene non tornerà ad emettere la povera dracma, ma sarà agganciata al dollaro.

È lo stesso periodico Epikaira, il 2 dicembre, in un articolo a firma congiunta del giornalista economico Kalarrytis e dell’economista Vatikiotis, a rivelare che al piano sta lavorando... la Federal Reserve. Ecco il testo:

«Al di là dellAtlantico, dopo aver lanciato tutti gli appelli (all’Europa) per rimediare alla crisi passando allazione, si comincia ormai a dirsi che bisogna preparare dei progetti per la penetrazione del dollaro nella zona euro. Lentrata del Fondo Monetario Internazionale per salvare leuro dalla crisi greca è stata la prima importante tappa. Il prossimo tentativo sarà la sostituzione delleuro col dollaro, per i Paesi che potrebbero uscire dalleurozona, ormai data come in via di collasso. Per questi Stati, il dollaro diverrebbe allora la moneta nazionale».

«Si comincerà ancora una volta dalla Grecia. Si tratta di un progetto elaborato da un gruppo di lavoro, che lha poi messo a disposizione del Dipartimento del Tesoro e dellla Banca Centrale americana (FED). Lo studio conta 74 mila parole ed è stato preparato da diverse università e istituti economici in USA». (Le 52% et le dollar de Thésée)

Rivelazione o disinformazione? Lo si vedrà presto. Certo è che per la Grecia, la dollarizzazione presenterebbe molti vantaggi.

Non solo il dollaro è svalutato rispetto all’euro, il che renderebbe la Grecia più competitiva, non però dell’80% come sarebbe la dracma, se la Grecia dovesse emettere la sua moneta; ma il Paese diverrebbe soggetto ad una Banca Centrale che – al contrario della BCE, che non accetta di aiutare gli Stati a finanziare il loro deficit – non si dà limiti a stampare moneta. Persino troppo generosa. La convenienza è accentuata dal fatto che la maggiore attività economica ellenica, la sua grande flotta mercantile, con i suoi noli è naturalmente nell’area del dollaro.

Per gli Stati Uniti, l’adozione della Grecia avrebbe un costo risibile. Il Paese rappresenta il 2% del PIL europeo; che cosa volete che pesi sui bilanci dissestati di Washington, dove è in dissesto la California, 60 milioni di abitanti, e che se fosse indipendente sarebbe forse lo Stato più ricco del pianeta? Un po’ di dollari in più, che la FED non esiterà a stampare.

Tanto più che Washington ha a disposizione un giacimento tributario che non vuole usare per motivi ideologici, ma a cui potrà mettere mano quando vuole: se tassa il suo 1% più ricco della popolazione con l’aliquota del 44% (la stessa che grava sul medio contribuente italiano) avrebbe un introito fiscale aggiuntivo pari al 2,7% del PIL – l’enorme PIL americano di 13 mila miliardi: ossia può disporre di altri 405 miliardi dollari l’anno; e non dollari inventati, ma dollari pagati dai contribuenti, dollari veri. (Taxing the 1%: Why the top tax rate could be over 80%)

E quali i vantaggi per Washington? Evidenti, se si pensa come lo status del dollaro come moneta di riserva mondiale sia a mal partito, e sempre più apertamente sfidato dagli «emergenti», Cina e Russia in testa. L’articolo di Epikaira attribuisce alla politica americana il progetto di «penetrazione nella zona euro».

Un successo nel passaggio della Grecia dall’euro al dollaro (successo non difficile da ottenere, date le dimensioni del Paese) sarebbe un invito per gli altri Stati che via via, sicuramente si troveranno in difficoltà ad «onorare i loro obblighi», e a sopportare le austerità imposte da Berlino, e saranno o espulsi dall’euro, o tentati di uscirne. Molto più facile che il caotico ritorno all’emissione di monete nazionali, con le relative drammatiche svalutazioni e le conseguenti fiammate inflazioniste, per questi Paesi sarà aderire alla moneta già esistente, conosciuta ai mercati come la moneta di riserva mondiale.

A termine, gli USA attueranno una unione con l’Europa, o parti importanti di essa, più efficace e durevole di quella pericolante che oggi si basa sulle alleanze atlantiche. Sul piano strategico, se esiste, il piano è acuto e sagace. E la Germania subirebbe l’ennesima storica sconfitta, frutto della sua ben nota brutalità impolitica. Ma anche questo ce lo siamo già detto.



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