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Lusi, il mio eroe
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Giovanni dalle Bande Nere, Ghino di Tacco, Marconi, Quelli di El Alamein, Madame Curie, Fermi, Madre Teresa... ognuno coltiva nell’anima il culto a un suo eroe. Poichè di questi giorni bisogna contentarsi, propongo al culto un eroe del nostro tempo: il senatore Luigi Lusi, vicepresidente della Commissione Bilancio del Senato, nonchè componente della giunta per le immunità – due incarichi per cui si può dire «l’uomo giusto al posto giusto».

Come tutti sapete, il senatore Lusi ha sottratto 13 milioni di euro (26 miliardi di lire) dal tesoretto della Margherita, di cui è esponente rispettato e fidato tesoriere.

Perchè farne un eroe? Perchè Lusi ha rubato ai ladri. Il che nè fa una specie di Robin Hood della politica. Robin rubava ai ricchi per dare ai poveri, questo ha rubato ai ladri per farsi ricco. È una somiglianza a metà, ma – come dicevo – di questi giorni occorre contentarsi.

Che il tesoretto della Margherita sia il bottino di ladri di denaro pubblico, dai ladri denominato «rimborso elettorale», è noto: sono rimborsi molte volte superiori alle spese effettivamente sostenute dai partiti, che i partiti stessi si sono elargiti. Per la Margherita si tratta del 194% in più, e non è nemmeno il rapporto peggiore, avendo Alleanza Nazionale ricevuto 65,5 miliardi e spesi 6,2 (incamerando il 951% in più), il non più esistente Ulivo il 956%, l’introvabile Rifondazione Comunista il 2000% (2mila per cento) rispetto alle spese, Lega Nord più del triplo delle spese sostenute, IDV quasi il quadruplo.

La Margherita non è dunque il più esoso fra i ladri sopra denominati, anche se 31 milioni di rimborsi sui 10 spesi nelle elezioni è pur sempre un bel furto, specie per un partito che ufficialmente ha cessato di esistere. Ma la coscienza che si tratti di un malloppo, ossia di un bottino refurtivo, è lampante dai comportamenti degli stessi esponenti della Margherita. Riunioni per approvare il bilancio tenute all’alba, con alcuni dei complici non messi al corrente dei dettagli contabili (dice Parisi).

Lusi ha sottratto via via il bottino, con ben 90 bonifici a società-fantasma risalenti a lui, a botte di 150 mila euro a volta – con l’evidente sicurezza che i membri e dirigenti del partito non l’avrebbero denunciato. S’è mai visto un ladro denunciare alla Polizia il furto della refurtiva? Infatti non è stata una denuncia di Rutelli, o di Parisi, a rivelare l’ammanco; sono state indagini autonome di Bankitalia e della Finanza, insospettite di tanti bonifici a società sospette all’estero.

Quando poi lo scandalo è scoppiato, Rutelli – zitto zitto fino a quel momento – ha strillato, s’è detto offeso e tradito, che si costituirà parte civile: lui che aveva la co-delega alla gestione dei suddetti fondi. S’è dichiarato derubato «a sua insaputa». La stessa scusa di Scajola. E di quel Malinconico, che è andato in vacanza nell’albergo più caro dell’Argentario, e un noto palazzinaro gli ha pagato il conto a sua insaputa. Vedremo se la magistratura, così ostinata a perseguire la corruzione politica in altri casi, prenderà per buona la scusa. I dubbi ci sono: Rutelli sembra essere altamente protetto, alla 7 gli è stato offerto il palcoscenico di Lilli Gruber, in prima serata, per recitare il Cado dalle nubi, la sua imitazione di Checco Zalone.

Il senatore Lusi ha fatto bene a rubare i 13 milioni anche per un’altra importante ragione: quel denaro, al partito, non serviva.

Il minuscolo direttivo dei compari-margheriti se lo coccolava, periodicamente andava a rivederselo, tirava fuori il pentolone di monete d’oro e lo accarezzava con gli sguardi, ma non lo utilizzava per l’azione politica. Ed anche se ogni tanto mettevano le mani nel pentolone, non riuscivano mai a svuotarlo.

Lo dimostra il rendiconto stilato dallo stesso Lusi, dove per il 2010 sono indicati 9,6 milioni (19 miliardi di lire) di spese. Spese platealmente gonfiate, che è bello rievocare voce per voce.

533.891 euro (oltre 1 miliardo di lire) sono stati spesi per il «sito internet» del partito: un po’ caro, per un sito che, se si va a vederlo (www.margheritaonline.it ), dà una pagina vuota. Com’è giusto, dato che il partito non esiste più.

794 mila euro (1,6  miliardi in lire) per «pulizia e manutenzione della sede» della Margherita: 2.175 euro, ossia più di 4 milioni di lire al giorno per ognuno dei 365 giorni, la sede deve essere tutto un brillare di argenti ed ottoni. E le donne delle pulizie devono essere delle granduchesse.

1.634.277 euro (in lire, farebbero 3,2 miliardi) per «spese collaboratori, consulenze contabili e amministrative, revisori, legali, notarili, e consulenze per riorganizzazione delle strutture»: dispiace constatare che Lusi non sia stato più preciso: quali «consulenti» e quali «collaboratori»? Piacerebbe conoscere nomi e cognomi. La cifra pare un po’ troppo grossa per «consulenti contabili e revisori» che poi non si accorgono che Lusi ha sfilato 13 milioni. A meno che proprio la loro cecità e il loro mutismo siano stati adeguatamente compensati.

3.825.809 euro (7,6 miliardi di lire) per «spese di attività di comunicazione, informazione e propaganda politica»: per un partito che ha cessato di esistere, e quindi di «informare» e fare «propaganda»?

637 mila euro (oltre 1,2 miliardi) per «spese postali, fotocopie e di rappresentanza»: 1.700 euro al giorno. Le fotocopie e i francobolli costano davvero troppo. Per tacere dei costi di «rappresentanza»: se rappresentare un partito ufficialmente scomparso costa così tanto, figurarsi un partito ancora vivo e vegeto.

868 mila euro (1,7 miliardi di lire e passa, oltre 4,5 milioni di lire al giorno, domeniche comprese) per «utenze telefoniche»: telefonare a chi, se il partito è inesistente, e dunque non ha più attivisti nè militanti, nè decine di impiegati?

944 mila euro (1,8 miliardi in lire) per «spese viaggi, trasferte, rimborsi spese, automezzi»: e anche qui, è da deplorare che non si specifici quali ed quanti automezzi siano stati noleggiati (Rolls Royces?), quanti e quali «trasferte e viaggi», e per quali destinazioni siano stati pagati i dirigenti della Margherita – evidentemente sempre in viaggio per il fu-partito – giusto per escludere che una delle destinazioni sia l’arcipelago tropicale delle Maldive, che ha ospitato recentemente Rutelli e gentile signora, insieme all’amicone Gianfranco Fini con donna Tulliani da Montecarlo?

Fatto sta che si aveva un bello spendere quattro o cinque volte più del dovuto, un bel gonfiare le spese e renderle gigantesche con soggiorni alle Maldive; nella Margherita non si è riusciti ad esaurire il tesoretto. Tanto più che ai 30 miliardi di cosiddetti rimborsi elettorali versati dallo Stato nel 2001, si aggiungono nel 2004 altri 30 milioni per le Europee.

Non basta: nel 2006 vince il centro sinistra, la Margherita raccoglie un bel numero di voti, Rutelli diventa vice-premier, e dunque riceve altri rimborsi: altri 56 milioni. Dal 2001 fino al suo scioglimento, la Margherita incassa dai contribuenti 159 milioni di euro; quando poi decide di auto-eliminarsi confluendo nel PD, ne riceve altri 60. In tutto 223 milioni di euro, oltre 440 miliardi di vecchie lire: troppi, troppi soldi per un partito secondario, figurarsi per gli altri, i due principali (1). La Margherita non sa come spenderli. Non si riescono a sprecare abbastanza velocemente, non si riesce ad intascarli con lo stesso ritmo frenetico con cui lo Stato devolve i cosiddetti rimborsi: quello stesso Stato, sia detto per inciso, che aspetta 36 mesi o più per pagare i fornitori, costringendoli a fallire o a suicidarsi sotto la minaccia di Equitalia.

Mettiamoci nei panni di Lusi, il tesoriere di quel tesoro dormiente. Il partito non li chiede. Il tesoretto non serve a niente. Il denaro dorme, e ad un tesoriere con il pallino della finanza questo fa piangere il cuore. Lusi cerca di investirlo all’estero, in segreto, in una società canadese che, per caso, è di sua moglie. Poi lo riporta in Italia approfittando dello scudo Tremonti, il condono, l’esenzione fiscale per i ricchi che Pd e Margherita hanno così aspramente denunciato. Ma insomma, alla fine non si sa più dove metterlo, quel denaro. È esattamente la stessa situazione scomoda in cui si trova la Lega: troppi soldi, inutili per l’azione politica. Si è finito per investirne 7 milioni nei BOT della Tanzania.

È quasi naturale che Lusi cominci a investirlo per sè. Una casa a Roma per 1,9 miliardi, la villa seicentesca a Genzano. Sa che nessuno nel defunto partito se ne accorgerà. O se se ne accorgerà, non avrà il coraggio di montare uno scandalo, rivelando al pubblico ignaro l’esistenza del pentolone coi dobloni.

Oggi, molti esponenti della Margherita e del Pd, a cominciare da Rutelli, sono concordi nel descrivere il senatore Lusi come uno scout, un moralista tutto d’un pezzo, un lesinatore dei rimborsi-spese ai dirigenti: Dottor Jeckyll e Mister Hyde, ripetono tutti. È vero, Mister Hyde, quando si riempiva di peli e di zanne, non sapeva di essere il Dottor Jeckyll, il brillante scienziato e rispettato cittadino. Finisce che anche Lusi avrà rubato i 13 milioni a sua insaputa.

Al povero Lusi dobbiamo riconoscere un altro merito: ha fatto esplodere lo scandalo dei «rimborsi elettorali» moltiplicati per tre, per nove, per venti volte le spese sostenute. Ha reso noto all’opinione pubblica il misterioso moltiplicatore di denaro inserito per legge dai deputati e senatori per farsi miliardari. Oggi, lo denuncia anche Parisi: «Il vero scandalo è il meccanismo dei rimborsi elettorali, in realtà un finanziamento pubblico: quel finanziamento pubblico che era stato bocciato per referendum dal popolo italiano». Nobili parole. Anche un esponente del Pd dice, su La 7, che il vero scandalo è questo. Ma è una legge da lei votata, gli si obietta. E lui: era una di quelle leggi con 600 articoli e codicilli, i deputati le approvano senza leggerle, sapete come succede... Tutti hanno votato quella legge che li fa ricchi, a loro insaputa.

E guardate che mica è solo Rutelli, mica solo la Margherita. Alleanza Nazionale ha incassato 65,5 milioni e ne ha spesi realmente 6,2 per le elezioni: gli restano 59,2 milioncini. Soldi inutili alla lotta politica, visto che anche AN non esiste più. Come se li sono spartiti Fini e i suoi ex-colonnelli?

Dati i precedenti di Fini (che si è appropriato di un bene del partito, l’appartamento a Montecarlo, mettendoci il cognato Tulliano’s), si può essere certi che ha da parte un bel po’. Ci si domandava come mai fosse così tranquillo e sicuro di sè dopo il naufragio della sua carriera politica in scelte demenziali, fino a far comunella con Casini e Rutelli. Non ha paura di restare senza voti, senza elettori? Di dover andare a lavorare? No, non c’è pericolo. Fini, il presidente della Camera, l’alto moralista, sa di aver da parte una trentina di milioni. O una ventina? O una quarantina?

Non importa. Sono sempre decine di milioncini, miliardi in vecchie lire: abbastanza per assicurare una serena vecchiaia ad un trombato di lusso, a un politico fallito costretto a vita privata – tanto più se uniti al grasso vitalizio del parlamentare. Lo steso per Rutelli.

Ci siamo spesso domandati: ma questo Rutelli, chi lo vota? La Margherita era un progetto politico fallito da anni; come mai Rutelli è sempre lì, sopravvissuto al fallimento? Ora lo sappiamo: la Margherita, Rutelli, esistono per lo stesso motivo per cui esiste Fini, o Veltroni: perchè hanno i soldi. Soldi nostri. Soldi non guadagnati. Proprio per questo, tanto più graditi.

Riccardo Conti
  Riccardo Conti
Ormai, un politico non ha rispetto di se stesso se non diventa miliardario. In istruttiva coincidenza con la scoperta degli ammanchi di Lusi alla Margherita, le cronache hanno lanciato il caso del senatore del Pdl Riccardo Conti: quello che ha comprato per 26 milioni un edificio di lusso al centro di Roma, per rivenderlo lo stesso giorno all’Ente di previdenza degli psicologi a 44 milioni, intascando una plusvalenza di 18 (36 miliardi in vecchie lire). L’Ente non poteva comprarlo dal primo venditore, il prestigioso edificio? Non domandatelo: i dirigenti dell’Ente non rispondono a nessuno, la cifra sborsata è «congrua». Il senatore Conti addirittura s’indigna: «Sono un immobiliarista di successo, e allora?...». Almeno non ha detto che tutto è avvenuto a sua insaputa.

A noi, che abbiamo dato quei miliardi svenandoci, non resta che considerare tristemente che avremmo saputo come investire quei 13 milioni che la Margherita, o la Lega, o AN o l’Ulivo (già, esiste ancora almeno come uscita contabile, ha un tesoretto di 73 milioni, nove volte più delle spese elettorali sostenute) non sanno come usare, e sono costretti a sprecare in ville e Maldive e titoli tanzaniani. Per esempio, immaginate 13 milioni ad un istituto di ricerca serio, quanti ricercatori avrebbe mantenuto in attività, conservandone le competenze uniche: si accontentano di così poco, i giovani in camice bianco che hanno dovuto andare in Svezia e Danimarca perchè qui facevano la fame con borse di studio semestrali forse non rinnovabili, e gli lesinavano perfino i macchinari e le attrezzature per il loro lavoro!

Oppure, per tornare al discorso, immaginate i 381 milioni (640 miliardi di lire) rimasti appiccicati ai partiti nel solo 2006 (il triplo di quanto speso nella campagna elettorale), se lo Stato li usasse per pagare a tempo i suoi fornitori! Immaginate che stimolo all’economia, che contributo alla ripresa, al Salva-Italia, al Cresci-Italia! Quanti taxisti, quanti farmacisti e notai si devono privatizzare, quanti evasori bisogna scovare e punire per recuperare 381 milioni? Hai voglia a privatizzare...

Così, spero almeno che abbiano una risposta quei lettori i quali dicono: non è coi tagli ai parlamentari, ai loro emolumenti, che si risana la finanza italiana. O sì, è proprio mettendo alla fame loro, i legislatori, che si risana; altrimenti non si risana un bel nulla. Se si arriverà a questa conclusione, sarà un non piccolo merito di Lusi – il mio eroe.

Sono loro che hanno svenduto la rappresentanza che noi elettori avevamo delegato loro, al governo degli oligarchi tecnocrati. Oggi, Monti deride i cittadini giovani perchè aspirano al posto fisso; un altro vice-ministro chiama «sfigati» quelli che si laureano tardi, esattamente come Padoa Schioppa chiamò «bamboccioni» i giovani costretti a vivere in famiglia per mancanza di reddito.

È ovvio che un governo di oligarchi insulti e disprezzi la popolazione. Potremmo sbattere fuori quegli oligarchi e tecnocrati con elezioni, anche subito. Ma poi? Li sostituirebbero questi «politici» col tesoretto clandestino, seduti su miliardi nostri che hanno rubato, e che si fanno rubare perchè non sanno come usarli. Farci amministrare da loro? Vengono i brividi.

Non abbiamo alternativa alcuna: questi politici ributtanti e ladri, oltretutto, impediscono l’emergere di esponenti politici nuovi, di una classe dirigente rinnovata in cui il popolo abbia fiducia, perchè loro hanno i miliardi da parte, e i nuovi (senza tesoretti), non possono competere.

Comunque: grazie, Lusi, per averci aperto gli occhi. Grazie, nostro eroe a tua insaputa. Bisogna contentarsi.





1) Per la sola campagna elettorale del 2006, Forza Italia ha speso 50 milioni, ed ha ricevuto un rimborso di 128 e passa: il 157% più del dovuto. I democratici di sinistra hanno speso quasi 10 milioni e ne hanno incassati 47: il 371% in più, un tesoretto messo da parte di 37 milioni. L’Ulivo, ha ricevuto in rimborsi 9 volte le spese sostenute, ed ha da parte 73 milioni: all’insaputa, ritengo, di Prodi e Veltroni. Di Pietro ha ricevuto rimborsi pari al 382% delle spese elettorali reali, ed ha da parte 8,5 milioni. Casini ha da parte 24 milioni di tesoretto. Rifondazione Comunista: ha ricevuto 20 volte più (il 2.035%) di quello che ha speso per le elezioni: ha da parte un tesoretto di oltre 33 milioni.



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