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Caro Monti... e l’AVCP?
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Chi conosce il settore dei pubblici appalti sa che ogni operazione commerciale finanziata con denaro pubblico è posta sotto il «vigile occhio» dell’AVCP (Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici).

L’Authority (volgarmente detta) ha visto negli ultimi anni aumentare potere e competenze; dal monitoraggio dei soli lavori pubblici, sotto le sue ali si sono annidati anche i cosiddetti appalti di fornitura e servizi (termine di origine comunitaria, in realtà atecnico dal punto di vista del diritto italiano, stando al Codice Civile – in quanto l’appalto di fornitura è figura tipica inesistente e viene a coincidere con la semplice compravendita, per esempio – ma ormai di uso invalso nella prassi e nella giurisprudenza), moltiplicandone gli importi di interesse.

L’ultimo intervento normativo per il quale l’AVCP ha ottenuto nuovo lustro al suo blasone è stata la legge 136/2010, uno degli interventi sulla tracciabilità dei flussi finanziari, che (cosa buona) obbliga al monitoraggio del denaro pubblico dall’origine (ente deliberante lo stanziamento) fino alla sua ultima destinazione (appaltatore, ma anche subappaltatore e via dicendo). I pagamenti devono essere effettuati necessariamente a mezzo bonifici bancari con indicazione del relativo codice CUP o CIG. Tali codici sono rispettivamente il Codice Unico di Progetto (essenzialmente per interventi di lavori di tipo strutturale) ed il Codice Identificativo della Gara.

Ora, quest’ultimo è appunto il CIG. Tale CIG è rilasciato dall’AVCP alle stazioni appaltanti. L’utilità di questo codice era, quando fu pensato al principio, quello del solo monitoraggio dei pubblici appalti e solo per certi importi. Ad oggi, a cascata delle modifiche normative intervenute, la situazione è questa: per ogni commessa pubblica affidata all’esterno da parte di ogni stazione appaltante d’Italia, deve essere richiesto un codice CIG; tale codice fotografa in certo modo sul sito dell’Authority l’appalto da affidare. Questo consentirebbe alla stessa di prenderne visione ed effettuare il debito monitoraggio. E fino a qui, tutto lineare e legittimo.

Se  non che… forse i più ignorano che l’emissione del CIG ha un costo... Mica è gratis! L’AVCP – organo di diramazione pubblicistica, a sua volta (al punto che viene da chiedersi chi effettui il monitoraggio per gli appalti indetti dalla medesima AVCP) – per ogni singola commessa di importo superiore (fermo restando che per tutte vada ottenuto il CIG) ai 40.000 euro, deve ricevere dalle stazioni appaltanti un pagamento di 30 euro. Sopra i 150.000 pagano anche i concorrenti alle gare (i concorrenti, non gli aggiudicatari!!! Badate!). I pagamenti avvengono a seguito dell’emissione di un MAV a competenza quadrimestrale. Attenti alle cifre.

Una comune stazione appaltante, difficilmente spenderà meno di 1.000 euro ogni quadrimestre… e quindi sono circa 3.000 euro in un anno… Ma, teniamoci bassi: diciamo che si spendono circa 1.000 euro in un anno di contributo obbligatorio all’AVCP, da parte delle sole stazioni appaltanti.

Sapete quante ne abbiamo in Italia? Circa 20.000. Fate il conto!

20 milioni di euro all’AVCP solo, e dico solo!!!, dalle stazioni appaltanti. Con i concorrenti, questa cifra deve essere per lo meno raddoppiata! Siamo a 40 milioni. Ma, attenzione: ci stiamo tenendo bassissimi!!! Le cifre potrebbero tranquillamente superare i 100 milioni di euro l’anno.

La domanda è: per cosa? Cosa ci fa l’AVCP con tutti quei soldi? La sua attività di monitoraggio e di supporto interpretativo della norma giustifica tale ammontare?!... Chiamate una volta il contact center (con tutto il rispetto per coloro che vi lavorano, che rispondono sulla base degli strumenti loro concessi...) e rendetevene conto da voi. Ma Monti... lo sa?

Stefano Maria Chiari



 
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