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Il modernismo e i modernisti durante il pontificato di Benedetto XV
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Benedetto XV ha avuto un’attitudine sostanzialmente diversa da quella di San Pio X nei confronti del modernismo? Alcuni lo sostengono. Tuttavia, se si studiano gli atti e la storia del pontificato di papa Della Chiesa e li si confrontano con quelli di papa Sarto, si riscontra che - quanto all’esposizione della dottrina cattolica e alla condanna teoretica del modernismo – non vi fu assolutamente alcun cambiamento. Infatti, dottrinalmente, Benedetto XV è stato un Papa assolutamente ortodosso e chiaramente antimodernista; mentre si riscontra realmente un diverso modo di agire, soprattutto, per quanto riguarda le condanne nei confronti di alcuni singoli modernisti, poiché Benedetto XV in ciò fu meno intransigente di Pio X. Ciò significa forse che il primo avesse delle tendenze, se non teoreticamente moderniste, almeno praticamente modernizzanti? Non mi sembra. Cercherò di approfondire questo tema, studiando la questione testé sollevata, fondandomi su un recente saggio molto interessante e ben documentato di Giovanni Vian e naturalmente su quello che ha scritto negli anni Sessanta/Settanta uno dei massimi studiosi del cattolicesimo integrale e del modernismo, Emile Poulat (Intégrisme et catholicisme intégral, Tournai, Casterman, 1969; Catholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvement catholique et Mgr Benigni, Tournai, Casterman, 1977) a questo riguardo.

Il conclave del 1914

Abbiamo già parlato brevemente della morte di San Pio X e del conclave che la seguì, in cui venne eletto Papa il cardinale Giacomo Della Chiesa, il quale prese il nome di Benedetto XV. Ora, grazie alle memorie del cardinale Piffl (di cui parlerò oltre), sappiamo che in quel conclave alcuni storici, per schematizzare, videro una certa contrapposizione tra due schieramenti: 1°) quello dei cattolici “integrali”, che avrebbero voluto un Papa in piena continuità teoretica e pratica con il pontificato di Pio X, capeggiato dai cardinali Raffaele Merry del Val, Gaetano De Lai e Tommaso Pio Boggiani e 2°) quello dei cattolici “moderati”, che avrebbero voluto un pontificato senza le denunce astiose, eccessive e delatorie, portate avanti da alcuni elementi del movimento cattolico/integrale, persino contro coloro che erano soltanto presunti modernisti; inoltre i cosiddetti “moderati” avrebbero voluto, nel medesimo tempo, la riaffermazione della dottrina cattolica, la condanna  – teoretica e pratica, ma giusta e non basata sui sospetti – del modernismo e dei modernisti reali, senza colpire pure quelli “immaginari” e “reputati” tali. Questo secondo schieramento fu capitanato dal cardinal Pietro Gasparri, visto dagli storici come il continuatore del pontificato di Leone XIII e l’anticipatore di quello di Pio XI e di Pio XII.

All’inizio del conclave i “moderati” votarono per Ferrata e Maffi, ma poi pian piano i voti si spostarono sull’arcivescovo di Bologna e il 3 settembre del 1914 venne eletto il cardinal Giacomo Della Chiesa, considerato come uno dei “moderati”, anche se meno “moderato” dei cardinali Domenico Ferrata, Pietro Maffi e Antonio Agliardi (G. Vian, Il modernismo durante il pontificato di Benedetto XV, tra riabilitazioni e condanne, in A. Melloni – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, I vol., p. 463).

L’andamento del conclave del 1914 è documentato dalle note che prese durante il suo svolgimento il cardinale arcivescovo di Vienna, Piffl, le quali non vennero distrutte e furono ritrovate dopo la sua morte, edite in M. Liebmann, Les conclaves de Benoit XV et de Pie XI. Notes du cardinal Piffl, in “La Revue Nouvelle”, n. 38, 1963, pp. 34-46.

In particolare il cardinale Della Chiesa si mostrò 1°) più fermo dei cardinali Ferrata, Maffi e Arquati, continuando la linea appresa dal suo vecchio maestro, il cardinal Mariano Rampolla del Tindaro (il Segretario di Stato di Leone XIII), che aveva propugnato fermamente la necessità di una condanna dottrinale forte del modernismo e dei modernisti, in linea con l’Enciclica Pascendi di San Pio X e senza alcuna discontinuità sostanziale con lui; 2°) non arrivando, però, alla pratica eccessiva e astiosa di controllo, di denuncia e di deposizione anche dei presunti modernisti (che talvolta era stata portata avanti da monsignor Umberto Benigni e dal Sodalitium Pianum e che degenerò anche in critica verso i cardinali “integrali” Merry del Val e De Lai, reputati non sufficientemente “integrali” o contro La Civiltà Cattolica e padre Enrico Rosa, che in realtà furono fieri avversari del  modernismo). Fu anche questo eccesso a far cambiare rotta  – quanto al modo di agire – a Benedetto XV, che ricondannò il modernismo e i modernisti, ma proibì di reputare “modernisti” coloro che avevano opinioni ortodosse, anche se diverse da quelle di alcuni “integrali”, i quali reputavano solo se stesi come integralmente cattolici e condannavano tutti gli altri come liberali e modernizzanti, se non addirittura modernisti.

Quindi si esagera, già dall’inizio, se si presenta storicamente la figura di Benedetto XV come quella di un liberale o di un modernizzante, se non addirittura di un modernista oppure di un “moderato tout court”, che si sarebbe limitato ad una pura condanna verbale e teorica del modernismo, senza condannare anche i modernisti, lasciandoli così prosperare nella Chiesa e corrompere la divina Rivelazione.

Papa Della Chiesa, circa due mesi dopo la sua elezione, nella sua prima Enciclica programmatica Ad beatissimi del 1° novembre 1914, ribadì questa linea - ferma dottrinalmente, ma giusta nella pratica – in cui invitava i cattolici a non attaccarsi vicendevolmente, insultandosi con appellativi quali “moderati” e “integrali”, poiché bastava professarsi cattolico per stare in regola nella Chiesa e con Dio. Infatti non c’è nulla di male nel definirsi “cattolici integralmente”, a condizione che – in base a questa definizione – non si condannino tutti coloro che non la pensano esattamente come noi quali modernisti o non “cattolici integrali”.

Certamente Benedetto XV con la sua Enciclica chiedeva specialmente al Sodalitium Pianum (d’ora in poi SP) di monsignor Benigni di non continuare, in concreto, la propria lotta veemente contro i modernisti, che era buona in sé, ma che venne condotta spesso con qualche eccesso e che il Papa voleva ora far cessare proprio quanto agli eccessi, che purtroppo vi furono realmente come vedremo oltre.

Per esempio nell’ambiente di monsignor Benigni ci si convinse, pochi mesi dopo l’Enciclica, che quello di Benedetto XV fosse “un pontificato di sventura” (cfr. lettera di Francesco Antinori a Benigni, 4 dicembre 1915, cit. in G. Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X, Roma, 1998, p. 183; cfr. anche E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Tournai, 1969, p. 601, nota n. 2) anche per questi motivi Benedetto XV prese le distanze dalle esagerazioni oggettive di Benigni (cfr. C. Arnold, Kleine Geshitecte der Modernismus, Basel-Freiburg-Wien, 2007, p. 137, nota n. 2) e non dal cattolicesimo integralmente concepito, confermando assolutamente l’antimodernismo teologico e la lotta equilibrata e veritiera contro i modernisti (cfr. G. De Rosa, Benedetto XV, in Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2000, vol. III, pp. 615-617).

Si può lecitamente discutere storicamente, se in pratica il nuovo corso “più benigno” di Benedetto XV abbia portato frutti più o meno copiosi, ma non si può dire che la dottrina e la pratica di Benedetto XV, esposta nell’Enciclica suddetta, sia eterodossa, liberale e modernista, come pure non si può dire che papa Della Chiesa abbia professato la dottrina modernista o liberale ed abbia soprattutto proposto una prassi di accettazione implicita dei modernisti, no! Egli ha solo vietato l’eccesso di legittima difesa.

Insomma, secondo Benedetto XV, era possibile una pluralità di opinioni in questioni teologicamente disputate, nelle quali il magistero non si era ancora pronunciato, purché non venisse macchiata l’integrità della fede e della disciplina ecclesiastica. Purtroppo alcune volte i cattolici “integrali” avevano preteso che le loro opinioni o tendenze fossero le uniche valide e buone e che chi si si opponeva ad esse fosse da considerare modernista; ora fu proprio questo eccesso che venne condannato dall’Enciclica Ad beatissimi del 1914 e non la teoria antimodernista assieme alla retta pratica di lotta contro i modernisti, ma solo l’abuso di quest’ultima.

La condanna del modernismo, presente nella suddetta Enciclica, è inequivocabile e fermissima: “I mostruosi errori del modernismo, che il Nostro predecessore chiamò giustamente sintesi di tutte le eresie, condannandolo solennemente. Tale condanna noi qui la rinnoviamo in tutta la sua estensione”.

Inoltre Benedetto XV non si limitò alla pura condanna teorica del modernismo, come vorrebbero certuni, ma ribadì anche che “un così pestifero contagio non è stato ancora del tutto sradicato, ma sebbene latente serpeggia qua e là, Noi esortiamo che ognuno si guardi con cura dal pericolo di contagio, […] anche dalle tendenze dei modernisti e dal cosiddetto spirito modernistico” (Enciclica Ad beatissimi, 1° novembre 1914).

Come si vede anche la retta pratica della lotta contro i modernisti portata avanti da Pio X veniva ribadita da papa Della Chiesa, pur chiedendo agli “integrali”, come ad ogni cattolico, di non esagerare nelle accuse, vedendo errori là ove vi erano solo diversità di opinioni.

Purtroppo questa mentalità di alcuni dei più accesi cattolici “integrali” del primo Novecento (i quali arrivarono persino a prendersela contro Merry del Val e De Lai), la si ritrova oggi in qualche circolo che si rifà ad essi ed accusa tutti gli “altri” cattolici di essere modernisti. Questo eccesso fu condannato da Benedetto XV, non la sacrosanta lotta contro il modernismo e i modernisti, purché fosse condotta con giustizia e verità.

È inequivocabile che l’orientamento teologico di papa Della Chiesa sia stato integralmente cattolico ed eminentemente tomista (v. l’approvazione del Commento alle XXIV Tesi del Tomismo, nel 1917, composte da p. Guido Mattiussi; la raccomandazione del tomismo e l’obbligo di seguirlo nel CIC del 1917 can. 1366; l’Enciclica Fausto appetente die, 29 giugno 1921 sul tomismo). Addirittura Benedetto XV “ripropose il tomismo come il mezzo migliore per confutare il modernismo, mantenendo su questo punto la stessa linea sviluppata da Pio X e che in séguito sarebbe stata ripresa anche da Pio XI” (G. Vian, Il modernismo durante il pontificato di Benedetto XV, tra riabilitazioni e condanne, cit., p. 465).

Monsignor Benigni, dopo l’Enciclica di Benedetto XV, rielaborò il programma del SP sostituendo la vecchia definizione: “Noi siamo dei Cattolici-Romani integrali” con: “Noi siamo puramente e integralmente cattolici” … anche lui si “aggiornò”.

L’Enciclica Ad beatissimi portò ad un certo acquietamento del clima troppo teso, fatto anche di semplici sospetti, che aveva caratterizzato soprattutto alcuni elementi del SP e non il pontificato di Pio X.

Tuttavia “alcuni storici hanno inoltre rilevato che l’attenuazione dei contrasti non mise però fine alla stagione delle condanne” (G. Vian, cit., p. 464). Si pensi agli scritti contro il modernismo e i modernisti pubblicati a partire dal 1914, dopo la morte di San Pio X, da diversi autori che nonostante ciò venivano reputati “moderati” se non modernizzanti dal SP, per esempio il padre gesuita Enrico Rosa, Nuovi sintomi di errore  in alcune recenti pubblicazioni, in “La Civiltà Cattolica”, n. 65, 2, 1914, pp. 452-466; L. Murillo, Errori vecchi nella “Storia del Cristianesimo” di Ernesto Buonaiuti, in “La Civiltà Cattolica”, n. 69, 1, 1918, pp. 520-532; E. Rosa, Un saggio critico su due scritti del professor Buonaiuti, in “Civiltà Cattolica”, n. 70, 1, 1919, pp. 408-413; A. Vaccari, Tre risposte a due scritti del prof. Ernesto Buonaiuti, in “Civiltà Cattolica”, n. 71, 1, 1920, pp. 438-447. Si tenga a mente che padre Enrico Rosa e “La Civiltà Cattolica” (come tutti i gesuiti sin a partire dalla fondazione della Compagnia di Gesù) erano erroneamente ritenuti da monsignor Benigni profondamente modernisti (cfr. A. Zambarbieri, Il cattolicesimo  tra crisi e rinnovamento. Ernesto Buonaiuti ed Enrico Rosa nella prima fase della polemica modernista, Brescia, 1979; G. Sale, “La Civiltà Cattolica” nella crisi modernista fra intransigentismo politico e integralismo dottrinale, Milano-Roma, 2001).

Il caso di padre Enrico Rosa (1870 – 1938) è emblematico. Egli è stato considerato universalmente come “un esempio di orientamento sicuro nel campo filosofico e teologico, di fedele interprete e difensore delle direttive della Santa Sede. I cattolici, comunemente, lo interpellavano per conoscere, in determinate circostanze, ciò che bisognava pensare e fare. Nei primi 30 anni del Novecento fu un vero leader nel campo religioso e dottrinale. A partire dal 1905 scrisse numerosissimi articoli su La Civiltà Cattolica, di cui fu direttore dal 1915 al 1931, contro il liberalismo e il modernismo. Celebre è il suo libro L’Enciclica Pascendi e il modernismo, Roma, 1918” (Enciclopedia Cattolica, Città del vaticano, 1953, vol. X, col. 1338, a cura di C. Testore, voce “Rosa Enrico”). Eppure monsignor Benigni lo considerava un modernista, ma se si leggono i suoi articoli di critica del liberalismo e del modernismo – come pure il suo libro del 1918 che è un classico della letteratura antimodernista – si resta affascinati dalla loro chiarezza, profondità e purezza di dottrina totalmente cattolica e antimodernista. Come mai si è potuto dire che fosse un modernista? Solo la passione sregolata, che prevale sulla ragione e la retta volontà, può spiegare un simile giudizio che non è assolutamente fondato nella realtà. Inoltre si pensi al fatto che padre Rosa ha scritto per La Civiltà Cattolica, a partire dal 1905, ossia sotto il pontificato da poco iniziato di San Pio X, che si servì dell’organo dei padri gesuiti, in stretta collaborazione con la Segreteria di Stato, per spiegare e confutare l’errore modernista. È mai possibile che San Pio X avesse affidato la lotta contro il modernismo ad un modernista, che lavorava sotto la diretta supervisione del suo Segretario di Stato, l’integrale cardinal Merry del Val, e sotto gli occhi del medesimo Pontefice, senza aver capito nulla?  Non è forse questo giudizio una critica implicita allo stesso Pio X? Se si pensa che, a partire dal 1911, come abbiamo visto negli articoli passati, monsignor Benigni abbia rotto con il suo vecchio protettore, il cardinal Merry del Val, il quale poi fu anche criticato dal Benigni e ritenuto eccessivamente moderato e “pauroso”, non deve stupirci più di tanto tale giudizio. Si constata, perciò, la oggettiva esagerazione di Benigni nel criticare aspramente ogni persona che non la pensasse esattamente come lui. Quindi la reazione di Benedetto XV nei confronti di Benigni e del SP non è stata ingiusta, sproporzionata o un effetto sgradevole del suo presunto “liberalismo” o “modernismo”, ma è stata dovuta al modo di agire del Benigni, di criticare eccessivamente e di condannare tutto e tutti, che ha nuociuto alla sua opera di cattolicesimo integrale, sostanzialmente buona in sé, ma guastata accidentalmente da un certo modus agendi eccessivamente critico, quasi calunnioso. Tutto ciò non deve portare a scusare i modernisti e il modernismo né a svalutare la sostanza del cattolicesimo integrale, ma soltanto a voler combattere l’errore con le armi della verità e della giustizia, senza condannare ciò che oggettivamente non è condannabile.

Giovanni Vian scrive: “Il contesto nel quale si andò sviluppando il pontificato di Benedetto XV vide la sopravvivenza nella Chiesa cattolica di istituzioni ed ambienti votati ad un antimodernismo radicale e di largo raggio. Lo steso autorevole periodico dei gesuiti, La Civiltà Cattolica, non mancò di manifestare critiche e accuse di modernismo verso Fracassini, Buonaiuti, la scuola biblica di padre Marie-Joseph Lagrange e le propensioni storico moderne in campo esegetico, criticate anche nell’Enciclica Spiritus Paraclitus del 15 settembre 1920 di Benedetto XV” (Il modernismo durante il pontificato di Benedetto XV, tra riabilitazioni e condanne, cit., p. 465).

Giovanni Vian nota che “anche tra gli stretti collaboratori di papa Della Chiesa, in posizione chiave nella Curia Romana, va notata la presenza di alcuni fra i massimi promotori della lotta contro i modernisti, nonostante che l’avvio del nuovo pontificato avesse comportato una parziale ridistribuzione degli incarichi. […]. Inoltre Benedetto XV il 14 ottobre del 1914 nominò il vecchio Segretario di Stato di San Pio X, Merry del Val, segretario del sant’Uffizio. Con questa decisione, il nuovo Papa sembrava replicare la mossa compiuta da Pio X, quando nel 1908 aveva assegnato il medesimo ufficio al cardinal Rampolla, ex Segretario di Stato di Leone XIII” (Il modernismo durante il pontificato di Benedetto XV, tra riabilitazioni e condanne, cit., p. 466).

Lo storico germanico Claus Arnold ha osservato che “sotto Merry del Val, il Sant’Uffizio del pontificato di Benedetto XV, assurse al rango di centro curiale della repressione antimodernista” (Antimodernismo e magistero romano: la redazione della Pascendi, in “Rivista di storia del cristianesimo”, n. 5 / 2, 2008, p. 363).

Il Vian osserva: “In relazione alla vicenda modernista, il pontificato di Benedetto XV  non si è esaurito  negli interventi di carattere generale, attraverso la conferma della condanna formulata da Pio X, da un lato, e il richiamo alla veracità diretto agli esponenti della reazione antimodernista più radicale, dall’altro lato” (Il modernismo durante il pontificato di Benedetto XV, tra riabilitazioni e condanne, cit., p. 467).

Conclusione

Il Vian, chiudendo il suo saggio, tira le somme di un bilancio provvisorio sul modernismo durante il pontificato di Benedetto XV. Egli asserisce che Benedetto XV 1°) “condivise pienamente la condanna delle dottrine moderniste formulata da Pio X” (cit., p. 469); 2°) “era persuaso che il modernismo continuasse a costituire un problema per la Chiesa dei suoi anni e che pertanto occorreva conservare l’articolato e capillare apparato di vigilanza previsto da Pio X” (ivi); 3°) tuttavia occorre anche riconoscere che risulta oggettivamente, nell’affrontare i casi specifici di presunto modernismo, la differenza tra il modo di agire di Benedetto XV e quello di Pio X. Infatti “da un lato, per quel che riguarda le modalità di azione e gli strumenti di controllo, si nota in papa Della Chiesa una preferenza per un’attività di vigilanza di tipo preventivo; dall’altro lato vi furono molti interventi di Benedetto XV che attenuarono le censure proposte dal Sant’Uffizio” (ivi).

Quindi vi fu diversità accidentale quanto al modo di agire – meno rigido e repressivo, più incline a vigilare che a condannare – in Benedetto XV; mentre in San Pio X si riscontra una modalità più ferma e intransigente nella condanna pratica, ma la sostanza della dottrina e della prassi antimodernista rimane invariata. Quello che stona realmente non è il modo di agire di Benedetto XV o di san Pio X, ma soprattutto quello di monsignor Benigni, che spinse la S. Sede ad essere in séguito meno irruenta nella condanna dei modernisti.

d. Curzio Nitoglia

Terza Parte

Continua

 
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