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Monsignor Giacomo Della Chiesa: Dall’episcopato al cardinalato sino ai primi anni del sommo pontificato
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Arcivescovo di Bologna

Il 4 ottobre del 1907 S. Pio X nominò monsignor Della Chiesa Arcivescovo di Bologna, ricevendolo in udienza privata. “Si è detto che questa nomina è stata fatta per allontanarlo da Roma a causa delle divergenze politiche tra il Segretario di Stato Card. Rafael Merry del Val e il suo sostituto Mons. Della Chiesa, ma nella lunga lettera che quest’ultimo indirizzò al primo, il giorno dopo della sua nomina canonica a Bologna, si legge tutto il contrario. Egli vi narra l’incontro che ebbe con il Papa il quale lo elogiò vivamente e disse che lo inviava a Bologna poiché aveva bisogno di buoni Vescovi. […]. S. Pio X il 22 dicembre consacrò personalmente Vescovo Mons. Della Chiesa e, fatto eccezionale, partecipò al banchetto offerto dal nuovo Arcivescovo” (Y. Chiron, op. cit., p. 94). Dunque è difficile riscontrare una certa freddezza o diffidenza di papa Sarto verso monsignor Della Chiesa.

Il cardinalato

Nel Concistoro del 27 novembre 1911 S. Pio X nominò 19 Cardinali, ma non c’era l’Arcivescovo di Bologna quando erano passati oramai 6 anni dalla sua nomina arcivescovile. Qualcuno ha detto che questo ritardare sino all’ultimo la porpora cardinalizia a Mons. Della Chiesa sia stato dovuto all’opposizione del Card. Merry del Val che lo riteneva poco vigilante nei confronti dei modernisti (Y. Chiron, op. cit., p. 115).

In effetti a Bologna Mons. Della Chiesa aveva manifestato una certa indulgenza verso L’Histoire ancienne de l’Eglise di Mons. Duchesne, che era stata messa all’Indice, ma aveva ricevuto l’Imprimatur del Maestro del Sacro Palazzo. Inoltre aveva scritto la sua prima Lettera pastorale in cui condannava chiaramente il modernismo, come abbiamo già visto.

Tuttavia durante l’ultimo Concistoro della sua vita, il 25 maggio del 1914, circa tre mesi prima di morire, S. Pio X nominò Cardinale Mons. Della Chiesa, che alla morte di S. Pio X sarà eletto Papa il 3 settembre col nome di Benedetto XV[1].

I primi anni del Sommo Pontificato:

La Prima Guerra Mondiale

Circa due mesi dopo la sua elezione al Sommo Pontificato (3 settembre 1914) scoppiò la Grande Guerra alla quale parteciperà anche l’Italia, ma solo a partire dal 1915. Il Papa fece di tutto per rimanere al di sopra delle parti come padre spirituale di tutti per evitarla e per diminuirne le conseguenze, ma invano[2].

Benedetto XV scelse come suo nuovo Segretario di Stato il Card. Ferrata, che morirà un anno dopo e sarà rimpiazzato dal Card. Pietro Gasparri.

Il 1° novembre del 1914 Benedetto XV promulgò la sua prima Enciclica Ad beatissimi, che aveva due soggetti principali: 1°) la Grande Guerra, la quale avrebbe stravolto tutte le Nazioni europee ed era vista come un “flagello col quale Dio castiga i peccati dell’umanità”; 2°) il modernismo, che aveva sparso la zizzania dentro la Chiesa (cfr. Caterina Ciriello, La prima Enciclica: Ad beatissimi, in Alberto Melloni – diretto da – Benedetto XV. Papa Giacomo Della Chiesa nel mondo dell’inutile strage, Bologna, Il Mulino, 2017, 1° vol., pp. 150-164).

Quando anche l’Italia entrò in guerra il Papa ne fu molto rattristato. Infatti aveva compiuto molti passi sia verso il governo austriaco che quello italiano per impedire l’entrata in guerra dell’Italia[3].

Due altre Encicliche di Benedetto XV sono passate alla storia. La prima è la Spiritus Paraclitus del 1920, che riguarda la S. Scrittura. Essa, assieme alla Providentissimus di Leone XIII (1893) e alla Divino afflante Spiritus di Pio XII (1943), è una magnifica Summa di scienza biblica[4]. L’altra è la Fausto appetente die del 1921 sull’importanza e l’attualità della dottrina filosofico/teologica tomistica, la quale è stata sommamente coltivata da papa Leone XIII, da San Pio X e anche da Benedetto XV (in perfetta e totale continuità dottrinale che oggettivamente è difficile misconoscere) e soprattutto è stata  proposta dalla Santa Sede come vero e proprio martello dell’eresia e specialmente del modernismo.

L’importanza dell’Impero austriaco per la Chiesa

Il Papa come Pastore d’anime era al di sopra delle parti, ma come governante vedeva bene che l’Impero Austro-Ungarico era l’ultimo Impero cattolico e in caso di sconfitta le conseguenze sarebbero state catastrofiche per quel che restava ancora della Cristianità ed anche per la Chiesa e la sua missione verso le anime (Y. Chiron, op. cit., p. 158).

La S. Sede non poteva non rimpiangere la scomparsa dell’Impero Austro/Ungarico, che era oggettivamente - pur con tutti i limiti che ogni istituzione umana necessariamente porta con sé - l’ultima grande potenza cattolica europea e mondiale. La Chiesa si sarebbe trovata senza l’Impero a lei favorevole e circondata da potenze apertamente ostili: da ovest l’Italia liberal/massonica, la Francia idem, l’Inghilterra protestante, massonica e fortemente filo-ebraica per non parlare degli Usa, che nel 1917 entrarono in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico e che avrebbero pian piano surclassato la GB e sarebbero divenuti la prima potenza mondiale interamente nelle mani del protestantesimo, della massoneria e del giudaismo post-biblico, mentre da est la Chiesa sarebbe stata fortemente combattuta e perseguitata dal bolscevismo sovietico. Tutto ciò non poteva lasciare indifferenti il Papa e il suo Segretario di Stato. Quando si parla di “nostalgia dell’Impero”, dando a questa pericope una valenza sentimentale e negativa, bisognerebbe piuttosto impiegare l’espressione più realista e positiva di “dolore per aver perso l’ultimo antemurale temporale”, il quale assicurava alla Chiesa una certa libertà di azione apostolica spirituale e sociale.

Anche il Card. Gasparri, naturalmente, era dispiaciuto della fine dell’Impero, che avrebbe potuto “formare una potenza di ordine sociale e religioso per resistere contro la sovversione che avanzava in Europa”[5]. Su questo punto non si può restare sorpresi dalla tendenza filo-interventista dell’Italia contro l’Austria sostenuta, come abbiamo già visto, da monsignor Umberto Benigni e da Guido Aureli. Infatti “Aureli pubblicò sulla rivista La Tribuna del 24 novembre 1916 un articolo contro L’Osservatore Romano (perché aveva pubblicato un necrologio troppo laudativo dell’imperatore austriaco Francesco Giuseppe) e più generalmente contro le tendenze a favore degli Imperi centrali [Austria/Ungheria, Russia e Germania, ndr] che si manifestavano in seno alla Santa Sede, ndr]. Benigni era stato sospettato di aver ispirato l’articolo di Aureli. Nel 1921 L’Osservatore Romano accusò nuovamente Aureli di aver rivelato documenti segreti della Santa Sede riguardanti la Francia, trasmessigli da Benigni. […]. Un altro esempio è quello secondo cui l’Aureli sarebbe l’Autore di un articolo anonimo del 1922, apparso su La Ronda con la quale collaborava anche Benigni, intitolato Benedetto XV, il papa della realpolitik. Agli occhi di padre Enrico Rosa (in La Civiltà Cattolica, n. 4, 1927, p. 399) Benigni ne sarebbe stato il vero autore” (Nina Valbousquet - Alejandro Mario Dieguez, Il complottismo di un nostalgico integralista. Guido Aureli e il suo memoriale su Monsignor Benigni e Pio X, Brescia, Morcelliana, “Modernism”, 2018, p. 167). Ora in questa vicenda si deve constatare, a meno di essere ciechi, che la posizione “integralmente cattolica” fu sostenuta da Benedetto XV e dal cardinal Gasparri, mentre la tesi “liberale” fu sostenuta, paradossalmente, da monsignor Benigni. Non ci si deve stupire di ciò, sono limiti che fanno parte della natura umana, ognuno ha i suoi difetti e i suoi pregi. Non è corretto vedere solo in una parte il difetto e soltanto nell’altra parte il pregio. I modernisti assolutizzano i difetti di comportamento di Benigni e ne fanno un “mostro” negandone anche la bontà del programma, il che è falso; certi conservatori (perlopiù gallicani) tendono ad assolutizzare i difetti di Leone XIII, Benedetto XV e Pio XI, facendone dei “Papi liberali”, il che è parimenti errato.

Guido Aureli si è sforzato di confutare queste accuse, ma la Valbousquet scrive che “è ben attestato dalla nostra consultazione degli archivi un lavoro di circolazione dell’informazione tra i due integralisti e a volte di scrittura a quattro mani. Nel dopoguerra Aureli partecipò pienamente al nuovo orientamento politico controrivoluzionario di Benigni e della sua rete trans-nazionale. Il giornalista collaborò direttamente alla concezione e diffusione di vari bollettini politici di Benigni” (ivi).

Nonostante ciò, dopo la guerra, la S. Sede - pur sostenendo con molta discrezione Carlo I d’Austria[6] - dovette cercare di evitare il peggio allacciando relazioni diplomatiche con le nuove Nazioni nate dalla “pace di Versailles” inviando i Nunzi Apostolici nelle nuove Capitali uscite dalla nuova carta geografica disegnata a Versailles, che secondo Benedetto XV sembrava “elaborata da un pazzo” (Y. Chiron, op. cit., p. 249) e la Seconda Guerra, la quale non è stata altro che la continuazione della Prima a causa di Versailles, gli dà pienamente ragione, come aveva intravisto chiaramente anche il Card. Gasparri nel febbraio del 1920 (Y. Chiron, ivi); in ciò più lungimirante e “integralmente controrivoluzionario” di monsignor Benigni.

Il genocidio degli Armeni

Nel 1914 un po’ prima della Grande Guerra l’Impero Ottomano mise in atto il tentativo di distruggere il popolo armeno, uccidendo circa 1 milione e mezzo di armeni su 2 milioni[7]. Benedetto XV protestò vivamente tra l’indifferenza generale delle Nazioni europee.

Tuttavia l’attività diplomatica di Benedetto XV ebbe un notevole successo. Infatti durante il suo Pontificato la Chiesa riprese i contatti diplomatici con l’Inghilterra, con il Principato di Monaco, con l’Olanda, con la Francia, con il Giappone, con il Portogallo, con il Brasile, con la Finlandia, con il Perù e con gli Stati dell’Europa centrale e balcanica[8].

La rivoluzione bolscevica

Nel febbraio del 1917 lo Zar abdicava. In Russia lo Zarismo controllava direttamente la chiesa ortodossa e ostacolava fortemente lo sviluppo del cattolicesimo. La caduta di Nicola II sembrava in un primissimo momento aprire uno spazio di libertà per i cattolici russi.

Anche l’Impero Ottomano iniziava il suo declino e cominciava a perdere il controllo del Medio Oriente, dunque si poteva sperare che si aprisse un’altra porta per la Chiesa cattolica.

Purtroppo la Russia, dopo Kerenskij, diverrà atea e materialista ed impedirà ogni forma di culto religioso e la Turchia verrà rimpiazzata in Medio Oriente dalla GB, che darà il via libera (nel 1948) alla creazione dello Stato d’Israele nel 1917 e nel 1922 con grave detrimento per i Palestinesi e per il Cattolicesimo, di cui ancor oggi paghiamo le spese.

Occorre prendere atto che l’attenzione del tutto particolare che la S. Sede aveva per la Terra Santa è antica quanto la storia della Chiesa. Infatti nella Palestina è nato Gesù, la Madonna, gli Apostoli e lì essi hanno iniziato a predicare Gesù Risorto per poi andare nel mondo intero. Già nel 300 d. C. la regina Elena, la madre dell’Imperatore Costantino, andò a visitare la Terra Santa e riportò numerose reliquie a Roma. Quindi è normale che la Chiesa non poteva vedere di buon occhio le concessioni dell’Inghilterra al movimento sionista di Teodoro Herzl, con cui si riconosceva un certo diritto di proprietà agli ebrei sulla Palestina, che avevano abbandonata da circa 1. 900 anni. La posizione della Chiesa è ben compendiata nella risposta che S. Pio X dette a Herzl il 26 gennaio del 1904: “Non possiamo favorire il ritorno dell’ebraismo in terra Santa, che è stata santificata dalla vita di Gesù. In quanto Capo della Chiesa è tutto quello che posso dire. Gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù, Noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico” (T. Herzl, The Complete Diaries, New York-London, 1960, t. IV, p. 1061).

Già nel 1917 Benedetto XV, pienamente in continuità anche politica con San Pio X, si era inquietato per la Dichiarazione Balfour del 2 novembre. Nel marzo 1919 in un Concistoro il Papa parlò pubblicamente ed apertamente delle sue preoccupazioni sul futuro della Terra Santa dicendo: “Concedere una situazione privilegiata agli israeliti in Palestina significherebbe colpirci crudelmente, infatti si concederanno i luoghi santi del Cristianesimo a chi non è assolutamente cristiano” (Allocuzione Concistoriale, 14 marzo 1919, in Actes de Benoit XV, 3 voll., Parigi, 1924-1926, vol. II, p. 450).

La S. Sede riteneva, avendone le prove a partire dai fatti, che il sionismo era sostenuto dal potere dell’alta finanza, della stampa e della politica ebraica mondiale. Si tenga presente che allora il segretario di Georges Clemenceau (1841-1929) Capo del governo francese era un israelita, come quello di lord David Lloyd George (1863-1945) Primo ministro della GB e quello del Presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson (1856-1924)[9]

Il Card. Gasparri in un’intervista al Petit Parisien del 3 aprile 1919 dichiarava apertamente di sperare che Gerusalemme non facesse parte della “nuova nazione sionista” che avrebbe potuto costituirsi, come è avvenuto nel 1948, perlomeno “Gerusalemme dovrebbe essere internazionalizzata”.

Due giorni dopo (5 aprile) Gasparri dichiara a Carlo Monti che “il Papa è molto preoccupato della pressione esercitata dai sionisti per avere la Palestina, ci mancherebbe solo che i Luoghi Santi cadano di nuovo nelle mani degli ebrei”[10]. La politica costante di Benedetto XV e di Gasparri sarà quella di dotare Gerusalemme di uno Statuto Internazionale affinché non sia controllata né dagli israeliti né dagli arabi musulmani in perfetta continuità con la politica di Pio X.

Quando l’Inghilterra ottenne nel 1919 il protettorato esclusivo sulla Palestina il primo Alto Commissario nominato da essa era sir Herbert Samuel ebreo di confessione israelitica. Il Patriarca latino di Gerusalemme Mons. Barlassina ne fu vivamente dispiaciuto e disse: “L’alta finanza inglese e americana, quasi totalmente tra le mani degli ebrei, ha imposto un governo inglese come Protettorato per la Terra Santa, cosa che sarebbe inaccettabile per qualsiasi Nazione cristiana”[11].

Il Papa ricevette sir Herbert Samuel in udienza privata, ma disse a Carlo Monti che le sue rassicurazioni non lo convincevano affatto[12].

Benedetto XV nell’Allocuzione Concistoriale del 13 giugno 1921 riaffermerà ancora una volta la sua diffidenza verso la politica  condotta in Terra Santa perché “la situazione dei cristiani lungi dal migliorare è diventata ancora più difficoltosa di prima. Le nuove istituzioni che svolgono la funzione di Protettorato in Palestina favoriscono l’elemento ebraico e una trasformazione che spoglia i Luoghi Santi del loro carattere sacro ai cristiani”[13].

I rapporti del Vaticano con la Russia post-zarista

Nel febbraio del 1917 la Russia zarista era caduta, e con essa la supremazia scismatica ortodossa. La Chiesa romana poteva, inizialmente, sperare di poter ottenere da quest’avvenimento una maggior libertà di apostolato nell’immenso territorio russo, che prima era fortemente ostacolato dallo zarismo e dal movimento scismatico ortodosso.

Fu così che, “pur intervenendo per salvare la vita allo Zar Nicola II e alla sua famiglia”, il Papa cercò di tastare il polso della nuova situazione per vedere se “la libertà religiosa proclamata dal nuovo governo russo, non ancora bolscevico, potesse essere una chance reale per l’apostolato della Chiesa romana e i fatti, nei primi tempi, sembravano dar ragione alla speranza” (Y. Chiron, op. cit., p. 274). Infatti il cattolicesimo era stato confinato in un ghetto e ridotto ad “una confessione religiosa periferica” dagli Zar.

Benedetto XV “filo-sovietico”?

Qualcuno ha gridato persino al “Papa sovietico!”, non solo filo-modernista. Nulla di più inesatto e irrealistico. Il filo-comunismo del Papa è analogo al suo preteso filo-modernismo.

In effetti Benedetto XV poté nominare nel luglio del 1917 Mons. Ropp come Arcivescovo di Mohilev, che era vacante dal 1913 ed anche dopo la presa di potere da parte dei bolscevichi nell’ottobre/dicembre 1917, ma che fu contrastata da una guerra civile finita solo nel 1920 la quale ritardò in molte zone l’applicazione delle leggi atee bolsceviche, si sperava ancora che la separazione tra chiesa ortodossa e Stato, proclamata nel gennaio 1918, avrebbe aperto le porta alla Chiesa cattolica. Però la disillusione giunse presto. Già nei primi di gennaio del 1918 Mons. Ropp scriveva al Papa che l’anarchia aveva invaso lo Stato e l’animo del popolo e che nelle regioni controllate dai bolscevichi i cattolici come gli ortodossi erano perseguitati.

Nel gennaio del 1919 il Card. Gasparri[14] dovette riconoscere che il bolscevismo era più forte di quel che a Roma non si fosse pensato. In quei tempi le comunicazioni non erano rapide come ai giorni nostri. Questo (e non il filo-bolscevismo di Benedetto XV) spiega la speranza mal riposta dal 1917 sino al 1919 (quando ancora vi era una resistenza armata antibolscevica in Russia) della S. Sede nelle possibilità che il nuovo governo le desse per l’apostolato in Russia.

Nel 1919, finalmente, il Vaticano aveva chiara la visione della realtà in Russia: si era caduti dalla padella alla brace e che brace!

“Il 7 febbraio 1919 due dignitari ortodossi lanciarono un appello a Benedetto XV. Lo avvisarono dei massacri perpetrati dai bolscevichi anche nei confronti di religiosi e religiose. Il Papa rispose inviando un telegramma a Lenin affinché facesse cessare le persecuzioni religiose” (Y. Chiron, op. cit., p. 275).

Nell’aprile del 1919 i bolscevichi arrestarono Mons. Ropp, il Papa inviò un secondo telegramma a Lenin per chiederne la liberazione, in effetti qualche mese più tardi fu rilasciato, ma gli venne proibita ogni opera di apostolato e fu posto agli “arresti domiciliari”. Dovette intervenire Mons. Achille Ratti, Nunzio Apostolico in Polonia, per ottenerne la liberazione piena.

Tuttavia nel 1919 non si poteva ancora intravedere la pretesa totalitaria, mondialista, ferocemente persecutrice del cristianesimo e “intrinsecamente perversa” (Pio XI, Enciclica Divini Redemptoris, 1937) del Comunismo sovietico, che in Russia doveva ancora sbaragliare le ultime forze zariste scese in guerra civile contro di esso.  Benedetto XV ha dichiarato al barone Carlo Monti verso la fine del 1919 che un’Enciclica sul Comunismo in genere e non su quello sovietico era in gestazione[15].

Nel 1920 la Russia, dopo circa 5 anni di guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica, fu assalita da una grande carestia[16]. Il Papa il 5 agosto del 1921 in una Lettera inviata al Card. Gasparri affinché fosse inoltrata dalla Segreteria di Stato al mondo intero chiedeva ad ogni cristiano di venire in aiuto al popolo russo “vittima di una delle più spaventose catastrofi della storia”[17].

Anche qui qualcuno ha voluto vedere un’attitudine filo-bolscevica del Papa, ma non occorre neppure rispondere certe insinuazione totalmente peregrine.

Nel gennaio del 1922 i primi soccorsi alimentari (29 vagoni di cereali, in quello che prima della guerra e della rivoluzione comunista era “il granaio d’Europa”) della S. Sede arrivarono finalmente in Russia. Le autorità sovietiche fecero sapere che erano disposte a negoziare con la S. Sede le condizioni di un’entrata una missione cattolica in Russia e i colloqui tra le due parti iniziarono a Roma tra Mons. Pizzardo e Vorovsky il rappresentante dell’Urss in Italia, ma Benedetto XV morì prima di vederne l’avvio effettivo, che avrà un séguito con Pio XI (inviato come Nunzio Apostolico in Polonia nel 1918 da Benedetto XV).

d. Curzio Nitoglia

Fine Della Ottava Parte

Continua  



[1] Cr. M. Doldi, Benedetto XV. Un Papa da conoscere e da amare, Casale Monferrato, Portalupi, 2004.

[2] E. Vercesi, Il Vaticano, l’Italia e la guerra, Milano, 1928.

[3] Cfr. A. Scottà, Papa Benedetto XV. La Chiesa, la Grande Guerra, la Pace (1914-1922), Roma, 2009.

[4] Cfr. F. Spadafora, Dizionario Biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 347-354, voce Ispirazione; Id., La “Nuova Esegesi”. Il trionfo del modernismo sull’Esegesi cattolica, Sion in Svizzera, 1996.

[5] Intervista al Petit Parisien del 3 aprile 1919.

[6] J. Sévillia, Le Dernier Empereur. Charles d’Autriche. 1887-1922, Parigi, Perrin, 2009; G. Rumi, Benedetto XV e la pace, 1918, Brescia, Morcelliana, 1990, “Corrispondenza tra Benedetto XV e Carlo I d’Asburgo”, pp. 37-47; S. di Borbone, L’Offre de paix séparé de l’Autriche (5 décembre 1916 – 12 octobre 1917), Paris, Plon, 1920.

[7] Cfr. M. Carolla, La S. Sede e la questione armena, Milano, 2006.

[8] G. Migliori, Benedetto XV, Milano, 1955.

[9] Lettera del Card. Pietro Gasparri a Carlo Monti del 19 maggio 1917, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa. Diario del barone Carlo Monti “incaricato d’affari” del governo italiano presso la S. Sede (1914-1922), Città del Vaticano, LEV, 1997 , vol. II, p. 100.

[10] Lettera del Card. Pietro Gasparri a Carlo Monti del 5 aprile 1919, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa. Diario del barone Carlo Monti…, cit., vol. II, p. 459.

[11] Mons. Barlassina a Carlo Monti, 26 giugno 1920, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 560.

[12] Udienza di Benedetto XV a Carlo Monti, 21 luglio 1920, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 563.

[13] Actes de Benoit XV, cit., vol. III, p. 85.

[14] Lettera a C. Monti, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 421.

[15] Colloquio di Benedetto XV con C. Monti del 2 settembre 1919, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 491

[16] Santa Sede e Russia da Leone XIII a Pio XI, Città del Vaticano, LEV, 2 voll., 2002 e 2006, pp. 120-180, “La missione pontificia di soccorso alla Russia (1921-1923), a cura di G. Petracchi.

[17] Benedetto XV, Lettera Le notizie, 5 agosto 1921, in AAS, 1921, pp. 428-429.


 
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