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Chiesa come “soggetto insegnante” e “oggetto insegnato”
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Alcuni sostengono che la Chiesa con Bergoglio è finita, avendo egli apostatato dalla Chiesa di Cristo.

Ora, se è vero che oggi si costata facilmente la rottura della dottrina del Concilio Vaticano II e del post/concilio (da Paolo VI sino a Francesco, passando per Benedetto XVI) con la Tradizione apostolica; ossia la non-conformità tra la dottrina insegnata dalla Chiesa nei primi venti Concili Ecumenici-dogmatici (oggetto) con quella del Concilio Vaticano II e del post/concilio.

Invece, quanto al soggetto che insegna, ossia la Chiesa, vi è una continuità sostanziale; infatti, la Chiesa che ha insegnato dogmaticamente e infallibilmente prima del Vaticano II è, 1°) quanto alla sostanza, lo stesso soggetto “Chiesa”, che è stata fondata da Cristo su Pietro e i suoi successori; inoltre essa 2°) a partire dal Vaticano II, quanto al modo o accidentalmente, ha parlato “pastoralmente”, non dogmaticamente e quindi non infallibilmente[1], per cui ha potuto discostarsi dall’oggetto costantemente insegnato dalla Chiesa.

Il fatto che l’oggetto dell’insegnamento, ossia la dottrina ante-Vaticano II e quella del Vaticano II discordano in molti punti, non pone problemi all’indefettibilità del soggetto Chiesa (Papi e Vescovi come successori di Pietro e degli Apostoli), poiché l’insegnamento “pastorale” del Vaticano II non è infallibile, avendo esso rinunciato a voler definire e obbligare a credere[2].

Vi è, dunque, sostanzialmente un solo e identico soggetto (Chiesa), che insegna in maniera diversa quanto al modo: a) sovente con Magistero dogmatico infallibile sino a Pio XII; b) abitualmente con Magistero pastorale non infallibile a partire da Giovanni XXIII (tranne il caso del sacerdozio non ammissibile per le donne, definito e imposto come obbligatorio da credersi, e quindi infallibilmente, da Giovanni Paolo II nel 1986).

Se si nega che il soggetto Chiesa sia lo stesso, prima e dopo il Concilio, implicitamente e almeno praticamente, si nega l’articolo di Fede “Credo unam … apostolicam Ecclesiam”, poiché il soggetto Chiesa, che Cristo ha fondato su Pietro e i suoi successori (i Papi), dovrà durare ininterrottamente sino alla fine del mondo, sostanzialmente inalterata nella sua struttura (la causa efficiente: Dio; la causa finale: il Cielo; la causa formale o mezzi soprannaturali per giungere al fine: la grazia santificante tramite i Sacramenti; la causa materiale, cioè gli uomini che la compongono: le membra secondarie o la Chiesa discente fatta da fedeli e sacerdoti, più le membra primarie o Chiesa docente, composta dal Papa e dai Vescovi in comunione col Papa) per divina Istituzione.

Se la Chiesa petrina (o soggetto Chiesa) fosse finita col Vaticano II (1965) o con Bergoglio le “porte degli Inferi” avrebbero vinto, sconfessando la promessa di Gesù: “Io sarò con voi tutti i giorni [compresi quelli che vanno al 1962 al 1965] sino alla fine del mondo”.

Invece, il fatto che la dottrina o l’oggetto dell’insegnamento della Chiesa differisce, poiché nel Vaticano II non si è voluto definire e obbligare a credere e quindi si è esclusa, scientemente e volutamente, l’assistenza infallibile dello Spirito Santo, non intacca l’apostolicità e l’indefettibilità del soggetto Chiesa, che, nonostante il Vaticano II e/o Bergoglio, continuerà sostanzialmente inalterata nella sua divina costituzione (Papi e Vescovi) da Pietro sino all’ultimo Papa e all’Episcopato viventi alla fine del mondo.

Perciò, si può parlare - in senso largo o non strettamente teologico e polemico - di soggettoChiesa conciliare” (come hanno fatto i cardinali Benelli e Koch) in opposizione al soggetto “Chiesa cattolica romana”. Infatti, l’oggetto o l’insegnamento magisteriale pastorale (Concilio Vaticano II) o addirittura neppure magisterialmente pastorale, ma puramente “esortativo” (cfr. Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, 19 marzo 2015) sono in contraddizione con l’oggetto dell’insegnamento dogmatico e costante della soggetto Chiesa cattolica da S. Pietro a Pio XII.

In questo senso lato (o non strettamente teologico) si può parlare degli uomini di una “contro-chiesa”, che cercano di erodere modernisticamente la Chiesa cattolica dal didentro (cfr. San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907). Questo è il vecchio piano che la “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9) ha sempre avuto in mente sin dalla fondazione della Chiesa di Cristo “configgendo il Verbo incarnato in croce” (Pio XI, Enciclica Mit Brennender Sorge, 14 marzo 1937) e ha cercato di attuare nel corso dei secoli, perseguitando la Chiesa o “Cristo continuato nella storia” a partire dall’Apostolo Giuda, del quale “Gesù disse: non fui Io a eleggere voi Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo” (Gv., VI, 70).

Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi dell’inferno e dei suoi accoliti (da Giuda ai modernisti), “le porte dell’Inferno non prevarranno contro Essa”. La fede ci assicura che anche quest’ultimo tentativo di distruggere la Chiesa di Cristo (iniziato col Vaticano II) è destinato a fallire come tutti gli altri che l’hanno preceduto e come la grande persecuzione dell’Anticristo finale, che concluderà la storia dell’umanità e della Chiesa con la vittoria definitiva di Cristo.

“Dio salvi la Chiesa dalle colpe degli uomini di Chiesa!” (don Francesco Putti). Occorre sempre fare questa distinzione basilare.

Occorre ben distinguere i termini quando si parla della crisi nella Chiesa, 1°) sia per non negare il fatto oggettivo della discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II[3], 2°) sia per non negare il dogma della perenne continuità del soggetto Chiesa sostanzialmente identico, pur con qualche cambiamento accidentale, sino alla fine del mondo e la sua apostolicità (che è una delle quattro Note o l’essenza della Chiesa), ossia la serie formalmente ininterrotta di Papi e Vescovi, che da Pietro e dagli Apostoli si sono susseguiti e si susseguiranno come una catena mai interrotta di anelli (la pura successione materiale, come quella degli scismatici detti “Ortodossi”, non basta ad assicurare l’Apostolicità della vera Chiesa) sino alla Parusia.

Occorre, a tal fine, fare molta attenzione a non confondere la continuità del soggetto Chiesa con la continuità dell’oggetto o della dottrina della Chiesa, la quale dottrina, quando non è insegnata dal Magistero infallibile, può essere per definizione fallibile e, quindi, eccezionalmente in rottura con la Tradizione apostolica[4]; così come la dottrina del Vaticano II è in più punti in rottura con quella della Tradizione apostolica e del Magistero tradizionale e dogmatico (quindi infallibile) della Chiesa[5].

Certamente la Chiesa è “soggetto insegnante”, tuttavia gli uomini di Chiesa (a pedibus usque ad Capitem) non devono appropriarsi della Rivelazione divina, contenuta nella Tradizione apostolica e nella S. Scrittura per interpretarla soggettivamente come a loro sembra, ma devono custodirla, mantenerla invariata sostanzialmente o oggettivamente (anche se approfondita, penetrata e spiegata sempre meglio) e poi trasmetterla spiegandone il significato genuino omogeneamente, cioè senza contraddizioni (Conc. Vat. I, Pastor aeternus, cap. IV).

L’interpretazione della Rivelazione è condizionata dalla sua conservazione e ordinata alla sua trasmissione.

Infatti, “il governo della Chiesa è monarchico ma, per quanto sia assoluta, la volontà del monarca è limitata dal diritto divino naturale o positivo. […]. Il potere di giurisdizione del Papa non conosce sulla terra altri limiti che quelli a esso assegnati dal diritto divino e dalla costituzione divina della Chiesa” (F. Roberti-P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. II, p. 1253 e 1255, voce Pontefice, Sommo ). Ora Francesco ha oltrepassato (soprattutto in re morali) oggettivamente i limiti impostigli dal diritto divino e dalla divina costituzione della Chiesa. Quindi, è non solo lecito, ma doveroso metterlo davanti alle sue responsabilità e ammonirlo di ritrattare i suoi errori oggettivi. Tuttavia, non si può pretendere di arrivare alla sua deposizione dopo la constatazione dei suoi errori notori.

Il guaio è che con il Concilio Vaticano II è stato sovrapposto il soggetto Chiesa all’oggetto insegnato e sono stati legittimati “pastoralmente” alcuni cambiamenti di dottrina con la scusa della continuità del soggetto Chiesa, che dovrebbe far passar, così, in second’ordine, il cambiamento dell’oggetto o della dottrina insegnata (collegialità episcopale, pan-ecumenismo, diritto di libertà delle false religioni, rapporti Chiesa/giudaismo postbiblico, unicità della Scrittura come fonte di Rivelazione escludendo la Tradizione, panteismo antropologico…)[6].

Questo è l’escamotage di cui si servono i neo-modernisti per accreditare “l’ermeneutica della continuità” della dottrina insegnata prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II.

d. Curzio Nitoglia



[1] Cfr. Giovanni XXIII, Allocuzione nella solenne inaugurazione del Concilio, 11 ottobre 1962; Paolo VI, Omelia durante la IX Sessione del Concilio, 7 dicembre 1965, ripetuta il 16 gennaio 1966.

7 «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare a un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale» (card. Joseph Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5 agosto 1988).

[3] Per interpretare correttamente la teologia del Concilio Vaticano II occorre, dunque, ritornare alla distinzione classica e scolastica tra il soggetto Chiesa, che insegna, e l’oggetto o la verità insegnata, la quale, se il Magistero non vuole definire e obbligare a credere, può contenere eccezionalmente l’errore ed essere in rottura con la Tradizione (“quod ubique, ab omnibus et semper creditum est”), non dimenticando che l’universalità del Magistero non riguarda solo l’omnibus ossia il Corpo insegnante (tutti i Vescovi più il Papa), ma anche il semper, ossia la continuità dell’insegnamento nel tempo che proprio perché costante non può essere erroneo (cfr. Pio IX, Tuas libenter, 1863).

[4] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.

[5] Il fatto (quia) certo è quello sopra esposto (discontinuità di dottrina ante e post Vaticano II), mentre i princìpi da tenere fermi sono: a) l’indefettibilità e la perennità dell’Unica Chiesa fondata su Pietro e i Papi e b) l’infallibilità, che è impegnata solo quando il Magistero vuol definire una verità come rivelata e obbligare a crederla per andare il paradiso o sotto pena di dannazione. Il come e il perché (propter quid) sia stato possibile l’attuale disastro spirituale nella Chiesa è un mistero che soltanto Dio conosce. Noi dobbiamo continuare a credere e a sperare che da ogni male permesso Dio tragga un bene maggiore. Se potessimo conoscer ogni cosa (quia et propter quid) avremmo ancora la scienza infusa persa da Adamo e non sarebbe necessaria la Redenzione (cfr. anche S. Tommaso d’Aquino, S. c. Gent., I, 3).

[6] Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.


 
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