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Bergoglio è veramente Papa?
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I Fatti dogmatici

Il Grande Scisma Occidentale

Verso la fine del Trecento, vi fu “il Grande Scisma d’Occidente” che turbò, per quarant’anni, la pace della Chiesa la quale conobbe, così persino la coesistenza d’un Papa con uno o persino due antipapi.

Dubbio storico, certezza canonico/teologica

L’eminente studioso tedesco, Franz Xaver Funk, ha scritto che dal punto di vista storico, non è certo ed è ancora disputabile, per il singolo Cristiano, se il Papa validamente eletto fosse stato Urbano VI (dell’obbedienza romana) oppure Clemente VII (dell’obbedienza avignonese).

Secondo lui e molti altri studiosi una decisione storica totalmente sicura non sarebbe possibile per il singolo studioso; per cui, una minima incertezza storica permarrebbe ancora oggi.

S. Vincenzo Ferreri contro S. Caterina da Siena

Si pensi inoltre che il Domenicano spagnolo e grande ecclesiologo San Vincenzo Ferreri (1350 – 1419), si schierò con Clemente VII[1].

Mentre, con Urbano VI si schierò la Domenicana italiana Santa Caterina da Siena (1347 - 1380), della quale Pio XII diceva che fosse “la più grande donna che abbia partorito il Cattolicesimo”.

Tuttavia, se storicamente è lecito al singolo Cristiano studiare la questione per ottenere maggiori luci e consultare nuovi documenti, ritenendola ancora aperta e disputata, teologicamente, giuridicamente o canonicamente è certo (non “di Fede divina”, ma “di Fede ecclesiastica”), per la Chiesa che il Papa validamente eletto è stato Urbano VI e non Clemente VII.

L’elezione del Papa fatta sotto la minaccia di violenza

Storicamente è certo che Urbano VI fu eletto sotto la minaccia da parte del popolo romano inferocito sui Cardinali riuniti in Conclave in Vaticano.

Inoltre, molti Cardinali, dato il suo modo di agire addirittura sanguinario (avendo fatto uccidere parecchi Cardinali che gli avevano disobbedito), fuggirono terrorizzati da Roma e si rifugiarono nel Regno di Napoli, dichiarando (con un fondamento storico non del tutto inconsistente) la sua elezione invalida perché avvenuta sotto violenza e dunque non liberamente; passando poi all’elezione di un altro Pontefice nella persona di Clemente VII (1342 – 1394); il quale, tuttavia, dalla Chiesa è ritenuto canonicamente un antipapa.

I Cardinali riuniti in Conclave, sotto la pressione del popolo romano violentemente agitato, l’8 aprile 1378 elessero (in maniera non scevra da timore e quindi non canonicamente regolare) Papa l’Arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, natio di Napoli, che prese il nome di Urbano VI (1378-1389).

La sua elezione non era stata ancora annunziata quando la folla inferocita irruppe nelle sale del Conclave per timore che, dopo quaranta anni di “cattività avignonese”, fosse stato eletto ancora un altro francese, i Cardinali, per la maggior parte francesi, si dettero alla fuga, ma i romani si tranquillizzarono poiché era stato eletto un italiano pure se non natio di Roma. Anche qui si può notare facilmente come lo svolgimento del Conclave non è stato il più rigorosamente canonico e legale possibile, ma l’accettazione dell’elezione da parte della Chiesa ha convalidato o sanato in radice ogni dubbio d’illegalità; guai se non fosse così, tutto diverrebbe dubbio nella Chiesa e persino nella vita spirituale e sacramentale dei Cristiani.

Il giorno seguente (9 aprile) Urbano VI fu intronizzato e venne incoronato il 18 aprile.

I Cardinali assistettero alla cerimonia d’incoronazione e parteciparono all’attività pastorale del nuovo Papa. Quindi, è pacifico che i Cardinali lo riconoscessero come Papa: anche se l’elezione dell’8 aprile era stata fatta sotto il timore della rappresaglia del popolo romano e dunque in se stessa non era libera da pressioni violente esterne[2]; tuttavia, l’atteggiamento successivo dei Cardinali la riconosceva, la convalidava, la sanava e l’interpretava praticamente come canonicamente valida.

Perciò, l’elezione di Urbano VI, che storicamente dal singolo Cristiano o studioso può essere considerato ipoteticamente “Papa dubius”, è ritenuta dalla Chiesa come canonicamente legittima (“Papa indubitatus”) e legittima è stata riconosciuta pure la successione romana dei Papi che son succeduti a lui: Bonifacio IX (1389 1404), Innocenzo VII (1404 - 1406), Gregorio XII (1406 - 1415). Mentre la successione avignonese non è riconosciuta come valida, dalle cronotassi ufficiali, perciò Clemente VII (1378 - 1394) e Benedetto XIII (1394 - 1423) son ritenuti dalla Chiesa ufficialmente e canonicamente antipapi.

Purtroppo Urbano VI, procedette con un rigore talmente eccessivo per reprimere gli abusi che allora affliggevano la Chiesa che i Cardinali francesi (presso i quali, soprattutto s’era introdotto lo spirito del Conciliarismo gallicano e che S. Caterina chiamava “dimòni incarnati”) fuggirono a Napoli e di lì scomunicarono il Papa dichiarandolo decaduto.

Era l’inizio di una serie di sbagli che, a partire da un errore teologico (superiorità del Concilio sul Papa), porteranno ad una situazione catastrofica nella Chiesa (tre Papi contemporanei, che presumono tutti e tre di essere il vero e unico Vicario di Cristo).

Clemente VII pose la sua residenza ad Avignone e aprì una nuova Curia formata da tredici Cardinali francesi. Così, la Cristianità si divise in due parti: la romana o urbaniana contro l’avignonese o clementina.

Papa Urbano VI rispose scomunicando l’antipapa Clemente VII cosicché “nominalmente tutta la Cristianità si trovava scomunicata!” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 62); analogamente a quanto succede oggi.

Nasceva così “il Grande Scisma d’Occidente” che sarebbe durato quasi trent’anni (1378-1417) dopo i primi quaranta di “cattività avignonese”.

I “Fatti dogmatici” e i “Dogmi rivelati”

In effetti, la sana Teologia cattolica insegna che vi sono alcuni fatti (ad esempio, la legittimità e la validità di un Pontificato o di un Concilio Ecumenico), che, pur non essendo oggetto di Rivelazione divina diretta, ossia non essendo un Dogma divinamente Rivelato - come, per esempio, la Natività di Gesù a Betlemme (Mt., II, 1; Lc., II, 4 e 7) - tuttavia, sono connessi strettamente con il Dogma rivelato.

In breve: «L’oggetto primo e specialissimo della proclamazione della dottrina della Chiesa (cfr. DB 1800) sono le Verità e i fatti immediatamente rivelati (p. es., la Trinità e la Natività del Verbo a Betlemme). Tuttavia, questo Magistero infallibile s’estende anche a tutte quelle Verità e a quei fatti che sono una deduzione dalla dottrina rivelata o un presupposto della stessa (oggetto secondario dell’Infallibilità). Ora, queste Verità e questi fatti, pur non essendo direttamente e formalmente rivelati, tuttavia, sono talmente strettamente connessi con la Rivelazione, che il negarli comprometterebbe la Rivelazione stessa (DB 1836-1839). Perciò, esse, teologicamente, si definiscono: Verità cattoliche o Dottrine della Chiesa (oppure Verità “di Fede ecclesiastica”), per distinguerle dalle Verità o Dottrine divinamente rivelate cioè il Dogma divinamente rivelato e definito dalla Chiesa (ossia, la Verità “di Fede divina e cattolica”). I Fatti dogmatici, inoltre, sono i fatti storici non rivelati direttamente, ma strettamente connessi con la Rivelazione divina e con una Verità divinamente rivelata, per esempio, la legittimità di un Papa o di un Concilio ecumenico. […]. Ora, se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio su questi fatti o verità, che sono indirettamente connesse con la Rivelazione, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua Istituzione divina e con la sua Santità» (L. Ott, Compendio di Teologia Dogmatica, Torino, Marietti, IV ed., 1969, p. 20-21 e 502).

Esempi storici concreti

Per fare un esempio concreto, non è un fatto rivelato direttamente da Dio che, dopo le dimissioni di papa San Celestino V (29 agosto - 13 dicembre 1294), Bonifacio VIII (1294 - 1303) sia stato il Sommo Pontefice legittimo; tuttavia, il suo essere Papa è un fatto connesso strettamente con il Dogma rivelato e, perciò, è infallibilmente certo che Bonifacio fosse Papa, poiché questo fatto (la sua elezione canonica al Sommo Pontificato esercitato validamente) è richiesto teologicamente per la formulazione, la difesa e l’applicazione di un Dogma rivelato e definito: “La Chiesa è stata fondata da Gesù su Pietro e i suoi successori (i Papi), i quali - in maniera ininterrotta e continuata - sono il fondamento e i Pastori o i Capi universali di Essa”; per cui da questo principio dogmatico direttamente rivelato (“di Fede divino/cattolica”), ne segue il fatto dogmatico o “di Fede ecclesiastica” (connesso indirettamente con la Rivelazione divina diretta e formale) che il Papa regnante e accettato in maniera moralmente (non matematicamente) unanime[3] dalla Chiesa gerarchica docente (dei Pastori o insegnante) e discente (dei semplici fedeli o insegnata) è veramente Papa; infatti, se non lo fosse, vi sarebbero enormi conseguenze teologiche e dottrinali, che annullerebbero praticamente e indirettamente il Dogma del Primato di Pietro e dell’Apostolicità della Chiesa: ecco perché da un principio dogmatico ne segue immancabilmente un Fatto dogmatico, che è indispensabile per illustrare il principio, calarlo nella pratica e farlo vivere ai Cristiani.

Insomma - nel corso della storia della Chiesa - bisogna, non solo annunciare il Dogma rivelato direttamente come una Verità “di Fede divina”, ma anche a) spiegarlo, approfondirlo, difenderlo contro coloro, che lo negano o lo contestano e, infine; b) applicarlo ai casi pratici come una Verità “di Fede cattolica”; per esempio, papa Urbano VI (1378 – 1389) che è stato eletto, il 7 aprile 1378, sotto una certa pressione popolare esercitata sui Cardinali riuniti in Conclave, o Alessandro VI (1492 - 1503) che ha comprato, l’11 agosto 1492, in maniera simoniaca (quindi ereticamente atea e, dunque, con una scomunica conseguente) l’elezione al Sommo Pontificato, è stato veramente Papa o solo apparentemente? Oppure, San Pio X (1903 - 1914), il quale è subentrato in Conclave al cardinal Mariano Rampolla del Tindaro (1843 - 1913), che stava per essere eletto (2 agosto 1903) ma ricevette il veto da parte dell’Imperatore d’Austria, perché ritenuto anti-austriaco; è stato eletto validamente Papa? Oppure, Giovanni XXIII (1958 - 1963), che è subentrato al cardinal Giuseppe Siri (1906 - 1989), il quale dovette rinunciare all’elezione già avvenuta da parte del Collegio cardinalizio[4], perché quasi l’altra metà dei Cardinali minacciava uno scisma, qualora fosse stato eletto Papa l’Arcivescovo di Genova, ritenuto troppo tradizionalista (Benny Lay, Il Papa non eletto: Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari, Laterza, 1993); è stato realmente Papa?

Se costoro non fossero stati “veri” Papi (Fatto dogmatico e giudizio storico), che non significa “buoni” Papi (giudizio di valore[5]); che fine avrebbe fatto il Dogma dell’Apostolicità della Chiesa; ossia la successione ininterrotta di un Papa da un altro, a partire da San Pietro sino alla fine del mondo? Inoltre, ad esempio, se il Concilio Vaticano I non fosse stato un vero Concilio ecumenico, il Dogma dell’infallibilità del Papa e della Chiesa svanirebbe.

Il principio e il fatto

Ora, a) da una parte - il Dogma rivelato e definito: “Cristo ha fondato la Sua Chiesa su Pietro e i Papi suoi successori” è chiaro e netto;

b) dall’altra parte, occorre anche sapere - in concreto e nelle contingenze storiche - se il fatto dell’elezione di “Tizio” (Bonifazio VIII), “Caio” (Urbano VI o Alessandro VI) o “Sempronio” (Giovanni XXIII oppure Francesco) al Sommo Pontificato (o l’indizione di un Concilio ecumenico) sia stato valido e se costoro siano stati veramente Papi oppure no.  

Tutto ciò, non è stato rivelato direttamente da Dio, ma, è un Fatto dogmatico connesso con la Rivelazione divina, riguardo al principio dogmatico del Primato di Pietro e dei Papi, quali successori di San Pietro e dell’Apostolicità della Chiesa di Cristo. Infatti, la spiegazione, la difesa e l’applicazione del Dogma rivelato è legata strettamente, anche se solo indirettamente ed estrinsecamente, con il Fatto dogmatico che Bonifacio VIII (Urbano VI, Alessandro VI / Pio X / Giovanni XXIII / Francesco …) sono stati veramente Papi; altrimenti, non solamente tutti i loro atti sarebbero invalidi, ma la successione apostolica (o Apostolicità della Chiesa, che è un Dogma di Fede rivelata e definita: “Credo la Chiesa; una, santa cattolica e apostolica”), si sarebbe interrotta e avrebbe cessato di esistere e, dunque, le “porte degli inferi” avrebbero prevalso contro la Chiesa e la promessa di Gesù (“portae inferi non praevalebunt adversus eam”, Mt., XVI, 18) sarebbe stata vana… Ma ciò - secondo la Rivelazione e la Fede cattolica per le quali Gesù è Dio e, dunque, non può né sbagliarsi, né ingannarci - è impossibile.

“Papa dubius, Papa nullus”?

I teologi si chiedono se, il singolo fedele dubitasse dell’elezione di un Papa (per esempio l’elezione del cardinal Bergoglio dopo le dimissioni di Benedetto XVI) o del fatto che sia veramente Papa poiché non ortodosso (come i neo-modernisti: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), come bisognerebbe risolvere questa questione?  Ebbene, la soluzione data comunemente dalla sana Teologia è che “l’accettazione pacifica di un Papa, da parte di tutta la Chiesa moralmente unanime (non solo docente, ma anche discente), è il segno e l’effetto infallibile di un’elezione e di un Pontificato validi[6].  Perciò, nel caso nostro, l’accettazione di Francesco - da parte della maggioranza dell’Episcopato, dei Cardinali, dei Sacerdoti e dei fedeli - rende canonicamente certa la sua elezione.

Il cardinal Louis Billot (1846 – 1931), uno dei massimi teologi ed ecclesiologi del Novecento, insegna: “Nel caso dell’ipotesi della possibilità di un Papa ritenuto eretico[7], l’adesione, moralmente unanime, della Chiesa universale sarà sempre, in se stessa, il segno infallibile della legittimità di tale o tal altro Pontefice[8] (De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1903, vol. I, pp. 612 - 613)[9]. Perciò, sussiste una sanatio in radice di un eventuale Papato storicamente dubbio per il singolo fedele, che lo rende canonicamente indubitato per la Chiesa.

Infatti, se la Chiesa nella sua totalità morale (non matematica[10]) aderisse a un falso Pontefice “le porte dell’inferno” avrebbero prevalso contro di Essa poiché l’erronea adesione  a un  falso Pontefice sarebbe la stessa cosa di un’erronea adesione a una falsa regola della Fede. Infatti, il Papa e il Magistero vivente nel Papa regnante sono la regola prossima (“Credo, tutto ciò … e che la Santa Chiesa mi propone a credere”) dell’atto di Fede, mentre l’Autorità di Dio che rivela (“Credo tutto ciò che Dio ha rivelato…”) è la regola remota di esso; per cui, se si aderisse a un falso Papa, si accetterebbe implicitamente una falsa Fede, ossia a un falso motivo prossimo della nostra Fede. 

Dio può permette un dubbio storico, nei singoli fedeli, sull’elezione di un determinato Pontefice, ma non potrebbe permettere che la Chiesa intera (Episcopato, Collegio cardinalizio, Sacerdoti e fedeli) accetti canonicamente come vero Papa, colui, che non lo è realmente[11].

Occorre pure dire che, non tanto le dimissioni di Benedetto XVI (28 febbraio 2013) quanto la sua invenzione della figura (inesistente sino al 2013 nella Teologia e nella prassi della Chiesa) del “Papa emerito”, hanno creato una certa confusione nell’ambiente ecclesiale, la quale, nei singoli fedeli, rende ipotizzabile il dubbio storicamente positivo e puramente ipotetico e speculativo sulla possibilità remota che il Papa regnante sia stato sino alla sua morte (31 dicembre 2022) Benedetto XVI.

Da quanto esposto sopra, si evince chiaramente che questo fatto (“Francesco è Papa?”) non è solo un fatto puramente umano o storico; non è neppure un Dogma rivelato direttamente o “di Fede divina”; ma è, tuttavia, un Fatto dogmatico e “di Fede ecclesiastica” ed ecclesiologicamente infallibile, ossia strettamente correlato al Dogma del Primato del Papa, dell’Apostolicità della Chiesa romana e della subordinazione dell’Episcopato al Pontefice romano.

Infatti, è un “Fatto ecclesiastico” o ecclesiologicamente e giuridicamente rilevante, se vi sia un Papa che governi in atto la Chiesa (se “bene o male”, non è questo il problema in questione qui); se Essa possa sussistere senza un Papa in atto, cioè senza un fondamento su cui poggiare.

Tutti i Trattati di Ecclesiologia o di Teologia dogmatica che trattano il tema della Chiesa fondata da Cristo, ammettono che il Fatto dogmatico fa parte dell’oggetto secondario dell’Infallibilità della Chiesa.

Essa - nel Fatto dogmatico - è indirettamente scevra da errore e ci dà (indirettamente) un’infallibile certezza (“di Fede ecclesiastica”) fattuale (il fatto o l’avvenimento che Francesco è veramente e non solo apparentemente Papa); ma, Essa non si pronuncia sulla bontà e rettitudine dottrinale o meno di essi. Si limita a enunciare un fatto e “contro il fatto non vale l’argomento”.

Il “Sedevacantismo”: una tentazione ricorrente

Come si vede, la teoria della Sede vacante (totalmente o solo formalmente), da Giovanni XXIII sino a oggi, cozza contro il fatto dogmatico della necessità che vi sia veramente un Papa in atto a governare la Chiesa e a esserne il suo fondamento.

Benedetto XVI sì, Francesco no?

Così pure, la teoria secondo cui il vero Papa sarebbe stato, anche dopo le sue dimissioni, Benedetto XVI, contrasta con la dottrina ecclesiologica del Fatto dogmatico, che è una Verità “di Fede ecclesiastica”, secondo cui l’accettazione da parte della Chiesa di un Papa eletto, rende certa la sua elezione canonica e, teologicamente/canonicamente, toglie il dubbio, anche storicamente fondato, sulla validità della sua elezione.

Conclusione

Nella situazione odierna, senza adulare i cattivi Pastori né aver paura di essere disprezzati, occorre riconoscere 1°) che delle novità e persino delle eresie materiali si sono infiltrate nella pastorale della Gerarchia ecclesiastica, a partire da Giovanni XXIII (“contra factum non valet argumentum”), e perciò si può “non ubbidire  nelle cose cattive e non adulare i malvagi prelati[12]”; 2°) che i Papi “conciliari” conservano il loro sommo Potere, pur avendone usato male. Pertanto, bisogna, come consigliava il cardinal Tommaso de Vio, ricorrere alla preghiera e alla riforma di se stessi perché negli uomini di Chiesa ritorni l’ordine, che solo Dio - tramite il Papa e col concorso delle cause seconde - può restaurare nella Chiesa.

Oggi purtroppo si riscontra una deficienza di sana dottrina 1°) nel Papa; 2°) nell’Episcopato; e anche 3°) un forte rilassamento nei fedeli così mal guidati da cattivi Pastori. Ora, tale situazione richiede un intervento straordinario dell’Onnipotenza divina, che dopo averci chiamato, con Misericordia, dovrà intervenire con la Sua Giustizia e con il castigo. “A mali estremi, estremi rimedi”.

“In questi tempi, più che una persecuzione, temo una seduzione. I nemici della Chiesa, oggi, si credono e si dicono Cristiani, ma favoriscono l’eresia e lo scisma. Ciò che li rende molto pericolosi è la generale debolezza della fede presso i Cattolici, l’amore sregolato dei piaceri mondani, la licenza immorale generalizzata. La maggior parte dei Cristiani è cristiana solo di nome. Gesù non è conosciuto né amato soprannaturalmente. Perciò, Dio - per guarire una società così gravemente ammalata - castigherà duramente e misericordiosamente. Infatti, se Dio colpisce è soprattutto per guarire (Marie-Théodore Ratisbonne, Correspondance, Parigi, Poussielgue, 1903, t. II, p. 488). 

d. Curzio Nitoglia



[1] San Vincenzo Ferreri, nel 1380, quando era Priore del Convento dei Domenicani in Valencia, scrisse anche un trattato teologico/canonico (De moderno schismate, edito postumo a Parigi nel 1909, nella raccolta Oeuvres de Saint Vincent Ferrier, in 2 volumi a cura di padre H. D. Fages), di notevole spessore dottrinale, per dimostrare la validità dell’elezione di Clemente VII.

[2] In Teologia morale si studia che certe azioni giuridiche (per esempio, nel caso nostro un’elezione) sono rese invalide, se sono imposte sotto la spinta d’un grave timore, oppure, son rese rescindibili dietro richiesta di coloro ai quali sia stato incusso il timore (per esempio, i Cardinali riuniti in Conclave). Cfr. E. Jone, Compendio di Teologia Morale, Torino, Marietti, 1964, VI ed., p. 9-10; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 6, a. 5.

[3] L’unanimità è matematica o assoluta quando assolutamente tutti, nessuno escluso, sono in accordo; mentre è morale quando solo la maggior parte si trova in accordo.

[4] Come lui stesso rivelò, sotto registrazione, al giornalista vaticanista Benny Lai, nel 1987, a condizione che fosse pubblicato solo dopo la sua morte (2 maggio 1989).

[5] Padre Innocenzo Colosio (1910 – 1997) scriveva: «Un “Papa buono” non è necessariamente un “buon Papa”». Egli metteva in dubbio su La Rivista di ascetica e mistica e su La Palestra del Clero la bontà del Pontificato di Giovanni XXIII, adducendone le prove, essendo stato nominato “Avvocato del diavolo” nell’apertura del processo per dichiarare “Servo di Dio” papa Roncalli, onde arrivare a nominarlo “Venerabile”; ma, padre Colosio non si è mai sognato di dire che non fosse Papa legittimo e reale.

[6] F. X. Wernz – P. Vidal, Jus canonicum, Roma, Gregoriana, 3 voll. 1923-1938, tomo II, p. 437, nota 170; cfr. F. Suarez, De Fide, disp. X. Sez., V, n. 8, p. 315, L. Billot, De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1903, vol. I, p. 624.

[7] Anche se l’Ecclesiologia reputa tale opinione una pura ipotesi possibile, ossia non ripugnante, poco probabile, anzi molto improbabile e per nulla certa.

[8] Per esempio, il fatto che la Chiesa gerarchica (Cardinali, Vescovi) e della Chiesa discente (preti e fedeli) lo abbia accettato come Papa “è segno infallibile della sua legittimità” (L. Billot, De Ecclesia Christi, cit., ivi).

[9] Le prove le troviamo nella promessa di Gesù del primato fatta a Pietro: “Le porte dell’Inferno non prevarranno contro la Chiesa” (Mt., XVI, 25; XVII, 18; Gv. XXI, 15); “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20).

[10] Vi son sempre le eccezioni che confermano la regola.

[11] S. Alfonso M. de’ Liguori, Verità della Fede, in “Opera Omnia”, Torino, Marietti, 1887, vol. VII, p. 720, n. 9; Gaetano, De Comparata Auctoritate Papae et Concili, Roma, ed. Pollet, 1936, p. 295 ss.

[12] Cajetanus, De comparatione Papae et Concilii, Roma, ed. Pollet, 1936, cap. XXVII, p. 179, n. 411.


 
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