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L’americanismo giudaizzante (2)
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 Seconda parte
La “Rivoluzione conservatrice” atlantica

Non mi sembra che la soluzione alternativa al pericolo α) della modernità (ad intra) e β) dell’islamismo (ad extra), sia la ‘‘Rivoluzione conservatrice’’ angloamericana (teorizzata da Burke-1790/Kirk-1953)[1].

Edmund Burke & Russel Kirk

Infatti, Edmund Burke (1729-1797), ripreso da Russel Kirk (1918-1994), riteneva che la Rivoluzione francese (progressista) fosse essenzialmente diversa dalla seconda Rivoluzione inglese (del 1688) e da quella americana (o guerra d’Indipendenza 1776-1783), che, invece, erano: “tradizionali e conservative”. Secondo tale linea di pensiero, gli Usa continuerebbero il retaggio classico (greco/romano) e cristiano/medievale[2], l’America sarebbe, così, l’inveramento della Cristianità europea e rappresenterebbe una sorta di pre/modernità o pre/illuminismo, poiché non coscientemente illuminista[3].

Russel Kirk &l’amministrazione di Ronald Reagan

Tale corrente di pensiero (“Movimento Conservatore americano”, di matrice kirk/iana) è venuta prepotentemente alla ribalta nel 1980 con l’amministrazione Ronald Reagan, specialmente nella sua ala ‘‘neo-con’’ e neo-liberista[4], continuata da George Bush padre e da Gorge W. Bush (figlio). Russel Kirk, secondo Respinti, “ci offre l’immagine di un’America che difende i valori della tradizione classica e cristiana, secondo i veri princìpi sostenuti dai padri Fondatori della sua nazione”[5].

Friedrich von Hayek

Un altro discepolo culturale di Kirk è Friedrich von Hayek[6], che distingue nettamente il liberalismo buono angloamericano, poiché conservatore, da quell’europeo cattivo, perché progressista e razionalista.

Karl Popper e Michael Novak

Altri pensatori discepoli spirituali di Burke e ‘‘confratelli’’ di Kirk sono Carlo Popper e Michael Novak). Lo stesso Kirk spiega che la Rivoluzione francese fu una Rivoluzione totale, mentre quella angloamericana fu una Rivoluzione difensiva, non aggressiva; anzi la Rivoluzioni inglese e americana avrebbero impedito lo scoppio di rivoluzioni più cruente e radicali nel loro suolo, proprio perché  essenzialmente conservatrici.

Kirk (in occasione di tre conferenze tenute nel 1989 in Italia, e riportate nel libretto succitato a cura di Marco Respinti) definisce la Guerra d’Indipendenza americana come ‘‘Rivoluzione impedita’’ o ‘‘incompiuta, non fatta’’, poiché ha difeso i diritti consuetudinari (o le “tradizioni”) della gloriosa Rivoluzione inglese del 1688 ed ha impedito il nascere di un radicalismo rivoluzionario simile a quello francese[7]. Anzi, Kirk afferma che mentre la Rivoluzione francese fu fatta in odio al cristianesimo, quella americana fu fatta con spirito di “forte attaccamento… alle Chiese e ai principi morali cristiani”[8]. Infatti, spiega Kirk “in America, nessun colpo fu inflitto contro la fede cristiana. Degli uomini che firmarono la Dichiarazione d’Indipendenza, la vasta maggioranza era composta di cristiani praticanti, dell’una o dell’altra denominazione”[9]. Il Nostro esalta “il rigido Calvinismo di Jonathan Edwards”[10] un ministro congregazionalista del Massachusetts, che difese la dottrina strettamente calvinista sul peccato originale e la fede fiduciale, poiché “insegnava la pravità della natura umana”[11]. Infine, i coloni americani sono difesi da Burke e quindi Kirk poiché “sostennero di resistere a innovazioni pericolose da parte di re Giorgio III d’Inghilterra”[12].

Per quanto riguarda l’ex presidente statunitense George W. Bush, Maurizio Molinari, nel suo George W. Bush e la missione americana, (Bari, Laterza, 2004) spiega che la “compassione” o religiosità sentimentale del presidente americano è “un’eredità dei Pellegrini che giunsero nel Nuovo Mondo fuggendo dalla Vecchia Europa” (p. 37).

Questa idea di “compassione è proprio ciò che distingue l’illuminismo inglese da quello francese, dove invece l’accento è posto sulla Ragione e sulla separazione assoluta tra Stato e Religione” (p. 40). Infatti, l’illuminismo angloamericano insiste sui sentimenti o l’esperienza, mentre quello francese è razionalista; il primo è per la separazione tra Chiesa cattolica e religione (ove la Chiesa romana non è la vera religione), ma non tra Stato e religiosità (ossia, lo Stato americano è fondamentalmente permeato di una vaga religiosità compatibile con la secolarizzazione); mentre, il secondo nega e scinde la religione dallo Stato. Quindi, la religiosità americana e neo/conservatrice è incompatibile con il Diritto Pubblico Ecclesiastico o la filosofia politica cattolico/romana. Inoltre, Bush jr. è influenzato ideologicamente dai neoconservatori, che si distinguono “per posizioni in gran parte trotzkiste. Si tratta di figli di emigrati ebrei dall’Europa dell’Est (…), ostili all’Urss di Stalin (che aveva fatto assassinare Trotzkyj) […]. L’espressione neoconservatore si trasforma presto in quella degli alfieri della Guerra Fredda (…) a favore della linea dura con l’Urss [stalinista e anti-trotzkista]” (p. 46). Dal punto di vista ecclesiologico, Bush “è metodista”, ma “in termini teologici, potrebbe essere definito un ‘‘pietista’’, in quanto considera la religione più una questione di cuore che di intelletto: ma, comunque si voglia definire la sua fede, questa comporta un rapporto diretto tra credente e Dio, non prevede preti o altre figure di intermediari” (p. 164). I suoi maestri spirituali sono “i padri fondatori del conservatorismo compassionevole (…), a fianco dell’eredità dei padri fondatori…, ci sono i filosofi delle libertà personali, John Locke per la politica e Adam Smith per l’economia” (p. 171).

In breve, Bush si rifà al protestantesimo sentimentale e antiromano, al liberalismo deista inglese di Locke, al liberismo “a/sociale” di Smith, e il suo anticomunismo (o meglio della “sua” amministrazione) è, in realtà, pilotato dai trotzkisti, in funzione antisovietica, per esportare la rivoluzione o il caos permanente nel mondo intero (piuttosto che instaurare la dittatura del proletariato in una ‘‘nazione/guida’’), proprio come stava avvenendo in Medio Oriente. Come si vede le sue origini teologiche, economiche, politiche e filosofiche sono incompatibili con la sana filosofia realista dell’essere, con la dottrina sociale della Chiesa, con il dogma cattolico. Egli anche ove sembra ‘‘materialmente’’ buono (anticomunismo) è ‘‘formalmente’’ perverso (filo/trotzkismo). Perciò, non mi sembra lecito presentarlo come l’antemurale della civiltà cristiana o europea, né dal punto di vista teologico (di ordine soprannaturale), né da quello filosofico/economico/politico (di ordine naturale).

d. Curzio Nitoglia



[1] Cfr. M. RESPINTI (a cura di), Russel Kirk. Stati Uniti e Francia. Due Rivoluzioni a confronto, Bergamo, Edizioni Centro Grafico Stampa, 1995.

Edmund Burke nacque a Dublino il 12 gennaio 1729, fu anglicano come il padre, mentre la madre era cattolica. Come uomo politico apparteneva alla corrente/whig del liberalismo inglese, “nutrito di tradizione lockiana”, nel 1790 sostenne la differenza abissale tra Rivoluzione francese e inglese: “La tradizione del 1688 [era] così giustificata e così legittima (…), tutta sulla linea delle libertà inglesi e del protestantesimo [tradizionale/conservatore anglicano] e quella del 1789; effettivamente sovversiva, scopertamente iconoclasta e atea” (J. J. CHEVALIER, Storia del pensiero politico, vol. 3, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 61). Chevalier spiega che la critica burk/iana alla Rivoluzione francese “non voleva sconfessare il suo liberalismo whig” (Ibidem, p. 63). Egli “era sì un liberale, ma all’inglese”, ossia moderato e conservatore (Ivi). Tuttavia, la sua dottrina politica, pur criticando giustamente l’astrattezza del razionalismo illuminista francese, che riponeva eccessiva fiducia nella ragione umana, era debitore di una filosofia empirista e sensista inglese, la quale svalutava eccessivamente le capacità dell’intelletto umano, riducendolo a pura conoscenza sensibile e non razionale o metafisica. Tale concezione era debitrice del pensiero protestante classico luterano, il quale asseriva che l’anima umana (soprattutto l’intelletto e la volontà) fosse corrotta totalmente dal peccato originale e, quindi, incapace di conoscere razionalmente la sostanza delle cose e di volere liberamente. Onde, se Burke è valido nella critica del 1789, tuttavia i suoi principi filosofici non sono compatibili con la retta ragione né con la fede rivelata. Chevalier spiega che Burke aveva “l’orrore per … la metafisica; il risvolto… era la passione per il concreto” (Ivi). Anzi “sentimenti, affetti, passioni, signoreggiano sull’animo umano e ne orientano anche gl’interessi; di fatto l’uomo a questi obbedisce più che alla sua volontà cosciente e orientata dalla ragione” (Ibidem, p. 64). Questa è la filosofia sensista antimetafisica, anti-platonica e anti aristotelico-tomistica e quindi, in contraddizione con lo spirito classico greco-romano e con la filosofia realistica e dell’essere, sia patristica sia scolastica. Onde Burke, speculativamente, rappresenta la modernità contro la metafisica, anche se politicamente ha criticato – da buon moderato liberal/conservatore britannico – gli aspetti razionalisti, atei e progressisti del 1789. Nulla di più. Perciò, mi sembra impossibile prenderlo a modello per la restaurazione della civiltà classica e medievale, la quale “è già esistita e non è da inventare, ma da restaurare e instaurare, contro gli assalti dell’empietà” (s. Pio X, Notre charge apostolique, 1910). Leone XIII, quando ha lanciato la lotta culturale (Aeterni Patris, 1879) per la riconquista della società secolarizzata, ha detto: “Ite ad Thomam”, non ci ha indirizzati alla gloriosa Rivoluzione del 1688, né tantomeno a Burke, che è l’antitesi - per difetto - del tomismo, come il razionalismo francese ne è la contraddizione per eccesso. Se si vuole restaurare la civiltà europea e cristiana, si deve prendere la giusta via, che ci porta al traguardo e si erge in medio et in culmine tra due false strade, l’empirismo e il razionalismo, che, non portano al termine, poiché sbandano o deviano l’una ‘‘troppo poco’’ e l’altra “esageratamente troppo”, mancando in ogni caso l’obiettivo o il fine.

Inoltre, il liberalismo whig di Burke non è poi proprio così ideale. Infatti, uno storico scrive: “I nomi di entrambi i più antichi partiti britannici - Whig e Tory - furono coniati quando Giacomo II stava per salire al trono e coloro, che volevano impedirglielo, perché era cattolico, furono chiamati whig. Vocabolo con cui, in un primo tempo, s’indicavano i ladri di cavalli e poi i calvinisti scozzesi. I fautori di Giacomo II, invece, furono chiamati tory, un termine, che - in un primo tempo - indicava i cattolici fuorilegge” (M. Viglione – F. Nistri – R. Di Mattei, Alle radici del domani, vol. 2, Milano, AGEDI, 2004, p. 213).

Russel Kirk nacque il 19 ottobre 1918 in America. Nel 1964, superando lo stoicismo al quale aveva aderito, si convertì al cattolicesimo. È considerato il caposcuola del “Movimento Conservatore Burkiano” americano del dopoguerra. Nel 1953 lancia la crociata della ‘‘Rivoluzione conservatrice’’ burk/iana, muore il 29 aprile del 1994.

[2] Ibidem, p. 4. Invece la storia insegna che la prima Rivoluzione inglese terminò con il regicidio (nel 1649) di Carlo I Stuart (anglicano e conservatore) da parte di Cromwell (puritano e progressista) e del Parlamento che già allora opponeva al re le libertà o tradizioni concesse agli inglesi (sin dal medioevo) dalla Magna Charta. Cromwell, instaurò una dittatura repubblicana che finì due anni dopo la sua morte, nel 1660, quando la monarchia fu restaurata dal Parlamento, con Carlo II Stuart, cattolico ma tollerante verso i protestanti. Quando, però, gli succedette suo fratello Giacomo II, cattolico intransigente (anche se assolutista), il Parlamento inglese, deciso a difendere la religione anglicana, gli si rivoltò e nacque così (1688) la seconda o “gloriosa Rivoluzione inglese” (per distinguerla dalla prima che era terminata ‘‘ingloriosamente’’ con un regicidio), che finì, con la sconfitta dei cattolici e l’ascesa al trono, nel 1689, di Guglielmo III d’Orange, che emanò un atto di tolleranza per tutte le confessioni cristiane tranne i cattolici/romani. Perciò, la seconda rivoluzione inglese fu anti/cattolica e filo/anglicana; anche se non regicida, né puritana (come la prima). Pertanto non mi sembra che possa essere chiamata “gloriosa”, come vorrebbero Burke, Kirk.

[3] Ivi, p. 5. In realtà esiste l’Illuminismo inglese, anche se fu meno radicale che quello francese; tuttavia, esso presenta tutte le caratteristiche del pensiero moderno antimetafisico e anticattolico. Esso si distingue dall’Illuminismo razionalista francese (errore per eccesso, che esalta esageratamente le capacità della ragione umana), poiché è “britannicamente” empirista o sensista, ma questo è l’errore per difetto che sminuisce le capacità dell’anima umana e la abbassa al livello dei bruti. Ora ‘‘un errore non si corregge con un altro errore’’, anche se meno radicale, poiché ‘‘ogni difetto è un eccesso’’ e viceversa. La filosofia empirista inglese è antimetafisica, quindi è contro il pensiero classico greco/romano. Inoltre, è protestante (anglicana anche se non sempre puritana) e perciò, storicamente post/medievale, mentre teologicamente è contraria alla vera Chiesa di Cristo fondata su Pietro e i suoi successori (i Papi).

[4] Ibidem, p. 10.

[5] Ivi. I quali erano calvinisti, anti/anglicani e ferocemente anti/cattolici, con forti tendenze antitrinitarie, più vicini al giudaismo talmudico che al Vangelo. Onde, non si può dire che essi difendessero la tradizione classica cristiana; dacché, una sola è la Chiesa fondata da Cristo ed è quella Cattolica apostolica e romana fondata su Pietro.

[6] Friedrich August von Hayek (Vienna 1899-Friburgo [Germania] 1992), economista austriaco, discepolo di Ludwig von Mises (Leopoli 1881-New York 1973), intransigente paladino del puro e duro liberismo economico, avverso a ogni forma d’intervento statale, vicino ai filosofi del Circolo di Vienna. Negli anni Trenta Hayek entra in contrasto con l’inglese John          Maynard Keynes (Cambridge 1883-Firle Beacon [Sussex] 1946), il quale - per risollevare l’economia angloamericana dalla depressione del 1926/1929 - teorizzò, con successo, (in La fine del Laissez-faire, 1926) un certo intervento dello Stato in materia economica, mentre il liberismo puro del Circolo di Vienna (e specialmente di Hayek) escludeva ogni azione dello Sato in economia. Hayek, che da giovane era stato socialista, fu poi influenzato da Carlo Raimondo Popper (Vienna 1902-1996), un filosofo neokantiano, agnostico e scettico, fondamentalmente antimetafisico (la filosofia dell’essere di Platone e Aristotele avrebbe, secondo lui, arrestato la conoscenza scientifica). Egli nega ogni valore all’induzione, è il padre del cosiddetto ‘‘fallibilismo’’ o del pensiero debole, che è incapace di cogliere l’essenza delle cose e, quindi, per risolvere i problemi deve ricorrere alla ‘‘immaginazione creatrice’’. Popper ha esercitato un grande fascino sulla società e la politica americana degli anni Ottanta tramite la sua dottrina della ‘‘Società aperta’’, tollerante e democratica con tutti, tranne che con i governi autoritari che vanno abbattuti, per esportare la democrazia (l’altro ieri l’Impero Austroungarico; ieri i fascismi europei; oggi il nazionalismo arabo/islamista del vicino, medio, lontano, Oriente: Egitto/Palestina/Siria, Iraq/Iran, Afghanistan; domani la Russia cristiana di Putin). Ancor oggi con Biden la sua influenza è notevole sull’amministrazione americana e sul neo/conservatorismo tramite Michael Novak (1931), un economista e politico americano, che tenta di far da ponte tra ‘‘neo/con’’ statunitensi e l’Europa, con uno sguardo speciale al Vaticano, essendo stato, da giovane, seminarista a Roma.

Questa scuola di pensiero, che parte da Burke e, passando tra Kirk, Mises, Hayek e Popper, arriva a Novak, tenta di conciliare:

a) la morale autonoma (= soggettiva) kantiana e il liberalismo classico (= valore assoluto della libertà come fine) con la morale cattolica, che è invece oggettiva (non relativa al soggetto umano, ma fondata nella natura come Dio l’ha creata) e ritiene la libertà non un assoluto (o un fine), ma un mezzo per cogliere il Bene sommo (che è l’unico vero fine);

b) il liberismo economico (o il libero mercato senza intervento dello Stato) con la dottrina sociale cattolica; la quale, ripudia l’astensionismo dello Stato in materia economica, poiché l’uomo è per natura un animale socievole. Perciò, forma una famiglia e tende a unirsi ad altre famiglie, per formare una ‘‘Città’’ o società civile perfetta nell’ordine temporale/materiale, che, può dare alla famiglia (società naturale imperfetta) ciò che da sé stessa non riuscirebbe ad ottenere, ossia tutti i mezzi (educazione, istruzione, sanità, difesa pubblica…),  per cogliere il suo fine naturale (benessere comune temporale), subordinatamente a quello spirituale.

Infine, Novak (non essendo riuscito a ‘‘conciliar l’inconciliabile’’; ossia, liberalismo e cattolicesimo) tenta di attirare l’Europa e il Vaticano nell’orbita degli Usa, con lo spauracchio dell’arabo/fascismo (M. Novak, La Stampa, 18. XI. 2005), dacché egli e la sua scuola neo o teo/conservatrice non avversano (teologicamente) l’unitarismo islamico, simile a quello congregazionalista americano ma, combattono - politicamente - soprattutto il nazionalismo arabo (come governo autoritario), sia per una questione economica (petrolio), sia per un’ideologica (esportazione della democrazia in Vicino e Medio Oriente). Onde, la loro (di Novak e scuola) parola d’ordine odierna, è «Laicizzare necesse est», oppure «Non è necessario vivere, ma è necessario democraticizzare!» Invece - secondo la dottrina cattolica e la filosofia perenne - la democrazia moderna/americana, non è l’unica forma di governo, da esportare anche con la spada, ma la corruzione dell’ultima e più bassa delle tre forme legittime (monarchia, aristocrazia e politia).

[7] Ivi, pp. 13-15. Ora, tali consuetudini erano rivendicate già nel 1649 (con buona pace di Burke), dalla prima Rivoluzione inglese di Cromwell, terminata col regicidio. Perciò, l’unica differenza sostanziale tra le due rivoluzioni inglesi è che la prima fu regicida e la seconda no.

[8] Ibidem, p. 15. Certamente non per amore del Papato, che è visto come l’anticristo dai coloni americani. Né dell’unica Chiesa di Cristo che è fondata su Pietro.

[9] Ibidem, p. 16. Ossia, molti calvinisti, pochi anglicani e niente cattolici.

[10] Ib., p. 17.

[11] Ivi. La dottrina cattolica è essenzialmente diversa da quella di Edwards. Infatti, il peccato originale ha ferito l’uomo, ma non ha distrutto intrinsecamente la sua natura intelligente e libera, come invece ha insegnato Lutero seguìto e radicalizzato da Calvino, secondo i quali l’uomo non è più libero né responsabile dei suoi atti, onde potrebbe anche peccare, purché mantenga la ‘‘fiducia’’ di salvarsi senza merito, il che per la Chiesa romana è un peccato contro lo Spirito Santo o impenitenza finale.

[12] Ib., p. 18. Mi sembra che il re inglese (Giorgio III) avesse - oggettivamente - ragione a non volere che i coloni americani invadessero (e poi sterminassero, come accaduto, i pellerossa) ed aveva tutto il diritto ad aumentare le tasse per pareggiare il deficit  prodotto dalla guerra in Canada contro la Francia. Inoltre, il Parlamento inglese si rivoltò contro il re Giacomo II poiché cattolico e non perché innovatore, quindi la seconda rivoluzione inglese, anche se non fu puritana o calvinista come la prima, fu certamente anglicana e anti/romana.



 
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