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Tiranni & Tirannicidio
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LA TEORIA
SUICIDIO O TIRANNICIDIO?

Di fronte alle varie leggi liberticide (per esempio, divieto di uscire di casa, di riunirsi, di assistere i propri cari anche moribondi in ospedale…), omicide (installare i vaccini contenenti le microchip nel corpo umano; divieto di procedere ad autopsia in casi di morte sospetta…) e persino tendenzialmente “deicide” (eucarestia da ricevere solo sulla mano; Messa vietata anche la domenica; funerali e persino l’estrema unzione vietati…), che stanno angustiando gli Italiani in questo terribile anno 2020, molte persone sono talmente preoccupate che non sanno più come reagire convenientemente.

In questi ultimi sei mesi del 2020, in Italia, sono aumentati vertiginosamente i suicidi, arrivando a toccare la somma di circa 350 mila. Molti, non riuscendo più a fare fronte alla crisi economica scatenata dal Covid/19, si disperano e decidono di farla finita. Che dire? Mai disperare e soprattutto mai suicidarsi. Infatti, vi è un’altra via di uscita, che permette di non rovinarsi per l’eternità e neppure per l’aldiquà. Ogni caso ha la sua soluzione, fosse anche il più difficile.

Ai molti Italiani che si pongono il problema, se sia lecito resistere alle leggi tiranniche, che ci angustiano sempre di più da oltre mezzo anno o, se bisogni obbedire sempre e comunque alle disposizioni dell’autorità civile (per esempio, all’obbligo di “educazione” alla perversione sessuale dei bambini già sin dalla scuola elementare) ed ecclesiastica (ad esempio, la comunione eucaristica da ricevere obbligatoriamente sulla mano), si può rispondere con la distinzione classica tra autorità legittima, cui bisogna obbedire quando legifera in maniera conforme alla legge naturale e divina e tirannia, alla quale si può resistere sia non obbedendo passivamente, sia disobbedendo attivamente, anche a mano armata come extrema ratio, qualora volesse imporci degli obblighi contrari al nostro benessere comune temporale e spirituale.

Per re/agire in maniera conveniente occorre conoscere i princìpi (“agere sequitur esse”) che regolano la questione dell’autorità nella società civile e religiosa e occorre, dunque, saper distinguere la vera legittima autorità, che governa per il bene comune temporale e spirituale dei sudditi dalla tirannia, la quale governa solo per il proprio bene oppure conculca quello dei cittadini o dei fedeli.

Infatti, come spiega il “Dottore Comune” della Chiesa, l’essenza della tirannide consiste nel governare per il proprio benessere personale o nel trattare i sudditi come schiavi (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 64, a. 1, ad 3 e ad 5).

Il tiranno (temporale o spirituale) abusa dell’autorità, non governando per il bene comune dei sudditi, bensì per il proprio oppure facendo leggi contrarie alla legge naturale e divina; si veda il caso della “legge 194” sulla legalità dell’aborto (anno 1978), sull’educazione sessuale ai bambini di 4 anni; sui TSO, sulle App/immuni, sui 5G, sui vaccini obbligatori veicolanti microchip, sull’abrogazione della Messa domenicale con presenza di fedeli e sull’obbligo di ricevere l’eucarestia sulla mano senza poterla purificare onde non spargere i frammenti dell’ostia consacrata, che contengono la presenza reale di Gesù sacramentato (anno 2020).  

Innanzitutto bisogna specificare che l’autorità, la cui missione è la salvezza del popolo come sua suprema legge, ha dei limiti. Il ruolo del potere e la sua ragion d’essere è di spingere ognuno verso il bene comune: “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere”[1].

“Gli scolastici, da S. Tommaso a Francisco Suarez, non esitano a dire che la nazione ha il diritto di destituire, di deporre, di cacciare il tiranno. Poiché ha perso il diritto di regnare ed è diventato illegittimo, ma bisogna che l’abuso sia grave, permanente ed universale”[2].

Nell’XI sec., Manegold da Lautenbach[3], equiparava il tiranno “ad un guardiano di porci; se il pastore, invece di far pascere i porci, li ruba, li uccide o li smarrisce, è giusto rifiutargli di pagargli il salario e scacciarlo ignominiosamente”[4].

Nel XIII secolo, S. Tommaso d’Aquino, nel De regimine principum, insegnava che “se appartiene di diritto alla moltitudine di darsi un capo, essa può, senza ingiustizia condannare il principe a disparire, o può mettere freno al suo potere se ne usa tirannicamente”[5].

Il padre gesuita Andrea Oddone[6], nel 1944-45, ha scritto che la resistenza passiva è sempre lecita nei riguardi di una legge ingiusta (per quanto ci riguarda oggi, si va dall’aborto nel 1978, sino alla trans/fobia nel 2020). La resistenza attiva legale, in casi in cui la religione rivelata e la legge naturale sono messe in pericolo, non solo è lecita, anzi, occorre “deplorare – come insegna Leone XIII nell’Enciclica Sapientiae christianae del 1890 – l’attitudine di coloro che rifiutano di resistere per non irritare gli avversari”.

La resistenza passiva consiste nella non esecuzione della legge ingiusta (l’obbligo di vaccini con microchip, di educazione sessuale dei bambini a scuola…), fino a che non vi si è costretti con la forza (TSO); ma nel caso in cui la legge ingiusta comandi qualcosa di peccaminoso, ossia “un atto intrinsecamente cattivo in sé, allora la resistenza non solo è permessa, ma è sempre obbligatoria; non si possono eseguire ordini criminali”[7]. In breve occorre resistere come difronte ad un tentativo di violenza carnale (si veda il caso di santa Maria Goretti, che resistette e si fece martirizzare, il 6 luglio 1902 a Nettuno, per non subire la violenza carnale).

La resistenza attiva non violenta consiste in un’opposizione positiva alla legge ingiusta, compiuta sul terreno delle leggi o con mezzi legali, per es. pubbliche riunioni, proteste, petizioni ricorso ai tribunali, denunce pubbliche, ecc... «occorre non rifugiarsi nell’indifferenza e nell’inerzia di coloro che non sanno o non vogliono organizzarsi e lottare per una causa nobile e giusta, per timore e viltà di affrontare i sacrifici e i maggiori doveri che questa lotta porta con sé. [...] “A chi cadrebbe in animo di tacciare i cristiani dei primi secoli di nemici dell’Impero Romano, solo perché non si curvavano dinanzi alle prescrizioni idolatriche, ma si sforzavano di ottenerne l’abolizione?”» (Leone XIII, Lettera ‘Notre Consolation’ ai cardinali francesi, 3 maggio 1892)”[8].

Inoltre S. Tommaso, nel De regimine principum, pur insegnando che “la moltitudine può, senza ingiustizia condannare il principe a disparire, ossia può mettere freno al suo potere, se egli ne usa tirannicamente[9]. Tuttavia egli aggiunge che «pure se alcuni insegnano essere lecita l’uccisione del tiranno per mano di un qualsiasi privato [...] è pericolosissimo permettere l’uccisione privata del tiranno, perché i malvagi si riterrebbero autorizzati a uccidere anche i re non tiranni, severi difensori della giustizia [...] contro i tiranni eccessivi e insopportabili si può agire solo in virtù di una pubblica autorità»[10].

Il problema del tirannicidio – o l’uccisione del tiranno – è stato trattato sino ai nostri giorni. Nel XIX seolo da papa Leone XIII, nel XX secolo da papa Pio XI e nel secolo XXI da vari teologi o storici qualificati. Leone XIII, nell’Enciclica Diuturnum illud del 1881, insegna che quando l’ordine del principe è contrario al diritto naturale e divino, “obbedire sarebbe criminale”. Pio XI, nell’Enciclica Firmissimam constantiam del 1937, appoggiando, i Cristeros ricorda all’Episcopato messicano che, se i poteri costituiti ²attaccano apertamente la giustizia […], non si vede nessuna ragione di rimproverare i cittadini, che si uniscono per la loro difesa e a salvaguardia della nazione”, ossia è lecita una resistenza attiva ed anche armata che usi mezzi leciti.

Tuttavia occorre, seguendo la dottrina comune dei Dottori scolastici, spiegare bene che la resistenza attiva armata è legittima solo a quattro determinate condizioni: 1°) se la tirannia è costante (nel caso nostro continua dal 1978 e peggiora sempre di più specialmente dall’inizio del 2020); 2°) se è manifesta o giudicata tale dalla ²sanior pars” della società (molti magistrati, medici, avvocati, vescovi, sacerdoti, generali, virologi, scienziati… si sono espressi pubblicamente in questo senso); 3°) se le probabilità di successo sono numerose (questo nel nostro caso attuale non lo si può sapere, anzi sembrerebbe difficile ottenerlo…); 4°) se la situazione successiva non è peggiore dell’anteriore[11] (molto probabilmente sarebbe difficile far peggio del governo di Conte/bis eterodiretto da Soros e Bill Gates; tuttavia dato il regime di attuale Mondialismo o Globalizzazione, una singola Nazione non è più padrona del proprio destino).

Quando la legge ingiusta cerca di imporsi con la violenza e con la forza [si veda lo “Stato di polizia” instaurato attualmente in Italia con la scusa del Covid/19, ndr], è lecito ai cittadini organizzarsi e armarsi, opporre la forza alla forza[12]. Padre Reginaldo Pizzorni, recentemente scomparso, continua: “Il diritto di resistenza è generalmente ammesso, e, da S. Tommaso in poi, salvo rare eccezioni, è stato ammesso anche da tutti i teologi come ultima ratio, come ultimo ed estremo rimedio, quando tutti gli altri mezzi previsti non sono possibili o si sono dimostrati insufficienti”[13].

Conclusione

Ci stiamo avvicinando a passi da gigante al “Regno dell’Anticristo finale”. Una tirannia spietata è nata “democraticamente” e “farmacologicamente” già a partire dal 1978 (con la legalizzazione dell’infanticidio) ed è maturata o scoppiata virulentemente nel 2020 (con la legalizzazione della guerra batteriologico/farmaceutica) e in pochi giorni, sotto il pretesto di garantire la buona salute di tutti gli uomini di tutto il mondo contro il Covid/19 (“Vaccinati di tutto il mondo, unitevi!”). Molti si sono lasciati sedurre ed hanno invocato l’intervento “armato”, ma indolore e dignitoso degli Stati per essere liberati dal Coronavirus. Il fine ultimo dell’uomo non è più il Paradiso, ma la salute del corpo. Ora ci ritroviamo privati delle nostre libertà più necessarie e persino di poter vivere come “animali sociali e razionali” quali siamo per natura. La Messa pubblica è stata proibita non solo dallo Stato, ma anche dal Pastore (Bergoglio e CEI).

Di fronte ad un male così vasto, universale, profondo e demoniacamente preternaturale cosa possiamo fare? Umanamente molto poco, ma quel poco che possiamo cerchiamo di farlo. Infatti, noi siamo soltanto come una piccola goccia d’acqua, ma tante piccole gocce formano un oceano. Se rinunciassimo a muoverci dicendo che siamo troppo piccoli (come una sola goccia) per combinare qualcosa di valido, non riusciremo mai ad unirci ad altre tante piccole gocce e a formare, così, un mare. Quindi, diamoci da fare e con l’aiuto di Dio operiamo quel poco che possiamo, il resto lasciamolo alla Provvidenza divina. Sant’Ignazio da Loyola diceva: “Quando agisci comportati come se tutto dipendesse da te, ma credi che tutto dipende da Dio”. “Aiutati che Dio ti aiuta”, recita il proverbio popolare. “Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te” (S. Agostino, Sermo 169, XI, PL, tomo 38, col. 93). Tuttavia penso che solo l’Onnipotenza di Dio, tramite la Sua Giustizia e la Sua Misericordia, potrà porre un rimedio efficace a un così grave disordine.

Si va verso il castigo predetto dalle Scritture e riconfermato dalla Madonna a Fatima nel 1917. È dall’Umanesimo che il mondo va verso la sua rovina. Dopo secoli di idealismo filosofico (è il pensiero dell’uomo che crea la realtà) non si poteva non arrivare a una simile follia, molto bene logicamente congegnata.

Nella seconda parte del presente articoletto affronterò, in concreto ed in parabole, la questione di cosa occorra fare, in pratica, per poter resistere all’aggressione tirannica, che ci assale da ogni parte sia spiritualmente sia temporalmente.


LA PRATICA

Cosa Fare In Concreto? Vale Più la Pratica Che La Grammatica …

Antioco Epifane: La Prima Persecuzione Religiosa Della Storia

Quando, nel 164 a. C., Antioco IV Epifane si propose di ellenizzare politeisticamente Gerusalemme e tutta la Palestina, si ebbe la violenta reazione  maccabica monoteistica, che fece fallire il tentativo.

Infatti, quella che viene chiamata “la prima persecuzione religiosa che la storia conosca” (G. Ricciotti, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1932, 2° vol., p. 272), provocò molte apostasie, “ma si ebbero anche dei ribelli alle ingiunzioni di Antioco IV, e per conseguenza anche dei Martiri. Anche questi non furono pochi. Si ha particolare notizia di madri che dopo gli editti anti-jawehistici circoncisero egualmente i loro bambini, e che perciò vennero uccise insieme con essi. Chi si rifugiava in recondite spelonche, per osservarvi impunemente il riposo del Sabato, se veniva  scoperto poteva finirvi bruciato dai fuochi accesi all’imboccatura dagli ufficiali siriaci. Altri pagarono con la vita l’essere stati sorpresi in possesso dei Libri della Torah” (G. Ricciotti, cit., ivi).

Vi sono due episodi particolarmente commoventi riportati dal II Libro dei Maccabei (VI, 18, ss. e VII). Il primo riguarda il novantenne scriba Eleazaro, versatissimo nelle sacre Scritture, il quale preferì morire piuttosto che fingere soltanto di mangiare la carne di porco: infatti, quando i Siriaci  gli aprirono la bocca per forzarlo a mangiare carne suina, resisté; siccome i Giudei presenti, che lo amavano, gli dettero della carne pura dicendogli di fingere di mangiare carne suina, egli rispose che non poteva fingere facendo credere di essere diventato pagano e preferì essere martirizzato. Il secondo riguarda una madre di cui non si conosce il nome, che assisté al martirio dei suoi sette figli, incoraggiandoli, e poi li seguì nella morte per fedeltà a Jaweh, sotto gli occhi di Antioco.

“Molti altri, pur non essendo Martiri, si sottrassero all’apostasia allontanandosi dai centri abitati – soprattutto da Gerusalemme –  meglio  controllati dai Siriaci. […]. Molti di questi dis/urbanizzati si dettero alla campagna. Chi non voleva affrontare il martirio e non voleva neppure apostatare doveva lasciare la città, dove i pagani erano padroni assoluti: non restava che disperdersi nella steppa di Palestina e ivi condurre la vita nomade del beduino” (G. Ricciotti, cit., p. 274).

Nella steppa palestinese si erano rifugiati i fedeli di Jaweh. Antioco e gli ellenizzanti avevano conquistato Gerusalemme e le grandi città d’Israele e pensavano di aver avuto vittoria completa sullo Jawehismo. Quindi sottovalutarono i pii Giudei che vivevano nelle zone steppose e desertiche, opponendo una resistenza solo passiva all’Ellenismo, che avrebbe potuto diventare ben presto attiva ed anche armata. Ora successe proprio questo. In poco tempo nella piccola cittadina di Modin (a circa 30 km da Gerusalemme), in cui viveva una famiglia di stirpe sacerdotale: gli Asmonei, il cui capofamiglia era Mattatìa l’Asmoneo, che aveva 5 figli, dei quali il terzo si chiamava Giuda detto “Maccabeo”, ossia “Martello” (dall’ebraico maqqabahah per indicare la forza con cui colpiva i nemici) che avrebbe frantumato l’Ellenismo politeistico.

«Il sacerdote Mattatìa era un uomo all’antica, quindi non proclive all’aggiornamento, circondato dai suoi figli di cui era ben fiero. Egli nutriva un gran disprezzo per i costumi dell’Ellenismo e la profanazione idolatrica dello Jawehismo lo aveva fatto fremere di sdegno. Non era uomo da tacere o fingere; alle prime avvisaglie della persecuzione dell’Ellenismo verso lo Jawehismo, Mattatìa manifestò apertamente tutta la sua riprovazione. Era vecchio, ma aveva sempre a sua disposizione i suoi 5 giovanotti e la steppa sconfinata. Là avrebbe giocato il tutto per tutto. Il suo motto era: “Che c’importa di vivere ancora a lungo?” (I Macc., II, 13)» (G. Ricciotti, cit., p. 284). Più recentemente, in Italia, si diceva ancora “è meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora!”. Oggi purtroppo si dice: “Restate a casa! Ce la faremo (sotto). Il vaccino rende liberi. Tutto andrà bene! Meglio vivere molto tempo da pecora che un poco da leone … La mascherina ci salverà”.

Un giorno i nodi vennero (e varranno) al pettine, come succede quasi sempre nelle vicende umane quando le circostanze ci obbligano a prendere posizione e a schierarci con uno o con l’altro (con Cristo o con Belial, con Jaweh o con Giove, con Dio o con Mammona, con Antioco o con Mattatìa, con Cristo o con Conte). Infatti, la commissione di controllo per l’ellenizzazione forzata della Palestina giunse a Modin per farvi eseguire gli editti di Antioco a favore del culto idolatrico ellenistico. Molti Giudei si piegarono e sacrificarono a Giove e agli Dei “falsi e bugiardi”, Mattatìa rifiutò categoricamente proprio mentre un altro giudeo si presentò davanti alla commissione per sacrificare agli idoli. A quello spettacolo il vecchio sacerdote non si contenne più, ammazzò l’apostata, il commissario di Antioco e distrusse l’altare pagano in cui i Giudei rinnegati avevano offerto i sacrifici agli idoli pagani (non aveva ancora letto i Decreti del Vaticano II). Quindi fuggì con i suoi 5 figli nella steppa, invitando tutti gli abitanti di Modin a seguirlo e a restar fedeli a Jaweh. La notizia si diffuse con una rapidità impressionante e i Giudei, che si erano rifugiati nella steppa, opponendo solo una resistenza passiva all’Ellenismo idolatrico e politeista, ripresero coraggio e furono trascinati dall’esempio di Mattatìa a prendere le armi per passare al contrattacco, nelle resistenza attiva e armata.

Sùbito dalla fortezza di Akra in Gerusalemme partì un drappello di soldati siriaci per stroncare i rivoltosi. I soldati, astutamente, attaccarono un gruppo di circa 1000 resistenti il giorno di sabato. Costoro ingenuamente rifiutarono di difendersi per non violare il sabato e vennero uccisi. Mattatìa capì che non si poteva vincere la guerra, se ci si atteneva scrupolosamente alla lettera della legge del giorno del riposo sabbatico, che non vietava di fare il bene o di difendersi dal male, ma solo di compiere opere non necessarie nel giorno di sabato. Quindi decise che nel sabato i fedeli di Jaweh non avrebbero attaccato, ma si sarebbero difesi senza timore di offendere la legge.

Mattatìa e figli raccolsero i primi sbandati della steppa, si munirono di armi e costituirono un piccolo esercito, facendo esattamente il contrario di quel che facevano  i soldati di Antioco: Ellenisti e Giudei apostati venivano giustiziati, le are pagane venivano distrutte, i bambini venivano circoncisi.

Mattatìa era già molto vecchio e nel 166 a. C. morì, incitando i suoi figli a perseverare nella lotta. Nominò il secondogenito, Simone, capo degli affari di politica e di amministrazione, mentre il terzogenito, Giuda, fu nominato sovrintendente agli affari della guerra.

Conclusione

Molto probabilmente le attuali leggi contro la sana moralità dell’infanzia, la liceità di partecipare alla Messa di domenica, senza dover profanare la presenza reale di Gesù nell’Eucarestia… ci porteranno a dover affrontare la lotta contro i successori di Antioco Epifane e i precursori dell’Anticristo finale, che sono venuti in questi mesi del fatidico 2020 a bussare alle nostre porte, come avvenne già nel 164 a. C.

In queste circostanze si può, per chi ne ha la capacità, fare come fecero i fratelli Maccabei quando Antioco IV Epifane si propose di ellenizzare – importando il Politeismo con l’aiuto di alcuni Sommi Sacerdoti, che avevano comprato tale dignità – Gerusalemme e tutta la Palestina, si ebbe la violenta reazione maccabica ‘integralmente’ monoteistica e veterotestamentaria, che fece fallire il tentativo.

Purtroppo lo spirito di resistenza alla tirannide in questi tempi di apostasia universale si è ridotto assai, oggi si preferisce suicidarsi piuttosto che combattere come fecero i Maccabei.

Mattaìa non va più di moda…, cosa avrebbe fatto alla vista di certi “governatori” che hanno legiferato sino a ieri sull’obbligo di museruola anche all’aperto per noi poveri cittadini di terza serie, quando loro sono poi andati, invece, a gozzovigliare – in pubblico e davanti alle telecamere – alla  faccia di noi poveri imbavagliati, senza mascherine e distanze a/sociali. Certamente non si sarebbe suicidato, non avrebbe taciuto, non sarebbe restato con le mani in mano, ma avrebbe continuato a fare quel che fece nel 164 a. C. “Chi ha orecchi per intendere, intenda!”…

Soprattutto non disperatevi e non sparatevi… chi dispera e si spara è perduto! Ad Abilene chi spara prima vive bene!

d. Curzio Nitoglia



[1] Dictionnaire de  Théologie Catholique, volume 29, colonna 1952.

[2] D. Th. C., vol. 29, col. 1962.

[3] Cfr. O. Capitani, Papato e Impero nei secoli XI e XII, in «Storia delle idee politiche economico e sociali», diretto da L. Firpo, vol. 2, tomo II, Il Medioevo, Utet, Torino, 1983, pp. 141-165.

[4] Liber ad Gebehardum, cap. XXX.

[5] De regimine principum, Lib. I , cap. 6.

[6] A. Oddone, ²La resistenza alle leggi ingiuste secondo la dottrina cattolica” in “La Civiltà Cattolica”, n. 95, 1944, pp. 329-336; Ibid., n. 96, 1945, pp. 81-89.

[7] R. Pizzorni, Diritto naturale e diritto positivo in S. Tommaso, Bologna, ESD, 2000, p. 358.

[8] Ibidem, p. 359.

[9] De regimine principum, Lib. I , cap. 6.

[10] C. Giacon, La seconda scolastica. I grandi commentatori di S. Tommaso, Milano, Bocca, 1944, p. 98.

[11] Cfr. A. Oddone, ²La resistenza alle leggi ingiuste secondo la dottrina cattolica” in  La Civiltà Cattolica, n.  95, 1944, pp. 329-336; Ibid., n.  96, 1945, pp. 81-89.

[12] Ibidem, p. 360.

[13] Ibidem, p. 361.



 
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