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Weimar: una tragedia da deflazione (parte II)
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Parte 2/4
L’ascesa del nazismo

La setta diventa partito di massa grazie a deflazione e a disoccupazione


Se con la gestione Stresemann, la Repubblica di Weimar godette di un periodo di relativa stabilità, a partire dal 1929-30 la crisi economica mondiale, innescata dal liberismo dogmatico cui si ispiravano i governi occidentali, travolse la Germania. Le industrie fallirono, la disoccupazione operaia dilagò, la classe media di artigiani, professionisti e commercianti si ritrovò sull’orlo della proletarizzazione ed i contadini soffrivano la fame. L’incapacità dei governi liberali nel porre un freno alla crisi non fece altro che radicalizzare lo scontro politico nelle piazze riassalite dalla violenza.

Se nel 1925 lo NSDAP era una setta divisa al suo interno dalle rivalità tra i suoi capi – Hitler, Drexell, i fratelli Strasser – nel 1930 esso inizia la sua ascesa fino a diventare un partito di massa. Nel 1932 il partito nazista diventa, fiancheggiato anche dai conservatori di destra, il primo partito del Reichstag. Dal momento che il secondo partito era quello comunista e che, pertanto, nessuna maggioranza solida era possibile, i cancellieri Papen e Schleicher non potevano che governare a forza di decreti presidenziali e senza appoggio parlamentare.

Che la Repubblica fosse ormai morta diventò ben presto chiaro a tutti. Senza i nazisti non era possibile garantire un governo alla Germania. Il 30 gennaio 1933 Hitler riceve da Hindeburg la nomina a cancelliere. I conservatori si illudevano di tenere sotto controllo i nazisti e di utilizzarne il seguito popolare come base di un governo autoritario di destra. Ma era appunto una illusione.

Per comprendere gli effetti devastanti della politica liberista e deflazionista è necessario ricorrere alle fonti d’epoca che ci spiegano dal vivo quale presa facesse la propaganda nazionalsocialista tra le masse di disoccupati alla fame. Nell’incapacità di comprendere i meccanismi della speculazione finanziaria ed il rigorismo finanziario assurdamente dogmatico del liberismo, l’uomo della strada iniziò davvero a pensare che i nemici razziali e politici indicati dai nazisti fossero i veri responsabili dell’abisso nel quale era precipitata la Germania e che tali nemici volessero, o con il bolscevismo o con la speculazione, distruggere la nazione. In realtà sugli ebrei andavano ricadendo responsabilità proprie della finanza speculatrice, della cecità anglo-francese e del liberismo cinico praticato dalle classi politiche di governo. Quelle che seguono sono le vive testimonianze di due tedeschi di quegli anni che aderirono al movimento nazista.

«La crisi economica e la disoccupazione, in continua crescita tra il 1930 e il 1931, mi stimolarono ad occuparmi della situazione politica del Reich. Frequentando varie riunioni politiche e leggendo diverse pubblicazioni, imparai tante cose sul nazional-socialismo, il bolscevismo, la social-democrazia, ecc., che decisi di combattere dalla parte di coloro che volevano, con un onesto programma, ridare pane e lavoro ai lavoratori sia manuali che intellettuali, unire insieme nazionalismo e socialismo, rimettere in piedi leconomia dopo che era stata distrutta dai governi giudeo-marxisti e ridare alla patria in quanto nazione lonore che gli compete. Allo stesso modo affascinato dallo spirito cameratesco delle SA e convinto delle idee del nostro Führer sono entrato nel NSDAP e nelle SA, il 1° dicembre 1931, per partecipare alla lotta … per la realizzazione del nazional-socialismo» (1).

«Sono nato a Francoforte il 3 marzo 1899, ho seguito corsi complementari e ho fatto apprendistato dal 1914 al 1916 nella Banca J. Mertens. Alla fine dellapprendistato sono stato impiegato in diverse banche. Nellottobre 1917 sono stato arruolato… Nel 1923 organizzai un commercio di metalli. Nel 1929, a causa delle difficoltà economiche, dovetti abbandonare tale commercio. Sono stato impiegato ancora per un anno e mezzo, poi verso la fine del 1930 rimasi disoccupato. Mi sono iscritto al NSDAP e alle SA il 30 giugno 1931…» (2).

Come si vede da queste testimonianze vi era un forte nesso tra disoccupazione e radicalizzazione politica. Non importa se nel caso tedesco fu in senso nazista. In altri, e contemporanei, contesti potrebbe manifestarsi di altro segno, ma con la stessa virulenza direttamente proporzionale all’intensità delle politiche di rigore usuraico che il liberismo impone.

Questi i dati del progressivo aumento della disoccupazione nella Germania degli anni 1930-33 sottoposta alla cura deflazionista di Brüning (3):

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H. von Gerlach era un osservatore non nazista dell’ascesa di Hitler e si rese perfettamente conto del potenziale ideologico del nazismo e del suo ascendente sulle masse impoverite dalla disoccupazione. Mettendo in rilievo la differenza tra l’esiguo numero iniziale di seguaci e l’alto seguito elettorale conseguito successivamente dal partito di Hitler, Gerlach scriveva nel 1930:

«Non si deve dimenticare che Hitler dispone di diverse centinaia di migliaia di uomini ciecamente devoti e in larga maggioranza giovani. Questo nucleo di sostenitori si divide in due gruppi con mentalità completamente differente. Gli uni sono dei veri e propri idealisti. Sono giovani che hanno delle convinzioni completamente simili a quelle del Jung-deutscher Orden (4) cioè mistiche e romantiche (…). Essi vibrano. Credono al III Reich’ (…). Accanto a questi idealisti ci sono i guastatori’… alcune centinaia di migliaia difalsi duri’ (eredità della guerra) che sono per sempre inadatti per ogni mestiere onesto. Se cè un putsch vi partecipano. Ovunque ci sia la speranza di un putsch, lì si arruolano (…). Degli idealisti con le idee confuse e dei mercenari senza idee, in tutto qualche centinaio di migliaia di uomini, ecco il nocciolo duro delle truppe di Hitler. I milioni di elettori che questa volta, Hitler, ha potuto passare in rassegna, grazie a circostanze favorevoli, cioè grazie alla sfavorevole situazione economica, sono reclutati tra i più vari strati sociali. Sono operai… almeno un milione. Sono braccianti agricoli (…). Sono questi… elementi… che hanno prima militato nelle fila dei comunisti e che ora si rivolgono verso i nazional-socialisti perché dimostrano tendenze ancor più radicali. Sono giovani, apprendisti, barbieri, autisti (…). Sono masse di impiegati… i celebri proletari in colletto bianco (…). Poi cè il grosso degli studenti e degli altri giovani universitari. Tra di essi gli slogan antisemiti, trovano terreno particolarmente fertile (…). Vi sono anche… numerosi funzionari (…). Infine… cè l’enorme massa di quelle che vengono definite le classi medie (…) milioni di artigiani, di piccoli imprenditori, di piccoli commercianti (…)» (5).

Gerlach si sbagliava di grosso a proposito dell’inconsistenza del retroterra culturale del nazismo che al contrario era molto profondo e radicato proprio in quella mistica panteista che lui stesso cita. Una mistica risalente, se vogliamo, al neoplatonismo ermetico rinascimentale, mediato dal romanticismo ottocentesco wagneriano con i suoi miti neopagani che proponevano uno scenario medievaleggiante ma in chiave esoterica: quella cui attingeva la cultura nazista impregnata del mito del sangue e del suolo o del mito, del tutto abusato e fuori contesto, del Graal inteso, appunto, come simbolo pagano, camuffato dietro forme solo esteriormente cristiane, della purezza razziale ariana.

Ripetiamo: la storia procede per analogie e non per identità. Ma sicuramente non è possibile negare un nesso analogico tra la base elettorale e la mitologia pagana di Hitler e la base elettorale e la mitologia leghista: artigiani, piccoli imprenditori, partite IVA vessate dall’elevata tassazione, che, insieme ai montanari delle valli lombarde – così simili per mentalità arcaica ai montanari delle Alpi tedesche – fanno propria, per disperazione economica, la mitologia identitaria neoceltica del dio Po nella speranza, dietro il preteso federalismo, di veder nascere una ricca comunità etnica omogenea refrattaria, similmente all’analogo auspicio dei nazisti per i quali la romanità era materialismo, a tutto ciò che è romano.

Se sbagliava circa il radicamento della cultura che stava dietro al nazismo, Gerlach aveva però ben compreso quale stesse, all’epoca, diventando la base sociale di massa del nazismo che pescava nella disperazione di disoccupati, operai e ceto medio vessati dalla crisi e dalle politiche deflazioniste dei governi liberali.

Infatti, se un manifesto di propaganda elettorale nazista, rivolto ai ceti medi, del 1932 recitava:

«Sei milioni di disoccupati, migliaia di fallimenti, ecco il bilancio del sistema (…). Nellaprile del 1930, Brüning aveva detto cheil limite delle privazioni che possiamo infliggere al popolo è stato raggiunto’. … Ceti medi! Nel corso di tutti questi anni il sistemavi ha semplicemente abbandonato! Ma con il nazionalsocialismo è comparso un nuovo difensore dei vostri interessi che ha riconosciuto nel suo giusto valore limportanza dei ceti medi (…). Lo NSDAP non ha mai smesso di battersi in vostro favore. È stato contro il piano Young (…). Ha ingaggiato battaglia contro i grandi magazzini (…). Il suo progetto è la costruzione di uno Statonel quale l’artigianato e l’industria ritroveranno i loro diritti e la loro dignità. Esso soltanto, ha finora manifestato una reale comprensione per i pensionati, le vedove e gli orfani, i piccoli proprietari».

La propaganda nazista rivolta ai disoccupati ed agli operai e contadini era, invece, di questo tono:

«Tu credi che la fame sia necessaria? Può essere che tu labbia già conosciuta? Venti milioni di tedeschi hanno fame come te… Domani tornerai allUfficio di Collocamento e timbrerai. A parte questo domani non hai niente da fare. Ed hai sempre nuovi compagni. Da quando è in carica il governo Brüning, il numero di disoccupati è aumentato di quattro milioni. Credi che possa diminuire senza cambiare metodo? (…) Il contadino è diventato povero e lascia incolto il suo campo (…). A te piacerebbe lavorare (…). Al contadino anche (…). Ma tra di voi cè un muro invisibile. (…). Domani la miseria sarà aumentata ancora. E tutto questo avviene nonostante che la terra tedesca possa fornire tutto ciò di cui abbiamo bisogno (…). Le miniere tedesche sono ricche di potassa di cui i contadini hanno bisogno come concime. Ma i pozzi sono fermi, e i minatori finiscono disoccupati. Nei campi cè troppa acqua. Si potrebbe drenare, ma i lavoratori rimangono disoccupati e gli imprenditori falliscono (…). Ci sono mattoni per costruire. Ma il legno marcisce nei boschi. E noi viviamo in miserabili tuguri, aspettando di rimanere disoccupati. Credi, forse, che tutto questo sia normale? Se credi questo, allora va, e vota per coloro che non hanno fatto niente per impedire la miseria e che, anzi, lhanno accresciuta (…). Se invece ti resta un barlume di speranza, allora vota per i nazional-socialisti! (…). Partecipa allopera di ricostruzione! Impegnati di persona! Tu, fino ad oggi puoi essere stato qualunque cosa. Nelle nostre fila sarai un fratello e un camerata. Domani, tutto sarà di nuovo grande! I nazional-socialisti possono aiutarti! I nazional-socialisti vogliono aiutarti! Ma è necessario che tu dia loro il potere! Quindi vota per i nazional-socialisti (Movimento Hitleriano)» (6).

In una situazione di disoccupazione di massa e di depressione economica, il nazismo riuscì a conquistare le masse trasformandosi da setta esoterica quale era all’inizio, quando contava non più di 60 adepti nella Monaco degli anni Venti, in un partito di massa che avrebbe fatto della Germania un sistema totalitario a base certamente socialista ma razziale.

In una relazione del Gau Sassonia dello NSDAP, apparsa sul giornale delle SA Völkischer Beobachter nel gennaio 1932, la situazione sociale era così descritta:

«(La)… miseria è presente particolarmente in Sassonia. Il numero dei disoccupati in Sassonia supera il 50% in più della media del Reich. È inutile ricordare che il nostro movimento ne è interessato in prima linea. Una statistica che però risale alla primavera del 1931, indica che il 25% dei nostri iscritti è senza lavoro. Tra le SA questa percentuale raggiunge anche il livello spaventoso del 44%. (…). Nelle ultime settimane dellanno, si è tenuto conto di questo fatto organizzando davanti agli uffici di collocamento unintensa propaganda assicurata da nuclei di disoccupati particolarmente ben organizzati» (7).

Ernst Röhm
  Ernst Röhm
Le SA (Sturmabteilung ossia squadre dassalto) erano l’organizzazione paramilitare del partito nazista composta da disoccupati ed operai. Esse erano capeggiate da Ernst Röhm, un repellente e disgustoso pederasta (l’omosessualità era molto praticata, anche come rito iniziatico, tra i nazisti e sarà comune anche nelle SS, Schutzstaffen ossia squadre di protezione, di Himmler, il cui nucleo esoterico interno era denominato Ordine Nero). Le SA rappresentavano l’ala sinistra del partito nazista, legata alle idee dei fratelli Gregor ed Otto Strasser, portatrice di un anticapitalismo totale. Ernst Röhm era stato al seguito di Hitler sin dai tempi del putsch di Monaco del 1923 ma quando il futuro Fürher comprese che quell’esercito di luppemproletariat, sottoproletariato, era inviso ai fiancheggiatori conservatori, industriali, partiti nazionali borghesi ed alti comandi della Wermacht, dell’appoggio dei quali egli nel 1933-34 aveva bisogno per conquistare e consolidare il potere, non esitò a disfarsene con il massacro della Notte dei lunghi coltelli (30 giugno-2 luglio 1934) nel quale cadde anche Röhm. In realtà in quel frangente Hitler raggiunse due obbiettivi: tranquillizzare i fiancheggiatori di destra ma al tempo stesso intimorirli e sottometterli alla sua politica, come dimostra il fatto che vittime, almeno politiche, di quella notte di massacri furono anche molti esponenti conservatori come Jung e Papen che se la videro brutta. I vertici delle SA furono epurati e le truppe inquadrate nella nuova organizzazione di Himmler, le SS.

Alla luce della situazione economica disastrosa, non può, pertanto, meravigliare, come le testimonianze coeve sopra citate dimostrano, se le masse disoccupate seguirono Hitler cantando canzoni come questa:

«Nostri fratelli delle miniere e delle cave/ nostri fratelli degli aratri/nostri fratelli delle officine e dei laboratori/ fratelli nostri, seguite il nostro cammino e le nostre bandiere/ Hitler è il nostro capo. Poiché egli non è comprato/dalloro che dai troni ebraici è versato ai suoi piedi./ (…)/ Prima eravamo marxisti, fronte rosso, SPD/ Eccoci oggi nazionalsocialisti, soldati del NSDAP» (8).

Né può meravigliare che le masse affamate rispondessero ad appelli propagandistici del seguente tenore:

«Hitler è la parola dordine di tutti coloro che credono alla resurrezione della Germania! Hitler rappresenta lultima speranza di coloro ai quali è stato tolto tutto, casa, campi, risparmi, mezzi di sussistenza, forza di lavorare, e ai quali non resta che una cosa, la fede in una Germania giusta, che ridarà ai suoi figli il pane, lonore e la libertà! (…). Hitler è luomo venuto dal popolo che i suoi nemici odiano, perché egli sa capire il popolo e combatte per lui (9).

Del resto che disoccupati, operai, contadini e ceti medi impoveriti dalla crisi non riponessero tutte le loro speranze di rinascita sociale in un’ideologia che presentava un programma socialmente avanzato, benché piegato ad una visione razziale e millenaristica, era impossibile nelle circostanze storiche dell’ultima fase della vita della Repubblica di Weimar.

Chi crede che il nazismo fosse solo la follia di pochi uomini impostisi con la forza non conosce affatto le dinamiche delle crisi economiche indotte dal liberismo deflazionista che aprono inevitabilmente a qualche forma di rivoluzione o perlomeno di rivolgimento sociale anche violento.

Il programma dello NSDAP, risalente già al 1920, prevedeva cose come l’uguaglianza dei diritti e doveri, l’eliminazione dei guadagni non provenienti da lavoro, l’eliminazione della schiavitù dell’interesse, la confisca totale di tutti i profitti di guerra, la statizzazione delle imprese a carattere monopolistico, la partecipazione operaia ai profitti nelle grandi imprese, l’estensione dell’assistenza alla vecchiaia, la municipalizzazione dei grandi magazzini, la tutela del ceto medio commerciale e professionale, la riforma fondiaria ed agraria, la riforma della pubblica istruzione nel senso dell’ascesa scolastica dei meno abbienti, il principio dell’utilità comune prima dell’utilità individuale.

Un programma come questo era dichiaratamente di sinistra. Molto simile del resto al programma del primo fascismo repubblicano e socialista, quello sansepolcrista del 1919, se non fosse per alcuni particolari che, però, fanno la differenza, anche politica e storica, tra i due movimenti (Renzo De Felice era convinto che l’espressione usuale nazi-fascismo non abbia alcun valore storiografico), benché anche nel fascismo, per la mediazione mazziniana e quella anarco-libertaria del fiumanesimo dannunziano, facciano sovente capolino sotterranee linee teosofiche e massoniche (senza che ciò tolga nulla al fatto che, storicamente, il fascismo si indirizzò, poi, verso esiti che lo avrebbero potuto, se non avesse incontrato sulla sua strada il nazismo, portare verso il Cattolicesimo, inizialmente inteso solo come tradizionale nazionale ma poi – lo dimostrano le conversioni dei suoi maggiori esponenti, ad iniziare da Giuseppe Bottai, e, nell’ultima parte della sua vita, dello stesso Mussolini – come approdo sincero del cuore).

Questi particolari che differenziano profondamente il fascismo dal nazismo sono, ad esempio, evidenti nella rivendicazione contenuta nel programma nazista, in questione, del carattere Volksgenosse, ossia razziale, della cittadinanza.

«Volksgenosse – ossia ‘appartenente alla comunità popolare’, sosteneva quel documento – può essere solo chi è di sangue tedesco, senzalcun riguardo alla confessione religiosa. Nessun ebreo può essere Volksgenosse. (…) Se non è possibile procurare a tutta la popolazione… gli alimenti necessari, gli appartenenti a nazioni stranieredevono essere espulsi dal Reich».

Vedremo, però, come il principio razziale subirà vistose eccezioni proprio a favore degli ebrei di alto rango.

Il programma nazista si discostava da quello del primo fascismo anche per quest’altra affermazione, dietro la quale fa capolino, a ben vedere, una palese dichiarazione di radicale anticattolicesimo:

«Noi chiediamo la sostituzione del diritto romano, che è al servizio di un ordinamento materialistico del mondo, con un diritto comunitario (Gemeinreich) tedesco».

Chi conosce la storia del diritto tra antichità e medioevo scorge qui echi, ripresi dal romanticismo tedesco del XIX secolo, dell’incontro/scontro tra il raffinato diritto giustinianeo, formale e fondato sulla concezione valoriale della persona, sulla quale si innestò il Cristianesimo, ed il diritto tribale, comunitario, portato, alla fine dell’età antica, dalle popolazioni barbariche. Dalla fusione di tali culture giuridiche nacque il grandioso Jus Commune della Res Publica Christiana medioevale. L’affermazione contenuta nel programma nazista intendeva, chiaramente, rivendicare l’originario carattere pagano del diritto popolare germanico chiedendone la purificazione dagli elementi materialistici cristiano-romani mediante i quali si era, per i nazisti, infiltrato nel mondo ariano germanico l’infezione ebraico-cristiana.

Aveva, dunque, visto giusto Mussolini quando – in un momento nel quale il fascismo era in rotta di collisione con il nuovo regime nazionale tedesco (quasi non scoppiò una guerra tra l’Italia, che inviò quattro divisioni al Brennero, e la Germania), per via della politica aggressiva del nazismo al potere verso l’Austria cattolico-sociale del cancelliere Dollfuss, ucciso il precedente 25 luglio dai nazisti austriaci spalleggiati da Berlino – così si espresse, il 6 settembre 1934 nel famoso discorso di Bari, a proposito del nazional-socialismo:«Noi possiamo guardare con un sovrano disprezzo talune dottrine d’oltralpe, di gente che ignorava la scrittura con la quale tramandare i documenti della propria vita, in un tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio ed Augusto».

Il socialismo di Hitler

Il nazional-socialismo è considerato, nella vulgata comune, come la forma più estrema del fascismo. E già qui c’è un errore molto evidente. Perché se è vero che entrambi, nazismo e fascismo, appartengono – ma in buona compagnia, insieme a marxismo e liberalismo – al più vasto novero del pensiero immanentista, è altrettanto vero che le differenze tra essi sono di assoluto rilievo, ad iniziare dal fatto che, come dimostrano gli sviluppi stessi della sua storia concreta prima della sua abdicazione al nazismo, essendo esso privo di qualsiasi idolatria della razza, il fascismo, anche nelle sue punte avanzate di tipo sociale o socialista, poteva aprirsi alla Trascendenza. Il nazismo, per il suo razzismo, invece assolutamente no. È comunque da rimarcare il fatto che il nazismo, in questo similmente al fascismo, non fu l’aspetto patologico del potere conservatore o reazionario moderno. Fu al contrario il punto di convergenza delle più pericolose ideologie rivoluzionarie moderne.


Hitler con una famiglia di agricoltori durante un tour nell’est della Prussia


«Il nazional-socialismo – scrivono Buron e Gauchon – affonda le sue radici in una possente tradizione nazionale, politica e intellettuale che non si limita alla semplice eredità scientifica e filosofica della fine del diciannovesimo secolo (Darwin, Gobineau, Chamberlain, Nietzsche…). Una gran parte delle tematiche che emergono rumorosamente nel nazionalsocialismo animano già da decenni la vita politica e sociale tedesca: altri partiti o piccoli gruppi dintellettuali, li diffondono simultaneamente tra il 1919 e il 1933. Loriginalità del nazionalsocialismo è stata di aver conferito a tali tematiche una forma coerente e dinamica e, favorito dalla crisi, una espressione politica di massa. La sintesi nazional-sociale, che rappresenta una delle particolarità del nazionalsocialismo, non deve sorprenderci: essa si fonda sulle due principali correnti politiche del diciannovesimo secolo, il nazionalismo e il socialismo, da lungo tempo antagoniste. Lidea di questa sintesi viene formulata in Germania, alla fine del secolo, da due precursori, Adolf Stoecker e Friedrich Naumann. La loro influenza rimane limitata, ma lidea procede per la sua strada, sia a destra che a sinistra. Un gruppo di socialdemocratici revisionisti alla vigilia della guerra del 1914 sarà perfino qualificato comesocialimperialistae comenazional-socialistaa causa della sua sensibilità al problema dellunità e della potenza nazionale. La disfatta e la crisi della Germania dopo il 1918, non fanno che rafforzare tale corrente. Nel 1930, il partito comunista tedesco (KPD) adotterà, sullesempio dei nazionalsocialisti, unProgramma di liberazione nazionale e sociale’ (…). Lideavölkisch’, il razzismo e lantisemitismo: alla fine del diciannovesimo secolo, lidea della specificità dei popoli e delle razze, quella di uno stretto legame intercorrente tra il popolo (natura) e la sua civilizzazione (cultura) era molto diffusa e non soltanto in Germania (confronta il fardello delluomo bianco, la difesa della razza francese, ecc.). La collocazione geopolitica della Germania in Europa, le sue non ben definite frontiere e la sua tutto sommato recente unità, contribuiscono soltanto a rendere più acuto il suo senso dinsicurezza e la necessità di affermare la propria superiorità nel momento in cui brillante era la dinamica demografica. Anche dopo Fichte, lantisemitismo non rappresenta una esclusività della Germania (pogroms in Russia, affare Dreyfus in Francia, ecc.) (…). In Germaniaanche se i deputati antisemiti al Reichstag non saranno mai più di sedici, tuttavia lantisemitismo impregna strati sempre più vasti della popolazione (lesercito, insegnanti, piccola borghesia contadina e urbana). La rilevante immigrazione dallEuropa dellEst e la concentrazione degli israeliti in determinati settori della società nazionale (banche, commercio, libere professioni, stampa) non fanno che esacerbare, al momento della crisi, sentimenti già radicati nel popolo tedesco» (10).

Il nazional-socialismo si presentava, dunque, come un socialismo. E non mentiva. Lo era. Il punto da focalizzare è quale tipo di socialismo esso fosse.

Lo spiegarono, a suo tempo, molto chiaramente due tra i principali gerarchi del regime nazista, Joseph Goebbels ed Alfred Rosenberg. Il primo, proveniente dalla sinistra del NSDAP che faceva capo ai fratelli Strasser, diventato poi ministro della Propaganda, è finito suicida nel bunker di Berlino nel 1945 insieme alla moglie, figlia adottiva di un ebreo, dopo aver ucciso barbaramente i suoi sette bambini affinché «non vivessero in un mondo senza il Fürher». Il secondo tra i più perniciosi intellettuali nazisti, dal non strano cognome di ascendenze chiaramente ebraiche, autore di un best seller Il mito del XX secolo (dove il mito era quello del sangue e della razza) immediatamente messo dalla Chiesa cattolica nell’indice dei libri proibiti.

Ernst Röhm
  Joseph Goebbels
«Noi siamo socialisti – scrisse nel 1928 Goebbels – perché vediamo nel socialismo, cioè nella dipendenza vitale di tutti i membri della comunità gli uni dagli altri, la sola possibilità di conservare il nostro patrimonio etnico, e, di conseguenza di riconquistare la nostra indipendenza politica e di rinnovare lo Stato tedesco. Il socialismo è la dottrina della liberazione degli operai, la vittoria del quarto stato, il suo inserirsi nellorganismo politico della patria… Il socialismo non è soltanto la causa della classe oppressa, è molto di più di questo, è la causa di tutti coloro per i quali la liberazione del popolo tedesco dalla schiavitù costituisce il senso e il fine di ogni politica oggigiorno … (senza il nazionalismo) non rappresenta nulla, è un fantasma, è una dottrina del tutto fantasiosa, è uno spettro, è soltanto un libro. Con esso è tutto, lavvenire, la libertà, la patria! È stato il peccato originale della borghesia liberale il non vedere nel socialismo una forza capace di creare lo Stato… Il peccato originale del marxismo è stato svilire il socialismo al livello di una dottrina del salario e del ventre e di manipolarlo per farne un nemico dello Stato e dellesistenza nazionale» (11).

Alfred Rosenberg
  Alfred Rosenberg
«… Attualmente la parola nazional-socialismo – precisava dal canto suo Rosenberg – possiede già un valore simbolico per milioni di persone (…). In essa, in una sola parola, è inclusa la sintesi dei grandi problemi del nostro tempo la quale costituisce lessenza del nostro movimento; quella del nazionalismo e del socialismo. Il nazionalismo, depurato delle sue contingenze formali ed economiche; il socialismo liberato dallaberrazione dellinternazionalismo in tutte le sue forme. (…) utilizzare il concetto di socialismo nazionaleinvece di nazional-socialismo potrebbe facilmente esprimere lidea che il socialismo sia più importante e che il nazionale non sia altro che un aggettivo in qualche modo esplicativo del termine principale. Mentre in realtà è vero il contrario: leterno che noi vorremmo conservare pur attraverso le sue mutevoli forme è il popolo. Tutto, assolutamente, tutto deve contribuire a rinforzare le basi razziali che possano garantire il futuro della nazione. Da questo punto di vista, il socialismo, depurato dal marxismo, appare come uno strumento politico al servizio… della comunità per proteggere lunità del popolo dagli smodati interessi individuali. È per questo, non per realizzare unidea astratta chiamata socialismo’, ma per servire quanto di più concreto ci sia, la nazione. Ecco perché la parola nazione deve essere anche un nome, legato a quello di socialismo e non un aggettivo scritto in caratteri minuscoli. Noi, dunque, non siamo, per dirla più propriamente, dei socialnazionali ma dei nazional-socialisti» (12).

Si noti che queste non erano idee di gregari, sebbene di una certa importanza, ma erano le tesi ufficialmente fatte proprie dello stesso Adolf Hitler, il quale rifiutava il marxismo sia per il fatto che esso non ammetteva il «principio aristocratico» e darwiniano della selezione per la sopravvivenza, sia perché il socialismo marxista non si riconnetteva con l’elemento razziale:

«La dottrina ebraica del marxismo respinge il principio aristocratico esistente in natura (…). Essa contesta limportanza dellelemento etnico e della razza privando così lumanità delle condizioni essenziali alla sua esistenza e civiltà» (13).

Eppure nel momento stesso nel quale contesta il marxismo, Hitler se ne dimostra dipendente sebbene traslando il concetto marxiano della lotta di classe in quello della lotta di razza:

«Io sono socialista ma di un genere completamente differente (…). Sono stato un lavoratore come tanti altri. Non tollererei che il mio autista mangiasse peggio di me. Ma il vostro tipo di socialismo non è altro che marxismo (…). Ciò che dobbiamo fare è selezionare in una nuova categoria di signori, degli uomini che non si lasceranno dirigere dalla morale della pietà come fate voi. Coloro che governano devono sapere che hanno il diritto di governare perché appartengono ad una razza superiore (…). Cè un solo tipo di rivoluzione possibile, e non è né economica, né sociale, né politica, ma razziale e sarà sempre così: la lotta tra le classi inferiori e le razze superiori che governano (…). Tutte le rivoluzioni, e le ho studiate con attenzione, sono state razziali …» (14).

Non solo, ma per Hitler la necessità del socialismo come base del razzismo è chiara nella critica che egli rivolge ai movimenti etnico-popolari che hanno preceduto il nazional-socialismo rimanendo, però, a suo giudizio, del tutto privi di un fondamento e di un seguito di massa. Una mancanza, questa, che li ha resi troppo funzionali all’egemonia delle classi borghesi.

«Il movimento völkisch scriveva il futuro dittatore nel 1922 –, proprio come i partiti nazionalisti borghesi, ha completamente fallito quella che era la sua missione principale, conquistare le masse alla causa nazionale (…). Cosicché il movimento völkisch tedesco… è finit(o) progressivamente in mano ad… un ambiente borghese istruito e idealista. Mancava… il soffio ardente delle energie giovanili della nazione. La forza impetuosa di intrepidi rivoluzionari era respinta perché demagogica. Il nuovo movimento fu dunque un movimento nazionalista. Ma non divenne mai un movimento di popolo (…). Il completo fallimento su tutti i piani, condusse alla fondazione del NSDAP. (Questo)… nuovo movimento cercò di costituire ciò che gli altri non erano riusciti a fare: un movimento völkisch con una solida base sociale, una fortezza eretta sulle masse, saldata da unorganizzazione di ferro, animata da cieca obbedienza e ispirata da una volontà brutale…» (15).

Anche Goebbels sottolineò questa novità portata tra i partiti nazionalisti dal partito nazista. Una novità che, come è evidente dalle stesse seguenti parole del futuro ministro della Propaganda, dipendeva in qualche modo dal cugino marxista che si voleva, in qualche modo, emulare e che dal canto suo, nell’ultimo arrivato, poteva riconoscere, allo specchio, la forma razziale del socialismo sostitutiva/integratrice di quella classista: «Il marxismo aveva… immediatamente riconosciuto nel nazionalsocialismo il suo unico avversario degno di considerazione, capace di strappargli le masse proletarie che ancora marciavano dietro lideologia classica internazionalista, e di incorporarle in un nuovo fronte nazionalista e socialista in via di formazione» (16).

La mistica panteista del neopaganesimo nazista

È del tutto evidente che l’ideologia nazista nasce dalla fusione di due idolatrie moderne: l’idolatria della classe e l’idolatria della nazione in senso etnico, ossia della razza. Il nemico di questa ideologia fusionista è un’altra idolatria, che è poi risultata vincente ma è lungi, nonostante le differenze, dall’esserne l’antagonista o l’alternativa: l’idolatria liberista del mercato ossia il culto di mammona.

Non parliamo di idolatrie a caso. Infatti tutte queste espressioni ideologiche moderne (anche il mercatismo è un’ideologia) altro non sono che sostituti immanenti di Dio, religioni secolari, e come tali, ossia con acritico fideismo e con atteggiamento dogmatico, sono vissute, al di à delle differenze di merito, dai loro seguaci. Queste idolatrie, in quanto religioni intramondane, si pongono contro la Rivelazione cristiana. Si illudono, pertanto, coloro che pensano che esse possano conciliarsi con la fede (altra cosa è la sopportazione alla quale la Chiesa, ed i cristiani, confidando sempre nella vittoria finale del Signore, è chiamata, come appunto è stata chiamata anche in passato, quando si trova sotto l’egemonia culturale e/o politica e/o economica di una di queste idolatrie).

Il nazismo è, poi, in particolare, assolutamente inaccostabile alla fede cristiana dato il suo evidente carattere di neopaganesimo. Il nazismo, che è materialista nel suo biologismo razziale, ha un retroterra culturale che lo collega da un lato all’idealismo fichtiano ed hegeliano – e per questa via, pur nelle differenze, al marxismo che, con il suo materialismo storico-dialettico, se ne rivela come una sorta di cugino sociale – e dall’altro all’occultismo ed alla teosofia ottocentesca, e per tale mediazione alla cultura magico-rinascimentale e cabalista dalla quale fu influenzato anche Martin Lutero, come hanno chiaramente dimostrato George Mosse e Giorgio Galli (17).

Il carattere neopagano ed assolutamente anticristiano del nazismo fu ben compreso dal cardinale, ed all’epoca segretario di Stato, Eugenio Pacelli, il quale era stato per undici anni nunzio in Germania, nazione che molto amava, e, proprio per questo motivo, aveva ben intuito la pericolosità dell’hitlerismo. Pacelli, avendo appreso direttamente dall’episcopato tedesco delle violenze contro gli ebrei e contro la Chiesa che andavano intensificandosi nella Germania dopo il 1933, sollecitò personalmente da Papa Pio XI la promulgazione di una enciclica di chiara e netta condanna del nazismo. Papa Ratti, convinto anche lui della necessità di una enciclica di condanna, incaricò lo stesso Pacelli di scriverla. Fu così che nel 1937, insieme alla Divini Redemptoris con la quale veniva condannato il comunismo, Pio XI promulgò, scritta direttamente in tedesco affinché fosse letta la domenica delle palme in tutte le chiese del Reich, anche la Mit Brennender Sorge (Con viva preoccupazione). In detta enciclica è chiaramente affermato che si pone fuori della Chiesa e della Fede chiunque panteizzi Dio facendolo coincidere con il mondo e che ciò fanno tutti coloro che identificano il divino nella nazione, nello Stato o nella razza ossia nel sangue (18).

È molto importante, quando si indaga sul nazismo e sul suo retroterra culturale, comprendere le ragioni del suo oscuro fascino.

Emersione – non certamente unica: pensiamo all’attuale emersione finanziaria del malvagio potere di mammona – del male, anzi del Maligno, nella storia; il nazismo è capace di esercitare una inquietante fascinazione, soprattutto su chi non ne conosce il retroterra esoterico e luciferino, per il semplice fatto che il male, purtroppo, da sempre, dal peccato originale, seduce il cuore dell’uomo. Diego Marconi, in margine all’adesione di Martin Heidegger all’ideologia nazista, osserva:

« …Il nazismo è stato, da un punto di vista culturale, un fenomeno di maggior spessore di quanto appaia dai libri di Goebbels o dai deliri razzisti di Rosenberg. Ciò non rende il nazismo meno demoniaco, ma lo rende ancor più inquietante, perché lo fa apparire come … più pervasivo, più radicato, più duraturo, meno facilmente identificabile con il regime sanguinario di una banda di briganti. La nostra cultura è capace di affrontare il problema della sua sostanza culturale (19).

La questione è proprio questa: la nostra cultura occidentale, in apparenza così rigida nel suo razionalismo, ha ormai da tempo, nel passaggio al post-moderno, svelato il suo vero nucleo, fondante, di irrazionalismo, di gnosi, di delirio luciferino, demoniaco. Ripetiamo: l’attuale estendersi globale del potere di mammona, del potere globale della finanza sul mondo intero, è l’esito, forse, ultimo dello stesso delirio da ribellione angelica che ispirava il nazismo.

Il nazismo esprimeva, all’estrema potenza, una mistica panteista, olista. Un tipo di mistica ambigua – si tratta del riaffiorare dell’antica gnosi spuria – che soggiace, come sua radice originaria, a tutta la filosofia post-cristiana, ed immanentista, moderna. Questo monismo può essere declinato di volta in volta nei termini della classe sociale, dell’umanità, del grande animale sociologico, della nazione, del mercato o, appunto, della razza e può promettere, a seconda delle sue declinazioni, la realizzazione in terra del paradiso sotto forma di società senza classi, di ordine umanitario mondiale, di Stato mondiale, di mercato globale oppure, per l’appunto, di Civitas Dei Germanica, di Reich millenario. Ma rimane sempre, essenzialmente, una impostura religiosa di origini luciferine.

Si badi che, in quanto forma della gnosi spuria, la cultura esoterica dalla quale si abbevera il nazismo è strettamente collegata con il cabalismo gnostico ebraico postbiblico, con l’idea panteista e monista che soggiace alla concezione, di influenza neoplatonica, dell’En Sof inteso non come Trascendenza ma come Uno al modo plotiniano ossia come Anima Mundi. Il pensiero di Spinoza, ad esempio, è nient’altro che la traduzione filosofica, dietro un apparente razionalismo, del cabalismo spurio e gnostico. L’hegelismo ed in genere l’idealismo devono allo spinozismo l’impianto filosofico basilare del proprio immanentismo dal volto olista, panteista, benché dialettico. Del resto la contrarietà di specie e la coincidentia oppositorum, idee manichee, appartengono alla mistica spuria gnostica della quale stiamo trattando: in tal senso anche l’unione di nazionalismo e socialismo risponde all’imperativo della conciliazione degli opposti immanenti.

Quanto detto spiega le somiglianze e le connessioni tra forme similari di nazionalismo a sfondo razziale quali il sionismo ed il nazismo (20).

«Si accetti pure – scrive Giorgio Galli citando lo storico ebreo George Mosse – lunicità (dell’olocausto, nda)…; essa non dove costituire comunque una remora allanalisi accurata della cultura esoterica del nazismo, tanto più che per taluni aspetti si presenta come speculare proprio a quella ebraica. Lo stesso terminedottrina segreta’ (usato nei circoli interni esoterici del partito nazista, nda) che troviamo allorigine della ricerca di un sapere iniziatico è usato per la Cabala ebraica. Mosse, studiando il movimento nazional-patriottico (antesignano, in età romantica e guglielmina, del nazional-socialismo, nda) con le sue rilevate componentioccultetrasmesse al nazismo, si ponela domanda se non vi sia un rapporto tra quelle che definisceutopie germaniche’, con le aspirazioni allaterra libera’, e il movimento sionista che avrebbe portato ai Kibbutzim (…).Ètentante’… ipotizzare… un rapporto speculare per il quale lo stesso Mosse suggerisce elementi. Egli ricorda che lavoravano nello stesso giornale (nella Vienna a cavallo del secolo… ) lo scrittore Theodor Hertzka che tentò di fondare una coloniautopica’ (nazional-tedesca, nda) in Tanganica e Theodor Herzl, promotore del movimento sionista. Nellaltra analoga colonia fondata in Germania nel 1893 e denominata Eden, aveva un ruolo di rilievo lebreo Franz Oppenheimer, ‘che ebbe anche una parte notevole nellistituzione dei Kibbutzim in Israele’. Questo rapporto speculare, la concezione di un legame magico tra luomo e la terra caratterizzato dal mistero, che nel nazismo sarebbe sfociata nella teoria del sangue e del suolodi Darré, è percepibile attraverso uno degli intellettuali ebrei più stimati per la sua apertura illuministica, Martin Buber. Eglifu critico nei confronti della costruzione della Stato di Israele al quale avrebbe preferito un assetto binazionale. È in questo ambito che si può valutare quanto scrive: ‘Lidea sionistica del popolo ebreo nella nostra epoca è da considerarsi come unidea nazionale. Ma è proprio la sua essenza che la differenzia da tutte le altre. È indicativo che questa idea nazionale abbia preso nome non, come le altre, da un popolo, ma da un luogo. Il che rivela chiaramente che qui non si tratta tanto di un popolo quanto del suo legame con una terra, cioè con la sua Terra patria. Il nome ha ricevuto ben presto il crisma di luogo santo. Sion (ha) carattere sacro…, la santità della Terra venne a condensarsi in esso e nella Cabbala (…). Questa è una categoria geopolitica… piuttosto che una categoria di culto’ (…). Appunto apprezzando appieno lilluminista Martin Buber, non credo si possa evitare di rimanere stupiti di fronte a questo linguaggio nel quale lesoterismo è evidente (il richiamo alla Cabbala, al ruolo del nome,…, a guide geopolitiche (…). Il legame tra un popolo e la Terra appare santo’, un legame misterico (…). E senza essere fraintesi, non può non colpire lanalogia di questa esperienzacon quellavölkischappunto analizzata da un altro grande illuminista di origine ebraica quale Mosse» (21).

Le osservazioni di Martin Buber, condivise da Giorgio Galli, sulla sacralità della Terra e del suo legame con il popolo, come emergono nel sionismo contemporaneo e contestualmente nel nazismo, appaiono incredibilmente significative quando si procede ad una verifica documentale, direttamente alla fonte.

«Se il movimento nazional-socialista vuol conservare – scriveva il futuro dittatore nazista – davanti alla storia il sacro carattere di una missione per il nostro popolo, deve dopo aver riconosciuta con dolore la reale situazione di questo popolo sulla Terra, intraprendere freddamente e con consapevolezza la lotta contro lincapacità e la mancanza di scopi con cui finora il popolo tedesco fu guidato …» (22).

Certamente il nazismo ha le sue peculiarità. Si dice che esso, in quanto nazionalismo, non fosse universalista come invece l’ebraismo, il Cristianesimo ed il marxismo. Se, in parte, questo è vero, non bisogna però dimenticare che il nazismo aspirava ad un Nuovo Ordine Europeo il quale doveva essere la premessa di un Nuovo Ordine Mondiale fondato sulla supremazia razziale e politica del popolo tedesco, sicché intorno ad esso, secondo una gerarchia di maggior o minor purezza ariana, si sarebbe aggregata l’intera umanità seppur divisa tra l’Herrenvolk, il Popolo dei Signori, e gli altri popoli più o meno inferiori. E tuttavia anche l’ebraismo postbiblico è ad un tempo universalistico ed etnocentrico con la sua idea secondo la quale il popolo-messia, l’ebraico, è chiamato ad un missione mondiale che ne sancisce la preminenza sacerdotale sugli altri popoli. Una preminenza che da religiosa tende poi, nei sionisti e nei fondamentalisti ebraici ultraortodossi, a trasformarsi in preminenza politica e, nelle loro frange più radicali, persino razziale. Anche il marxismo, del resto, pur palesandosi mondiale nelle sue pretese – nel marxismo il mondialismo fu massimamente incarnato da Trozsky che non a caso era impregnato della cultura religiosa, sebbene secolarizzata, delle proprie origini ebraiche – ha però avuto nello stalinismo la sua versione nazional-patriottica, secondo la quale la mondializzazione del comunismo sarebbe stata possibile esclusivamente intorno ad uno Stato guida ossia la Russia sovietica.

Queste somiglianze si spiegano molto bene se vengono lette alla luce della fede cristiana. In tale luce nazismo, sionismo, marxismo, liberalismo, nazionalismo, e via dicendo, appaiono tutti come, ambigue e prometeiche, imitazioni umane del Disegno di Dio in ordine alla salvezza universale. Nella Rivelazione, però, Dio entra nella storia prima edificando un popolo teologale, unico depositario veterotestamentario della fede monoteista, – tale, ossia teologale, era infatti il vero carattere dell’Israele antico che nacque non dal sangue (anche se si perpetuò, in quella fase della Storia della salvezza, per via ereditaria) ma dalla vocazione di Abramo – e poi, giunti i tempi della Nuova Alleanza, definitivamente in Cristo che è il Capo del Suo Corpo Mistico ossia della Chiesa Cattolica, Universale, nella quale un po’ alla volta stanno entrando tutti i popoli e che proprio per questo è, benché visibile, un Popolo Teologale (non etnico) al massimo grado. Un Popolo il quale, quindi, non potrà mai identificarsi con una etnia particolare o una forma politica particolare. Infatti la Chiesa nella sua storia non si è mai totalmente e definitivamente identificata con nessuna nazione né con alcun regime, neanche con quelli dell’antica cristianità: è emblematico, in tal senso, quanto, nel film Il Gattopardo, tratto dall’omonimo romanzo di Tomasi di Lampedusa, dice il principe di Salina al suo confessore nel ricordargli che mentre alla Chiesa è stata fatta la Promessa di Eternità, ai regni, anche cristiani, come alle casate ed alle dinastie tale eternità non è stata affatto promessa.

(continua)

Luigi Copertino

Weimar: una tragedia da deflazione (parte I)
Weimar: una trgedia da deflazione (parte III)
Weimar: una tragedia da deflazione (parte IV)





1) Citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 114.
2) Citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 113.
3) Confronta T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 80.
4) Organizzazione giovanile nazionalista, antiparlamentare, antimonarchica, anticapitalista, fondata da A. Mahraun nel 1920.
5) Citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagine 104-107.
6) Manifesto elettorale nazista per le elezioni in Prussia nel 1932, citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagine 81-83.
7) Confronta T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagine 107-108.
8) Testo citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 108.
9) Appello elettorale pubblicato sul Völkischer Beobachter del 1 marzo 1932, citato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 95.
10) Confronta T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagine 66-68.
11) Confronta J. Goebbels articolo su Angriff del 16 luglio 1928, ora riportato in T. Buron-P. Gauchon, opera citata, pagina 118.
12) Cfr. A. Rosenberg “Nationaler Sozialismus!” articolo pubblicato sul “Völkischer Beobachter” del 1 febbraio 1927, ora riportato in T. Buron – P. Gauchon, op. cit., pp. 117-118.
13) Cfr. A. Hitler “Mein Kampf”, Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1974, ora riportato in T. Buron – B. Gauchon, op. cit., p. 121.
14) “Dialogo tra Hitler e O. Strasser, riportato in Otto Strasser “Hitler and I”, Londra, 1940, ora citato in T. Buron – B. Gauchon, op. cit., p. 120.
15) Citato in T. Buron – P. Gauchon, op. cit., pp. 75-76.
16) Cfr. J. Goebbels “La conquista di Berlino”, Ar, Padova, 1978, ora citato in T. Buron – P. Gauchon, op. cit., p. 94.
17) Cfr. G. L. Mosse “Le origini culturali del Terzo Reich” Il Saggiatore, Milano, 1984; G. Galli “Hitler e il nazismo magico – le componenti esoteriche del Reich millenario”, BUR Rizzoli, Milano, 1994.
18) Se la Chiesa Cattolica, non appena fu chiaro che il nuovo regime tedesco non era un mero regime conservatore e nazionale ma una sorta di oscura religione neopagana, immediatamente alzò la sua voce, prima pacata e poi sempre più forte mano a mano che le violenze si intensificavano, non altrettanto può dirsi per gran parte delle comunità protestanti, notoriamente sottomesse da sempre allo Stato e quindi costantemente succube del regime politico di turno. Scrive lo storico Klaus Hildebrand (Cfr. K. Hildebrand “Il Terzo Reich”, Laterza, 1997, p. 16): «Dinanzi allo scenario di una dittatura totalitaria sostanzialmente già impiantata, si attuò infine, nel giugno 1933, anche l’“auto allineamento” dei partiti, che si rassegnarono all’onnipotenza e al terrore della NSDAP e capitolarono. L’ultimo dei partiti democratici, il ZENTRUM, si sottomise il 5 luglio 1933 alle pretese monopolizzatrici dei nuovi detentori del potere, che già il 14 aprile 1933 avevano proclamato lo “Stato a partito unico”. Secondo una tesi storiografica molto discussa, questo passo sarebbe stato provocato … dalla prospettiva del Concordato del 20 luglio 1933, che appariva favorevole alla Chiesa Cattolica: le garanzie che il Concordato assicurava al cattolicesimo tedesco creavano una base giuridica per la sua resistenza al Terzo Reich. Mentre la Chiesa cattolica poteva affrontare compatta il suo scontro con lo Stato nazionalsocialista per mantenersi indipendente, all’interno della chiesa evangelica era già in atto il conflitto tra i vecchi e i nuovi indirizzi: tra i seguaci della teologia liberale e del socialismo religioso da una parte, e i “giovani riformatori” e i “nazionalsocialisti evangelici” dall’altra, che si presentavano come “Cristiani tedeschi”; e ciò accadeva prima che Hitler il 25 aprile 1933 optasse pubblicamente per il movimento dei “Cristiani tedeschi” e nominasse il cappellano del distretto militare di Königsberg, Ludwig Müller, suo “plenipotenziario per le questioni delle chiese evangeliche”».   Ad onor del vero bisogna, però, anche ricordare che una parte, ma minoritaria, del protestantesimo tedesco, riunita nella cosiddetta “chiesa confessante”, si oppose al regime hitleriano, subendo il martirio insieme alla Chiesa cattolica: «Il potenziamento – ancora Hildebrand – della dittatura nazionalsocialista su questi tre settori e istituzioni della vita sociale e politica (economia, esercito, ministero degli esteri, nda) andò … di pari passo con le aspirazioni del Terzo Reich nei riguardi delle due Chiese cristiane e con le aggressioni sempre più estese contro la popolazione ebraica del Reich. Nel confronto con la Chiesa cattolica, lo Stato nazionalsocialista non si attenne agli accordi previsti dal Concordato del 20 luglio 1933. Ne è un esempio l’atteggiamento contro la scuola confessionale cattolica a partire dal 1935. Fin dal settembre 1933 il Vaticano fu costretto a denunciare ripetute violazioni del Concordato da parte del Terzo Reich. Con l’enciclica “Mit Brennender Sorge” del 14 marzo 1937, nella quale il papa considerava con crescente disappunto “la condizione della Chiesa cattolica nel Reich germanico”, deplorava la “via crucis” della Chiesa e attaccava il regime anticristiano, lo scontro tra Chiesa cattolica e Terzo Reich, tra cattolicesimo e nazionalsocialismo, iniziato nell’inverno 1933-34, raggiunse un culmine. Con evidenza sempre maggiore emergeva l’inconciliabilità tra la politica razziale nazionalsocialista e sistema di valori cattolico. In seguito alla presa di posizione dei gruppi di resistenza della chiesa evangelica, che al secondo sinodo confessionale svoltosi a Dahlem dal 19 al 20 ottobre 1934 rivendicò un “diritto ecclesiastico d’emergenza” nello scontro con lo Stato totalitario, l’abisso tra le varie correnti protestanti che gradualmente andavano raccogliendosi nella “chiesa confessante” e la dittatura nazionalsocialista … era divenuto incolmabile. (…). Numerosi decreti del regime abolirono l’autonomia delle Chiese (…). L’indirizzo antiecclesiastico del Terzo Reich venne perlomeno esteriormente dissimulato, senza che significasse una vera liberalizzazione …, soltanto con l’inizio e in alcune fasi della guerra, per eliminare tensioni nella “Comunità nazionale”, mentre in realtà esso fu mantenuto per essere pronti, dopo la vittoria, ad eliminare definitivamente le Chiese» (Cfr. K- Hildebrand, op. cit., pp. 57-58).
19) Citato in G. Galli, op. cit., p. 290.
20) Sono ormai cose ampiamente note agli storici, perché ben documentate, sia l’aiuto che Mussolini, in chiave anti-inglese, diede ai sionisti filo-fascisti del Betar, quelli di Jabotinsky, permettendo loro di installare a Civitavecchia il nucleo di quella che più tardi sarebbe diventata la marina da guerra israeliana, sia la collaborazione, reciprocamente gradita, che vi fu tra il Terzo Reich e l’Organizzazione Sionista Mondiale. Quest’ultima negli anni trenta organizzava i suoi simposi in Germania, in nome del comune ideale nazionale coltivato dal sionismo per gli ebrei e dal nazismo per gli “ariani”, con lo scopo di programmare l’evacuazione dal Reich della popolazione ebraica in vista della formazione in Palestina di uno Stato autoritario, nazionale e socialista ebraico (così, con questa terminologia “nazional-socialista” si esprimevano sia il sionista, nazionalista di destra, Vladimir Ze’ev Jabotinsky, sia il sionista, socialista di sinistra, Ben Gurion). In proposito Cfr. Andrea Giacobazzi “L’Asse Roma-Berlino-Tel Aviv”, Il Cerchio, Rimini, 2010.
21) Cfr. G. Galli op. cit., pp. 285-287.
22) Cfr. A. Hitler “Mein Kampf”, op. cit., ora riportato in T. Buron – B. Gauchon, op. cit., p. 124.



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