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L’Europa diventa anti USA?
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Non era mai successo: il principe Andrea d’Inghilterra (1), duca di York, ha criticato ad alta voce la Casa Bianca di George Bush per aver mancato di ascoltare i consigli del governo britannico sulla guerra in Iraq.

«Ci sono state occasioni in cui qui in Gran Bretagna avremmo desiderato che coloro che in USA occupano posti di responsabilità sapessero ascoltare e apprendere dalle nostre esperienze. Sia che si parli di colonialismo, o che si parli di operazioni internazionali su larga scala, che si parli di comprensione delle culture altre, o di capire come agire in una ribellione, noi ci siamo già passati», ha detto Andrew (2).

A suo tempo Tony Blair aveva consigliato Washington di non sbandare l’esercito iracheno né di epurare totalmente il partito Ba’ath, i cui quadri medi erano necessari per far funzionare il Paese; ovviamente inascoltato.

Fatto significativo, il principe Andrew ha voluto dare il massimo rilievo alle sue critiche: l’ha fatto in un’intervista all’Herald Tribune, proprio mentre  si accinge a compiere in USA una visita di dieci giorni in qualità di inviato commerciale britannico.
Non è questo il solo segnale di uno stato d’animo di insofferenza, se non di rivolta, che corre tra gli europei, alleati per forza nelle disastrose guerre di Bush.

Solo da pochi giorni Robert Gates, il ministro del Pentagono, ha lamentato lo scarso impegno degli alleati europei in Afghanistan, ed ha chiesto ruvidamente che tedeschi, francesi e italiani, oggi impegnati nel relativamente tranquillo Nord nel «mantenimento della pace», mandino truppe nel Sud a fare la guerra contro i guerriglieri.

La richiesta è urgente, perché anche il Canada ha minacciato di ritirare i suoi 2.500 uomini dall’area di Kandahar (nella vicina provincia di Helmand gli inglesi combattono duramente da anni), se altri alleati non interverranno di rincalzo.
Occorrono, secondo gli americani, rinforzi per 7.500 uomini.
Ma Gates ha usato un tono padronale (per non dire brutale) che gli ambienti della Difesa germanica hanno definito «oltraggiosa».

Il ministro della Difesa Franz Josef Jung ha escluso l’invio di truppe tedesche al sud, adducendo che il mandato parlamentare poneva precisi limiti all’impiego delle truppe in Afghanistan: ricostruzione sì, contro-guerriglia no.
Persino Angela Merkel ha detto che il mandato limitante «non è in discussione».
Da Parigi, il ministro della Difesa Hervè Morin ha replicato sullo stesso tono, riportando i rapporti USA-Francia quasi ai livelli di gelo della presidenza Chirac.

Alla fine, il primo febbraio, Berlino ha in qualche modo ceduto alle insistenze americane: ma come?
Ha annunciato l’invio di una «forza di reazione rapida» composta… di 250 uomini.
I quali sostituiranno 350 norvegesi che se ne andranno a luglio.

La guerra d’usura ai talebani sta usurando l’Alleanza Atlantica, i cui membri europei prendono l’uno dopo l’altro le distanze dalla condotta di un conflitto che non si può vincere, e voluto solo dagli USA.
Al punto che il segretario generale NATO, l’olandese Scheffer De Hoop, ha pregato tutti di discutere «silenziosamente» all’interno dei canali istituzionali e diplomatici, per non dare ai talebani l’impressione che gli alleati stanno abbandonando l’Afghanistan.

In uno dei suoi lucidi commenti, William Pfaff (il giornalista americano, cattolico, che vive a Parigi) ha sottolineato come questo nervosismo vicino alla spaccatura derivi da una diversa percezione delle minacce globali fra USA ed Europa (3).
«Per gli americani sembra semplice: terrorismo, minaccia islamica, la bomba atomica pakistana e chi la controlla, la bomba iraniana, la Russia che ritorna, le ambizioni della nuova Cina, lintransigenza della Corea del Nord».

L’elenco è lungo, ironizza Pfaff, sottolineando «la permanente sete di insicurezza degli Stati Uniti», dovuta al fatto che «la sua economia è incardinata sulla produzione industriale di beni per la sicurezza (armi) onde placare le proprie inesauste insicurezze nazionali».
Per esempio, «è stato annunciato che lUS Air Force necessita di un nuovo bombardiere pesante per guerre nucleari: perché ci debba essere una tale necessità, e contro quale nemico, non è stato spiegato».

Il fatto è che in Europa, anche gli alleati più fedeli dell’America non saprebbero dire perché l’Europa dovrebbe sentirsi insicura, né definire la minaccia.
E molti si domandano a bassa voce quanto delle minacce globali indicate dagli americani sia «provocazioni o fantasie paranoidi»; è ben chiaro che «sulle armi lAmerica ha basato la sua pretesa di leadership globale», e questo funzionava durante la guerra fredda.
Gli USA in continuo riarmo finanziavano le loro industrie militari; Europa e Giappone erano ben lieti di riconoscerne la leadership internazionale, anche perché risparmiavano sui costi della propria difesa.

Ma oggi un’America sempre più (inefficacemente) aggressiva, frustrata nella sua guerra al terrorismo e in declino evidente, comincia a preoccupare gli europei più dei fantomatici nemici, Iran, Cina, Russia, Talebani…

Il fatto è che l’Europa deve oggi «pensare con la sua testa», e ne ha perso l’abitudine.
Come esempio di non-pensiero, Pfaff cita il giornale olandese Handelsblatt, che «ha lamentato perfino che il declino americano (dato per scontato in Europa) sta indebolendo anche linfluenza dellEuropa, che  è legata a quella americana attraverso la partecipazione allAlleanza atlantica».
«Un osservatore politico atterrato da Marte domanderebbe quale mai influenza lEuropa ha tratto dallessere parte della NATO», commenta Pfaff: «L’Europa non ha alcuna influenza di suo, men che meno su Washington; è solo un ausiliario militare subalterno degli USA».
Washington decideva quel che riteneva, e «accettava graziosamente lEuropa» nelle sue imprese belliche, «a volte nemmeno questo: quando la NATO unanime solidarizzò con gli USA dopo l11 settembre, Washington replicò: molto gentili, ma facciamo da soli; voi sareste solo dimpiccio».

Il giornale olandese riconosce che l’Europa deve imparare a esercitare la sua propria leadership, cosa a cui è impreparata.
Ma il peggio non è l’impreparazione, ragiona Pfaff, bensì l’incapacità di identificare le minacce,
le risposte politiche ad esse e le azioni necessarie «per conto suo».
«Gli USA saranno in declino, ma sono ancora loro a dominare il dialogo sui fini politici».

Per esempio, dicono che l’Iran è una minaccia atomica e gli europei, ci credano o no, si adeguano e minacciano l’Iran.
Invece, «sarebbe una straordinaria dichiarazione di indipendenza intellettuale e politica se il governo olandese», ad esempio, «annunciasse che si rifiuta di considerare le politiche di sicurezza dellIran un tema che riguardi lEuropa: che è poi ciò che quasi tutti gli euro-occidentali di fatto pensano».

E ancora: «Davvero rivoluzionario sarebbe se il governo olandese condannasse le azioni di Israele a Gaza, e chiedesse una riconsiderazione della politica UE rispetto alle relazioni Palestina-Israele: unaltra cosa che tutta lopinione pubblica europea sente necessaria».
Se infatti gli USA sono in declino, «allora gli stati europei devono cominciare a pensare per conto proprio, il che si dimostra davvero molto difficile».

E’ difficile per i vacui burocrati a cui le nazioni europee hanno ceduto la sovranità, incapaci di pensare se non in base ai precedenti e alle procedure.
C’è da rimpiangere la mancanza di principi del sangue, come Andrew duca di York: possono essere carenti di cervello, ma non di carattere.


1)
Terzo figlio di Elisabetta, Andrew è nato nel 1960. Ha partecipato alle operazioni delle Falkland (1982) come co-pilota di elicotteri.
Sposato e divorziato con Sarah Ferguson.
2) Toby Helm, «Prince Andrew rebukes America over Iraq», Telegraph, 5 febbraio 2008.

3) William Pfaff, «What really threatens Europe?», www.williampfaff.com, 31 gennaio 2008.


 
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