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Finmeccanica, Eni, Ilva: tre indizi fanno una prova
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Calcoliamo: Giuseppe Orsi, amministratore delegato di Finmeccanica è stato arrestato. Nottetempo, per ordine del giudice di Busto Arsizio, come agli indimenticabili del Kgb. L’accusa: corruzione internazionale. Finmeccanica avrebbe pagato tangenti a qualche pezzo grosso in India per assicurarsi la vendita di 12 elicotteri al governo indiano. Il medesimo giudice ha posto agli arresti (domiciliari) anche Bruno Spagnolini, amministratore delegato di Agusta Westland (quella che fa gli elicotteri delittuosi), e staccato ordini di cattura contro due mediatori internazionali che hanno avuto il ruolo di distribuire le tangenti aiutando Finmeccanica a creare fondi neri per pagare gli autori delle operazioni.

Si parla di «decapitazione del vertice Finmeccanica», gruppo con 70 mila dipendenti. Il titolo crolla in Borsa, -13,7%. Così chi la vuole, se la compra con lo sconto.

Paolo Scaroni
  Paolo Scaroni
Quattro giorni prima: Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI, è indagato per corruzione internazionale, apprendiamo dai giornali. La Guardia di Finanza irrompe nella sua casa romana e la sottopone a perquisizione, su ordine dei pm di Milano, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Ritengono Scaroni corresponsabile di tangenti milionarie che la Saipem, una controllata, nostro gioiello dell’impiantistica, avrebbe pagato a qualche caporione dell’Algeria per assicurarsi una importante commessa. Altri otto dirigenti ed ex-dirigenti sono incriminati. Decapitazione dei vertici di Saipem. Risultato: crollano i rispettivi titoli. Il titolo Saipem cade di un altro quasi 5%; solo pochi giorni prima aveva subito un tracollo del -37%, inaudito, in seguito ad un avviso di calo dei profitti (profit warning) della stessa Saipem. Ma 24 prima dell’avvertimento pubblico, l’americana Merrill Lynch per conto di un cliente, per ora sconosciuto, ha inviato una mail ai suoi clienti: abbiamo in mano un pacchetto di azioni Saipem del valore di circa 300 milioni. Il preveggente cliente non identificato (italiano?) ha dunque venduto a 30 ciò che il giorno dopo, sarebbe valso 20.

«Non ci vuole Sherlock Holmes per dire che la vicenda puzza di insider trading lontano un miglio», scrive Nicola Porro sul Giornale: «A favore di chi? (...) In un Paese serio, non si permetterebbe all’intermediario Merrill Lynch di avere vita facile (...) Il solo pensare che sia possibile fare un insider trading in modo così plateale non può che essere figlio di una presunzione ben riposta: da noi non si riescono a perseguire reati di questo tipo» Le due società Eni e Saipem «valgono insieme un quinto della capitalizzazione complessiva di Piazza Affari e perdono in un solo giorno 8 miliardi».

Del caso Ilva s’è già parlato da tempo. Colpevole di inquinamento, lo sappiamo. Il gip di Taranto Patrizia Todisco non solo ne ha decapitato i vertici, ma vieta all’azienda di vendere l’acciaio sequestrato il 26 novembre 201. «Si tratta di quasi 1,8 milioni di tonnellate di acciaio stimato dagli stessi periti fra i 700 e gli 800 milioni di euro (per l’Ilva vale 1 miliardo di euro)». Si tratta di acciaio già ordinato dai clienti, il cui ricavato serve all’impresa per pagare gli stipendi. Ma la Gip dura: l’acciaio è corpo di reato. Palesemente la Gip vuole ottenere la chiusura definitiva dell’acciaieria, di cui ha frattanto azzerato il valore borsistico.

Ora, finché l’Ilva era un caso, poteva essere un indizio. Ma ora gli indizi sono tre, e cominciano a fare una prova. Prima, i magistrati d’accusa hanno scoperto (dopo 105 anni da che esiste) che l’acciaieria inquina, e proprio nel momento in cui aveva cominciato – sotto i nuovi proprietari privati – a inquinare di meno. Poi scoprono con scandalo che per vendere armamenti e ottenere commesse petrolifere, nel vasto mondo, si pagano mazzette: ovvove, ovvove! il loro angelico senso morale, la loro neonatale innocenza si ribella: orrendo delitto! (delitto peraltro da cui nessuno è stato danneggiato, se non forse i concorrenti globali delle nostre aziende...). Tutti in galera, subito! E giù i titoli. Il che pone la domanda:

Per chi lavorano i giudici italiani? Di chi eseguono gli ordini di «far saltare prima delle elezioni i vertici delle grandi società come Eni, Saipem e Finmeccanica che rappresentano le ultime roccaforti dell'industria italiana»?, si chiede Dagospia, ormai ultimo giornale serio nella repubblichetta del Banana. E si risponde: «Qualcuno arriva a dire che l’arresto del manager e del capo di Agusta Westland, Bruno Spagnolini, sarebbe il segnale che dagli Stati Uniti, veri padroni di casa in Italia, hanno dato l’ordine». E dà importanza al viaggio che il presidente Napolitano sta per fare in America: «Solo lui potrà capire che cosa ha in mente l’establishment d’Oltreoceano perché la somma degli scandali delle ultime settimane sembra ripetere il copione di Tangentopoli che secondo molti analisti sarebbe stato scritto nei palazzi della finanza e della politica Usa».

Se questa ipotesi è giusta, si può indicare come canale promotore della simultanea consonanza di tanti magistrati, l’onorata società della Squadra e del Compasso, che tanta voce in capitolo ha nella casta giudiziaria e nelle sue carriere, e ha le case madri tra Washington e Londra.

Il momento poi è ben trovato: mentre persino il governo «tecnico» (e dunque anti-nazionale) è dimissionario, e dunque inattivo; non c’è nessuno al timone politico che possa, ammesso che lo voglia, difendere i nostri gioielli; un governo del resto che, in perfetta consonanza con la BCE, sta distruggendo tutta la base industriale del Paese a forza di euro forte, tasse e persecuzioni fiscali. Con buon successo: la produzione industriale italiana è calata del 30 negli ultimi anni, e continua a calare del 7% sotto le cure del tecnico Monti. E «Si noti che un sistema che perda il -7% si dimezza in cinque anni, con conseguente dimezzamento del prelievo fiscale e dell’occupazione. Senza tener conto della perdita di know-how» (G.S. Mela).

Sembra quasi che sia tornato nelle nostre acque il Britannia, lo yacht della Regina: era il 2 giugno 1992, e il panfilo regale, strapieno di banchieri della City, imbarcò a Civitavecchia alcuni personaggi fra cui un impiegato pubblico, di nome Mario Draghi. Poi prese il largo e, in acque internazionali e a bordo – per citare lo EIR, il solo che rivelò il fatto mesi dopo – «si discusse come “finanziarizzare” il sistema economico italiano, cioè trasformarlo in un sistema in cui la finanza avrebbe preso il sopravvento sull'industria e sulla politica, facendo leva sulle privatizzazioni». Il dipendente Draghi «tenne un discorso a quella riunione, in cui disse esplicitamente che il principale ostacolo ad una “riforma” del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico. Guarda caso, dopo la crociera sul Britannia partì l’attacco speculativo contro la lira e l’uragano di Mani Pulite che proprio quel sistema politico abbatté. Negli anni successivi, Draghi fu il regista di tutte le privatizzazioni, che hanno trasformato il panorama economico italiano in modo molto simile a quello pre-1936, con un fitto intreccio tra banche e imprese monopoliste in mano a vecchie e nuove famiglie oligarchiche».

Quando Draghi, coi voti di Berlusconi e delle sinistre unite, fu innalzato a Bankitalia, lo EIR profetizzò: «C’è da prevedere che con Draghi in via Nazionale ci sarà il disco verde per una nuova avanzata delle banche internazionali e dei fondi speculativi in Italia, alla caccia di imprese da fagocitare e dei 140 miliardi di risparmio nazionale, oltre che del bottino rappresentato dalla privatizzazione delle pensioni, obiettivo di sempre del potere sinarchista di cui Mr. Britannia rappresenta uno dei più fidati “assets”». Figuratevi oggi che Draghi, dopo un proficuo passaggio a Goldman Sachs, è stato elevato alla BCE: banca che sta distruggendo appunto tutte le industrie italiane rifiutandosi di svalutare l’euro nonostante dollaro, yen, monete varie di emergenti, siano svalutate a tutto spiano.

Pier Francesco Guarguaglini
  Pier Francesco Guarguaglini
La magistratura italiana sta dando la sua mano alla devastazione, come al tempo di Mani Pulite, con eccezionale ostinazione: ricordate che già il presidente di Finmeccanica, Guarguaglini, era stato incriminato dalla procura di Roma, insieme alla moglie che era amministratore delegato di Selex. Era il dicembre 2011, e Guarguaglini si dimetteva dalla presidenza, inseguito dalla canea giornalistica, fra cui ovviamente si distingueva l’organo delle Procure Manettare, il Fatto Quotidiano, che pubblicava intercettazioni smerdanti e sempre più piccanti particolari sugli appoggi politici di cui godeva il colpevole. Colpevole? Un momento: nel gennaio scorso, il Guarguaglini è stato prosciolto. Si noti: la stessa procura di Roma che l’aveva smerdato, calunniato e diffamato ha archiviato l’accusa. Nel silenzio de Il Fatto Ingroiano. (FINMECCANICA- Guarguaglini prosciolto ma non si può dire)

Ormai la missione era compiuta: si stava smantellando la dirigenza di Finmeccanica, e si fa così, come a Mani Pulite: carcerazioni preventive per indagini che poi finiscono nel nulla. Ma con grande uso di intercettazioni smerdanti – ossia che non configurano reati, ma mettono in pessima luce gli accusati e i loro interlocutori. Dai giornali: «Riporta il Fatto Quotidiano la conversazione tra Orsi e Squinzi (il capo di Confindustria, ndr.): “Ascolta io volevo dirti una cosa, non l’ho fatto… in tutti questi giorni però mi sembra che abbia superato il limite. Cioè il giornale che mi attacca di più è il Sole (Sole24ore, ndr) e io non, è l’unico e non lo ritengo. Ho veramente fatto fatica e non te ne avevo voluto parlare…”. Squinzi risponde di non essersi “accorto” che forse si è un po’ “distratto”, e poi rassicura il manager: “Comunque interveniamo subito, eh!”». Capite che roba!? Orsi si lamenta con l’editore di un giornale; cosa che tutti i politici fanno tutti i giorni con editori e direttori, quando un giornale pubblica articoli che dispiacciono loro. Anzi, lo fanno tutti i potenti: Montezemolo ha chiesto la testa di Oscar Giannino più di una volta.

Ma contro Orsi c’è un’altra intercettazione scottante: Maroni il Bobo della Lega, si complimenta con lui per la nomina! Ovvove ovvove! La Lega inchiodata alle sue responsabilità, a pochi giorni dal voto in Lombardia! Il Fatto di Travaglio gode, e riporta le deduzioni del «giudice per le indagini preliminari di Busto Arsizio, Luca Labianca: La circostanza “irrilevante sotto il profilo dell’ontologica esistenza delle condotte oggetto di addebito, non può essere sottaciuta poiché sull’utenza di Orsi sono state intercettate diverse telefonate intercorse con esponenti politici di quel partito che (...) dimostrano una certa vicinanza di Orsi a quel partito e confermano, ove ce ne fosse ancora bisogno, la complessiva credibilità di Haschke (Guido Ralph Haschke, intermediario arrestato per le tangenti, ndr)”».

Così scrivono questo tipo di magistrati... ma avete capito il succo: le telefonate di Orsi coi leghisti sono «ontologicamente irrilevanti» a confermare l’accusa di tangenti all’estero, ma «dimostrano una certa vicinanza di Orsi a quel partito», il che per i magistrati è già, evidentemente, un delitto, o mostra un’inclinazione al delitto. E lo è anche per il Fatto. Ovviamente tutti i manager pubblici, in questa repubblica spartitoria, hanno una qualche vicinanza con qualche partito, che li raccomanda e da cui si fa raccomandare, ma ciò scandalizza Il Fatto solo selettivamente. (Finmeccanica, Orsi a Squinzi: “Intervieni sul Sole” e il presidente: “Subito”)

Giusto per scrupolo, poniamo qui una seconda ipotesi per il comportamento di tali magistrati, che peraltro non esclude la prima: che essi si siano dati l’alto compito morale di continuare la missione delle Brigate Rosse. Questa benemerita organizzazione proletaria ammazzava secondini, poliziotti, giudici e giornalisti, terrorizzavano e uccideva direttori di fabbrica, allo scopo di sconfiggere – come spiegava nei suoi comunicati – «il SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali». Secondo chi scrive, avrebbero dovuto sparare ad esponenti di Goldman Sachs o dei Lockheed, ma facevano il lavoro come potevano, in casa, colpendo gente italiana i cui rapporti con il SIM erano, quanto meno, vaghi e lontani. Allora deploravamo questi delitti delle BR, che godevano invece di vaste approvazioni nei giornali e in certi partiti e procuratori (per loro erano «sedicenti» brigate Rosse, in realtà «nere»…). Ma oggi dobbiamo riabilitarli: i brigatisti, almeno, non avevano la pretesa di farsi stipendiare da noi contribuenti, come i procuratori. Se cercavano di devastare la società e l’economia italiana, non lo facevano dalle comode poltrone di uffici statali. Erano, se si vuole, un’impresa privata, con tutti i rischi connessi all’imprenditoria. Giù il cappello.


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