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I Giudei increduli sono inescusabili
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Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù dice ai suoi Apostoli: «Se non fossi venuto e non avessi parlato loro [ai giudei che non lo hanno accolto, ndr], non avrebbero nessun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato» (XV, 22).

S. Tommaso d’Aquino, nel suo Commento al Vangelo di San Giovanni chiosa riassumendo il consenso unanime dei Padri ecclesiastici: «Siccome l’ignoranza di per sé scusa la colpa, qui Egli mostra che i giudei increduli sono inescusabili […], per due motivi: primo, per la verità del Suo insegnamento; secondo, per l’evidenza dei Suoi prodigi […]; in terzo luogo, indica la radice della loro avversione contro gli Apostoli: “Chi odia Me, odia anche il Padre”» (Capitolo XV, Lezione V, n. 2044).

Quindi per il Santo Dottore «Tutte le persecuzioni le faranno agli Apostoli a causa del nome di Cristo; ma non potranno esserne scusati, poiché “Son venuto e ho parlato loro» (n. 2045).

Se il Verbo non fosse venuto e non avesse parlato e fatto miracoli dinanzi a loro, “non avrebbero alcun peccato”. Ma, qual è il loro peccato? Non si tratta di un peccato qualsiasi ma di quello d’incredulità (n. 2046).

L’incredulità

Ora l’incredulità in generale è l’assenza di Fede dovuta, in coloro cui la Rivelazione era stata sufficientemente proposta e dai quali venne rifiutata.

Nella Somma Teologica (II-II, qq. 10-11) S. Tommaso parla dell’incredulità (“infidelitas”). Egli spiega che la «perfetta nozione d’incredulità positiva si ha quando uno resiste alla predicazione della Fede o la disprezza» (S. Th., II-II, q. 10, a. 1, in corpore). Quanto alla sua gravità, l’Angelico spiega che il più grave di peccati in assoluto è l’odio contro Dio (S. Th., II-II, q. 32, a. 2, ad 2), al secondo posto vi è l’incredulità positiva, quando si respinge per contrarietà la Fede (ivi e S. Th., II-II, q. 10, a. 3, sed contra) poiché è «una resistenza positiva ai dogmi di fede» (ad 2), mentre il terzo peccato in ordine decrescente è la disperazione (S. Th., II-II, q. 20, a. 3).

Quanto alle diverse specie d’incredulità, l’Aquinate spiega che, «se ci si oppone alla Fede non ancora abbracciata, si ha l’incredulità dei pagani. Mentre se la Fede era stata già accettata in modo figurale, abbiamo l’incredulità di giudei. Invece se era stata abbracciata in maniera piena e non solo figurata, si ha l’incredulità degli eretici» (a. 5, in corpore), la quale può diventare apostasia se si rinnega non solo un articolo di Fede ma tutta la Fede e se ne abbraccia un’altra. Per quanto riguarda l’apostasia, essa è una specie d’incredulità (S. Th., II-II, q. 12, a. 1); nel corpo dell’articolo l’Angelico spiega che «l’apostasia in senso pieno consiste nell’abbandono di tutta la Fede e non solo di qualche dogma, ed è chiamata anche apostasia di perfidia o miscredenza». Perciò il peccato che Gesù rimprovera ai giudei che Lo hanno rifiutato è quello di incredulità, perfidia (“per-fidem” = Fede falsa) o apostasia, come chiosa p. Tito Centi nel suo Commento alla Somma Teologica all’articolo succitato.

Ragioni dell’inescusabilità

Il Vangelo continua: «“Ma ora”, per il fatto che son venuto e ho parlato, esclusa l’ignoranza incolpevole, “essi non hanno scusa del loro peccato [d’incredulità, ndr]”» (n. 2048). Inoltre Cristo aggiunge sùbito: «“Chi odia Me, odia anche il Padre”, come per dire: è loro imputato a colpa, non l’ignoranza di Me e del Padre, ma l’odio che hanno per Me e che ridonda in odio contro il Padre. Infatti, Padre e Figlio, essendo una cosa sola nell’essenza, […] chiunque ama il Figlio ama anche il Padre; e chiunque conosce l’Uno conosce anche l’Altro; mentre chi odia il Figlio odia anche il Padre» (n. 2050).

S. Tommaso si chiede se sia possibile odiare Dio, Bontà infinita e invisibile, e risponde: «Qualcuno, però può odiare Dio considerato sotto certi aspetti. Chi, per esempio, ama i piaceri odia Dio in quanto proibisce l’amore disordinato di essi. […]. Ora, i giudei odiavano Cristo e la verità che Egli predicava, la quale coincideva con quella del Padre; cosi pure odiavano le opere di Cristo, le quali erano conformi alla Volontà del Padre. Quindi, odiavano anche il Padre» (n. 2052).

Infine, conclude (Capitolo XVI, Lezione I): «L’ora della persecuzione dei giudei contro gli Apostoli verrà, [come è già venuta contro Cristo il Giovedì Santo, ndr], quando potranno metterli a morte impunemente. Sarà un’ora tenebrosa anzi “del potere delle tenebre”, ossia diabolico» (n. 2078). Quest’ora ritornerà puntualmente lungo tutto il corso della storia della Chiesa ma, Gesù ci rincuora: “Portae inferi non praevalebunt”.

Attualità del Vangelo secondo Giovanni (XV, 26-27; XVI, 1-4)

A partire dal Concilio Vaticano II, passando per Giovanni Paolo II, sino ai discorsi di Benedetto XVI e papa Francesco nella sinagoga di Roma, si vuol ribaltare la Tradizione ecclesiastica sui rapporti tra cristianesimo e giudaismo e rivalutare quest’ultimo, come “fratello maggiore e prediletto” del cristianesimo.

Ora, tutto ciò ha la stessa gravità del peccato dei giudei che rifiutarono Cristo: è incredulità, anzi è in un certo senso ancor più grave, poiché, se i giudei rifiutarono il cristianesimo in figura, i cristiani giudaizzanti rifiutano la Tradizione apostolica in realtà e non solo figuratamene.

Quindi, essi sono ancora più inescusabili dei giudei, e perciò sono increduli, perfidi e persino specificatamente apostati in senso stretto. Come, dunque, ci si può illudere che vogliano “restaurare” la Chiesa, quando abbracciano la dottrina degli increduli e dei peggiori suoi nemici? Chi coltiva tale illusione può essere scusato da peccato per ignoranza invincibile? I semplici sì, ma i dottori della Fede e dei Costumi come minimo hanno un’ignoranza colpevole per negligenza o nescienza.

La tanto conclamata, ma non provata volontà di Ratzinger di “restaurare la Tradizione” è continuamente smentita da lui stesso sino agli ultimi suoi discorsi pronunciati a Fatima, ove l’11 maggio 2010 ha detto: «L’accoglimento delle migliori istanze della modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo, operato con il Concilio Vaticano II, ha fatto sì che la Chiesa superasse gli errori commessi nel suo passato e i vicoli senza uscita» (La Stampa, 12 maggio 2010). Tuttavia “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” e si continua a conclamare una restaurazione che non esiste in realtà.

Il card. Kasper, la shoah e “Nostra aetate”

Il cardinal Walter Kasper ha dichiarato al Corriere della Sera (31 maggio 2010, p. 23) che «la shoah è stata favorita anche da un tipo di teologia. […]. Secoli di teologia cristiana anti-giudaica hanno contribuito alla shoah favorendo […] l’antisemitismo razziale-biologico del nazismo. […]. Quel crimine senza precedenti ha costretto le Chiese cristiane a rivedere il loro rapporto con gli ebrei e per i cattolici il tornante decisivo è stato il Vaticano II, con le sue scelte irrevocabili. […]. Il riconoscimento di una responsabilità cristiana indiretta nella shoah era contenuto già in un documento epocale della “Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo”, pubblicato nel 1998 con il titolo “Noi ricordiamo”, in vista del “mea culpa” giubilare del 2000».

Il cardinale qui mette in relazione di contrarietà (e non di continuità) secoli di teologia cristiana e Vaticano II.

Ora, come spiega monsignor Brunero Gherardini, se non vi è continuità fra la Tradizione divina o divino-apostolica della Chiesa e l’insegnamento pastorale conciliare (per esempio, Nostra aetate), significa che quest’ultimo è erroneo poiché in disaccordo con una delle due fonti della Rivelazione[1].

De ore tuo te judico” si può dire a Walter Kasper. Il quale, inoltre, non esita a vedere nella shoah il termine della teologia pre-conciliare e il punto di partenza di quella conciliare e post-conciliare.

La shoah è - quindi - un problema non solo storico-politico, ma anche teologico, e come tale, analogamente a ciò che la Chiesa ha fatto recentemente, ad esempio, nei confronti della Rivoluzione francese o del Risorgimento italiano, va affrontato da un punto di vista storico, politico e teologico, senza lasciarsi intimorire dagli attacchi della stampa laicista e rinchiudendosi in sacrestia.

Al contrario dei cattolici liberali di ieri e di oggi, monsignor Marcel Lefebvre scriveva che «a partire da Giovanni XXIII e Paolo VI, le autorità ecclesiali si son fatte collaboratrici attive della massoneria ebraica internazionale»[2]. Aveva, infatti, costatato personalmente, durante i lavori conciliari, l’influenza decisiva del Bené Berìt nella stesura di Nostra aetate. Già nel 1946 Marx Jules Isaac in Jésus et Israel e poi nel 1948 in Genèse de l’antisémitisme aveva teorizzato la fine dell’antigiudaismo teologico alla luce della shoah e l’inizio di una nuova teologia giudeo-cristiana, dando la colpa dell’antigiudaismo ai Vangeli, soprattutto di Matteo e Giovanni, e ai Padri della Chiesa, specialmente a S. Giovanni Crisostomo. Isaac assieme al cardinal Bea è stato uno degli artefici di Nostra aetate.

Don Curzio Nitoglia



[1] Cfr. Brunero Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa, Frigento (AV), Casa Mariana Editrice, 2010.

[2] M. Lefebvre, Itinéraire spirituel, Tradifusion, 1991, prologue. Cfr. L. De Poncins, Il ruolo degli ebrei in Concilio, Roma, 1962; M. Pinay, Complotto contro la Chiesa, Roma, 1962; II ed., Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2015; E. Ratier, Misteri e segreti del B’nai B’rith, CLS, Verrua Savoia (TO), 1995.


 
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