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L’illuminismo e Rousseau
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Natura dell’Illuminismo

L’Illuminismo è un evento culturale del XVIII secolo che nasce sul terreno filosofico, ma che ben presto si estende a quasi tutti gli ambiti del sapere (scienza) e del fare (tecnica). Sorge in Inghilterra e si diffonde soprattutto in Francia, in Germania, in Italia, in tutta l’Europa e nelle Americhe.

Il termine Illuminismo deriva dalla voce “Lume”, che sta per “luce della ragione”, in cui ripone un’assoluta fiducia come mezzo per diradare le tenebre dell’ignoto e del mistero, le quali, se non sono illuminate limitano lo spirito umano. Così l’Illuminismo ritiene di rendere migliori gli uomini illuminandoli, facendo a meno della Rivelazione divina e dell’ordine soprannaturale.

L’Illuminismo è il compimento dell’antropocentrismo radicale iniziatosi con l’Umanesimo e il Rinascimento. Inoltre attua pienamente l’autonomia e l’indipendenza dell’uomo da Dio e dalla religione, indipendenza e autonomia che sono l’essenza dell’Illuminismo.

“L’Illuminismo predica un Messianismo nuovo, un’era nuova: Rerum novus nascitur ordo, in cui l’uomo realizza pienamente se stesso” (B. Mondin, Storia dell’Antropologia filosofica, Bologna, ESD, 2001, vol. I, p. 558) con le sue sole forze e senza il bisogno di nessun altro al di sopra di lui.

I suoi avversari sono la superstizione (o meglio la religione positiva e specialmente quella cattolico/romana), l’errore e l’ignoranza (la fede nell’ordine soprannaturale e nel Dio trascendente) e il fanatismo (il Papato).

Esso si fonda sull’anti-dogma della bontà naturale dell’uomo, che è la negazione implicita del dogma del peccato originale (il quale ha ferito la natura umana senza averla distrutta completamente come riteneva Lutero). Inoltre cerca di laicizzare e secolarizzare alcuni valori della Rivelazione cristiana: la libertà, la fraternità e l’eguaglianza, distorcendone il significato genuino. Infatti, se il Cristianesimo per libertà intende la facoltà di fare il bene e di evitare il male, scegliendo i mezzi migliori per ottenere questo duplice fine, l’Illuminismo la intende come licenza di poter fare tutto ciò che si vuole, anche il male morale senza alcuna dipendenza da Dio e dalla sua Legge, essendo l’uomo legge a se stesso e creatore della sua fortuna; inoltre, se il Cristianesimo per fraternità intende il fatto che tutti gli uomini come creature di Dio sono suoi figli e pertanto son fratelli spiritualmente tra di loro, destinati ad amarsi reciprocamente per amor di Dio al fine di entrare nel Regno dei Cieli, l’Illuminismo intende la fraternità come la negazione di tutte le diversità dogmatiche tra le varie religioni per costruire una religiosità puramente naturale e come l’abbattimento di tutte le barriere nazionali per tendere ad un Nuovo Ordine Mondiale sorto sulle ceneri della Cristianità; infine, se il Cristianesimo per eguaglianza intende il fatto che sostanzialmente in quanto animali razionali gli uomini sono tutti egualmente uomini pur differendo accidentalmente per qualità che alcuni posseggono ed altri no, l’Illuminismo tende e negare anche le differenze accidentali e a fondare un ordine politico che si basa sull’egualitarismo totale.

Al Cattolicesimo o universalismo della Rivelazione rivolta ad ogni creatura razionale l’Illuminismo sostituisce il cosmopolitismo di una nuova umanità senza Dio né Rivelazione, che in virtù della sola ragione umana supera tutti i limiti (geografici, etnici, culturali e dogmatici), proclamando l’uomo “cittadino del mondo”, del quale il sovrano non è più il Papa e il Re, ma il libero pensatore o il filosofo illuminista, che ignora volutamente la metafisica e si spinge ad affrontare le questioni politiche e morali sulla base della filosofia sensista, secondo cui l’uomo non ha una conoscenza razionale, ma unicamente sensibile come quella degli animali.

L’Illuminismo è caratterizzato da una fiducia illimitata nella ragione umana, da un ottimismo utopistico che presume di poter arrivare alla perfezione e alla beatitudine grazie alle sole forze naturali, da un anti-tradizionalismo esasperato, il quale rifiuta ogni insegnamento che viene da un’autorità superiore.

In breve l’Illuminismo afferma l’autonomia e l’indipendenza della ragione, emancipata ed affrancata da ogni autorità religiosa e civile, ragione puramente naturale destinata ad illuminare della sua luce i misteri del mondo e della vita. Da questa emancipazione teoretico/dogmatica deriva un’autonomia morale della volontà o meglio del sentimento o dell’istinto dell’individuo da ogni legge oggettiva ed esterna a lui, che spalanca la via al kantismo.

Le origini e i risultati dell’Illuminismo

Le origini dell’Illuminismo sono 1°) l’Umanesimo e il Rinascimento con il loro antropocentrismo, l’autonomia dell’uomo da ogni autorità divina, ecclesiastica e umana; 2°) la Riforma luterana, che estese al campo religioso il soggettivismo individualistico rinascimentale; 3°) la Rivoluzione inglese tributaria del sensismo empirista, dell’individualismo occamista, del Protestantesimo; 4°) il soggettivismo filosofico cartesiano che pose il “cogito” al posto dell’oggettività della realtà extramentale.

«l’età moderna, iniziatasi con l’umanesimo, è una marcia verso la conquista dell’io, che il Medio Evo aveva mortificato in omaggio a Dio. Per riconquistare quest’io, mortificato da Dio, l’uomo si mise a percorrere freneticamente le vie dell’emancipazione. Venne Lutero col Protestantesimo, e si ebbe l’emancipazione dell’io dall’autorità religiosa. Venne Cartesio e col suo famoso metodo filosofico segnò l’emancipazione dell’io dalla filosofia tradizionale, ossia dalla filosofia perenne che è l’unica vera; emancipazione filosofica portata poi agli ultimi termini da Kant, da Hegel, eccetera. Venne Rousseau e con i suoi princìpi sociali rivoluzionari segnò l’emancipazione dell’io dall’autorità civile. Questa continua, progressiva emancipazione dell’io è poi culminata nella divinizzazione dell’io medesimo e nella conseguente umanizzazione, o meglio, distruzione di Dio. Si è avuta così l’uccisione nicciana di Dio in omaggio all’io. […]. La conquista si è mutata in disfatta»1.

L’agnosticismo più che l’ateismo esplicito è un’altra caratteristica dell’Illuminismo. «Etsi Deus non daretur / come se Dio non esistesse» è il motto che compendia lo stato di spirito dell’Illuminismo, che si comporta prescindendo da Dio, non se ne cura e non cerca né di dimostrarne l’esistenza né la non-esistenza; in breve l’uomo illuminista vive come se Dio non esistesse, potrebbe anche esistere come non esistere il problema non lo tocca, l’importante è assolutizzare il potere della ragione umana. La “dea ragione” è una dea potente, forte, capace di tutto e totalmente indipendente. Essa non solo pretende di sapere tutto, ma vuole demolire tutto ciò che la limita e le si oppone. In nome della tolleranza l’Illuminismo ha compiuto i più gravi abusi di potere che hanno raggiunto il dispotismo.

I punti capitali dell’Illuminismo possono essere così ricapitolati: 1°) l’uomo è buono per natura e non vulnerato dal peccato originale; 2°) il fine dell’uomo è la vita su questa terra e il suo benessere naturale; il problema dell’aldilà non si pone, è irrilevante; 3°) la ragione garantisce all’uomo un progresso lineare sempre più rapido verso l’infinito; 4°) la tolleranza per principio accompagnata dalla totale mancanza di carità soprannaturale rimpiazza il rigore dottrinale vivificato dalla virtù di carità.

Rousseau: il Profeta del XVIII secolo

Jean Jacques Rousseau è stato il pensatore più rappresentativo dell’Illuminismo2. Infatti ha compiuto l’opera iniziata da Lutero, che introdusse il soggettivismo in religione, da Cartesio che lo traspose in filosofia, immettendolo a sua volta nella politica e rendendo l’uomo indipendente dall’autorità civile. Egli nacque a Ginevra il 28 giugno 1712, era di confessione calvinista, si trasferì ad Annecy, poi a Torino ed infine a Chambery. Nel 1750 scrisse il Discorso sulle scienze e sulle arti, presentate da lui non come il fattore principale della felicità e della virtù di ogni uomo poiché la conoscenza ha allontanato l’uomo dalla sua origine e lo ha estraniato dalla sua natura originaria. Nel 1762 pubblicò L’Emilio o dell’educazione e nel medesimo anno Il contratto sociale. In séguito a queste pubblicazioni dovette riparare in Svizzera e poi in Inghilterra. Infine tornò in Francia e nel 1762 pubblicò l’ultima sua importante opera: le Confessioni. Nel 1778 morì a Ermenonville.

“Nel fermento intellettuale della cultura illuministica Rousseau emerge per originalità e ricchezza di pensiero. La sua statura intellettuale è indubbiamente maggiore di quella di Voltaire, di Condillac e di quella di tutti gli altri illuministi e assai più vasto e duraturo fu l’influsso del suo pensiero. Con lui il movimento illuminista tocca il culmine, ma inizia anche il suo declino. Infatti le peculiarità del suo pensiero lo pongono al di sopra di quel movimento e ne fanno un precorritore di una nuova fase della cultura, quella romantica” (B. Mondin, cit., p. 586).

La personalità di Rousseau

Tre sono le caratteristiche emergenti del suo carattere che influenzarono il suo pensiero: 1°) una preminenza patologica del sentimento sulla ragione; 2°) un’immaginazione esacerbata; 3°) una coscienza megalomane di una sua missione laicamente messianica nel mondo.

Infatti nella vita e nel pensiero di Rousseau ciò che domina è il sentimento così che le sue decisioni e i suoi princìpi son dettati non dalla ragione, ma dal sentimentalismo. Conseguentemente a questo eccesso di sensibilità si ritrova in Rousseau una grande forza immaginativa, che lo porta a scansare le elaborazioni sistematiche e concettuali. Infine Rousseau si reputata un profeta, addirittura un sacerdote o una sorta di Messia laico. Sergio Cotta lo ha definito “il profeta del mondo nuovo” basato su un “vangelo” nuovo, laico, immanentista e soggettivista. “Rousseau darà alle sue opere un carattere di rivelazione, di dottrina salvifica. Egli si crede il possessore della medicina per curare i mali dell’umanità” (B. Mondin, cit., p. 587).

I princìpi fondamentali della dottrina di Rousseau

Il suo sistema dottrinale è sostanzialmente antropologico: il centro dei suoi interessi è l’uomo nella sua condizione originaria, nella sua situazione storica, la sua formazione personale e il suo inserimento nella vita della società civile.

La parte pedagogica e politica delle sue opere fanno un tutt’uno con quella antropologica, che le unifica e le compendia. Il problema affrontato da Rousseau nelle sue opere è l’uomo studiato soprattutto alla luce dei suoi sentimenti, delle aspirazioni del suo cuore e dell’esperienza che ha fatto del bene e del male.

L’antropologia di Rousseau si fonda su due princìpi basilari: 1°) l’uomo è buono per natura; 2°) il male non deriva dalla malizia umana, ma dagli eventi storico/politici cui l’uomo è stato sottoposto.

Egli distingue due stati nell’uomo: lo stato di natura originale e lo stato politico/civile.

  1. L’uomo nello stato di natura

Nello stato di natura l’uomo (“il buon selvaggio”) è innocente e buono, provvisto di libero arbitrio, della facoltà di perfezionarsi, di eguaglianza con gli altri, ossia di inesistenza di dominio di uno sugli altri, per cui solo l’apparire della proprietà privata, dopo lo stato di natura, ha prodotto la rottura dell’eguaglianza naturale, della libertà perfetta e dell’asocialità.

L’uomo non è socievole per natura, ma sono le circostanze storiche che hanno fatto sì che egli stabilisse dei legami con gli altri uomini. Infatti nella natura umana non c’è nulla che spinga l’uomo a vivere in società, essendo la natura originaria umana libertà e indipendenza assoluta3. Solo dopo essere uscito dallo stato di natura originaria, grazie all’intervento negativo della cultura, l’uomo “snaturato” sente la necessità della vita in comune con gli altri (Discours sur l’origine de l’inégalité, c. 2).

  1. L’uomo nello stato civile e sociale

La socievolezza è la prima caratteristica di questo stato “snaturato”: l’uomo non è più l’individuo solitario che abitava nelle foreste, ma è solidale con i suoi simili, è un cittadino che sottostà alla volontà comune.

Per Rousseau è il diritto di proprietà privata a generare l’uomo sociale: “Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di dire questo è mio è stato il vero fondatore della società civile” (Contratto Sociale, I, 6). Ora la proprietà privata genera l’egoismo, l’egoismo i conflitti d’interesse, i conflitti le guerre con le loro stragi e rovine.

Per uscire da questa situazione di terrore esiste solo il contratto sociale, ossia un’associazione che difende la persona singola con la forza comune: mediante tale associazione ognuno, unendosi a tutti, obbedisce solo a se stesso e resta libero come prima.

Infatti per Rousseau il contratto sociale garantisce la libertà e l’uguaglianza del cittadino. Diversamente dall’assolutismo di Hobbes, secondo cui il patto sociale significa la cessione, da parte dell’individuo, dei propri diritti all’autorità che li esercita in maniera universale e totale, per Rousseau il cittadino dopo aver ceduto il proprio diritto lo deve riacquistare dalla comunità. Poiché come l’uomo naturale si è trasformato in sociale per entrare nella società, così la società deve ridare a ciascuno quello che egli le ha ceduto. La volontà generale è autonoma, ossia è la volontà di tutti di rispettare la legge, è per questo che il singolo obbedendo alle leggi obbedisce a se stesso.

Nella comunità grazie al contratto sociale vige anche la piena eguaglianza di tutti i cittadini.

Da tutto ciò ne segue che le decisioni emanate dalla volontà generale sono sempre legittime perché hanno come base il contratto sociale; sono egualitarie perché obbligano tutti allo stesso modo; sono sempre utili perché hanno come oggetto il bene comune.

Siccome la volontà generale è sempre retta essa è il criterio del bene e del male.

La sovranità non appartiene a chi è stato eletto dal popolo per rappresentarlo. Quindi l’autorità deve solo presentare le sue proposte all’assemblea generale affinché il popolo decida liberamente. I governanti non hanno nessun potere reale sul popolo essendo questo l’unica fonte del diritto e l’unico vero sovrano (Il contratto sociale, II, 5).

La democrazia rappresentativa, nella quale i cittadini son detti sovrani solo perché scelgono i governanti ai quali trasmettono stabilmente il potere, è rigettata da Rousseau, il quale vuole che il potere sovrano sia attribuito realmente e non solo nominalmente al popolo e che venga esercitato effettivamente dal popolo con deliberazioni dirette da parte di tutti i cittadini. Perciò, se il governo non esegue la volontà popolare, deve essere destituito. Così il contratto sociale dà origine ad uno Stato veramente democratico, in cui il potere appartiene ed è esercitato dalla comunità, che diviene il Leviatano o il despota insindacabile e infallibile.

La pedagogia di Rousseau

Per il filosofo ginevrino occorre creare una cultura nuova che non nasca dalle passioni. Rousseau espone nell’Emilio il suo piano pedagogico, che è un prolungamento delle idee politiche espresse nel Contratto sociale.

La nuova dottrina pedagogica serve a migliorare l’uomo “snaturato”, liberandolo dai pregiudizi e dalle convenzioni innaturali per “Ritornare alla natura” che è intrinsecamente buona. Come si vede l’Emilio completa il ciclo rousseauiano, il quale inizia con lo stato di natura e di innocenza originaria, procede con lo stato sociale, che degenera l’uomo primitivamente innocente; infine si conclude con una redenzione laica dell’umanità che è l’unica via di salvezza tramite la nuova pedagogia. È evidente il fatto che Rousseau ricopia la dottrina cattolica sul peccato originale e la abbassa a livello puramente naturale e mondano, come vuole l’Illuminismo.

La prima tappa dell’educazione dell’uomo riguarda solo i sensi, il fanciullo (sino a 15 anni) non capisce ancora il valore della legge morale autonoma, non ha la nozione di obbligo. Quindi non bisogna limitare la sua libertà, essendo un ente fisico e pre-morale. Non bisogna ricorrere ai castighi e ai rimproveri.

La seconda tappa inizia a 15 anni e riguarda la ragione. Tuttavia anche in questo stadio l’educatore deve limitarsi a stimolare nel ragazzo lo spirito di ricerca autonoma, che lo porti a risolvere da sé i problemi che gli sorgono nella mente, non imparando nulla da un maestro o da un libro, ma inventandolo.

È in questo stadio che inizia a formarsi nel giovane il senso morale e a risvegliarsi la coscienza sociale onde il fanciullo esce dall’isolamento originario e innocente e si lega ad altri con vincoli morali, sociali e politici.

Solo in quest’età si può parlare di religiosità al giovane, ma l’unica religione da proporre è quella che scaturisce dalla coscienza che l’uomo ha di sé.

Qualcuno ha voluto scorgere in Rousseau degli elementi di romanticismo, ma, se egli critica l’istruzione come snaturante l’innocenza originaria dell’uomo, e, se esalta il sentimento, occorre pur mantenere fermo che egli esalta la ragione con le sue capacità, disprezza l’autorità e la tradizione come pure la religione rivelata e positiva per cui se vi sono delle timide aperture allo spirito del romanticismo nel pensiero del ginevrino egli permane sostanzialmente nel puro Illuminismo. Il suo pensiero è pervaso da un ottimismo radicale: l’individuo è immacolato, la società lo corrompe, ma la pedagogia illuministica lo redime.

Conclusione

Rousseau sopravvaluta la capacità della ragione umana, facendone quasi un attributo divino, ossia rendendola pressoché onnisciente e redentrice. Invece l’uomo – secondo il realismo della conoscenza, che si discosta dagli errori per eccesso e per difetto dello scetticismo e del razionalismo – con la sua ragione conosce realmente la sostanza delle cose, ma non totalmente ogni cosa e non tutto di tutte le cose.

Tutto, nella dottrina di Rousseau, gira attorno all’uomo che rimpiazza Dio, di cui non ci si preoccupa neppure di provare l’inesistenza, ma ci si limita a vivere come se non ci fosse senza porsi nessun problema. Tuttavia il problema di Dio è ineludibile (l’uomo non spiega se stesso e non è causa di sé) e si presenta immancabilmente alla ragione umana, che s’interroga sul perché della realtà che la circonda e solo se è depravata dalla cattiva volontà cerca di non porsi il problema di Dio per non dovere obbedire alla sua Legge.

Rousseau ritiene di essere “il profeta del XVIII secolo” incaricato dalla “Dea ragione” di illuminare l’umanità e redimerla dall’ignoranza. Questa è una caratteristica di tutte le correnti di pensiero di matrice gnostica e millenaristica, che pretendono di dare all’uomo un “paradiso” su questa terra eliminando l’aldilà ed invece finiscono per portare la desolazione su questa terra e di impedire ai propri adepti di raggiungere il Paradiso nell’aldilà.

Secondo lui l’uomo è immacolato, innocente ed è la società che lo rovina, mentre la pedagogia illuministica, autonoma e sentimentalistica lo redime e lo riscatta. L’esperienza e il semplice buon senso ci mostrano che il neonato è già inclinato al male, all’invidia e alla gelosia persino del fratellino neonato.

Un forte utopismo ottimistico, nutritosi di sentimentalismo immaginifico, caratterizza tutta la teoria rousseauiana che fa dell’uomo una sorta di “dio”, il quale può portare l’umanità nuova alla perfezione assoluta in continua crescita, senza alti e bassi, a condizione di seguire i suoi princìpi e quelli illuministici.

Secondo Rousseau, negando ogni evidenza e l’esperienza, l’uomo è naturalmente asociale fatto per vivere solo e separatamente dagli altri. Lo Stato e la società civile sono un prodotto della proprietà privata che non è un diritto di natura, ma per lui è il principio di tutti i mali. Se l’uomo è stato snaturato e maculato dalla società solo il “contratto sociale” potrà salvarlo e rendergli l’indipendenza e la libertà primitiva che aveva persa.

Politicamente egli ha teorizzato e intronizzato il democraticismo moderno in cui ogni potere viene dal popolo e non da Dio, è esercitato dal popolo e deve tornare al popolo, se chi lo rappresenta si scosta dalla volontà popolare. Le decisioni prese dalla maggioranza sono sempre buone, vere e giuste e divengono il nuovo criterio per discernere il vero dal falso e il bene dal male. Questo democraticismo è onnipotente e diventa, così, dispotismo assoluto di massa. Si pensi alla legge sulla liceità dell’aborto che renderebbe buona una cosa intrinsecamente cattiva (l’uccisione di un bambino non ancora nato).

L’unica religiosità ammissibile, secondo Rousseau (che così apre la via a Kant), è quella immanente all’uomo, la quale scaturisce dalla sua autocoscienza, ma Dio e la vera religione non sono l’effetto dell’uomo, anzi è l’uomo ad aver come Causa prima Dio.

d. Curzio Nitoglia



1) La Santa Messa. Breve esposizione dogmatica, II ed., Frigento (AV), CME, 2010, p. 11-13.

 

2) Cfr. E. Cassirer, Il problema di J. Jacques Rousseau, Firenze, 1933; A. Deregibus, Il problema morale in J. Jacques Rousseau, Torino, 1957; M. Fazio, Due rivoluzionari: Francisco De Vitoria e Jean Jacques Rousseau, Roma, 1999; G. Forni, Alienazione e storia. Saggio su Rousseau, Bologna, 1976; R. Gatti, L’enigma del male. Un’interpretazione di Rousseau, Roma, 1996 ; H. Gouhier, Filosofia e religione in J. J. Rousseau, Bari, 1977; R. Mondolfo, Rousseau e la coscienza moderna, Firenze, 1954; J. Maritain, Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, Brescia, 1928.

3) J. J. Rousseau, Discours sur l’origine de l’inégalité, c. 1.

 

 
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