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«L’Italia dovrà uscire dall’euro»
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Ambrose Evans-Pritchard, ben informato giornalista economico del Telegraph, torna sull’argomento preferito suo, e dei circoli britannici che frequenta: ora che comincia la recessione, l’Italia e la Spagna saranno espulsi dall’area euro per la loro gestione finanziaria allegra.

Stavolta, la fonte è uno studio di BNP Paribas: un decennio di minore produttività e rigore nei paesi del sud-Europa (oltrea Italia e Spagna, Grecia e Portogallo) sta per provocare una tensione con i paesi europei del Nord, più virtuosi nel mercato globale.
«Inflazione, costi per unità di prodotto e bilanci dei conti correnti stanno divergendo», avverte il rapporto Paribas: «Tali tensioni hanno potuto essere camuffate durante il boom economico, ma vengono in primo piano in tempi di crisi. Non è un caso che precedenti unioni monetarie si sono spaccate durante periodi di crisi economica».
Come si manifesta la «tensione»?

Con una diversa valutazione, da parte dei
«mercati» (leggi: speculazione) dei titoli di debito, e anzitutto dei Buoni del Tesoro, emessi dai vari paesi europei.
I BOT tedeschi e quelli italiani sono emessi entrambi in euro.
Dunque, dovrebbero fruttare lo stesso interesse.
Invece non è così.
Per comprare i BOT italioti, gli investitori (speculatori) chiedono un interesse maggiore, a compenso del rischio-Italia.
E’ lo
«spread»
, e questo divario fra i BOT tedeschi e quelli italiani si allarga.
Prima che scoppiasse la grande crisi del sub-prime, innesco della recessione mondiale incombente, questo divari era piccolo: 0,2 per le Spagna, e già molto più grande per l’Italia, 0,18.
Oggi, lo spread  è aumentato di 8-10 punti-base in tutti i paesi del gruppo dei paesi mediterranei, insieme poco competitivi e spreconi in spesa pubblica, che gli inglesi chiamano spregiativamente Club Med. 

Hans Redeker, analista-capo di BNP Paribas per il settore monetario, prevede che questo divario «rispetto ai Bund tedeschi (i BOT germanici) salirà a 0,50-0,60 per l’Italia, e forse ancor più per la Spagna, molto più esposta allo sgonfiamento del suo mercato immobiliare. I mercati puniranno le cattive gestioni». Un simile divario di interessi sul debito non s’è mai verificato prima nella zona euro.
Italia, Spagna e Club Med in generale vedranno un aggravio degli interessi che devbono pagare sul loro debito pubblico, e ciò li costringerà a tagliare ancor più il deficit di bilancio.

«I politici di Italia e Spagna non sembrano comprendere quanto sono incancreniti i loro problemi», dice Redeker: «Dovranno tagliare ancor più i salari reali, e questo sarà spiacevole».
Quelli del Club Med, aggiunge, fanno i furbetti, scaricando i loro problemi sulla Germania virtuosa. Sotto forma di inflazione.
«Ma io dubito che la Germania possa accettare una tale situazione. Questo creerà frizioni nell’eurozona, con l’indebolimento dell’euro come conseguenza».

I paesi del Sud Europa hanno perso, dal 1998 ad oggi, un buon 30 % in competitività della loro forza lavoro rispetto alla Germania: per quanto i salari italiani siano i più bassi della zona, i mancati investimenti che davvero aumentano la produttività del lavoro (innovazioni industriali, infrastrutture veloci) fanno sì che i salari debbano scendere ancor più.

Per lItalia, il problema è aggravato dallastronomico debito pubblico (responsabile: la Casta e i suoi clienti), pari al 108 % del PIL.
Forzata ad aumentare i frutti dei suoi BOT di 0,60 punti rispetto a quelli tedeschi, Roma rischia un tale aggravio della spesa pubblica da rischiare di entrare in una spirale debitoria di tipo argentino.

Non a caso Fitch e Standard & Poors hanno declassato il debito  nazionale nostrano.
La Spagna ha un debito pubblico minore – è meglio governata – ma il suo tallone dAchille è la bolla immobiliare, che ha trascinato un boom malsano e si sta rovesciando in un crack nazionale. Inoltre, la Spagna ha un deficit commerciale più grosso, 10 % del PIL, e la Grecia del 13.

La politica monetaria condotta dalla banca centrale europea aggraverà i problemi di tutti, le cicale e le formiche.
«E una politica monetaria a taglia unica: che può risultare troppo restrittiva per alcune economie, e troppo rilassata per altre».
Lo stesso tasso europeo può essere troppo basso per la Germania (che così imbarcherà inflazione) e troppo esoso per Spagna e Italia (aggravandone il costo dellindebitamento).
Nella recessione avanzante, la Germania vorrà pagare il prezzo della sua unione allItalia e alle altre cicale?

Certamente no.

In generale, le varie unioni monetarie tentate in passato si sono spaccate, perchè non seguite dallunificazione politica – che spalma i pesi e i benefici nella solidarietà nazionale.
E accaduto ai paesi scandinavi in passato.
E accaduto anche al Gold Standard, spaccato dalla grande crisi del 29.
La UE è stata voluta così dai suoi bruocrati-ispiratori, che hanno messo il carro dellunione monetaria davanti ai buoi dellunione politica, sperando che la prima avrebbe obbligato alla seconda.
Tipicamente, Padoa Schioppa alla UE.

Il suo «ragionamento» è stato: la moneta unica provocherà una crisi da divergenze asimmetriche?
Tanto meglio, così gli stati disperati saranno forzati a chiedere in ginocchio a noi eurocrati di assumere la sovranità sovrannazionale.
E per questo che Padoa Schioppa passa per un genio nella eurocrazia, perché ha pianificato il disastro monetario come una opportunità per il potere a-democratico.


Così lEuropa va verso la grande recessione priva degli organi sovrani per attenuarle: essenzialmente una Tesoreria politica, e un sistema di sicurezza sociale comune che distribuisca i sacrifici fra le diverse societa nazionali.

Ma leffetto più probabile non sarà quello previsto da Padoa Schioppa il bamboccione.
Sarà la spaccatura della UE in due zone monetarie, quella debole a Sud e quella forte a Nord.
O forse, lespulsione dellItalia dalla zona euro per palese indegnità e furberia.

Come si ricorderà, nel 2005 la banca olandese HSBC esplorò lipotesi che Roma potesse, per volontà sua o per invito degli altri, tornare alla lira.
Conveniva o no?
«Forse», fu la risposta.
Da una parte, lItalia potrebbe tornare a compensare la sua minore competitività svalutando.
Ma dallaltra, visto che il suo debito pubblico e i debiti in generale resterebbero denominati in euro «forte», non potrebbe più servire quel debito ormai schiacciante in termini di lira svalutata,m e dovrebbe dichiarare bancarotta.
Come lArgentina appunto.
Un destino che la City ci sta predicendo, sardonicamente, da anni.


E una fine che Londra aspetta e spera, visto che non ha voluto entrare nelleuro e vuole che i fatti le diano ragione.
Ma dovrebbe, piuttosto, pensare ai guai suoi – di prima della classe del capitalismo globale – che non sono inferiori a quelli del Club Med.


Anzi.
Un rapporto del Davos Economic Forum sancisce che «la Gran Bretagna è più vulnerabile al collasso finanziario (imminente) che ogni altro paese, dal momento che la sua economia dipende più delle altre da questo settore».

I «valori» finanziari (le carte e cartacce vendute come investimento, confezionate con sub-prime ed altra monnezza) stanno crollando.
Secondo il Davos Forum, ciò prelude ad un «re-pricing dellintero mercato finanziario» globale.
I cartellini dei prezzi apposti su quelle cartazze e obbligazioni e futures dovranno essere tutti riveduti al ribasso.
Tutti gli «attivi» saranno meno attivi che nella scorsa primavera.
Azioni, obbligazioni, immobili, tutto il «mercato» su cui Londra ha campato alla grande da un quindicennio.

La popolazione inglese è più indebitata di quella italiana (per ora), spesso avendo ottenuto denaro a prestito dando la propria casa come garanzia: e il valore della casa è oggi in calo.
La relativa buona amministrazione del debito pubblico è contrastata dalla gestione pessima dei debiti privati; i privati sono stati incoraggiati ad indebitarsi per il bene della finanza speculativa.

Il rapporto di Davos, «Global Risks 2008», ritiene che «il rischio più immediato, e dal punto di vista del costo economico, più grave per leconomia globale, è il collasso sistemico».
E prezzi energetici riducono la «resilienza» del sistema finanziario liberista, ossia la sua capacità di superare la crisi.
Nel prossimo ventennio, prevede, il petrolio resterà carissimo.

Il rapporto invita a «un maggior dialogo a tutti i livelli, tra paesi sviluppati ed emergenti e tra il capitalismo privato e i governi», insomma un accordo politico globale, magari tipo Bretton Woods, ma un po meno, che «guardi avanti» e non freni troppo i movimenti di capitali.
Tuttavia, auspica persino «una cornice di regolamentazione» per le follie della speculazione planetaria che ci ha rovinato.
Troppo tardi, direi.



Note
1) Ambrose Evans-Pritchard, «Spain and Italy threaten EMU stability» Telegraph, 9 gennaio 2008.
2) Edmund Conway, «Economy faces greatest risks for a decade», Telegraph, 10 gennaio 2008.


 
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