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«Siamo nel 1914»
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Di colpo, si torna a parlare di attacco all’Iran. Efraim Halevy, l’ex direttore del Mossad, ha detto al New York Times che l’attacco è probabile «nelle prossime dodici settimane», ossia prima delle elezioni presidenziali in USA. Ciò perchè Netanyahu valuta che, dopo, la lobby ebraica avrà meno potere su un Obama rieletto per l’ultima volta e che non deve più andare a caccia dei voti e dei soldi giudaici; e se vince il repubblicano Romney, benchè sdilinquito in servilismo per Sion, non si lascerebbe trascinare in un’ennesima guerra all’inizio del suo mandato.

La finestra di opportunità è dunque quella: 12 settimane, tanto più che Israele non ama le campagne invernali.

«Se fossi iraniano, avrei molta paura», ha detto Halevy. Precisando che l’attacco sarà congiunto, americo-israeliano. Halevy, si noti, non esultava: come tutti gli ex-capi del Mossad, ha cercato di impedire il conflitto e messo molta acqua nel fuoco della propaganda sulla «bomba atomica iraniana». Oggi, parla con rassegnazione.

Dopo sei anni di minacce, Israele vuol farla finita davvero con Teheran? Anche l’ammiraglio americano James Stavridis, attuale capo dello US European Command nonchè SACEUR – Supreme Allied Commander Europe della NATO – confidandosi con un capo di Stato Maggiore europeo: «Siamo nel 1914». Non con esultanza ma con rassegnazione. La stessa di Halevy (1). (Sont-ils en 1914?)

Nella posizione che ricopre, Stavridis sa ovviamente come stanno le cose. Forse ha già ricevuto i suoi ordini dalla casa Bianca. L’evocazione del 1914 chiama alla memoria di qualunque esperto di storia militare, non solo l’attentato di Sarajevo, ma la macchina della corsa agli armamenti dei mesi precedenti, della propaganda guerrafondaia di tutte le parti, e della torva febbre bellicista che rese inarrestabile la corsa al più atroce conflitto europeo, e ineluttabili i Cannoni di Agosto. Anche allora ci furono personalità che videro avvicinarsi l’inutile strage, cercarono di fermarla e non ci riuscirono (2).

Il 27 luglio, prima della preghiera del venerdì, l’ayatollah Ali Khamenei, il capo supremo iraniano, ha convocato gli alti gradi militari per avvertirli: «Saremo in guerra nel giro di settimane», indicando grosso modo settembre-ottobre per l’inizio del conflitto. E facendosi riferire da ogni generale o dirigente il grado di prontezza del settore di cui è responsabile. Khamenei ha chiamato questa riunione «l’ultimo consiglio di guerra» prima dell’azione. (Khamenei Warns Iran’s Top Leaders: WAR IN WEEKS)

Stretto di Hormuz
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Quale azione? Il super-gigante mondiale e il falso agnello che lo manovra (vedi Apocalisse 13) schiaccerà la pulce disarmata senza difficoltà, così pare. O no? In realtà, gli ammiragli americani non sembrano così sicuri, dato che hanno ispirato o fatto filtrare un articolo sul Washington Post, in cui segnalano la pericolosa concentrazione delle costose e sofisticate forze navali USA (almeno due portarei, forse tre, ciascuna con la sua squadra d’appoggio) in quello stretto braccio che è il Golfo, e specialmente lo stretto di Hormuz, da cui passa il 20% del greggio del pianeta, e che Teheran può facilmente bloccare in caso di conflitto. Il gigante navale, con poca capacità di manovra in quelle acque affollate e anguste, è alla mercè di attacchi «a 360 gradi», ossia dal mare, dal cielo, e da sotto il mare – fanno sapere gli ammiragli. (Iran bolsters retaliation capability in Persian Gulf, experts say)

Citiamo:

«... la capacità dell’Iran di infliggere danni significativi è molto aumentata negli ultimi dieci anni. Uno studio del Pentagono in aprile ha segnalato che l’arsenale iraniano è migliorato 'in efficacia e letalità' (...). Alcuni esperti militari mettono in discussione la saggezza di dispiegare portaerei ed altre costose navi da guerra nel Golfo se un conflitto è imminente».

Delle nuove capacità offensive e difensive di cui dispone l’Iran, «alcune si sono viste negli ultimi mesi, in una successione di esercitazioni militari, fra cui un’esercitazione missilistica chiamata Grande Profeta 7 (sic). Essa comprendeva una dimostrazione del da poco operativo missile anti-nave Khalid Farzh, che dispone di un sistema di guida interno, di una potente testata con 1.400 libbre di esplosivo, e un raggio di 180 miglia. Più recentemente, l’Iran s’è vantato di progressi nello sviluppo di siluri ad alta velocità su progetto russo.

Magari sono vanterie esagerate, ma il Pentagono, nel suo rapporto di aprile, nota che l’arsenale iraniano oggi comprende missili balistici con «apparati cercanti» che consente loro di «manovrare verso le navi durante il volo».

Sì, «le moderne navi da guerra USA sono equipaggiate di difesi di sistema multipli (...). Ma l’Iran mira a neutralizzare il vantaggio tecnologico americano sviluppando la capacità di colpire da direzioni multiple simultaneamente... non solo con lanciamissili mobili, ma anche con nuovi mini-sommergibili, elicotteri e centinaia di velocissimi motoscafi potentemente armati (sul modello dei MAS, Motoscafi Armati Siluranti usati dagli italiani, ndr). Questi sono diventati la pietra angolare della strategia iraniana di difesa del Golfo contro un avversario molto più grosso. I motoscafi possono rapidamente spiegare le 2.000 mine anni-nave di cui pare disponga l’Iran, o ammassarsi in gruppo per attaccare grandi navi come da tutti i lati allo stesso tempo, come uno sciame di vespe contro una preda più grossa».



Le navi americane, fa dire il Washington Post ad un ufficiale anonimo, «possono trovarsi in una minaccia a 360 gradi da terra, aria, acquea e subacquea. È uno scenario che ci dà gli incubi».

Si cita poi uno studio del 2009 condotto dal capitano di corvetta Colin Boyton per lo Army War College che criticava il tipo di dispiegamento di troppe forze navali nello stretto di Hormutz: «Nell’imminenza di un conflitto, ciò significa cedere all’Iran il vantaggio di come e quando cominciare. Ciò può portare ad una prima salva devastante per le forze navali USA».

E perchè allora si sono messi in quella condizione, gli ammiragli? Sembra, per ordine dei politici: «Le nostre forze navali quando sono nello stretto di Hormutz, sono vulnerabili. Ma se le togliessimo, i Paesi del golfo (nostri alleati) si sentirebbero più vulnerabili. Ed oggi già si sentono molto, molto vulnerabili».



Insomma, per acquietare la psicologia dei re sauditi e degli emiri miliardari che temono l’Iran (e le loro minoranze o maggioranze sciite interne), l’America rinuncia ad un vantaggio strategico. Adesso, gli ammmiragli USA temono di far le spese dell’avventurismo israeliano , con perdite delle costosissime piattaforme portaerei da cui dipende la dominanza mondiale statunitense; e gli israeliani (che probabilmente attaccheranno dall’aria o dai sottomarini germanici) hanno meno da temere, e certo non rifonderanno le spese.

Il sito Dedefensa parla ironicamente di «psicologia di nassa» degli ammiragli USA: avete letto bene, non psicologia di massa, ma di nassa: l’attrezzo da pesca in cui le aragoste finiscono, e non riescono più a uscire.





1) Persino lo scrittore israeliano David Grossman, che in passato si è posizionato come ambiguo difensore pubblico delle più discutibili politiche israeliane, in un’intervista rivelatrice pieno di sgomento ha criticato apertamente i ministri e gli ufficiali «Che privatamente si esprimono contro l’attacco all’Iran (...) per le profonde conseguenze che avrebbe per la sopravvivenza stessa di Israele; perchè non si alzano e s’oppongono adesso, finché c’è tempo?». Grossman lamenta anche il fatalismo della popolazione israeliana «davanti al pericolo che cresce ogni giorno». E’ proprio il clima di ineluttabilità da «siamo nel 1914» (Leading novelist David Grossman challenges Israel over failure to oppose unilateral strike on Iran).
2) Per far pressione sui politici americani, sono tornati molto attivi in queste settimane i neocon dell’American Enterprise, il «Saban Center» della Brookings Institution e l’insieme della nota lobby. Howard Kohr, direttore AIPAC (American-Israeli Political Commitee) ha scritto una lettera a tutti i deputati e senatori per ordinar loro di votare per una legge dal titolo orwelliano: Legge sulla riduzione della minaccia-Iran e sui diritti umani in Siria, il cui testo si può leggere a questo sito. Alla camera bassa la legge è passata con 421 sì contro 6 no (coraggiosi o suicidi?) (Tightening the Noose on Iran).



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