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Socci, Fatima e gli idoli di stoppa
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«Idolo di stoppa».
Così Papa Giovanni XXIII, al secolo Angelo Roncalli, apostrofava padre Pio da Pietralcina, al secolo Francesco Forgione.
Un beato contro un santo.
Brutta storia per la Chiesa.
Una vicenda raccontata da uno storico di famiglia ebraica, Sergio Luzzatto, che nel suo recentissimo e controverso libro (1) ci ha rivelato con un documento inedito il disprezzo che il Pontefice regnante nutriva «toto corde» verso quell’autentico mistero che fu padre Pio da Pietralcina: «Ove si consideri che la stoppa riveste da secoli nel cerimoniale pontificio il significato di simbolo della transitorietà umana e della caducità di ogni gloria terrena - scrive Luzzatto - tanto più sarà dato di misurare la severità della metafora applicata a padre Pio da Giovanni XXIII».
Ma non basta: salito al trono di Pietro, allorquando le calunnie di natura sessuale sembravano sommergere fin dentro il confessionale la vicenda terrena del frate cappuccino stigmatizzato,
«il ‘Papa buono’ si congratulerà con se stesso per una risoluzione vecchia di trentotto anni: ‘Rammento bene - scriveva Roncalli nel 1960 - in occasione di un mio passaggio da Foggia verso la fine di novembre 1922 di avere rifiutato una prima occasione di recarmi a San Giovanni Rotondo non essendo di mio gusto quanto si diceva del fenomeno di padre Pio da Pietralcina. Egualmente evitai di recarmi colà due volte in occasione di mie due visite a Manfredonia: cosicché io non conobbi mai, né fui in alcun modo in rapporto personale con padre Pio: né [ricordo] di aver colto l’occasione di parlare o interessarmi di lui con chicchessia, pur deplorando sempre la mitomania creatasi intorno al suo nome, a parte le intenzioni’ ». (2)
Un pro-memoria per i posteri: quel Papa si gloriava di non credere alla «superstizione».
E’ uno spregio totale, assoluto, radicale non tanto verso padre Pio, quanto verso la dimensione del Mistero che fa la sua irruzione nella Storia.
E’ - diciamolo - il rifiuto di un Dio che s’intromette nella storia profana, che s’impiccia delle cose degli uomini, che indica alla Storia un cammino «altro», una direzione «altra» rispetto a quella della razionalità moderna: il Logos divino contro la Ragione dialettica.
Solo così si può concepire il fastidio altrettanto radicale del Papa del Concilio verso Fatima e verso l’esortazione che la Santa Madre di Dio cercò disperatamente di inviare alla Chiesa attraverso i veggenti di Fatima: «profeti di sventura», li bollò Giovanni XXIII nell’allocuzione di apertura di un Concilio che avrebbe segnato per la Chiesa la più dolorosa lacerazione e la più tremenda autodemolizione dai tempi della Riforma protestante.
«L’allocuzione inaugurale del Concilio Vaticano II costituisce un atto di rilevante significato storico, certamente il più importante del Pontificato di Giovanni XXIII, probabilmente uno dei più impegnativi della Chiesa cattolica nell’età contemporanea» si compiace non a caso Giuseppe Alberigo, il defunto patriarca dell’Officina bolognese, discepolo di Dossetti, maestro di Alberto Melloni e autore di uno studio particolarmente interessante su questo discorso (2).

Con l’allocuzione di apertura del Concilio Vaticano II dell’11 ottobre 1962, titolata per amara ironia «Gaudet Mater Ecclesia», il «Papa buono» tra l’altro loderà se stesso, rifiutando sprezzantemente gli ammonimenti del Cielo: «Nell’esercizio quotidiano del Nostro ministero pastorale - dirà - Ci feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone, pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni esse non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando; e si comportano come se nulla abbiano imparato dalla storia, che pur è maestra di vita, e come se al tempo dei concili ecumenici precedenti tutto procedesse in pienezza di trionfo dell’idea e della vita cristiana, e della giusta libertà della chiesa. A Noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo».

Definendo suggestioni le preoccupazioni di chi paventa giorni tragici per la Chiesa e sostituendo il Progresso alla Provvidenza, Papa Roncalli rimpiazza le fosche visioni che il Cielo gli aveva verosimilmente mostrato attraverso la Veggente di Fatima con l’orgoglio prometeico dell’uomo autore del proprio destino e delle «proprie magnifiche sorti progressive»: «Nel presente momento storico - proseguiva - la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della chiesa».
Ahimè, quale nuovo ordine di rapporti umani e quale mancato profeta fosse Roncalli lo mostra desolatamente il tempo presente.
Ma davvero il Papa, parlando di «profeti di sventura», si riferiva ai veggenti di Fatima o non invece ai membri della Curia romana contrari all’idea del Concilio?
La sensazione è che egli pronunci con soddisfazione quel discorso, ma è singolare che lo faccia proprio all’apertura di quell’assise importante.
Oltrechè mostrare da subito da che parte egli intenda stare durante i lavori conciliari, pare quasi che egli si congratuli anche con se stesso, esattamente come nel suo diario si era già compiaciuto del fatto di non aver mai prestato fede al «fenomeno di padre Pio».
Rileggendo quel discorso, la sensazione è certo che egli voglia mettere a tacere una volta per sempre chi all’interno della Curia avrebbe evocato contro il Concilio il messaggio di Fatima, ma anche che dica a se stesso: «Non mi ero sbagliato. Mi avevano paventato giorni orribili e invece non è successo niente. Avete visto?».

Si saprà, poi, che suor Lucia avrebbe indicato nel 1960 la data per aprire e comprendere il senso del terzo Segreto di Fatima.
Quando il Papa pronuncia l’allocuzione di apertura del Concilio Vaticano II e parla contro i «profeti di sventura» sono passati quasi tre anni anni: è l’11 ottobre 1962.
Non vi è stata alcuna sventura fino a quel momento che abbia colpito la Chiesa, né il mondo.
La stessa crisi di Cuba è successiva, seppure di pochissimo, a questo discorso.
Quindi nell’allocuzione di apertura del Concilio, certamente Giovanni XXIII rimprovera l’ala conservatrice della Curia romana, ma la sensazione - rileggendo quel discorso - è che egli faccia implicitamente riferimento a qualcosa che era accaduto in precedenza.
Per capire dobbiamo tornare ai giorni dell’annuncio del Concilio.
Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII è nella chiesa di San Paolo fuori le mura per la celebrazione conclusiva della settimana di preghiera per l’unità delle Chiese e ai pochi cardinali intervenuti annuncia: «Pronunzio innanzi a voi certo tremando un poco di commozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito, il nome e la proposta della duplice celebrazione: di un Sinodo diocesano per l’Urbe e di un Concilio generale per la Chiesa universale».
A meno di tre mesi dalla sua elezione è una fretta strana quella del Papa e una data altrettanto strana quella del 25 gennaio!
Pare infatti che all’inizio di quello stesso mese «suor Lucia - solitamente molto riservata e sottomessa - subito dopo l’elezione di Giovanni XXIII (il 28 ottobre 1958) pensi ad una sua iniziativa così clamorosa come un messaggio radiofonico al mondo. Il 1960 (l’anno in cui il messaggio di Fatima avrebbe dovuto essere rivelato nda) non era ancora arrivato. Cosa temeva? Cosa sapeva? Quale urgenza aveva? Non lo si è mai saputo. Perché nei primissimi giorni di gennaio 1959 un allarmato summit si riunisce in Vaticano e di fronte alla prospettiva che la Veggente di Fatima sveli al mondo cosa la Madonna le ha detto, per volere del Papa scatta ferrea la proibizione per la suora e il suo sostanziale isolamento dal mondo. Quindi si pensò di leggere subito il Terzo segreto, ma Giovanni XXIII disse: ‘No, aspettate’. Prima volle annunciare la convocazione del Concilio Vaticano II». (3)
Queste parole di Antonio Socci, tratte dal suo libro sul «quarto segreto di Fatima» non sono una pura congettura.
Se oggi l’ex conduttore di Excalibur è silenziato dalle gerarchie vaticane ed espulso in malo modo dalle sale vaticane è conseguenza del fatto che certamente non è un veggente, ma neppure un visionario.

L’opuscolo ufficiale del Vaticano, il Messaggio di Fatima riporta un messaggio che merita particolare attenzione: «Dal Diario di Giovanni XXIII, 17 agosto 1959: ‘udienze: p. Philippe, commissario del Sant’Uffizio che mi reca la lettera contenente la terza parte del segreto di Fatima. Mi riservo di leggerla col mio confessore’ ».
Memorizzate la data: il 17 agosto 1959.
A quella data, dunque, è certo che Papa Giovanni ancora non aveva aperto e letto il terzo segreto.
Otto mesi prima, il 25 gennaio, aveva invece convocato il Concilio.
Ma attenzione: per certo una settimana prima dell’annuncio del Concilio, il 18 gennaio 1959 probabilmente Papa Giovanni aveva già ricevuto un avvertimento a non procedere: la ricostruzione di Socci, secondo cui Lucia voleva parlare al mondo è molto di più di una supposizione.
Lucia avrebbe fatto arrivare al Papa un disperato appello a fermarsi.
Forse avvisata dalla Vergine dell’intenzione del Papa di convocare il Concilio, Lucia avrebbe predetto al Papa «giorni amari» per l’avvenire.
In che modo ciò potè avvenire, se Lucia era murata viva nel suo convento?
Forse facendo arrivare tramite il suo confessore al Papa la supplica di dare ascolto al messaggio della Vergine.
Ma quale messaggio?
Quello contenuto nel terzo segreto di Fatima?
No, questo è certo!
Fino ad agosto successivo il Papa quel segreto non lo avrebbe aperto, anzi neppure l’aveva visto.
Ma quale allora?
Probabilmente il «quarto», quello che non fa parte del corpus del Segreto, (che era invece custodito presso il Sant’ Uffizio).
Il «quarto segreto», ovvero una rivelazione a parte (è meglio chiamarla così), conservato nel cassetto di destra della scrivania detta Barbarigo nella stanza da letto del Papa.
Il messaggio che conterrebbe la profezia di una crisi gravissima per la Chiesa e la cattolicità.
Quel messaggio Giovanni XXIII lo lesse verosimilmente all’inizio di gennaio e in seguito a ciò sarebbe stato convocato il summit in Vaticano di cui parla Socci, per silenziare suor Lucia, ritenendola al pari di Padre Pio una mitomane o un’invasata.
Non invento nulla.
Lo fa capire Papa Giovanni stesso in un discorso, che tenne alla Comunità dell’Almo Collegio di Caprinica proprio il 18 gennaio 1959, una settimana esatta prima di indire il Concilio, in cui dirà: «Qualche pseudo-veggente ci avrebbe predetto anche giorni amari. Noi ci angustiamo certo per questo pronostico, e se i giorni amari dovessero venirCi dal Signore, li accetteremo con serenità e coraggio». (4)
I giorni amari verranno.
Toccherà a Paolo VI assaporarne sconsolato il gusto: «Aspettavamo la primavera ed è venuta la tempesta» - disse nel 1967.
Poi quel grido angosciato: «Attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa».


Perché Papa Giovanni agì cosi?
Forse che il «Papa buono» aveva un animo malvagio?
No, certo che no.
Papa Giovanni - come ha benissimo dimostrato Arai Daniele su questo giornale - non agiva di suo. Era figlio dell’eresia modernista, della contaminazione con le categorie del mondo, sedotto dall’idea di una conciliazione impossibile tra la Chiesa e il secolo.
Lo scontro durissimo, che nel diciannovesimo secolo si era consumato tra Chiesa e «mondo moderno», agli occhi profani lasciava intravedere il corso della Storia indirizzarsi verso una direzione «progressiva», cui la Chiesa avrebbe dovuto conformarsi e alla luce del quale avrebbe dovuto emendarsi e purificarsi dai suoi errori e dalle sue medievali ed oscurantiste «arretratezze»: contro questa blandizie la Chiesa aveva avuto già in Papa Pio IX un tenacissimo oppositore, nell’Enciclica «Quanta cura» e nel «Sillabo» il suo manifesto, nella Tradizione il suo vessillo, nella difesa dello Stato Pontificio il suo agone politico.
Ma nonostante ciò, sotto l’influsso del liberalismo, delle teorizzazioni democratiche, delle dottrine socialiste, una parte del mondo cattolico si lasciò sedurre dalle suggestioni delle dottrine filosofiche moderne e cominciò a sviluppare una corrente di pensiero religioso, detta comunemente Modernismo, che portava all’interno delle chiese cristiane ed anche di quella cattolica alcune tipiche istanze del mondo moderno (libero arbitrio, libertà di pensiero, critica dell’autorità, adozione esasperata del metodo scientifico, trionfo del relativismo e del pluralismo, esaltazione della partecipazione, diritti delle donne, ecc.), postulando un allontanamento dalla Tradizione e dal principio di obbedienza, accompagnato da un approccio conciliante con la soggettività moderna e le sue rivendicazioni.
L’opera di opposizione a queste teorie culminerà sotto il Pontificato di San Pio X dapprima nell’emanazione di uno speciale decreto, il «Lamentabili» (3 luglio 1907) e poi in una speciale Enciclica, la «Pascendi» (8 settembre 1907), nei quali chiaramente, sistematicamente e minuziosamente il sommo Pontefice espose e confutò tali errori dottrinali.
Ma il tentativo di infiltrare continuamente la cattolicità e corrompere il clero alla causa modernista, indusse Papa Pio X a redigere e pubblicare, il 1° settembre 1910 il Giuramento Antimodernista, imposto a tutti i seminaristi prima del conferimento degli ordini maggiori, a tutti i professori di filosofia e teologia dei seminari e delle università, a tutti i confessori, i pastori d’anime, i predicatori e i superiori religiosi.
Dal tempo della sua pubblicazione, questo Giuramento venne prestato da tutto il clero fino al Concilio Vaticano II, quando fu abrogato.
Come scrive su questo sito Arai Daniele: «Giulio Andreotti ha scritto un libro su ‘I quattro del Gesù. Storia di una eresia’ (Rizzoli, Milano, 1999). Angelo Roncalli, Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, Alfonso Manaresi ed Ernesto Buonaiuti erano quattro seminaristi, stretti da amicizia e da una comune visione religiosa modernistica. Gli ultimi due hanno portato le loro idee eretiche così avanti da essere censurati e scomunicati (Manaresi e il Buonaiuti). Belvederi e Roncalli furono invece salvati dai loro protettori, nel caso di quest’ultimo l’allora vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi, in odore di modernismo. Un altro compagno di Roncalli a Bergamo fu Nicola Turchi, che tradusse in italiano lo storico Duchesne, anch’esso censurato. Già in quegli anni precedenti l’evento di Fatima, si diffondeva nei seminari cattolici una deviazione modernistica, giustamente considerata eterodossa e perciò aperta all’eresia, consistente nel separare la storia dalla religione». (5)
Roncalli inevitabilmente porterà l’errore modernista dentro di sé fin sul soglio di Pietro.

Se non si tiene presente la presunzione modernista di incarnare lo spirito della Storia, di interpretare il volere del Cielo, di sentirsi chiamati ad una missione speciale, di voler restaurare in una mitica quanto inesistente purezza originaria la Chiesa, di depurarla di ogni superstizione e devozionalità oscurantista, per restituirla alla contemplazione della razionalità umana, l’agire di Roncalli verso Fatima e Padre Pio è incomprensibile.
Ma diventa chiarissimo se si stagliano una figura «rozza e ignorante» come padre Pio o «una pastora analfabeta» come suor Lucia sullo sfondo dell’intellettualismo modernista: la loro Fede appare a chi si è abbeverato di tali suggestioni come una Fede deviata, corrotta dalla superstizione, dalla paura, dall’ignoranza.
I «profeti di sventura» con le loro fosche visione, coi loro rapimenti estatici, con i loro messaggi soprannaturali, con le loro stigmate sanguinanti sono testimoni inquietanti di una «Aldilà», che non se ne vuole stare «al di là», che ha fatto e continua a fare irruzione nella Storia; sono, in sostanza, il segno di contraddizione rispetto alla pianificazione lineare di un’evoluzione dell’uomo che rivendica in piena autonomia il proprio destino da costruire.
Chiaro allora che padre Pio o suor Lucia sono per tutti i modernisti d’ogni tempo, ieri come oggi, pietra d’inciampo, icone di un Cristo che continua nella semplicità dei segni di santità a parlare ai cuori degli umili e degli ultimi, dei disperati e degli affaticati, che non inseguono vacue quanto raffinate teologie o nuove ecclesiologie, ma cercano solo la salvezza dell’anima e il ristoro dagli affanni del mondo.
Padre Pio e suor Lucia sono icone di una fede «di zappa e di battaglia», di bestemmie e kyrie eleison, di rosari ed empietà, di peccatori e salvati, di «latinorum» ed ignoranza: insomma di una Fede vera, autentica, semplice, quella del popolo di Dio, un popolo di peccatori redenti dal Suo sangue.
Proprio quel popolo che inutilmente modernisti ed intellettuali (ieri come oggi) cercheranno di «educare alla Fede», quasi che essa fosse una scuola serale, cui gli ignoranti dopo il lavoro debbono ritornare, perché non hanno capito.
Padre Pio e suor Lucia sono per questi razionalisti della Fede l’immagine di un Dio da emendare, di un Logos da aggiornare, di un Verbum da correggere, che parla al suo popolo col dialetto del Sannio di Francesco Forgione o quello lusitano di Lucia dos Santos, o addirittura che fa parlare la stessa Vergine nel dialetto di Corps, come nell’apparizione di La Salette.
Scrive Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera del 25 ottobre scorso: «E’ soprattutto la fede ascetica, mistica, quasi medievale di cui il cappuccino è stato il simbolo, per la Chiesa modernista di inizio secolo come per la Chiesa conciliare a cavallo tra gli Anni ‘50 e ‘60, a essere estranea alla sensibilità di Angelo Roncalli. Che, sempre il 25 giugno, annota ancora: ‘Motivo di tranquillità spirituale per me, e grazia e privilegio inestimabile è il sentirmi personalmente puro da questa contaminazione che da ben 40 anni circa ha intaccato centinaia di migliaia di anime istupidite e sconvolte in proporzioni inverosimili’ ». (6)

Ecco perché leggendo il libro di Luzzatto o quello di Socci non è contro Roncalli come uomo che viene da scagliarsi, ma contro l’humus che lo ha nutrito, che lo ha - per così dire - «tirato su».
Se i modernisti di oggi avessero davvero l’onestà di guardare alla Storia per ciò che essa è, dovrebbero almeno riconoscere che se la Chiesa non si è piegata ai totalitarismi del XX secolo, abdicando al nazismo come fecero i vescovi luterani, ciò lo si deve al fatto che la Chiesa era stata allenata nel secolo XIX a combattere il mondo moderno e da Tradizione antichissima aveva rivedicato sopra Cesare la legittimità del Suo potere e il Suo potere legittimante.
Se ancora oggi la Chiesa non è allineata ai valori del mondo come invece lo sono gli pseudo-cattolici di matrice modernista, quali ad esempio il cardinale Martini e i suoi seguaci (e lo saranno ancor più a mano a mano che il Mondo glielo chiederà, fino rinnegare anche il proprio irenismo per sposare le guerre del Mondo), se ancora la Chiesa sa alzare talvolta la voce contro l’iniquità e la menzogna, questa è solo e ancora eredità di quella battaglia dello Spirito contro lo spirito del Mondo, che viene dal Vangelo e che ha trovato nella lotta al Modernismo, intrapresa e combattuta dai Papi fino al Vaticano II, l’ultima grande espressione.
Se Lourdes e Fatima, San Giovanni Bosco, padre Pio, Santa Teresina e decine e decine di Santi straordinari furono generati in quel periodo, ciò non è altro che la ricompensa del Cielo, frutto di una radicamento assoluto nella Verità e nella Tradizione, che nella battaglia contro il modernismo temprò la Chiesa.

Sono costretti ad ammetterlo perfino coloro che fino ad ieri, forse, dell’integralismo cattolico addirittura se ne vergognavano.
L’attualità dell’Enciclica «Pascendi», ad un secolo esatto dalla sua promulgazione, è stata riconosciuta finanche da Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto, teologo dei più famosi e con fama di progressista.
In occasione dell’incontro dei membri e consultori europei del Pontificio consiglio della cultura e dei presidenti delle commissioni per la cultura delle conferenze episcopali d’Europa, tenutosi in Romania, a Sibiu, dal 3 al 5 maggio scorsi, Forte ha ammesso. «Se oltre la crisi dei mondi ideologici si profila il bisogno di un ‘nuovo pensiero’, capace di accogliere la novità indeducibile dell’avvenire, non meraviglia che alla grande svolta del superamento della ‘ragione moderna’ europea abbia contribuito in maniera considerevole proprio la coscienza cristiana. E’ merito della reazione antimodernista e del rifiuto delle presunzioni ideologiche, ispirato al primato di Dio sul cuore e sulla vita, l’aver mantenuto viva l’alternativa cristiana nelle vicende drammatiche del ‘secolo breve’ (Eric Hobsbawm), segnato dalle grandi tragedie delle guerre mondiali, dei totalitarismi e dei genocidi, fra cui in primo luogo quello della Shoah. Contro le presunzioni dell’universo ideologico di destra e di sinistra, si leva il grido di denuncia della Chiesa e dei Papi […]. La motivazione ultima dell’opposizione alle presunzioni totalizzanti della ragione ideologica sta nella trascendenza di Dio, nel Suo essere irriducibile alla cattura degli interessi legati al potere e proprio così nel Suo offrirsi come il paladino dell’uomo e della sua libertà. […] Questo atteggiamento di alternativa a ogni riduzione ideologica e di testimonianza della sovranità trascendente di Dio caratterizza la presenza cristiana in Europa in maniera forte fino alle soglie del Concilio Vaticano II a Oriente, come in Occidente».

A un secolo di distanza la matrice antimodernista è sempre capace di generare resistenza al Mondo e di proclamare contro di esso sempre la Verità.
Per questo può ammonire i padroni del Mondo sul destino ineluttabile che li attende.
Per questo i suoi profeti vengono apostrofati dal Mondo come profeti di sventura.
Ma a quarant’anni dal Concilio Vaticano II gli «idoli di stoppa» ardono ancora per il loro Signore e la loro luce illumina ancora la notte.
A quarant’anni dal Concilio «i profeti di sventura» gridano ancora contro il Mondo, dando voce a tutti coloro che dal mondo sono schiacciati, sicuri della promessa secondo cui il cuore immacolato di Maria trionferà: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote».
Non così per coloro che tentarono di soffocarne la profezia.
A quarant’anni dal Concilio i miopi conciliatori di allora ed effimeri profeti di una stagione sola, loro sì idoli di stoppa, non hanno più nemmeno occhi per vedere la desolazione in cui hanno gettato e stanno ancora gettando il loro gregge.

Domenico Savino


1) Sergio Luzzatto, «Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento», Einuadi, pagine 161-162.
2) G. Alberigo, «Formazione, contenuto e fortuna dell’allocuzione» in «Fede, Tradizione, Profezia», Paideia Editrice, Brescia, 1984, pagine 187-222.
3) Antonio Socci, «Il quarto segreto di Fatima», Rizzoli, pagina 205.
4) http://www.almocollegiocapranica.it/discorsig23.htm
5) www.effedieffe.com «L’enigma Angelo Roncalli, professore modernista», Arai, 23/03/2007.
6) Il Corriere della Sera, «Padre Pio, un immenso inganno», Aldo Cazzullo, 25 ottobre 2007.

 

 
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