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Si riprendano il loro Deutschemark
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Angela Merkel ha ventilato una riforma del trattato europeo, onde consentire l’espulsione dall’euro delle cicale: Grecia anzitutto, ma la minaccia vien fatta pesare su tutto il Club Med. Thilo Sarrazin, della Bundesbank, ha rincarato: se la Grecia non può pagare gli interessi sul suo debito, non deve fare altro che comportarsi come ogni debitore insolvente: sottoporsi alla procedura fallimentare. «Ciò sarebbe un utile esempio terrorizzante per ogni altro Stato poco sano».

Commenta Evans Pritchard «Il dottor Sarrazin dovrebbe essere internato in un manicomio francofortese. Ciò che suggerisce è l’atteggiamento che portò al disastro della Lehman, e che ha richiesto salvataggi nella metà del sistema finanziario mondiale».

La bancarotta greca sarebbe pari a quella di Argentina e Russia addizionate, e l’effetto-domino sul Club Med innescherebbe una seconda crisi bancaria. Ma è chiaramente un partito preso. In un’economia europea strangolata dai bassi consumi, dalla restrizione tragica del credito, e dal potere d’acquisto calante, Juergen Stark, il rappresentante tedesco alla Banca Centrale Europea, ha proposto una ulteriore stretta «per combattere l’inflazione».

Non c’è alcuna inflazione in vista. Al contrario, la deflazione è instaurata. Col credito alle imprese che si contrae al ritmo del 2,7% il denaro (lo creano le banche) è sempre meno. La moneta M3 sta calando da un anno. Nella zona euro, l’inflazione «essenziale» (ossia depurata dal rincaro del greggio) è stata a febbraio dello 0,9%. Sicchè commenta Evans-Pritchard, «come non bastasse alla UE aver imposto un taglio della spesa pubblica del 10%  alla Grecia, dell’8%  alla Spagna, del 6% al Portogallo e del 5% alla Francia nell’ultimo triennio, adesso (i tedeschi) vogliono una dose di politica monetaria stile anni ‘30 per essere sicuri di rendere la vita un inferno per tutti».

La Germania vuole spaccare l’euro, sospetta l’inglese. Ebbene: e se la prendessimo in parola? E’ la proposta di Jacques Sapir, l’economista che alla francese EHESS (Ecole des hautes études en sciences Sociales) dirige il CEMI, Centro-Studi sui modi di Industrializzazione, e che propone con buoni argomenti il protezionismo europeo come riparo dalla crisi.

Ma prima vediamo il succo della questione. Certo, la Germania ha fatto le «riforme di struttura»  che il dogma liberista consiglia: taglio ai salari reali e al costo del lavoro (specie dei contributi sociali: l’età pensionabile è stata aumentata da 65 a 67 anni, che i sindacati hanno accettato con disciplina), e tagli alla spesa pubblica (soprattutto previdenziale). In questo modo è diventata l’economia più competitiva del mondo dopo quella cinese; e non solo, ha anche diminuito il potere d’acquisto interno, quindi la spesa dei suoi consumatori, quindi le importazioni.

Adesso, da prima della classe, la Germania dice agli altri Pesi europei: fate altrettanto anche voi. Gestite meglio la spesa pubblica, risparmiate, riducete il costo del lavoro. Bel consiglio: solo che, se in questa fase di recessione tutti facessimo così, la Germania sarebbe la prima a soffrirne. Perchè le sue merci «competitive», le esporta molto nei Pesi europei – quelli stessi che critica perchè spendono troppo. Se spendessero meno, comprerebbero meno Made in Germany.

Christine Lagard
   Christine Lagard
Il mondo ideale del liberismo è un mondo dove tutti sono competitivi, tutti esportano e nessuno importa. Un simile mondo è impossibile, come ha fatto notare la ministra francese Christine Lagarde, consigliando ai tedeschi di rilanciare la loro domanda interna. La Merkel, e tutti i tedeschi, si sono offesi. Ma hanno ragione?

Il grande attivo nella bilancia export-import nasconde una fragilità tedesca, di cui i tedeschi non vogliono prendere coscienza. Fatto indicativo, e strano per un Paese esportatore e «competitivo», la disoccupazione tedesca permane alta, pari a quella francese. La proporzione dei poveri (calcolata «dopo» i trasferimenti sociali) è salita: erano il 10% nel 2000, sono saliti al 15% nel 2007 (in Francia sono il 13%). A forza di risparmiare spesa pubblica, le infrastrutture del Paese si degradano: dopo l’Austria, la Repubblia Federale è il Paese che spende meno in infrastrutture, e ciò da dieci anni.



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Nel decennio 1998-2008 i salari tedeschi sono rimasti praticamente fermi: aumentati del 4,4%, contro il 19% della zona euro. Dunque i tedeschi si sono impoveriti pur sgobbando più che mai; l’aumento della loro produttività è andata non a loro ma – caso classico – al capitale e ai capitalisti. Il 20% dei più ricchi guadagna oggi 5 volte quel che prende il 20% dei più poveri; nel 2000, il differenziale era solo 3,5 volte in più (in Italia, il differenziale è l 5,5%: ma noi abbiamo le Caste dei miliardari pubblici).

Siccome le esportazioni pesano per il 47% del PIL germanico (contro il 27% della Francia), la Germania è più esposta al collasso delle esportazioni dovuto alla depressione mondiale: un crollo del -20%. Sicchè, a dispetto di tutta la sua «competitività», il PIL tedesco è calato del -4% nel 2009, un livello che non ha equivalenti nei grandi Paesi sviluppati. E con una popolazione che invecchia più rapidamente che altrove (i meno che 15enni sono il 13,7% della popolazione tedesca, contro il 18,5% della Francia) il ritmo di produttività e sacrifici non sarà sostenibile a lungo.

Secondo i francesi, la Germania ha sottratto mercati ai partner europei non tanto perchè questi sono meno produttivi, ma essenzialmente perchè i tedeschi hanno fatto «dumping sociale» smantellando le loro previdenze e – sopratutto – perchè noialtri europei dobbiamo vendere in euro: euro forte, che è il marco tedesco, e ci rende meno competitivi. La Francia è in passivo nell’import-export verso la Germania quasi quanto veso la Cina: 16 miliardi di euro (verso la Cina, 20).

Se dunque minaccia di espellere dall’euro le «cicale» che non sanno contenere le loro spese pubbliche, Berlino minaccia di cacciare i suoi migliori clienti. Siamo noi i più grandi compratori del Made in Germany, come mostra questa tabella:



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Berlino può rifiutarsi di rispondere alla Francia, che le chiede di rilanciare i consumi interni, e minacciare persino di spaccare l’Europa, perchè ormai guarda all’Est europeo, ai suoi satelliti (ex sovietici) come riserva di manodopera a basso costo, e alla Russia come grande mercato futuro, potenzialmente molto ricco e solvibile.

Dunque è la Germania che si sta staccando dall’Europa, non il contrario. E’ la Germania che sta facendo la scelta; e intanto chiede ai Paesi latini di ridurre drasticamente il costo del lavoro, accrescere le tasse e tagliare la domanda pubblica e privata. Insomma pretende di imperare alla prussiana, e condannare noialtri tutti ad una depressione profondissima.

Ci trova la sua convenienza. Ma conviene a noi? Il destino della Grecia sarà anche il nostro, se cediamo.

Christine Lagard
   Jacques Sapir
Da qui la paradossale proposta di Jacques Sapir: «Rovesciare la logica» e giocare il tutto per tutto «sulla espulsione dlela Germania dalla zona euro per comportamento non cooperativo». «Basterebbe lanciare l’idea che Francia, Italia, Spagna (e Grecia e Portogallo) studino l’ipotesi di una uscita congiunta dall’euro, onde fondare una propria moneta comune», e «la paura cambia campo».

La zona della nuova moneta comune (svalutata sull’euro) sarebbe liberata dagli eccedenti tedeschi e dalla sua sopravvalutazione strutturale. Che la Germania si riprenda il suo Deutschemark: «una moneta non annacquata dai deficit dei Paesi meridionali, e dunque una moneta insopportabilmente sopravvalutata per il suo detentore». (Rendons donc leur Deutchmark aux Allemands!)

Ovvia l’obiezione: i Paesi come il nostro non troveranno mai la volontà politica per agitare una simile prospettiva. Sono paralizzati dal debito estero, che diverrebbe intollerabile nel caso di uscita dall’euro, in quanto tale debito è contratto  in euro. Ma a parte che la minaccia di default proprio su quel debito congiunta di tre grossi Paesi dovrebbe allarmare più i creditori che i debitori, è da notare che – se il rischio per i tre latini è l’asfissia del credito internazionale – anche la Germania rischia molto: la chiusura degli sbocchi commerciali verso i latini, nei cui mercati le merci tedesche diverranno non-competitive.

«Un vero equilibrio del terrore», dice Sapir. E ciò che appare irrealistico oggi, potrebbe imporsi ai politici fra qualche mese. Perchè l’alternativa, per le società dei Paesi latini, è una cura d’austerità alla greca, con regresso epocale dei livelli di vita e disoccupazione di massa e di lunga durata. La scelta dei politici sarà fra affrontare l’ira dei creditori (che hanno già guadagnato, da anni, sul debito pubblico italiano) e quella dei loro popoli.

«Gli Stati dei mercati sviluppati sono tutti insolventi secondo ogni definizione», ha detto Dylan Grice, analista capo alla Socièté  Générale, «alla fine, ci sarà una crisi di tale grandezza che i venti della politica dovranno cambiare direzione». Naturalmente, Grice auspica il «cambiamento» del vento nel senso di «una forzata responsabilità dei bilanci»: perchè prima di tutto, pagare i creditori. Ma non è detto che il vento non cambi nell’altra direzione, quella del ripudio sovrano e dell’interesse nazionale.

In Europa le situazioni sono in movimento, come dimostra la sconfitta elettorale di Sarkozy; in Francia sono numerosi i commentatori che reclamano «più coraggio politico» nei rapporti con la Merkel.

Nel parlamento europeo è stata costituita una Commissione (1) per la valutazione della crisi  economica (l’acronimo è CRIS); ci risulta che un eurodeputato italiano stia proponendo che vi entri proprio Sapir, o qualche altra personalità del «protectionnisme».




1) Lo scopo della Commissione è:
«1 - analizzare e valutare l’ampiezza della crisi finanziaria, economica e sociale, il suo impatto sull’Unione e sugli Stati membri, nonché la situazione a livello della governance mondiale, proporre misure appropriate al fine di ricostruire a lungo termine mercati finanziari sani e stabili, atti a sostenere la crescita sostenibile, la coesione sociale e l’occupazione, a tutti i livelli, e fornire una valutazione dell’incidenza di tali misure e dei costi dell’inazione;

2 -  analizzare e valutare la situazione attuale dell’attuazione della legislazione comunitaria in tutti i settori interessati, nonché il coordinamento delle azioni avviate dagli Stati membri per sostenere una crescita sostenibile e qualitativa e gli investimenti a lungo termine, onde lottare contro la disoccupazione e rispondere alle sfide demografiche e climatiche, nel rispetto del principio di sussidiarietà;

3 - a tale scopo, stabilire i contatti necessari e organizzare audizioni con le istituzioni dell’Unione Europea e le istituzioni e i forum nazionali, europei e internazionali, con i parlamenti e i governi nazionali degli Stati membri e di Paesi terzi, nonché con rappresentanti della comunità scientifica, delle imprese e della società civile, comprese la parti sociali, in stretta cooperazione con le commissioni permanenti».
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