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Origini dello Stato ebraico
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Il direttore Blondet riceve la seguente lettera:

«Caro Direttore, facendo riferimento alla mia lettera pubblicata il 9 febbraio dal titolo ‘Oblast’ Autonoma Ebraica’, lei afferma che i sionisti (quindi anche quelli della primissima ora) volevano solo e a tutti i costi la Terra Promessa, a quello avevano sempre puntato, e non a una loro propria e qualunque, terra nazionale. Negli anni ho sentito (anche se non sono informatissimo a riguardo) che questi sionisti, almeno inizialmente, erano gente laica, che non volevano avere nulla a che fare con questa terra d’Israele, a riferimenti biblici e quant’altro. Seppi negli anni, che fecero domanda all’Argentina, per formare uno Stato lì, e poi anche tra il Canada e gli USA, e addirittura si parlava di uno Stato in centr’Africa, sulla costa atlantica. Dopo questi rifiuti e/o impossibilità maturò l’idea nefasta-genocida. Volevo solo dirle questo. E che magari, come alludo chiaramente nella lettera precedente, si poteva anche credere (forse ingenuamente, ma tant’è) che le cose sarebbero potute andare diversamente, storicamente. Tutto qua. Qual è il suo pensiero a riguardo? Distinti Saluti,
Peppe S. londonfree
»

Non stupisce che nel sionismo delle origini ci fossero anche gruppi disposti ad accettare uno Stato ebraico in una qualunque zona del mondo. Fatto sta che le offerte di una sede ebraica furono fatte - l’Uganda, il Madagascar, l’Argentina, il Birobijian sovietico - ma furono regolarmente rifiutate, e anche chi era disposto ad accettarle pensava ad esse solo come a «rifugi temporanei».

Credo sia sufficiente, a sostegno delle mie affermazioni il seguente episodio: siamo nel 1903, anno in cui il mondo ebraico fu agitato fino al parossismo dalle notizie di pogrom commessi nella Russia zarista (sulla cui reale entità la rimando al testo di Solgenitsyn, «Due secoli insieme»). Si trattava dunque di salvare con urgenza le povere vittime di tanto odio, uccise, spogliate e devastate.

In quell’anno Theodor Herzl, il padre del sionismo, porta al Congresso Ebraico Mondiale la promessa che è riuscito ad ottenere dalla corona britannica: l’Uganda come sede per gli ebrei. Ebbene: 295 delegati votarono a favore  della proposta. Ma 177 delegati - ed erano per lo più ebrei provenienti dalla Russia - votarono contro, e la proposta fu liquidata. Vinse insomma la minoranza.

Il che meriterebbe un lungo discorso sul ruolo perenne delle minoranze più determinate e fanatiche nel «guidare» la massa ebraica, anzi di cambiarne lo stato d’animo collettivo. Ma quel giorno del 1903, i delegati del Congresso Ebraico furono molto demoralizzati dalla bocciatura della sede africana.

Per rianimare l’assemblea, Max Nordau, un altro padre fondatore del sionismo, se ne  uscì con questa dichiarazione supefacente: «Lasciatemi dire alcune parole, come a mostrarvi i gradini di una scala che sale e sale: Herzl, il Congresso sionista, la proposta inglese sull’Uganda, la futura guerra mondiale, la conferenza di pace dove, con l’aiuto dell’Inghilterra, una libera Palestina ebraica sarà creata».

Come si vede, Nordau, nel 1903, era già in grado di predire come cosa sicura «la futura guerra mondiale», ossia la Grande Guerra, che sarebbe cominciata solo nel 1914; «l’aiuto dell’Inghilterra», ossia la Dichiarazione Balfour con cui nel 1917 il ministro Balfour  prometteva a lord Rotschild  un «focolare ebraico in Palestina» (allora sotto l’impero ottomano); e persino la Conferenza di San Remo (1920), un’appendice della conferenza di pace di Versailles, dove la dichiarazione Balfour fu accettata dagli alleati vincitori come obbligatoria anche per loro.

E il tutto, per lo scopo continuamente voluto e accarezzato dall’ebraismo in duemila anni:
una Palestina ebraica. Da duemila anni gli ebrei ripetono la preghiera che dice: «L’anno prossimo a Gerusalemme», mica «in Uganda».

Il lettore si chiederà: com’è possibile tutto questo? Cosa avranno pensato, nel 1903, i delegati sionisti laici, disposti ad accettare l’Uganda come sede ebraica?

Per illustrare ciò, dovrei fare il punto su uno degli aspetti più strani e inquietanti della mentalità ebraica, la sua  ambiguità e doppiezza, semicosciente. Sarei immediatamente riconfermato come antisemita, e perciò mi limito a dargliene un esempio riportato da Israel  Shahak.

Il Talmud vieta ogni tipo di lavoro il Sabato, anche di mungere le mucche. Nei kibbutzim israeliani, questo divieto era diventato un problema. Per fortuna si «scoprì un vecchio precetto (talmudico) che permetteva di vuotare le mammelle gonfie delle vacche anche durante lo Shabbat per alleviarne la sofferenza, ma a condizione che il latte dovesse essere sparso al suolo».

Come fare?

Shahak attesta, perchè l’ha vista praticare negli anni ‘50, questa  sequenza:
«La mattina dello Shabbat, un pio kibbutznik va nella stalla e mette un secchio sotto le mammelle delle vacche senza infrangere con questo alcun divieto, dato che nel Talmud non si fa cenno a questa operazione. Poi va in sinagoga a pregare, e subentra un suo collega che ha ‘l’onesta intenzione’ di alleviare le sofferenze degli animali, lasciando che il latte si sparga al suolo. Ma se per caso ci sono lì i secchi, questo benefattore ha forse il dovere di toglierli di mezzo? Nient’affatto. Lui li ignora, porta a termine la sua missione caritatevole, e se ne va in sinagoga. A questo punto arriva un terzo collega che, entrato nella stalla, scopre con sorpresa che i secchi sono tutti pieni di latte. Allora li porta in un posto fresco e anche lui si affretta alla sinagoga. Così tutto è a posto e non c’è bisogno di buttar via i soldi» (Israel Shahak, «Storia ebraica e giudaismo», Edizioni Sodalitium, 1997, pagine  87-88).

Mi pare che questo episodio sia illuminante, anche come risposta alla domanda del lettore: che le cose «potevano anche andare diversamente», che gli ebrei si sarebbero radunati in Uganda e non in Palestina.

I lettori comprenderanno anche cosa intendo, quando dico che la psicanalisi freudiana - e i suoi concetti centrali, il subconscio, l’inconscio, la «rimozione», il «lapsus» - valgono effettivamente solo per gli ebrei, e sono inefficaci come «terapia» per gli altri esseri umani.
 


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