28 Ottobre 2008
Parlavano arabo alcuni dei commandos americani che hanno compiuto l’incursione in Siria, ammazzando otto persone e cammelli, per eliminare un «terrorista di Al Qaeda». Il che significa che gli incursori erano quasi certamente israeliani.
Questo, come fu notato, «liquida l’ordine internazionale che ha governato il mondo fin dal trattato di Westfalia del 1648». Grande e disperata soluzione trovata dallo Jus Publicum Aeropaeum per far finire la condizione di guerra perpetua, il trattato riconobbe - e creò - il principio della sovranità e della legalità. Ogni Stato, debole o forte, piccolo o grande, era una persona giuridica legittima, quindi capace di legarsi con trattati, aventi forza legale. E in base a Westfalia che, per esempio, dal 1648, gli Stati firmano trattati e convenzioni per umanizzare la guerra, che vietano la guerra preventiva, l’uso di armi massacratici di civili in modo particolarmente inumano; la guerra stessa diventa un atto giuridico, che si conclude con un atto giuridico, il trattato di pace.
Ovviamente gli Stati Uniti Talmudici non hanno mai accettato questa norma di civiltà elementare. Le tribù indiane, il regime tedesco, quello giapponese, non furono considerati nemici legittimi, ma criminali da impiccare, dopo averli costretti alla resa incondizionata a forza di massacri.
La resa condizionata, contrattata, implica riconoscere l’altra controparte come legittima; ma per l’America è legittima solo l’America, e Israele. Ovviamente, ciò porta alla guerra totale, alla guerra senza limiti, da concludere solo con l’annientamento fisico del nemico, auspicabilmente il genocidio.
Gli USA sprofondano, ma ancora vogliono mostrare che non riconoscono alcuno Stato come legittimo. Varcano lo spazio pakistano coi loro droni e i loro commandos, per uccidere, dal vicino Afghanistan occupato; l’incursione contro la Siria è venuta dall’Iraq occupato. Gli attacchi non vengono nemmeno rivendicati nè ammessi ufficialmente, a dimostrare che gli USA si comportano ormai come pirati, come delinquenti comuni di livello globale.
Ovviamente, non si può pretendere che delinquenti proni ad atti di pirateria sviluppino qualche capacità strategica. Gli strateghi americani, i generali coi galloni, sono così mediocri che, dopo sette e cinque anni di occupazione, non riescono a contenere la guerra all’interno dell’Iraq nè dell’Afghanistan; devono per forza riversare fuori il loro disordine, in Pakistan, in Siria, dovunque sono certi che la loro forza è preponderante e possono usarla senza limiti legali. Anche questo, l’hanno letto sul Talmud.
La Siria ospita come può due milioni di profughi iracheni: gli USA glieli hanno gettati là come spazzatura umana, fuori dal loro disordine iracheno; altra spazzatura, fra cui i cristiani, sono stati gettati in Giordania. In più, entrano nella casa altrui, che hanno riempito di rifiuti umani, per ammazzare bersagli selezionati - e tutti i rifiuti umani che si trovano lì vicino.
I motivi dell’incursione in Siria - ostentata, in pieno giorno - lasciano perplessi gli analisti. La violenza su questa zona del confine iracheno era diminuita, le infiltrazioni di «terroristi stranieri» sono state meglio controllate dai siriani. Persino Stratfor, il sito militarista americano, definisce «bizzarro» il raid. Altri parlano di un ultimo regalo di Cheney a McCain, o dell’ultima dimostrazione del principio anti-Westfalia della morente amministrazione Bush. Tali dubbi sulle motivazioni indicano qualcosa di irrazionale, incomprensibile.
Sotto il giovane Assad - che avrebbe preferito restare a fare il dentista a Londra - la Siria ha fatto di tutto per uscire dall’isolamento demonizzante in cui l’avevano chiuso i talmudici. S’è ritirata dal Libano. Ha fatto avances agli americani. Ha persino aperto un tavolo indiretto di normalizzazione dei rapporti con Israele, attraverso la Turchia.
Nelle ore dell’attacco, il ministro degli Esteri siriano era a Londra, per migliorare i rapporti. In ogni modo Damasco ha fatto capire di essere pronta ad allentare le relazioni con Teheran, in cambio, è ovvio, di qualche garanzia internazionale sulla propria esistenza.
La risposta talmud-americana è sempre stata: colpire, umiliare la Siria. Ricacciarla nel ghetto degli Stati-canaglia, gravarla di sanzioni continuate, accusarla di «terrorismo», mentre subisce atti terroristici.
Il motivo è che i neocon americani hanno, una volta per tutte, definito la Siria «un frutto maturo per il cambio di regime», e sperano di accelerare la maturazione; Damasco è sempre vista da Israele, e ancor più dai neocon zelanti per Israele, come un ostacolo agli interessi di Sion, per la sua stessa esistenza.
I parziali successi di Damasco sul piano internazionale devono avere invelenito gli ambienti attorno a Cheney. In luglio, il presidente Assad è stato invitato al vertice della UE a Parigi. Nicolas Sarkozy, come presidente europeo pro-tempore, ha compiuto sforzi notevoli per attrarre la Siria nell’orbita della ragionevolezza europea (di Westfalia, per quanto spettrale sia); Sarko non è certo anti-israeliano, anzi le sue aperture ad Assad hanno lo scopo di staccarlo dall’Iran e da Hezbollah, di fargli capire che gli interessi siriani e quelli iraniani non sono convergenti.
Ma i neocon non vogliono la sicurezza di Israele; vogliono Israele in costante pericolo, perchè solo così il regno talmudico, con la scusa di difendersi, può attaccare ed espandersi nella guerra perpetua, rifiutando ogni trattato, fidando solo nella sua forza superiore.
Sicchè l’ipotesi più credibile a spiegare l’attacco americano sembra questa: un avvertimento all’Europa e a Sarkozy; che non osi fare una politica non approvata dagli USA.
Che sia stato Cheney ad ordinare l’incursione gratuita, ancora una volta scavalcando la catena di comando del Pentagono (la catena di comando in USA è confusa fin dall’inizio, i generali e la truppa sono affiancati da mercenari a contratto e da commandos israeliani, che non obbediscono che ai loro capi o datori di lavoro: è così che si perdono le guerre), non c’è dubbio.
Ci sono indizi precisi. Nel maggio 2007, Condoleezza Rice chiese al ministro degli Esteri siriano il permesso per due generali americani di visitare Damasco, onde «condividere l’intelligence» fra le due forze armate; la proposta fu bocciata dalla Casa Bianca, che si rifiutò di aderire alla ragionevole contro-richiesta di Assad, di una normalizzazione delle relazioni diplomatiche.
«Non si parla coi terroristi», insomma: ci diano le informazioni riservate di cui abbiamo bisogno, ma sia ben chiaro che restano nostri nemici, da sterminare.
Nel dicembre 2007, lo stesso generale Petraeus tentò di ottenere un colloquio con generali siriani a Damasco, perchè senza lo spionaggio siriano l’occupazione dell’Iraq ha un angolo cieco; ancora una volta, ebbe il divieto della Casa Bianca.
«Sia il Dipartimento di Stato sia il Pentagono hanno cercato collaborazione con lo spionaggio siriano, e sono stati impallinati dall’ufficio del vice-presidente», dice Joshua Landis, docente ebreo alla Oklahoma University, specializzato in affari siriani (2).
Sarkozy ha auto il coraggio di «chiedere spiegazioni» agli USA su questo attacco (del resto, in Siria è Total che ha il monopolio delle ricerche petrolifere), affiancato da Mosca; in ogni capitale europea, il colpo di coda di Cheney ha fatto un’impressione pessima, e in qualche modo ha ingrandito l’evidenza che i gli interessi europei sono più vicini a quelli russi che a quelli americani.
Il colpo canagliesco può avere anche una motivazione interna. Zbigniew Brzezinski pare abbia incontrato Assad a febbraio, in una delegazione della Rand Corporation: e Zbig, capo ideologico di ciò che si può chiamare «imperialismo razionale», sarà anche uno dei consiglieri principali di Obama, se vince lui.
Daniel Kurtzer, ebreo, ex ambasciatore USA in Israele sotto il primo quadriennio Bush, ha visitato la Siria in luglio, incontrando il ministro degli Esteri: e Kurtzer è destinato a diventare il principale consigliere di Obama nellle questioni israelo-palestinesi.
Dunque l’attacco serve ad esprimere la rabbia neocon contro la nuova «soft diplomacy» che non li vedrà protagonisti, e ad imporre un fatto compiuto destabilizzante alla nuova amministrazione.
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