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Israele ha fretta: presto il Tempio
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L’Azerbaijian si trova a ridosso dell’Iran, con cui condivide una frontiera: ottima posizione per i progetti aggressivi israeliani. Difatti in Azerbaijian ha aperto una filiale la Elbit Systems, la più importante delle imprese elettroniche della difesa giudaica. La Elbit si occupa di sviluppo, fabbricazione e integrazione di «sistemi centralizzati di reti di comando, controllo, comunicazioni (C4ISR)». Insomma, guerra elettronica, spionaggio tecnologico SIGINT, e soprattutto teleguida di aerei e di elicotteri senza pilota.

Che l’Azerbaijian, un Paese arretrato di 8 milioni di abitanti (il 94% musulmani, e i due terzi sciiti) abbia bisogno di simili sofisticati armamenti, è alquanto dubbio. Ma il presidente azero a vita Ilham Alyer, a parte le mazzette miliardarie che implicano certi affari, ha una disputa con l’Iran su un giacimenti petrolifero del Caspio. E il ministro israeliano Lieberman, ebreo-russo, è stato lesto ad approfittarne.

Il 6 maggio scorso Lieberman aveva incontrato il «presidente» Aliyer a Praga, e insieme hanno organizzato una visita ufficiale del presidente sionista Shimon Peres: visita avvenuta nonostante la massiccia opposizione della popolazione. I rapporti diventano sempre più cordiali. Già oggi l’Azerbaijian fornisce ad Israele il 20% delle sue importazioni petrolifere e prodotti derivati, per 3,5 miliardi di  dollari, e si parla di forniture di gas naturale liquefatti attraverso la Turchia fino al porto di Haifa. In cambio, l’Azerbaijian ha cominciato a comprare dal settembre 2008 armamenti, munizioni, mortai, sistemi radio da Israele. Evidentemente, il «presidente» ritiene che oggi la sua forza armata abbia bisogno di droni e reti elettroniche integrate per lo spionaggio.

Anche il Turkmenistan - data la sua lunga frontiera con l’Iran - è oggetto delle cordiali attenzioni israeliane. Per la prima volta, in questo Paese Israele ha aperto un’ambasciata: la capitale, Ashgabat, sorge a 30 chilometri dal confine iraniano. L’ambasciatore scelto da Avigdor Lieberman è una comprovata spia del Mossad: Reuven Dinal, che nel ‘96 Mosca ha espulso per spionaggio. Sicuramente l’ambasciata si dedicherà agli «ascolti» all’interno del territorio iraniano, e all’allevamento dei gruppi etnici anti-regime, minoranze locali frontaliere che hanno bisogno di soldi ed armi per le loro operazioni di agitazione e terrorismo.

Il più famoso di questi gruppi è «Jundullah», alias Movimento dei popoli resistenti dell’Iran, che due settimane prima delle elezioni presidenziali (29 maggio) ha fatto saltare con esplosivi  la moschea di Zahedan in Iran, causando 25 morti e oltre un centinaio di feriti. Recentemente Jundullah, ben guidato, ha stretto un’alleanza con i Mujaheddin-e-Khalk (Mujaheddin del Popolo), i cui capi abitanto in Francia sotto la protezione di Sarko. La setta è nella lista delle organizzazioni terroristiche della Unione Europea, come in quella della CIA (che però al bisogno ha usato i MeK per i suoi scopi); o meglio lo era, perchè dalla lista europea l’ha fatta cancellare il ministro degli Esteri di Sarko, il noto Bernard Kouchner.

L’intensa amicizia franco-israeliana ha avuto recentemente una conferma in più: il generale Gaby Askenazi, capo dello Stato Maggiore israeliano, ai primi di settembre ha compiuto un viaggio-lampo in Francia, prima in Normandia per incontrare l’ammiraglio Michael Mullen, capo di Stato Maggiore di tutte le forze USA, e poi a Parigi in un abboccamento con il generale Jean-Louis Georgelin, capo di Stato Maggiore francese. La visita è stata clandestina – se n’è avuto notizia solo a cose fatte – perchè Askenazi è accusato dei crimini di guerra e delle atrocità commesse a Gaza dal Rapporto Goldstone, e dunque è passibile (in teoria) di arresto internazionale. Evidentemente, Sarko gli ha dato garanzie quanto al territorio francese. Ma di cosa hanno parlato, gli amiconi?

Ufficiosamente,il criminale di guerra e l’ammiragio Mullen si sono intrattenuti su «Iran, Siria, Hezbollah» e sulle grandi manovre Juniper Cobra 05, che le truppe israeliane e quelle americane stanno per tenere insieme in Israele. Ma non è credibile che due amiconi che si telefonano ogni settimana abbiano bisogno d’incontrarsi per dirsi le solite cose. I due – anzi i tre, perchè il generale Georgelin comanda oggi anche i Caschi Blu europei (UNIFIL) di stanza nel Libano meridionale per sorvegliare Hezbollah – hanno discusso sugli effetti e le ricadute politico-militari di un eventuale attacco aereo israeliano contro l’Iran. Si è parlato di come neutralizzare la reazione di Hezbollah, considerato un fantoccio iraniano, e della Siria, che effettivamente ha un trattato di mutua difesa con Teheran: l’attacco alle installazioni in Persia dovrà accompagnarsi ad operazioni belliche contro il Libano e la Siria.

Forse non è una semplice coincidenza se il 6 ottobre il re Abdullah, dell’Arabia Saudita, s’è recato in visita in Siria con l’ostentato proposito di «migliorare le relazioni con Damasco», con cui i sauditi sono ai ferri corti da anni. E’ una visita senza precedenti, compiuta da un monarca ultra-ottantenne a cui si attribuisce una forte ostilità verso l’Iran sciita (gli israeliani, subito smentiti, hanno sparso la voce che in caso di attacco all’Iran, i sauditi consentirebbero il sorvolo dei loro caccia-bombardieri).

Secondo alcuni, il re saudita è andato a cercare di convincere Assad di staccarsi dall’alleanza con l’Iran. Secondo la diplomazia di Damasco, «una migliore comprensione tra Siria e i capi sauditi può costituire un più ampio schieramento arabo a sostegno degli sforzi di pace di Obama»; dato che «c’è una tendenza in Occidente ad approcciare l’Iran in modo più pacifico» e meno «belligerante», e questo «corrisponde alla sensibilità dell’Arabia Saudita ed ha reso possibile la visita».

Insomma il contrario delle voci messe in circolo dalla propaganda israeliana.

Intanto, Ankara ha rifiutato di partecipare all’esercitazione aero-navale congiunta NATO «Anatolian Eagle» (con la partecipazione di USA, Italia e Turchia) perchè vi avrebbe preso parte anche Israele: gli aerei che Israele avrebbe mandato in Turchia per la manovra sono gli stessi che hanno massacrato la gente di Gaza, è stata la esplicita motivazione. L’esercitazione ha dovuto essere cancellata, con gran dispetto del Pentagono che fa finta di non capire il messaggio.

L’immagine di Israele è parecchio compromessa. Un miliardario ebreo-americano, Chaim Saban, ha offerto al governo del Qatar di comprare Al-Jazeera, la più autorevole rete araba, onde far passare al pubblico arabo messaggi più simpatici per lo Stato sionista. Saban, lui stesso un tycoon televisivo, ha offerto 5 miliardi di dollari.

Ma quel che accade a Gerusalemme è ancor più indicativo. Da settimane, la polizia israeliana vieta l’accesso degli arabi alla spianata delle moschee il luogo più sacro dopo la Mecca. Sono in corso scontri, arresti arbitrari, taciuti ovviamente dai nostri media. Carri armati israeliani sono penetrati nella striscia di Gaza a protezione di bulldozer corazzati che distruggono i campi: sono avvenute sparatorie.

In tutto questo, Netanyahu ha espresso l’intenzione di visitare il sito cosiddetto «archeologico», ossia i tunnel che gli israeliani hanno scavato sotto la spianata delle Moschee per cercarvi l’introvabile rudere del Tempio ebraico, e ne è stato dissuaso a fatica, a quanto pare da pressioni occidentali: questo tipo di «visite» somigliano troppo a quella che Sharon compì, con 2 mila israeliani armati, sulla Spianata, e provocò l’intifada.

«Netanyahu vuole provocare un’altra esplosione, un’altra intifada, per aver la scusa di rigettare i negoziati coi palestinesi», ha detto Muhammad Dahlan, membro del comitato centrale di Fatah. L’accelerazione nella creazione di sempre nuovi insediamenti su terreni che, in caso di negoziati, dovrebbero essere lasciati all’autorità palestinese, è ovviamente una conferma di queste intenzioni.

Il re Abdullah di Giordania, molto allarmato, ha avvertito Washington che la politica degli insediamenti israeliani a Gerusalemme Est minaccia le buone relazioni tra Giordania e Israele; e il suo ambasciatore ha elevato una protesta ufficiale presso il governo israeliano per un nuovo insediamento su terreni appartenenti al villaggio arabo di Walaja, che è praticamente a Gerusalemme Est.

I disordini – di cui i nostri media tacciono così tenacemente – sono cominciati, secondo i palestinesi, quando gruppi di cosiddetti coloni ebraici hanno tentato di «dissacrare al-Aqsa sotto la protezione delle forze di sicurezza israeliane», che sono arrivate con decine di veicoli militari armati attorno al sito; la popolazione musulmana, allertata dall’autorità religiosa (Wakf), s’è radunata per difendere il suo luogo sacro; ci sono stati scontri. Poi il divieto per i musulmani di pregare ad Al-Aqsa. E’ consentito invece l’accesso ai turisti, e agli israeliani che vogliono «pregare».



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Questo tipo di azioni sta accelerando, come si accelerano gli insediamenti nuovi; come direbbe l’Apocalisse (12: 12), «sanno di avere poco tempo». Occupare tutta la terra è del resto la esplicita mira dei «coloni»: è YHVH che glielo ordina. Quasi tutti i coloni sono americani della setta Habad, ossia Lubavitcher; uno dei loro rabbini, Manis Friedman, ha recentemente sancito: «Il solo modo di combattere una guerra morale è il modo ebraico: distruggi i loro luoghi sacri, uccidi uomini, donne, bambini e il loro bestiame».

I musulmani, temono dunque per le loro moschee di Gerusalemme: adesso il divieto d’entrata, domani la distruzione. Ben conoscono le intenzioni del rabbino Shlomo Goren, colonnello di Tsahal, che ogni anno raduna centinaia di suoi fedeli che provano a penetrare nella spianata delle moschee e porre la prima pietra del Tempio futuro, che coronerà le aspirazioni degli ebrei. La reazione della polizia israeliana diventa ogni anno più debole (1).

I musulmani di Palestina sentono che questo tempo - il tempo ultimo, in cui la moschea di Al Aqsa sarà distrutta - si avvicina. Qualche mese fa lo sceicco Hamed Al Beitawi, uno dei più autorevoli teologi, ha avvertito gli estremisti ebraici che l’attacco ad Al Aqsa sarà considerato da tutto l’Islam come l’attacco alle sacre moschee di Mecca e Medina.

«Al Aqsa non è una questione da prendere alla leggera. E’ l’anima della nostra esistenza in questa terra, l’anima dell’Islam in questa regione. Ogni attentato contro il luogo sacro scatenerà un incendio che finirà solo con la distruzione e l’estinzione d’Israele».

Non è una minaccia, è – dal punto di vista islamico – qualcosa di più: una promessa contenuta nella Sura XVII, nominata «al-Isra», parola che allude insieme ad Israele e al viaggio notturno di Maometto, che nel 621 (così vuole la credenza) fu portato in volo dall’arcangelo Gabriele dalla moschea sacra (della Mecca) alla «moschea ultima»: appunto Al-Aqsa, che significa «la più lontana» o anche «l’estrema».

Fatto singolare, la Sura XVII unisce la rievocazione di quel volo notturno ad un duro monito verso i Bani Israel, i figli d’Israele.

Il primo versetto esordisce: «Gloria a Colui che trasse il suo servo in un viaggio notturno dalla moschea sacra alla moschea ultima (Aqsa), della quale abbiamo reso sacro il recinto».

Il versetto 4 dice: «Nel Libro avevano avvertito i figli d’Israele: ‘Per due volte seminerete il caos sulla terra, per due volte vi eleverete con grandissima superbia».

4. «Quando si compì il tempo della prima delle due predizioni, contro di voi sollevammo dei servi nostri, spaventosamente forti, che penetrarono violentemente negli abitacoli segreti delle vostre case; e questa nostra predizione fu compiuta».

6. «Vi abbiamo concesso la rivincita su di loro, abbiamo fatto aumentare i vostri beni e i vostri figli, di voi abbiamo fatto un popolo numeroso».

7. «Se voi operate il bene, lo fate a vostro vantaggio; se fate il male, (agite) contro di voi. Quando giunse il termine per il compimento della seconda predizione, (abbiamo consentito ai vostri nemici) di sfigurarvi la faccia (forse: di umiliarvi, ndr) e penetrare nella moschea (nel Tempio) come avevano già fatto altra volta per distruggere ogni cosa di cui si erano impadroniti».

8. «Forse il Signore vi userà misericordia. Ritornerete al male? Torneremo pure noi».

Seguono vari insegnamenti e precetti per ben agire. Ma il versetto 104 torna sull’argomento, con una profezia inquietante: «Poi dicemmo ai Bani Israel: ‘Riempite la terra, abitatela. E quando giungerà l’ultima promessa, vi faremo venire a schiere compatte».

I due castighi già avveratisi possono essere la distruzione del Tempio compiuta dai babilonesi nel 586 avanti Cristo, e quella compiuta dalle legioni di Tito nel 70 dopo Cristo. Ma il versetto 104 sembra alludere ad un terzo castigo, ad una «ultima promessa», lontana come la lontana-ultima moschea Al Aqsa, il cui segno premonitore sarà quando sarà avvenuto il ritorno degli ebrei in Palestina «a schiere compatte».

Così leggono i musulmani questa sura misteriosa. E ritengono che i tempi del compimento siano vicini.




1) Questo Shlomo Goren, l’ho conosciuto personalmente anni fa. Mi spiegò che effettivamente, il Tempio dovrà essere ricostruito, è un obbligo religioso. Mi raccontò di aver avuto questa illuminazione quando, giovane ufficiale del suo commando di parà, nella guerra dei Sei Giorni (1967) occupò per qualche giorno la spianata delle moschee. Allora, Shlomo Goren subì una specie di «sindrome di Gerusalemme» talmudica: con la mente offuscata e il cuore gonfio, capì che lo scopo della sua vita era distruggere le moschee di quel luogo sacro, per ricominciare i sacrifici nel luogo dove era sorto il Tempio ebraico. La cosa è molto nota in Israele. E’ citata esplicitamente in un libro dello storico Avi Shlaim, «The Iron Wall - Israel and the Arab world», che descrive quel momento fatale come gliel’ha raccontato il rabbino  colonnello: «Provammo un’atmosfera di esultanza spirituale. I parà gironzolavano come inebetiti. Narkis (l’ufficiale comandante del gruppo armato) stava lì in piedi, chiuso nei suoi pensieri, quando Gore gli si avvicinò e gli disse: ‘Uzi, questo è il momento di piazzare un cento chili di esplosivo nella moschea di Omar e liberarci della sua presenza per sempre’. L’altro rispose: «Sta’ zitto». Goren replicò: «Uzi, con questo gesto entrerai nei libri di storia’. Narkis rispose: ‘Ho già il mio nome nelle pagine della storia di  Gerusalemme’. Gore si allontanò senza dire più una parola».


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